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i necessari standard per esservi inclusi. Ma di fronte alle ormai storiche richieste
della Turchia di partecipare a questo grande progetto, la domanda su che cosa sia
l’Unione Europea rimane ancora aperta. E’ un’unione volta unicamente a
facilitare gli scambi economici? E’ un’unione tra Paesi che hanno una storia
comune e delle affinità socio-politiche? Per soddisfare queste domande è
necessario che l’Unione Europea arresti la sua corsa verso ulteriori inclusioni per
trovare prima delle risposte concrete e delle basi comuni. Per fare questo è
importante che si superino effettivamente gli individualismi degli stati-nazione.
Ciò non implica necessariamente la perdita di identità. Dovrebbe verificarsi a mio
parere una “seconda secolarizzazione”. Per secolarizzazione si intende quel
processo che ha portato al declino dell’influenza della religione sulla società civile
e ad una separazione tra la sfera del sacro e quella sociale, che come Max Weber
disse, portò ad un “disincantamento del mondo”.
Tutti gli stati democratici hanno dichiarato il principio di laicità e di tolleranza
religiosa. Questo indica che ciascun individuo ha la libertà di professare il proprio
credo, che si può essere cristiani, mussulmani, buddisti, ecc. ma nell’ambito delle
proprie scelte personali, mentre sulla scena pubblica, davanti allo Stato, si è tutti
cittadini allo stesso modo. Prendendo a prestito in modo indubbiamente scorretto
il termine “secolarizzazione”, quello che secondo la mia opinione sarebbe
necessario è appunto un cambiamento di tale portata, una “seconda
secolarizzazione”, ovvero un declino dell’influenza dell’identità nazionale su
quella che è una società più estesa, la società europea. Ognuno sarebbe poi libero
di dichiararsi italiano, tedesco, francese, olandese, polacco, bulgaro, ecc, ma in un
ambito quasi “privato”, mentre dovrebbe crescere l’idea di essere sulla scena
pubblica un cittadino europeo. Ciò che voglio mettere in luce con questa
riflessione un po’ sui generis, è la necessità per il futuro dell’Unione Europea di
rafforzare il sentimento di appartenenza dei cittadini. Nonostante gli sforzi
dell’Unione Europea di avvicinarsi ai cittadini mediante figure di mediazione,
canali televisivi europei d’informazione, la creazione di siti web aggiornati sulle
novità dell’Unione, e altre iniziative, il sentimento di appartenenza ad una
“comunità” europea è ancora qualcosa di irrealizzato a livello sociale. E’
sufficiente considerare il no alla ratifica del Trattato per la Costituzione Europea
7
da parte di Francia e Paesi Bassi nel 2005 per rendersi conto di come il senso di
appartenenza ad una comunità europea sia ancora poco sviluppato.
Proprio i fatti di cronaca relativi alle votazioni di Francia e Paesi Bassi e le
precedenti dispute politiche sono state lo spunto per la realizzazione di questo
elaborato. Durante quel periodo, è emerso il timore di un’invasione di lavoratori
provenienti dagli allora nuovi paesi entranti, identificati dalla figura emblematica
dell’idraulico polacco, sfruttata poi ironicamente dall’Ufficio del Turismo
polacco. Tale paura era senza dubbio sintomo della scarsa conoscenza della realtà
economica e sociale dei nuovi paesi, oltre che di una scarsa lungimiranza.
Tuttavia, i timori hanno preso il sopravvento e hanno immobilizzato il processo di
adozione della Costituzione comune.
Leggendo in quel periodo, soprattutto sulla stampa francese, le preoccupazioni
verso i nuovi arrivati e scoprendo che la stessa paura interessava quasi tutti i paesi
allora membri, non da meno l’Italia, ho cominciato a ricercare quale fosse
l’origine della paura per l’“idraulico polacco”, argomento che mi incuriosiva
molto visto il coinvolgimento della Polonia.
Il mio interesse per questo Paese risale ormai a 7 anni fa, quando, dopo una
serie di viaggi da turista, ho cominciato a interessarmi alla storia e alla cultura di
questo popolo, rimanendone profondamente affascinata.
