privativo. Il rifiuto allora ricadeva sia sul processo tipico della dialettica hegeliana,
segnato dalla necessaria sussunzione positiva del condizionato all’incondizionato, sia
sul nichilismo in cui l’essere sprofonda infinitamente nello scacco necessario a cui è
destinato l’esistente. In questo quadro si inseriva il proposito chiodiano di provvedere
ad una “rinnovata teoria della ragione” in cui non trovassero ruolo da un lato, le
esigenze attive all’interno dell’empirismo la cui risoluzione presuppone l’abbandono
del piano trascendentale della possibilità, e dall’altro le istanze dell’idealismo che
subiscono una sicura condanna al formalismo, alla concettualizzazione che depriva
l’esperienza concreta di dignità ontologica.
È a questo punto che la ricerca chiodiana sviluppava sempre di più il discorso
filosofico sui limiti del pensiero in direzione estetica; non già o non tanto
rivolgendosi alla “teoria dell’arte” a cui Chiodi in verità ha dedicato ben pochi
contributi
1
, ma facendo della riflessione sul senso (Sinn) del rapporto fra l’esistente e
le cose nel mondo (la materia, per esempio, in Sartre e il marxismo) un momento
inevitabile della propria ricerca. Infatti appariva fondamentale a Chiodi la nozione di
senso per la comprensione dei legami fra l’esperienza sensibile e le formulazioni
trascendentali del progetto esistenziale.
Pertanto, solo provvedendo: 1) ad un arricchimento delle possibili conformazioni
semantiche con cui leggere la realtà concreta; 2) ad una tematizzazione delle sintassi
semantiche che non riduca il linguaggio ed il significato a mera fonazione, ma li
concepisca come modi ulteriori di accedere al mondo nella sua profondità e spessore
– rendendo il linguaggio sensibile per colui che lo abita, sarebbe stato concepibile
sviluppare pienamente il compito della ricerca filosofica. E per Chiodi tale compito
consisteva nella ricerca inesausta dell’uomo; nel duplice senso di ricerca coltivata e
accresciuta dall’uomo in seno alla esistenza, e di ricerca volta alla liberazione
dell’uomo da quelle possibilità che annichiliscono la libertà propria del suo essere.
Due sono i lavori di Chiodi che maggiormente hanno contribuito a questo sviluppo, e
1
Due sono le opere in cui Chiodi affronta direttamente il problema dell’arte: P. Chiodi, Arte e ripetizione, I quattro soli,
1956; e P. Chiodi, Arte figurativa e arte astratta, I quattro soli, I, 1956. Altri cenni, ma più storico-filosofici che
propriamente estetici, sono reperibili in P. Chiodi Il pensiero esistenzialista, cap. 8 Arte ed esistenza, Garzanti, Milano
1960, pp.175-92.
4
che insieme al testo su Sartre costituiranno la materia del nostro percorso
interpretativo: la monumentale opera che prende il titolo di La “deduzione”
nell’opera di Kant (1961) , ed il saggio Esistenzialismo e fenomenologia (1963). In
quest’ultimo in particolare Chiodi ritrovava nell’ampliamento delle possibilità di
attribuzione di senso e significato (Bedeutung) il criterio discriminativo per una
filosofia che abdichi da sovranità potente, ma imperturbata dei cieli metafisici, per
farsi – magari più umilmente, ma non meno coraggiosamente - “sentinella
dell’umanità dell’uomo”
2
.
2
i Pietro Chiodi, Esistenzialismo e filosofia contemporanea, Edizioni della Normale, a cura di Giuseppe Cambiano,
Pisa 2007; in Il concetto di alienazione nell’esistenzialismo, pag. 345
5
1. Irriducibilità e riduzione
1.1 La secessione esistenzialistica del ‘26
Nel 1963 Pietro Chiodi pubblica un saggio dal titolo Esistenzialismo e
fenomenologia. Come osserva Giuseppe Cambiano, il saggio piuttosto che fornire
una risposta alternativa alle risoluzioni presentate al problema dei rapporti fra Husserl
e Heidegger, costruisce un discorso “ritmato da una sequenza impressionante di
interrogazioni”
3
, il cui orientamento volge alla difficile interpretazione del concetto di
riduzione sullo sfondo della problematica generale della ricerca di un fondamento.
