3
Introduzione
A prima vista, il tema della povertà globale potrebbe sembrare estraneo al campo della bioetica.
Oggi però siamo di fronte ad un paradosso che ci aiuta a comprendere quanto questa estraneità sia
solo apparente: in bioetica si discute tanto sull’eventuale diritto di rifiutare l’idratazione e
l’alimentazione forzata, ma non si discute affatto sul diritto al cibo e all’acqua quando, nei paesi più
poveri del mondo, tali beni di base non sono sufficientemente disponibili.
Il cibo e l’acqua sono elementi essenziali per la sopravvivenza dell’uomo e tutti dovrebbero
essere in grado di poterli reperire. Infatti, è un diritto dell’uomo quello di avere accesso al cibo in
misura sufficiente per soddisfare i bisogni essenziali, come anche quello di disporre di acqua pulita.
Nonostante questo, la fame, la malnutrizione e le conseguenti malattie continuano a essere un
problema mondiale.
Occupandosi quasi esclusivamente di questioni come la diagnosi prenatale, la fecondazione
assistita, l’accanimento terapeutico e l’eutanasia, la bioetica rischia di limitarsi a problemi propri
dei paesi ad alto sviluppo tecnologico, ignorando l’esistenza di un’altra grande area di problemi,
come quelli tipici dei paesi poveri, relativi a un’equa distribuzione delle risorse sanitarie in una
situazione di grave bisogno e di scarsa disponibilità. La bioetica, infatti, è una disciplina di carattere
globale che, se vuole tenere fede al proprio scopo, deve ampliare lo sguardo verso altre
problematiche similmente importanti per essa.
Il 19 ottobre del 2005 l’UNESCO ha approvato la Dichiarazione Universale sulla Bioetica e i
Diritti Umani, che «costituisce senza dubbio un documento di grande rilevanza politica e culturale.
Si tratta, infatti, del primo documento approvato da un organismo di livello mondiale, avente il
valore di strumento legale, che abbia per oggetto l’intero complesso dei temi e dei problemi di cui si
occupa la bioetica»
1
.
Sempre di più si auspica l’idea di una bioetica globale,
2
che forse solo oggi, grazie alla
Dichiarazione dell’UNESCO, si fa carico di tutte le problematiche che le competono: infatti,
«possiamo individuare due diversi significati della “bioetica globale” incarnata da questa
importante dichiarazione: siamo di fronte ad un documento di portata politica globale, che tratta
della bioetica nella sua globalità. Oltra a questi due primi significati, secondo cui si può parlare di
1
F. Turoldo (a cura di), La globalizzazione della bioetica. Un commento alla Dichiarazione Universale sulla
Bioetica e i Diritti Umani dell’UNESCO, Gregoriana, Padova 2007, p. 5.
2
Cfr, Ivi, pp. 5- 22.
4
“bioetica globale”, ne esistono altri»
3
. Anzi, potremmo dire che «la bioetica è nata portando con sé
un’intrinseca tensione verso la globalità, tensione che si è andata nel tempo perdendo e che ora,
anche grazie a questa dichiarazione dell’UNESCO, sta riprendendo prepotentemente quota»
4
.
Difatti, se facciamo un passo indietro, fino agli esordi di questa disciplina, possiamo vedere
come i principali fondatori della bioetica, Van Rensselaer Potter e Andre Hellegers, convergessero
in una visione globale della bioetica. Nonostante ciò «questa intenzione originaria si è
progressivamente obnubilata, tanto che la bioetica, nel corso del suo sviluppo, si è sempre più
concentrata nell’ambito medico, obliterando la sua originaria portata globale»
5
. Dunque il
mutamento moderno verso una prospettiva globale rappresenta non solo una novità, ma anche un
“ritorno alle origini”.