Con l’obiettivo di ricercare e di approfondire le conoscenze sulla situazione
attuale della Polonia, da ottobre a dicembre 2006 ho svolto un tirocinio presso
l’Istituto Italiano di Cracovia. Il suddetto Istituto aveva partecipato dal 2004 a un
progetto portato avanti dai ricercatori della Caritas Migrantes di Roma, pubblicato
nel dossier Polonia. Nuovo Paese di frontiera. Da migranti a Comunitari (IDOS
2006) presentato a Roma il 4 luglio e a Cracovia l’8 novembre dello stesso anno.
Questo dossier è stato un punto di riferimento molto importante nel mio lavoro di
ricerca e grazie a suggerimenti e consigli di alcuni dei ricercatori autori del libro,
quali Antonio Ricci, Karolina Golemo e Szymon Wojtasik, che ho avuto il piacere
di conoscere personalmente a Cracovia, ho deciso quale sarebbe stata la struttura
del mio lavoro. I timori per un’eventuale migrazione di massa dalla Polonia verso
i Paesi più occidentali dell’Unione Europea sulla scia delle migrazioni che
8
avevano caratterizzato la storia di questo Paese, hanno distolto l’attenzione da
questioni altrettanto importanti.
La Polonia, da sempre percepita come Paese di migranti, era diventato il 1°
maggio del 2004 non solo membro, ma anche frontiera dell’Unione Europea. I
Paesi già membri, preoccupati di poter essere meta d’arrivo dei lavoratori
provenienti dalla nuova zona orientale dell’Unione, non si occupavano invece dei
migranti non membri che avrebbero raggiunto l’Unione Europea attraverso la
Polonia.
Mi sono già interessata a temi relativi alle migrazioni, sia durante il corso di
studi che in un altro mio elaborato dal titolo Condizione femminile e immigrazione
islamica: la tematica dei matrimoni forzati nel contesto socio giuridico francese.
L’aspetto più affascinante delle migrazioni, a mio parere, consiste
nell’incontro-scontro tra culture diverse e in quella tensione tra assimilazione alla
nuova cultura d’arrivo e tentativo di preservare e tramandare la propria cultura
d’origine che viene vissuta dai migranti.
Questi fenomeni contribuiscono ad un aumento della complessità sociale e
partecipano in modo rilevante alla creazione di una società globale.
Rispetto ad altri Paesi europei, come Francia, Germania, Regno Unito, Italia,
ecc. la Polonia non può certo definirsi un Paese d’immigrazione, poiché i flussi
migratori verso il territorio polacco sono molto recenti e la società polacca può
ancora dirsi monoculturale. Tuttavia, questa situazione è destinata a cambiare,
poiché dall’entrata nell’Unione Europea è stato registrato un aumento delle
richieste di permesso di soggiorno.
Essendo un fenomeno recente per questo Paese ho voluto analizzare la
normativa polacca attualmente in vigore sull’immigrazione, considerando
dapprima la normativa europea sullo stesso tema, alla quale la Polonia si è dovuta
adattare.
Ma chi sono gli immigrati che arrivano in Polonia?
L’immigrazione che noi conosciamo nei Paesi più occidentali dell’Europa è
profondamente diversa da quella polacca. In questi stati, infatti, il maggior
numero di migranti proviene da Paesi arabi o latini, mentre in Polonia dalla
Federazione Russa (Cecenia, Kaliningrad) o dall’Ucraina e dai più lontani Paesi
9
orientali, quali Cina e India. La Polonia è anche una via di accesso all’Unione per
persone provenienti dall’Iran, Iraq, Afghanistan, Kazakhstan. La stragrande
maggioranza dei migranti richiede il riconoscimento dello status di rifugiato o
l’asilo.
Questo Paese si trova quindi a dover affrontare una realtà diversa rispetto agli
altri Paesi dell’Unione e ha il compito di vigilare sul confine est.
Obiettivo di questo lavoro è di mettere in luce la necessità di allargare lo
sguardo alla situazione migratoria e delle frontiere orientali polacche, in quanto
oggetto di interesse comune all’intera Unione Europea.