Come primo passo sarà utile ricordare le due pubblicazioni che Enzo Paci
(l’interprete più fedele al lascito di Husserl nell’ambito dell’esistenzialismo italiano)
aveva redatto nel’61: Diario fenomenologico e Tempo e verità nella fenomenologia di
Husserl; che costituiscono importanti contributi alla temperie di rinascita del pensiero
husserliano che in quegli anni attraversava l’Europa, dopo il parziale oblio seguito al
successo dell’esistenzialismo. Ancora Cambiano ci fa sapere che lo scritto di Chiodi
si presenta anche come l’ideale continuazione di un colloquio sostenuto con Paci.
Quindi il clima in cui si inserisce il libro, “forse il più impegnativo sul piano
teoretico”
4
nell’opera chiodiana, è quello di una riproposizione dei temi e delle
esigenze emerse negli ambiti speculativi che avevano animato il panorama filosofico
tedesco negli anni di poco precedenti il secondo conflitto mondiale e che, date le
ricche influenze che aveva generato, si presentava adesso come pienamente
operativo.
Il movente principale del discorso chiodiano prende corpo da una considerazione
fondamentale, universalmente riconosciuta, costituita dal fatto che all’origine della
frattura del ’26 vi è il rifiuto di Heidegger di seguire il maestro nell’evoluzione
trascendentale della fenomenologia, che considerò incompatibile con l’esigenza di
3
Pietro Chiodi, Esistenzialismo e filosofia contemporanea, Edizioni della Normale, a cura di Giuseppe Cambiano, Pisa
2007, p.31
4
Ibidem
8
una analisi precipuamente esistenziale. Ma il lavoro di Chiodi non si sofferma solo su
questa considerazione, bensì continua: se il rifiuto di Heidegger era motivato dalla
deriva idealistica che il pensiero di Husserl stava assumendo, che senso attribuire alla
svolta successiva ad Essere e tempo in direzione del problema dell’essere in quanto
essere? Il cammino seguito dal filosofo di Messkirch non ci indica forse che i rapporti
col maestro furono tutt’altro che conclusi? Se ciò non bastasse valga qui anticipare
che uno dei passaggi significativi prenderà in considerazione l’Husserl della Krisis, il
cui compito eminente era quello di denunciare il distacco della teoresi dalla
Lebenswelt, quale orizzonte imprescindibile di ogni prassi umana (e dunque -
considerazione decisiva - anche di quella teoretica).
Dal momento che crediamo, con Chiodi, che una ricerca filosofica procedente per
dogmi snaturi parte del compito principale di ogni filosofare, consistente
nell’interrogazione che disocculta lo sfondo problematico da cui affiora ogni
questione che si creda ovvia, vogliamo aggiungere alla prima considerazione, poco
sopra presentata, il suo documento ufficiale. Sono molti i presupposti teorici che nelle
opere dei due filosofi giustificherebbero quanto si è detto, ma almeno in due casi s’è
esplicitato il motivo principale della rottura. Una lettera di Husserl a Karl Löwith
dice: “Forse Ella saprà che Scheler, Heidegger e tutti i “primi” allievi non hanno
compreso il significato autentico e profondo della fenomenologia – la trascendentale
come unica possibile”
5
. Il secondo documento è invece rappresentato dall’uscita nel
’27 di Essere e tempo. Husserl, che con la fenomenologia aveva fornito un contributo
decisivo al lavoro del proprio allievo – tanto che questi dedicherà l’opera al maestro
6
- commentando al margine di una pagina di Essere e tempo scrive: “il mio stesso
pensiero, ma senza fondazione (ohne Begründung)! ”
7
.
Da queste dichiarazioni possiamo convenientemente domandare: cosa significa
trascendentale nell’economia del pensiero husserliano? Perché il mancato
5
datata 1936 e pubblicata in Edmund Husserl, 1859-1959, La Haye, M. Nijhoff 1959, p.50
6
dedica soppressa nella quinta edizione del 1942, per la minaccia che il libro non fosse ripubblicato; in seguito alle
leggi razziali del ’33 ad Husserl sarà proibito, perché ebreo, di pubblicare alcunché, così come di parlare in pubblico. Le
ultime conferenze sulla Krisis avverranno, infatti, a Vienna e a Praga.
7
cfr. il già citato testo di Pietro Chiodi a p.181
9
riconoscimento del significato “autentico e profondo della fenomenologia” non
impedisce ad Husserl di riconoscere come proprio il percorso teoretico inaugurato da
Essere e tempo?
