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rinunciando molte volte ad alcuni suoi atteggiamenti intrinseci; se non riesce ad
ottenere la risposta voluta, inoltre, egli può reagire in diversi modi, per esempio
difendendosi, chiudendosi, allontanandosi oppure adattandosi etc… Se, al contrario,
riuscirà ad ottenere ciò che si proponeva, allora egli ripeterà sempre lo stesso
comportamento in situazioni o con persone analoghe. Questo processo ha origine
nell’età infantile durante il rapporto con i genitori, e si protrae nel corso della vita in
diverse occasioni, attraverso alcuni meccanismi di proiezione, i quali verranno discussi
particolarmente nel secondo e nel terzo capitolo.
Per spiegare come l’uomo interagisce con gli altri prenderò come riferimento il
pensiero di Goffman secondo il quale l’individuo “recita” un ruolo diverso a seconda
della situazione in cui si trova e delle persone che lo circondano, ma anche a seconda di
ciò che vuole ottenere. La recita è, quindi, un atto semi-volontario, che si costruisce in
un retroscena, da soli o con un’equipe, nella quale ognuno dei membri indossa la sua
maschera e reciterà poi la sua parte nella ribalta. Si chiarirà il significato di tali termini
più specificatamente nel primo capitolo. In esso verrà inoltre preso in considerazione il
concetto di ruolo sociale e che cosa determina l’attaccamento a o la distanza da tale
ruolo.
Nel secondo capitolo verrà analizzato il pensiero di Pirandello, il quale nelle sue
opere, e soprattutto attraverso i personaggi, rappresenta la frammentazione dell’identità
in tanti io, diversi fra loro e molte volte contraddittori, che l’uomo molto spesso
proietta a seconda della situazione e delle persone con cui si trova, presentando un
immagine di sé diversa in ogni occasione. La frammentazione dell’identità è dovuta ad
una condizione di confusione interiore, ma anche al fatto che ogni persona vede gli altri
in maniera diversa da come essi si vedono: ognuno ha un’idea diversa di come è l’altro.
L’uomo, inoltre, tende ad identificarsi in questi io, in queste immagini di sé, e ne
diventa loro preda: le sue azioni non sono più volontarie ma sono i vari io, quelli voluti
dalla società e dagli altri, che decidono per lui cosa fare e cosa dire. L’uomo, però, è
convinto di avere un solo io, stabile, unitario e coerente, che agisce intenzionalmente, e
questo determina in parte la sua condizione illusoria. Verrà inoltre presa in
considerazione, seppur brevemente, l’illusione di possedere la chiave d’accesso alla
verità e al futuro, quando invece la nostra conoscenza è limitata e non si sa cosa potrà
accadere nel domani e quali saranno le conseguenze delle nostre azioni.
Nel terzo capitolo verrà spiegato perché l’uomo sente il bisogno di essere amato e
accettato dagli altri e dalla società in generale, perché sente il desiderio di possedere le
3
cose, non solo fisicamente ma anche intellettualmente, e di avere un dominio e un
controllo sulle cose e sugli altri. Si parlerà, inoltre, della separazione subita al momento
della nascita da un corpo che ci proteggeva e nutriva, la quale ha causato, appunto, in
noi il bisogno di ricongiunzione e amore. Tratteremo anche le conseguenze della
negazione di questo bisogno, del dolore che si prova al riavvicinarsi a questa ferita (la
separazione), della vergogna di sé e dell’orgoglio. Tutto ciò concorre a dare origine ad
una serie di difese, maschere, ideali e principi sui quali fondiamo la nostra esistenza,
ma che in fondo ci lasciano quasi sempre un senso di vuoto. A questo proposito
prenderò come riferimento l’analisi di Cavell sul Re Lear di Shakespeare, nel quale
viene trattata la condizione umana di fragilità e finitudine.
Tale lavoro non riporta un pensiero assoluto, che resta chiuso nella sua convinzione.