Solo conoscendo chi sono i migranti che entrano dal confine polacco e il lavoro
svolto dalla Guardia di Frontiera polacca sul fronte orientale, è possibile
concertare le azioni per una sicurezza comune ed accrescere la fiducia reciproca
tra i Paesi. Quello che accade in Polonia dal 1° maggio 2004 (così come in tutti gli
altri Paesi comunitari) deve essere percepito di interesse comune.
Quanto fin qui detto è stato presentato in questo elaborato.
Il primo capitolo si propone di dare una spiegazione ai timori circa l’“idraulico
polacco”, cui si accennava in precedenza, ripercorrendo la storia politica e
migratoria di questo Paese e la sua attuale posizione nell’Unione Europea.
Nel secondo capitolo, dopo una spiegazione sugli accordi di Schengen, è stata
analizzata, da un punto di vista giuridico, la normativa comunitaria
sull’immigrazione, parte del cosiddetto “acquis communautaire”, piattaforma
comune a tutti i Paesi membri, ponendo particolare attenzione alle frontiere
esterne.
Nel terzo e ultimo capitolo segue un’analisi giuridica e sociologica della
politica d’immigrazione in Polonia, della situazione di vigilanza alle frontiere
orientali, degli accordi bilaterali che legano la Polonia ai vicini Stati confinanti
non membri dell’Unione, delle iniziative proposte dall’Unione Europea per
realizzare dei progetti in comune sulle frontiere, proponendo l’integrazione e il
dialogo con i Paesi confinanti. I documenti a disposizione circa la situazione
attuale alle frontiere orientali della Polonia sono stati difficili da reperire. La
maggior parte delle notizie a proposito sono state rinvenute in articoli della
stampa polacca o su qualche sito polacco specializzato, ma quasi nulla a livello
10
internazionale ed europeo. Ciò evidenzia quanta poca attenzione sia stata destinata
a questo specifico argomento sul fronte orientale.
Prima di concludere, ritengo necessari dei ringraziamenti.
Innanzitutto vorrei ringraziare il docente relatore, prof. Fabio Marazzi, e il
docente correlatore, prof. Remo Morzenti-Pellegrini per la fiducia e il sostegno
accordati sin dall’inizio al mio progetto.
Un ringraziamento particolare va all’addetto reggente dell’Istituto Italiano di
Cultura di Cracovia, dott. Giovanni Sciola, che mi ha permesso di svolgere un
tirocinio presso l’ente e che mi ha aiutata, creando preziose occasioni, a reperire le
informazioni necessarie alla realizzazione di questo mio lavoro. Un grazie
affettuoso anche alla dott.ssa Barbara Nowak, per i preziosi suggerimenti e
informazioni circa la storia della Polonia.
Ringrazio i ricercatori della Caritas Migrantes per la realizzazione dello
straordinario dossier “Polonia. Nuovo Paese di frontiera. Da migranti a
Comunitari”, che si è rivelato essere molto utile ai fini della mia ricerca.
Ringrazio inoltre Karolina Golemo, Szymon Wojtasik, Tomasz Wójcikiewicz,
Agnieszka Weinar per i consigli e per l’aiuto nell’attività di ricerca, soprattutto
con i materiali in lingua polacca.
Un grazie di cuore, infine, alla mia famiglia per avermi permesso di compiere
questo percorso di studi e per il costante sostegno.
Dedico questo lavoro a mio nonno, Luigi Caliendo, come simbolo della
realizzazione di un sogno comune.
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CAPITOLO I
1. L’idraulico polacco
Nel luglio 2005 l’Ufficio
del Turismo polacco ha
presentato una campagna
pubblicitaria destinata ad
attirare gli stranieri in
Polonia. Tale campagna
pubblicitaria, ideata da
Andzrej Kozlowski e
Krzysztof Turowski, ritrae
un bel giovane polacco,
vestito da idraulico che
dichiara sorridente: “Io
resto in Polonia, venite
numerosi”, mentre sullo sfondo si intravedono alcuni monumenti e paesaggi della
Polonia. Con questa trovata pubblicitaria l’Ufficio del Turismo polacco ha deciso
di sfruttare ironicamente la polemica sui lavoratori provenienti dai Paesi
dell’Europa Centro Orientale, rappresentati dall’ormai famoso “idraulico
polacco”, divenuto emblema della campagna referendaria per il “no” a ratificare il
Trattato Costituzionale Europeo.
