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INTRODUZIONE
La fiorente stagione del romanzo gotico inglese, inaugurata nel 1764 da Horace
Walpole con The Castle of Otranto, a Gothic Romance, ha coperto a più riprese all’incirca un
lustro, dominando tutto il trentennio di fine Settecento e anche il primo ventennio
dell’Ottocento.
La scrittrice Ann Ward, maggiormante nota come Ann Radcliffe, dovette il proprio
clamoroso successo, che le valse la reputazione di “ Queen of Terror”
1
, proprio alla sua
maestria in questo genere. Il vasto successo di pubblico ottenuto dalle sue opere e da quelle di
altri maestri come Matthew Gregory Lewis, non solo generò in quegli anni una
sovrapproduzione di romanzi gotici minori, più commerciali e di maniera, ma consacrò
tematiche e ambientazioni letterarie alle quali gli scrittori dell’E tà Vittoriana, tra cui Charles
Dickens, attinsero copiosamente e diedero nuovo respiro.
Charles Dickens fu sempre soggetto al fascino della narrativa gotica Tardo–
Settecentesca e Primo–Ottocentesca
2
, ma mai come nella fase conclusiva della sua vita di
scrittore, attinse così a piene mani da quell’inesauribile repertorio tematico e scenografico di
cui il suo ultimo romanzo, The Mystery of Edwin Drood (1870), reca tracce particolarmente
evidenti e abbondanti.
Questa tesi nasce proprio con lo scopo di individuare, all’interno del romanzo sopra
citato, almeno tre dei principali gothic patterns (quelli esplicitati nel titolo del presente
lavoro) e di porre in relazione l’uso che ne fece Dickens con l’uso che ne fece Ann Radcliffe
in The Romance of the Forest (1791), The Mysteries of Udolpho, a Romance (1794) e The
Italian, or the Confessional of the Black Penitents (1797).
Esaminando e confrontando le opere appena menzionate sono emersi sorprendenti
punti di contatto tra i due autori, ma soprattutto si può notare come Dickens abbia saputo
1
PAUL VARNER, Historical Dictionary of Romanticism in Literature, Rowman & Littlefield Publishers, Lanham,
2014, p.332.
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Non esiste, infatti, un’opera di Dickens del tutto esente dall’influsso di tale narrativa. Da sempre egli utilizza la
tipica polarizzazione “gotica” villains/heroes and heroines: cinici seduttori, calcolatori spietati, parassiti
sociali, personaggi abietti e invidiosi votati alla frode e alla menzogna gravitano continuamente intorno a
coloro che, forti della propria integrità morale, perseguono onestamente e con vera umiltà cristiana un ideale
di vita cristallino, che antepone l’amore verso il prossimo all’amor proprio e il bene altrui al bieco tornaconto
personale.
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attualizzare l’old gothic material prodotto un secolo prima, caricandolo di riflessioni sino ad
allora inedite e proiettandolo sulla scena letteraria del futuro.
Per quanto riguarda il procedimento adottato nell’elaborazione di questo s tudio, ho
ritenuto essenziale partire innanzitutto dalla contestualizzazione storico–politica e socio–
culturale dell’attività letteraria di Charles Dickens, di cui ho voluto fornire anche alcune
notizie biografiche riguardanti soprattutto l’ultimo decennio piuttosto “frenetico” della sua
vita. Entrare in contatto con l’autore e conoscere più intimamente il mondo in cui ha vissuto,
sia attraverso chi lo ha conosciuto personalmente, sia tramite chi lo ha studiato in questi
duecento anni, è stato imprescindibile per affrontare l’analisi testuale, essendo appurato che
molteplici e concatenati sono i fattori che entrano in gioco durante la concezione e la stesura
di un romanzo: la Storia entra in ogni vita, la vita si trasforma in pensiero e il pensiero in
parola viva.
Nel II capitolo ho ricostruito la storia del romanzo gotico inglese, seguendone il
percorso evolutivo dalle origini fino al decennio 1860 – 1870, periodo in cui vi si innesta con
prepotenza il filone poliziesco, il cui debutto era peraltro già stato anticipato dallo stesso
Dickens nei primi anni cinquanta.
Le opere e i relativi autori trattati in questo capitolo, in particolare Ann Radcliffe e i suoi
romanzi gotici, costituirono importanti fonti d’ispirazione così per Dickens come per molti
altri scrittori vittoriani: essi acquisirono un’intrinseca padronanza di quel genere letterario e
sfruttarono spesso i suoi motivi archetipici per porre un’enfasi p articolare sulle tematiche a
loro più care.
Il III capitolo si addentra nel cuore dell’opera Dic kensiana oggetto di questa tesi – The
Mystery of Edwin Drood – esaminandone la duplice ambientazione provinciale e
metropolitana: le vicende narrate si svolgono infatti a Cloisterham, che si evince ben presto
essere l’ alias di Rochester, nella contea del Kent, a un miglio di distanza da Chatam, cittadina
in cui l’autore trascorse all’incirca sei anni della sua infanzia, e a Londra. In entrambe le città ,
i luoghi specifici in cui i personaggi vivono e da cui o verso cui si spostano, offrono
interessanti spunti di riflessione riguardanti il canone estetico del pittoresco, messo a punto a
metà Settecento e ampiamente radicato anche nell’opera di Ann Radclif fe.