Ho voluto fare un’analisi della nostra condizione e delle sue cause, riportando, parti
della mia (breve) esperienza. Le riflessioni che gli eventuali lettori leggeranno sono
sentite, e non solo ragionate, ma sono sempre frutto di un’esperienza limitata e
soggettiva, seppur messa a confronto, e a volte confermata, con il pensiero di molti
autori e le esperienze di alcuni amici.
4
CAPITOLO PRIMO
L’uomo e la società: cause e conseguenze dell’interazione
sociale secondo il pensiero di Goffman
Prima di iniziare ad analizzare il pensiero di Goffman, spiegherò brevemente il
concetto di socializzazione e di formazione dell’identità all’interno della società.
Ogni società dispone di pratiche ed istituzioni proprie che le consentono di avere
una stabilità e mantenere un certo ordine nel corso del tempo, e dispone anche di un
patrimonio culturale che incide con grande importanza nel modo in cui la società si
organizza. Il patrimonio culturale, infatti, è composto da «tutti quei valori, norme,
atteggiamenti, conoscenze, capacità, linguaggi, che consentono alla società di esistere,
di adattarsi al suo ambiente esterno e di modificare a sua volta se stessa e il suo
ambiente2». La trasmissione di queste pratiche ed istituzioni, e anche del patrimonio
culturale, non avviene in maniera omogenea per tutti i membri della società: vi sono,
infatti, due processi di socializzazione, socializzazione primaria e socializzazione
secondaria, l’uno volto ad assicurare la formazione delle competenze sociali di base,
l’altro, invece, alla formazione delle competenze sociali specifiche. Le competenze
sociali di base vengono trasmesse a tutti gli individui indipendentemente dalla loro
posizione sociale, soprattutto durante i primi anni di vita fino, in genere, al
raggiungimento dell’età scolare. Si tratta, in primo luogo, dell’acquisizione di un livello
minimo di competenza comunicativa (linguaggio) e della capacità di entrare in rapporto
con gli altri. Mentre le competenze sociali specifiche consentono agli individui di
svolgere ruoli particolari e comportano la capacità di usare linguaggi e di disporre di
conoscenze condivise soltanto da coloro che sono coinvolti nell’esercizio di tali ruoli, e
vengono trasmesse durante tutto l’arco di vita dell’individuo3.
Quando il bambino viene al mondo, si trova in un ambiente predeterminato e
inevitabile e deve, quindi, intraprendere un processo di adattamento alla società e alla
cultura in cui è nato. Fondamentale è il rapporto che stabilisce con le prime figure con
2
Bagnasco A., Barbagli M., Cavalli A, 2001, p.158.
3
Cfr. idem, pp.158-159.
5
le quali entra in contatto, cioè i genitori, i quali preparano le fondamenta per lo
sviluppo del linguaggio e delle regole di interazione con l’altro, sia mediante un
modello di apprendimento fondato sul meccanismo stimolo/risposta, sia sul
meccanismo premio/punizione4. Attraverso tale processo, quindi, il bambino impara a
relazionarsi con gli altri, impara cosa è giusto fare e cosa è sbagliato, costruendo dentro
di sé una serie di obblighi, doveri, responsabilità e restrizioni che influenzeranno la sua
visione delle cose e concorreranno alla formazione della sua identità nel tempo.
Quando il bambino entra in contatto con altre persone, diverse dai genitori o, in
generale, dalla famiglia, ritornano quei meccanismi di comportamento che aveva
appreso, i quali consentiranno di mantenere una forma di comunicazione “giusta”,
“normale” e “adeguata” con il resto della società.