In Francia, l’idraulico polacco (che i francesi chiamano “le plombier
polonnais”) ha fatto irruzione nel dibattito sul Trattato Costituzionale Europeo in
un dossier dell’ultimo numero di dicembre 2004 del settimanale diretto da
Philippe Val, “ Charlie Hebdo”, dedicato alla direttiva Bolkestein
1
. In particolare,
1
N. d. r.: È conosciuta come direttiva Bolkestein la proposta di direttiva del Parlamento europeo
e del Consiglio dell'Unione Europea relativa ai servizi nel mercato interno, presentata dalla
Commissione Europea nel febbraio 2004. La proposta di direttiva è basata sugli articoli 47.2 e 55
del Trattato della Comunità Europea. La procedura legislativa di riferimento è la codecisione. Frits
Bolkestein, Commissario europeo per il mercato interno della Commissione Prodi, ha curato e
12
l’espressione “idraulico polacco” ha suscitato varie polemiche durante la
primavera 2005, quando Philippe de Villier
2
l’ha utilizzata nella dichiarazione che
segue: “Questo argomento è molto importante, poiché la direttiva Bolkestein
permette a un idraulico polacco o a un architetto estone di offrire il suo operato
in Francia mantenendo il salario e le regole di previdenza sociale del suo paese
d’origine. Su 11 milioni di persone impiegate in questo settore, un milione è
minacciato da questa direttiva. Si tratta di uno smantellamento economico e
sociale.” La stessa espressione è stata poi ripresa da Frits Bolkestein
3
sul giornale
“Libération” ed è diventata rapidamente il simbolo delle polemiche sul
referendum per il Trattato di una Costituzione Europea. In Francia la
responsabilità di un uso distorto di questa espressione è rimbalzata tra i partigiani
del “no” e quelli del”si”, i quali si sono accusati reciprocamente da una parte di
aver sfruttato la metafora dell’idraulico polacco per imputare ai sostenitori del
“no” sentimenti xenofobi e dall’altra di avere inventato una caricatura destinata a
screditare coloro stessi che l’avevano ideata. Il 29 maggio 2005, il 54,87% dei
francesi ha votato “no” al referendum per la ratifica del Trattato costituzionale
europeo, e dopo 3 giorni, il 61,6% dei voti della popolazione olandese ha
confermato la scelta della Francia.
2. La moratoria sui lavori dei PECO
Le paure relative alla concorrenza in ambito lavorativo dei nuovi membri
dell’Unione Europea non riguarda solo Francia e Olanda.
sostenuto questa direttiva, che per semplicità viene indicata con il suo nome. Il processo di
approvazione della direttiva è stato interrotto in seguito alle forti polemiche che sono nate intorno
ad essa; in particolare, la direttiva è stata indicata con la prova di una deriva liberista che, secondo
la sinistra radicale, i verdi ed alcune formazioni sociali, starebbe investendo l’Unione Europea.
L’accesa discussione sulla direttiva ha avuto anche riflessi in altri campi: è stata individuata come
una delle cause della disaffezione dei cittadini europei verso le istituzioni, ed è stata considerata
una delle ragioni del fallimento del referendum francese sulla Costituzione europea.
2
N. d. r.: Philippe de Villiers è un uomo politico francese. Nasce nel 1949 a Boulogne, Francia.
Nel 1985 aderisce al partito repubblicano e nel 1994 fonda il Mouvement pour la France, un
partito politico di destra. Candidato più volte alle elezioni presidenziali senza mai ottenere
successo. Nel 2005 è stato uno dei più convinti sostenitori del “no” al referendum per la ratifica
del Trattato per una Costituzione Europea.
3
N. d. r.: Frits Bolkestein, membro della Commissione Europea, con portafoglio relativo al
Mercato Interno, Fiscalità e Unione Doganale.