Il IV e ultimo capitolo affronta, sempre all’interno di The Mystery of Edwin Drood,
l’analisi del tema gotico della villainy in relazione al personaggio maschile di John Jasper e
quello della sensibilityin relazione al personaggio femminile di Rosa Bud. L’intento è quello
di cogliere le loro affinità rispettivamente almonaco Ambrosio, al conte Montoni, al monaco
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Schedoni
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e a Adeline, Emily St. Aubert e Ellena di Rosalba
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, per poi poter capire in che
misura Dickens, nell’opera conclusiva della sua carri era, si sia attenuto ai suoi modelli
letterari di riferimento e in che misura invece ne abbia effettuato il “superamento”.
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In ordine, i villains protagonisti di The Monk, a Romance(pubblicato da Mattew Gregory Lewis nel 1796) e di
The Romance of the Forest, The Mysteries of Udolpho, a Romance e The Italian, or the Confessional of the
Black Penitents, pubblicati da Ann Radcliffe tra il 1791 e il 1797.
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In ordine, le eroine protagoniste di The Romance of the Forest, The Mysteries of Udolpho, a Romance e The
Italian, or the Confessional of the Black Penitents.
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CAPITOLO I
L’EPOCA, IL CONTESTO, L’AUTORE
I.1 L’intellettuale nell’Età Medio–Vittoriana (1851 – 1870)
In questo capitolo mi occuperò non tanto di districare la fitta matassa degli
avvenimenti storico–politici e dei fondamenti filosofici e scientifici che costituiscono il
background in cui Dickens visse, lavorò e scrisse, quanto di evidenziare come determinati
elementi di quel particolare contesto abbiano inciso sulla prosa letteraria del tempo, quindi
anche su quella di Dickens.
Per quanto riguarda la periodizzazione, seguo qui la linea dello studioso Alfred J.
Drake, il quale scandisce l’epoca Vittoriana in tre parti: The Early Victorian Period (1830 –
1850), The Mid Victorian Period (1851 – 1870), The Late Victorian Period (1871 – 1901)
5
,
laddove The Mid Victorian Period è quello più pertinente al mio lavoro, in quanto Dickens
scrisse il suo ultimo romanzo tra il 1869 e il 1870. Questo ventennio di mezzo succedette ad
un periodo particolarmente denso di riforme che determinarono il passaggio da un’ editoria e
da una letteratura elitarie ad un’editoria e a una letteratura di massa: mi riferisco innanzitutto
al Great Reform Bill (1832), che conferì il diritto di voto “to any man owning a household
worth £10, adding 217,000 voters to an electorate of 435,000”
6
. Grazie al Bill del 1832 e al
Bill successivo del 1867, la progressiva estensione dell’elettorato fece sì che in Parlamento
entrassero anche rappresentanti delle working e middle–classes, togliendo ai nobili
latifondisti, alla piccola nobiltà di provincia e ai mercanti più facoltosi, il privilegio del
dominio assoluto della scena politica. Da ciò l’urgenza di un’alfabetiz zazione più capillare e
di un’acculturazione “controllata” di que gli individui di sesso maschile che ben presto
sarebbero diventati elettori, ma che fino ad allora non avevano avuto voce alcuna nel campo
della politica.
Un altro fattore collaterale che fece aumentare la sete di cultura fu il soddisfacimento
dei bisogni primari di un numero sempre maggiore di sudditi di Sua Maestà Britannica; nel
1846 vennero infatti abrogate le Corn Laws, strumento di oppressione dell'aristocrazia terriera
5
ALFRED J. DRAKE, Introduction to the Victorian Period, disponibile in http://www.ajdrake.com/e491_fall_04/
materials/guides/gd_vic_intro.html, consultato il 15/07/2011.
6
GLENN EVERETT, The Reform Acts, disponibile in www.victorianweb.org/history/hist2.html, consultato il
15/07/2011.
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britannica, libera fino a quel momento di imporre a proprio piacimento i prezzi ai prodotti
cerealicoli a tutto svantaggio della popolazione non possidente, costretta ad acquistare grano,
farine e pane a costi insostenibili. L’abolizione di tali leggi contribuì a segnare il passaggio da
un regime economico di tipo feudale ad uno industriale più competitivo sul mercato, ove la
libera concorrenza genera il ribasso dei prezzi e apre la via ad un più diffuso benessere
alimentare, raggiunto il quale si percepisce l’ esigenza di nutrire, oltre il corpo, anche
l’intelletto. Ad aumentare ulteriormente il fabbisogno culturale e a stimolare, di conseguenza,
il parallelo adeguamento del settore editoriale, si aggiunse la presa di coscienza sociale delle
lower classes, soprattutto della classe operaia, risvegliata dalla divulgazione dei testi di Marx
ed Engels. Proprio durante il Mid Victorian Period, infatti, furono pubblicati: Manifesto del
partito comunista (1848), Lavoro salariato e capitale (1849), Salario prezzi e profitto (1865)
e Il capitale, libro I (1867).