All’inizio, quindi, sono soprattutto l’educazione famigliare e le regole sociali di
base che determinano la personalità del bambino, ma in seguito, quando egli si
relaziona con il mondo, anche le esperienze, i contatti con persone al di fuori della
famiglia o con culture diverse, i libri che legge, gli incontri influiscono molto sulla
costruzione e il consolidamento della sua personalità. Il bambino entra in contatto con
situazioni e persone diverse, ognuna delle quali richiede un certo comportamento, ed è
costretto ad apprendere dei modelli di comportamento per ogni occasione, per non
essere considerato fuori dal comune. Esistono anche i caratteri ribelli, che non vogliono
adeguarsi, ma tra il meccanismo di difesa e il meccanismo di adeguazione non c’è tanta
differenza: anche adeguarsi è una difesa da ciò che potremmo scatenare se non lo
facessimo.
Ho voluto prendere come riferimento Goffman poiché spiega in maniera dettagliata
come l’individuo si relaziona con gli altri e la società, prendendo in considerazione un
aspetto importante della vita che viene determinato dall’interazione tra l’io e il mondo e
che appartiene, quindi, alla vita di ognuno di noi: l’aspetto teatrale5 della vita.
4
Per maggiori dettagli cfr. idem, pp.163-164.
5
Come vedremo in seguito, con il termine “teatrale” si indicherà un particolare tipo di condizione in cui
l’uomo vive, che non è assoluta, cioè non comprende tutti gli aspetti della sua vita, ma fa parte di alcune
situazioni di interazione sociale, o di interazione tra due o più persone, e di altri aspetti più personali
della vita dell’uomo.
6
1.1. Definizione della situazione e impressione di sé
Nel processo di interazione tra due o più persone solitamente si creano alcuni
meccanismi volti a scoprire l’altro e a definire una situazione. Le persone cercano di
raccogliere informazioni sugli altri per sapere cosa si aspettano da loro e come meglio
agire per ottenere una determinata reazione. Queste informazioni vengono raccolte in
base alla condotta e all’apparenza dell’altro, dal suo atteggiamento nei loro confronti,
dalle sue capacità, in base ad esperienze fatte con individui simili etc6...ed è un modo
per tenere sotto controllo la situazione e per evitare eventuali malintesi o conflitti.
L’individuo, inoltre, «proietta una definizione della situazione […], [ma] dobbiamo
anche considerare che gli altri, per quanto il loro ruolo possa sembrare passivo,
proiettano anche essi una definizione della situazione in virtù della loro reazione
all’individuo e in virtù della linea d’azione, qualunque essa sia, che essi adottano nei
suoi confronti. Generalmente le definizioni della situazione proiettate dai diversi
partecipanti sono abbastanza in armonia l’una con l’altra, così che un’aperta
contraddizione non avrà mai luogo7». «Nell’interazione, in genere, ogni partecipante
cerca di conoscere e tenere il proprio posto, mantenendo l’equilibrio di formalità e
informalità che è stato stabilito per quella interazione, fino al punto di estendere questo
trattamento anche ai propri compagni di équipe8».
L’individuo, quindi, durante l’interazione, è coinvolto in un processo di analisi, per
definire la situazione e per scoprire le persone che lo circondano, con lo scopo di
adeguare i suoi comportamenti e creare armonia tra il gruppo. Gli atteggiamenti degli
individui saranno, infatti, tali da mantenere inalterata la situazione, perchè altrimenti
potrebbe generarsi una forte tensione e ognuno dei membri si vedrà costretto a
ridefinirne un’altra. Ma l’uomo, soprattutto con persone poco conosciute, di solito non
ha intenzione di compiere questo sforzo e preferisce modificare i suoi atteggiamenti in
relazione alla situazione che si è definita in principio. Nel processo interattivo,
comunque, volendo o non volendo, possono accadere dei fatti che contraddicono,
screditano o mettono in dubbio la proiezione comunitaria della situazione.
6
Cfr. Goffman, 1969, p. 11.
7
Idem, p.19.
8
Idem, p. 195. Con il termine équipe Goffman intende un «complesso di individui che collaborano
insieme nell’inscenare una singola rappresentazione». La rappresentazione è, invece, «tutta quell’attività
svolta da un partecipante in una determinata occasione e volta in qualche modo ad influenzare uno
qualsiasi degli altri partecipanti». (Cfr. idem, p. 26)