13
Il 18 gennaio del 2000, in occasione di un discorso tenuto a Wieden, una città
di frontiera a circa 30 km dalla Repubblica Ceca, l’allora Cancelliere tedesco
Gerhard Schröder, per tranquillizzare la popolazione tedesca preoccupata dal fatto
che l’inclusione nell’U.E. dei Paesi dell’Europa Centro Orientale avrebbe causato
un’invasione di lavoratori di quelle zone, annunciò che la Germania avrebbe
chiesto alla Commissione Europea periodi transitori in materia di libertà di
circolazione dei lavoratori. L’Austria si manifestò subito alleata della Germania in
questa richiesta. Ben presto la quasi totalità dei paesi membri manifestò varie
preoccupazioni circa l’allargamento ai Paesi dell’Europa Centro Orientale. In una
relazione presentata nel 2002 alla Commissione Europea, allora presieduta da
Romano Prodi, Wim Kok
4
aveva condotto un’indagine su quali fossero le
preoccupazioni e le aspettative dei cittadini dei 15 Stati membri. A tale proposito
Wim Kok ha scritto
5
: « Fra le apprensioni che l’ampliamento desta fra i cittadini
dell’U.E. figura al primo posto la sicurezza personale, cioè il rischio che
aumentino la criminalità e l’immigrazione. Si temono altresì una riduzione del
livello di protezione dei consumatori, specie per quanto riguarda le norme
alimentari, e un aggravarsi dei problemi ambientali, tra cui i rischi potenziali
connessi alle centrali dei futuri membri. Questa diffidenza è dovuta in parte alla
scarsa conoscenza della situazione effettiva dei paesi interessati e in parte alla
consapevolezza del notevole divario socioeconomico creatosi con i paesi
dell’Europa centrale e orientale a mano a mano che venivano introdotte ad
occidente norme sempre più rigorose.
A causa del divario economico e sociale, inoltre, gli Stati membri attuali
temono che il livello salariale e previdenziale più basso dei nuovo Stati membri
provochi un trasferimento degli investimenti e dell’occupazione, come è già
successo in alcuni casi, e che la libera circolazione dei lavoratori nel mercato
ampliato comporti un afflusso di lavoratori migranti. Naturalmente, queste
4
N. d. r.: Wim Kok è nato a Bergambacht nel 1938. Prima di entrare in politica, è stato un
esponente attivo del movimento sindacale come presidente della Federazione dei sindacati dei
Paesi Bassi e della Federazione dei sindacati europei. Ha ricoperto la carica di parlamentare e di
leader del partito laburista (PvdA) nei Paesi Bassi ed è stato vicepresidente dell’Internazionale
socialista. Dal 1989 al 1994 è stato ministro delle finanze e vice primo ministro, mentre dal 1994
al 2002 ha guidato il governo dei Paesi Bassi.
5
W. Kok, L’ampliamento dell’Unione Europea. Risultati e sfide, relazione alla Commissione
Europea, 2002, cap. 2.
14
preoccupazioni specifiche relative all’ampliamento rientrano nell’apprensione
generalizzata che desta nelle fasce più vulnerabili della società il processo di
adeguamento mondiale connesso alla globalizzazione.
Gli interrogativi cambiano a seconda dei Paesi. Gli abitanti della Germania e
dell’Austria, che confinano con i futuri membri, paventano l’impatto economico e
sociale diretto dell’abolizione delle frontiere, mentre nei membri più lontani dal
punto di vista geografico, i timori sono di natura più generica.
Dai sondaggi effettuati si evince che nel complesso la pubblica opinione dei 15
Stati membri è favorevole all’ampliamento. Nell’ultima inchiesta
dell’Eurobarometro (pubblicata nel novembre 2002), il 66% degli interrogati
dell’UE-15 si è detto favorevole all’ampliamento dell’UE, contro il 22% di
contrari; gli altri non hanno risposto (9%) o hanno dichiarato che dipendeva dai
Paesi (3%)».
15
Questa serie di preoccupazioni hanno fatto sì che la libertà di movimento delle
persone, specialmente dei lavoratori fosse una delle aree ove l’UE negoziasse
misure provvisorie che facessero eccezione al principio dello acquis comunitario.
Tale eccezionalità è stata giustificata dal timore per due potenziali conseguenze
negative che l’allargamento avrebbe potuto determinare, ovvero una migrazione
in larga scala verso i Paesi occidentali già membri e un flusso importante di
lavoratori dai Paesi dell’Europa Centro Orientale, tale da causare serie difficoltà al
mondo del lavoro nei Paesi già membri.