Inoltre, come potremmo spiegarci il fatto per cui il modello biomedico è prevalso fino ai giorni
nostri? Forse perché i problemi discussi da questo modello toccavano maggiormente la vita
concreta dei cittadini: qualsiasi persona, infatti, poteva pensare di poter avere a che fare, prima o
poi, con le questioni relative all’aborto, alla procreazione assistita, alla limitazione dei trattamenti
terapeutici e all’eutanasia. Questi problemi, inoltre, interessavano fortemente la politica, perché
c’erano molti gruppi che manifestavano per il diritto alla vita, contro l’eutanasia, l’aborto, l’uso dei
tessuti fetali per la ricerca, oppure per il diritto di scelta. Tali argomenti, infine, interessavano anche
i media, che non perdevano tempo a sollevare polemiche biomediche, scatenando risposte di esperti,
politici e religiosi, con la consapevolezza di catturare sempre, grazie a questi argomenti, l’interesse
del pubblico.
Oggi, però, la situazione è cambiata, infatti, certi problemi non sono più tanto astratti o lontani
dalla vita quotidiana, ed è anche per questo che la prospettiva globale assume sempre maggiore
rilievo. Non è più possibile che la bioetica si occupi soltanto di determinati problemi presenti nei
paesi più ricchi, e cioè i problemi legati a un elevato sviluppo tecnologico: «problemi quali quelli
relativi alle implicazioni etiche dell’accanimento terapeutico o della procreazione assistita possono
essere importanti per i paesi ricchi, ma non trovano interesse presso i paesi poveri, che hanno
problemi diversi, quali ad esempio quelli relativi all’allocazione delle risorse sanitarie in una
situazione di scarsa disponibilità di medicinali e cure»
6
.
3
Ivi, p. 6.
4
Ibid.
5
Ivi, p. 7.
6
Ivi, p. 15.
5
Ecco il motivo per cui «la Dichiarazione Universale sulla Bioetica e i Diritti Umani pone al
centro anche questi problemi, annoverando tra le questioni degne d’interesse bioetico persino
“l’accesso a un’alimentazione e a un approvvigionamento d’acqua adeguati”»
7
.
Con la proposta di una bioetica globale, dunque, ci poniamo di fronte a dei problemi scomodi,
cioè i problemi dei più sfortunati: «fare posto, all’interno della bioetica, ai problemi di tutti,
significa anche ed inevitabilmente, prendersi a cuore le problematiche di chi ha fame, di chi non ha
accesso all’acqua potabile, di chi soffre a causa del sottosviluppo»
8
.
Abbiamo scelto il tema della povertà in bioetica perché, oltre ad essere molto attuale, è un
argomento che non ha avuto l’attenzione che meritava. Oggi però siamo davanti ad una situazione
senza precedenti, una situazione che impone un’assunzione di responsabilità etico-politica non più
rinviabile.
In quest’ottica sono ormai numerosi gli studiosi di etica e bioetica che ritengono che la povertà
globale sia un male che noi possiamo e dobbiamo impedire, in quanto non è accettabile che oggi, in
una società globale altamente progredita dal punto di vista tecnologico e della sensibilità morale, ci
siano milioni di persone che muoiono di fame o per motivi legati alla mancanza di cibo, acqua o
assistenza medica di base. È difficile sostenere Dichiarazioni Universali in cui si fa appello alla
dignità umana, e poi non intervenire contro la povertà, che costituisce con ogni evidenza una
condizione indegna per l’uomo, condizione che ferisce l’umanità stessa della persona.
Nel percorso della tesi abbiamo scelto di ripercorrere la strada battuta da Peter Singer, prendendo
in esame suoi vari saggi e scritti che mi hanno permesso di avere un quadro che mettesse in luce i
punti fondamentali del problema legato alla fame nel mondo.
Nel primo capitolo abbiamo analizzato la posizione etica di Singer, secondo cui bisogna
esaminare le credenze morali comuni e, nel caso in cui alcune di esse non possano essere
moralmente giustificate, sostituirle con altre credenze che possano essere difendibili: così Singer
prende i cinque comandamenti della vecchia etica e li riscrive alla luce del nuovo approccio
dell’“etica della qualità della vita”. Inoltre, abbiamo esaminato la sua concezione utilitarista,
secondo cui si deve scegliere il corso d’azione che ha le conseguenze migliori per tutti gli individui
interessati.
Nel secondo capitolo, dedicato interamente al tema della fame nel mondo, abbiamo indagato le
problematiche legate alla povertà e l’originale e controversa soluzione proposta da Singer. Partendo
da un’equivalenza morale tra atti e omissioni, Singer afferma, infatti, che siamo tutti responsabili
della morte di chi vive in condizioni di estrema indigenza: da qui l’obbligo all’assistenza, che non è
7
Ibid.