1.2 Il sogno di una scienza fondativa
Non sarebbe vacua una digressione che presentasse, anche soltanto in via del tutto
preliminare, il motivo propulsore dell’intero percorso fenomenologico: la ricerca
inesausta, immer wieder, di un fondamento primo ed originario; la cui articolazione
fornisca un Boden orientato in una direzione alternativa rispetto all’istanza metafisica
di un fondamento assoluto che patisce una sicura condanna al formalismo, alla
concettualizzazione alienante. Si ricordi il cenno all’ultimo Husserl della Krisis.
Tuttavia il nostro percorso non può seguire con dovuto rigore un lavoro che si nutre
di una straordinaria dedizione: - “La filosofia era la missione della mia vita. Io
dovevo filosofare, altrimenti non potevo vivere in questo mondo”
8
e di un lascito
impressionante di pagine inedite
9
. Prenderemo, pertanto, solo ciò che sarà utile
all’illustrazione del proposito chiodiano di analizzare il “ruolo giocato dalle nozioni
di irriducibilità e riduzione nella aggrovigliata storia dei rapporti intercorsi fra
fenomenologia e esistenzialismo”
10
.
Nel Nachwort contro-secessionistico, contenuto in Ideen III, Husserl espone i
passaggi fondamentali necessari alla tematizzazione di una nuova filosofia che si
presenti come “scienza assolutamente ed universalmente fondante”
11
. Non dobbiamo
farci ingannare dagli echi, pur fortemente sussistenti, di un linguaggio largamente
influenzato dalla tradizione metafisica europea – certo è che in Heidegger, la spinta a
fuoriuscire dalle reti semantiche di un linguaggio fondato sulla netta
8
il passo è ripreso dalla ricca biografia della vita di Husserl presente nella collana I grandi filosofi, edizione speciale di
Animabit s.r.l. per il Sole 24 ore, a cura di Armando Massarenti.
9
circa quarantamila cartelle che padre Hermann Van Breda salvò dallo scempio nazista portandole in Belgio, a
Lovanio, che diverrà poi la sede degli Archivi-Husserl.
10
Pietro Chiodi, Esistenzialismo e filosofia contemporanea, Edizioni della Normale, a cura di Giuseppe Cambiano, Pisa
2007, p. 266
11
E. Husserl, Ideen III, La Hayne, M. Nijhoff 1952 (= “Husserliana”, V) pp. 138-140; il Nachwort è del 1932
10
sostanzializzazione dell’essere, è maggiore che in Husserl –, ma l’istanza di una
nuova fondazione filosofica si articola nell’ambito di un radicale ripensamento
dell’atteggiamento oggettivante delle scienze naturali.
Lasciamo in sospeso, per riprenderlo con maggiore chiarezza, il Nachwort e
proviamo a seguire i primi passi dell’indagine husserliana. L’inizio dell’analisi
fenomenologica di Husserl è segnato dal tentativo di superare l’atteggiamento
naturale, in quanto rende enigmatica la conoscenza, in particolare il rapporto, che
deve pur essere posto, fra la conoscenza ed i suoi oggetti. Infatti non è possibile
sostenere - ed è questa la tesi naturale – che (dass) vi sia un rapporto reale fra
coscienza e fenomeno intramondano senza sapere come (wie) questo rapporto sia
possibile, senza dunque aver assunto come principale il compito di una “critica della
ragione”
12
in quanto ai limiti del suo utilizzo. In altri termini, non possiamo attribuire
alla conoscenza un valore veritativo non contraddittorio
13
, se questa è intesa come un
vissuto psichico a cui si opporrebbe l’oggetto conosciuto come esistente “fuori di
me”. Pertanto le presupposizioni delle scienze, dall’oggetto contingente e reale della
fisica ai processi mentali causativi della psicologia, decadono come ipotesi derivate
dalla medesima considerazione originaria, presunta ovvia, di una realtà esterna e una
interna che si assumono come comunicanti sul piano reale, senza che tuttavia il loro
rapporto risulti fondato da un indagine critica condotta ad un livello trascendentale.
L’esordio dell’analisi fenomenologica, consistente nel passaggio all’atteggiamento
peculiare della filosofia, è segnato dunque dalla necessità di una sospensione della
nostra adesione al mondo fenomenico, che parimenti concerne una disattivazione,
una messa fuorigioco, dei pregiudizi che sostengono l’atteggiamento naturale delle
scienze.
12
questa affermazione è contenuta nel Notizbuch presso gli Archivi-Husserl di Lovanio: “Ciò a cui miro è una critica
della ragione”.
13
nel senso di una verità oggettiva e universalmente valida.
11