Tuttavia, si è ritenuto opportuno chiarire che i cittadini dei Paesi dell’Europa
Centro Orientale che possono fare affidamento sull’art. 43 del Trattato grazie alla
loro partecipazione attiva alla vita economica del paese ospite hanno diritto ad un
trattamento d’uguaglianza per quanto concerne i vantaggi sociali ed il loro diritto
di residenza non va messo in discussione dalla circostanza che siano o possano in
qualche modo dipendere finanziariamente dall’assistenza offerta dal Paese ospite.
Gli accordi provvisori (ai fini di allargamento) prevedevano che la libertà di
stabilimento e la libertà di movimento dei servizi fossero complete al tempo
dell’adesione; inoltre, prevedevano che le direttive in materia di libertà di
movimento dei lavoratori avessero piena efficacia con l’ingresso.
Gli accordi provvisori quindi creavano diritti di libertà di movimento e di
residenze a beneficio degli individui che fossero stati in grado di poter soddisfare
il doppio requisito di possedere risorse economiche sufficienti ed avere
un’assicurazione medica globale.
In tutti i casi avrebbe trovato piena applicazione il regime trans-frontiera per il
coordinamento della sicurezza sociale.
In questo contesto l’accordo raggiunto tra l’UE ed i Paesi candidati sembra
aver ristretto le opportunità di migrazione solo a coloro che non fossero
qualificabili o come economicamente attivi o finanziariamente indipendenti.
La Corte di Giustizia ha sempre più enfatizzato la libertà di movimento quale
diritto individuale non limitandola solo al mero beneficio economico del Mercato
Unico, ma quale libertà inerente nel più ampio processo di integrazione europea.
In particolare è stata evidenziata la localizzazione di questi diritti legati alla libera
circolazione entro un quadro più ampio di solidarietà sociale che definisce anche
16
la responsabilità del cittadino dell’Unione nei confronti dello Stato Membro nel
quale ritenga di voler prendere residenza.
L’UE non può garantire pieni diritti di residenza a tutti i propri cittadini
semplicemente perché non può far fronte al conseguente costo sociale per quei
cittadini, il cui collegamento con il Paese ospitante non sia in grado di giustificare
i relativi costi sociali.
“I cittadini dei Paesi dell’Europa Centro Orientale non devono costituire un
onere irragionevole per le finanze del Paese ospitante”; il requisito
dell’assicurazione medica e di risorse economiche sufficienti è il punto di partenza
per declinare concretamente tale concetto, anche se esso è comunque soggetto al
principio di proporzionalità al fine di assicurare che gli Stati membri non
eccedano oltre quanto sia necessario per proteggere i propri legittimi interessi.
I cittadini dei Paesi dell’Europa Centro Orientale con mezzi (quasi)
indipendenti avranno così diritto ad un trattamento di eguaglianza nel Paese
ospitante, in base all’art. 12 CE, compreso il diritto a non essere discriminati
nell’accesso, in generale, a vantaggi sociali.
La Corte di Giustizia sembra aver adottato la posizione per cui l’art. 18 CE
conferisce diritti alla residenza solo a persone che siano, in senso lato, o
economicamente attive o finanziariamente indipendenti e perciò esclude quelle
categorie residue di cittadini dell’Unione che in qualche misura dipendono dalle
risorse pubbliche del Paese Membro (esempio disabili, poveri, o anziani).
Il secondo timore era che la libertà di movimento dei lavoratori potesse portare
i cittadini dei Paesi dell’Europa Centro Orientale a creare difficoltà al mercato del
lavoro degli Stati membri. Con riguardo a tale timore, gli economisti neoliberali
sottolineavano i benefici dell’avere differenze di reddito tra differenti componenti
del Mercato Unico e del permettere che le forze di mercato interagissero, al fine di
ottenere il migliore equilibrio tra domanda ed offerta nel mercato del lavoro.
Dall’altra parte, sembrava che i politici ne temessero gli effetti socio-politici; ad
esempio era diffuso il timore popolare che un flusso massiccio di lavoratori dai
Paesi dell’Europa Centro Orientale potesse abbassare il livello medio delle
retribuzioni, ovvero che potesse mettere a rischio la solidarietà sociale.