Nel secondo Ottocento presero a circolare svariate traduzioni delle opere dei due
grandi pensatori tedeschi che innescarono ovunque accesi dibattiti intorno alle loro idee
rivoluzionarie di emancipazione del proletariato: queste penetrarono in breve tempo
all’interno delle case dei lavoratori salariati e accesero in loro la consapevolezza di costituire,
per il sistema economico mondiale, un’eccezionale risorsa che, fino ad allora totalmente
assoggettata agli interessi del capitalismo “fagocitatore”, era stata solo sfruttata e sa lariata
come pura forza lavoro; per spezzare le catene di questa nuova forma di schiavitù occorreva
non soltanto imbracciare le armi, ma anche formare le menti di coloro che avrebbero dovuto
essere gli artefici della cosiddetta lotta di classe: bisognava dar loro un’istruzione e , al
contempo, fargliene capire l’importanza. Penso ad uno degli eroi Dickensiani, al Pip di Great
Expectations, che comprende (sebbene non spinto da motivazioni rivoluzionarie) quanto sia
basilare una buona istruzione per poter intraprendere la scalata sociale. Potremmo
concludere che, se fino alla seconda metà del secolo XIX, a saper leggere erano in pochissimi
(e quindi venivano dati alle stampe rari esemplari di un testo, costosi e spesso in edizioni di
lusso), ora si allarga eccezionalmente la classe dei lettori vittoriani di recente
alfabetizzazione
7
. Da ciò deriva un radicale mutamento anche per quanto riguarda il ruolo
dello scrittore che si trova ad essere progressivamente investito di una grossa responsabilità
sociale in quanto l’ Establishment gli chiede ora di collaborare all’educazione e alla
7
Cfr. JOANNE SHATTOCK, “Gusto lett erario e stampa periodica nell’Ottocento”, trad. di Chiara Vatteroni, in
FRANCO MARENCO (a cura di), Storia della civiltà letteraria inglese, vol. II, UTET, Torino, 1996; p.687.
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formazione culturale delle fasce di popolazione un tempo semi–analfabete e,
conseguentemente, di esercitare un controllo su di esse e sull’opinione pubblica in generale.
Lo scrittore vittoriano tipico aderisce sostanzialmente al modello politico dominante, il
cui scopo in questa fase è plasmare l’ intelligent artisan, ossia l’operaio medio, virtuoso e
integrato nel sistema
8
. Molti autori di spicco, di fronte a queste richieste, tendenzialmente
sceglievano di farsi portavoce di quei codici etici e culturali dominanti che combaciavano con
la loro visio mundi, criticando a un tempo quelli da essi non condivisi e mirando alla loro
riforma: si profilavano insomma come critici e correttori delle malformazioni dell’ ordine
costituito, a cui in ogni caso si sentivano funzionali; a dar voce al pensiero di costoro
contribuì notevolmente l’immensa e costante proliferazione di quei periodici (trimestrali,
mensili, settimanali e quotidiani) che davano ampio spazio alla narrativa pubblicata a puntate
e alle recensioni della stessa.
Col passare degli anni si andò formando un nuovo tipo di figura letteraria: l’ autore–
direttore e proprietario di una o più riviste. A questo genere appartenne Dickens medesimo
che fu il fondatore, tra gli altri, di due tra i più rinomati settimanali dell’ Età Medio–Vittoriana:
Household Words (1850) e All the Year Round (1859). La cosiddetta stampa popolare, quella
cioè d’intr attenimento che non trascurava l’aspetto istruttivo, conobbe la sua età dell’oro :
ampiamente divulgata e gradita tra i ceti sociali medio bassi, fornì occasione di pubblicazione
anche ad autori emergenti, facendo dei giornali la grande fucina della letteratura vittoriana.
Un cospicuo numero di opere di narrativa, venute alla luce sui periodici, trovò in seguito una
più nobile collocazione nella pubblicazione in volume, specialmente dopo l’acceso dibattito
tra fautori e detrattori della pari dignità artistica del genere romanzesco rispetto a quello
poetico.
I detrattori del romanzo sostenevano che esso era mera letteratura di consumo: troppo
commerciale e troppo apprezzato a livello popolare per poter ambire a una posizione di
rispettabilità presso il pubblico colto ed essere preso in considerazione dai critici più quotati.
Anthony Trollope, gran fautore del romanzo vittoriano, in On English Prose Fiction as a
Rational Amusement
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, lascia invece intendere come, sulla scia di stimati predecessori quali
Scott, Austen ed Edgeworth, anch’egli e gli autori della sua generazione desiderassero
conferire al genere romanzesco una reputazione di serietà, sottraendolo allo stigma di
letteratura di evasione.
8
Cfr. FRANCO MARUCCI, “I testi nel tempo: il vittorianesimo ”, in FRANCO MARENCO (a cura di), op.cit.; p.546.
9
Titolo di un saggio che A. Trollope lesse durante una conferenza pubblica tenutasi a Edimburgo nel 1870.