8
Ivi, p. 21.
6
un atto caritatevole o lodevole ma, appunto, un dovere al quale non possiamo sottrarci senza grave
colpa.
Nel terzo capitolo, infine, vista la mancanza, a nostra conoscenza, di saggi in lingua italiana
sull’argomento, abbiamo messo a fuoco le principali critiche alla posizione di Singer sulla povertà
prendendo in esame due saggi non tradotti in italiano: Our Duties to Animals and Poor, di Colin
McGinn, e More Than Charity: Cosmopolitan Alternatives to the “Singer Solution”, di Andrew
Kuper.
7
Capitolo Primo
L’utilitarismo di Peter Singer
1.1. Uno sguardo generale
Singer è nato a Melbourne da una famiglia di ebrei viennesi fuggiti durante la seconda Guerra
Mondiale. Dopo gli studi in legge, storia e filosofia presso l’University of Melbourne, nel 1969
ottiene una borsa di studio presso l'Università di Oxford, dove otterrà la laurea in filosofia. Nel
1999 è stato nominato docente di filosofia morale all’università di Princeton. Dirige il “Centre For
Human Bioethics” presso la Monash University di Melbourne. Inoltre è stato il fondatore
dell’“International Association of Bioethics”.
Uno dei suoi testi più famosi è Liberazione animale
9
, in cui ha esposto le sue tesi contro lo
"specismo" (il termine usato per riferirsi alla minore considerazione attribuita dagli esseri umani,
sul piano morale, alle altre specie animali). Singer, con il suo linguaggio semplice, la qualità dei
suoi argomenti e l’attenzione che dedica a temi praticamente rilevanti, si può configurare come uno
dei filosofi più influenti e audaci del XX secolo, apprezzato anche da chi non condivide le sue
conclusioni ma gli riconosce il coraggio di essere un “intellettuale impegnato”.
10
La filosofia morale di Singer è di stampo consequenzialista ed è impostata come una forma di
utilitarismo, secondo la quale l'azione moralmente giusta è quella che massimizza la soddisfazione
delle preferenze del maggior numero di esseri senzienti, categoria in cui Singer include anche gli
animali dotati, al pari della specie umana, della capacità di soffrire (e quindi della preferenza di non
soffrire).
Le riflessioni del nostro autore non si fermano, però, ai diritti degli animali abbracciando ampie
problematiche nel campo dell’etica e in particolare dell’etica applicata: dal rispetto per l’ambiente,
all’etica politica, dalla squilibrata distribuzione della ricchezza, alla responsabilità dei paesi ricchi
verso il Terzo Mondo fino agli scottanti temi di etica biomedica come l’aborto, l’eutanasia e la
ricerca che coinvolge la sperimentazione animale. Singer ha proposto un organico sistema di
pensiero che è sicuramente tra i più innovativi del nostro tempo.
9
P. Singer, Animal liberation. A new ethics for our treatment of animals, Random House, New York 1975,
tr. it.
Liberazione animale, a cura di P. Cavalieri, Net, Milano 2003.
10
«Sono molti anni che nessuno, o quasi nessuno, ha il coraggio di dire esplicitamente cosa voglia dire essere un
intellettuale impegnato. Singer invece lo fa, e in maniera se non sempre condivisibile sempre interessante. Non è
poco». S. Maffettone, dalla presentazione dell'ed.it. di: Etica pratica, P. Singer, Liguori, Napoli 1989, p. 9.
8
Personaggio scomodo ma altrettanto carismatico, Singer è uno dei pensatori più importanti nel
campo dell’etica, definito “il più influente filosofo vivente” con le sue tesi, sempre polemiche e al
centro di numerosi dibattiti, che hanno fatto vacillare le certezze morali dell’uomo occidentale e
messo pericolosamente in crisi la “vecchia etica”.
Lo specifico tema che tratteremo in questo lavoro è quello della povertà assoluta
11
e dell’analisi
che sul tema Singer offre, con estrema chiarezza, per valutare qual è il comportamento che noi,
abitanti dei paesi sviluppati, dobbiamo avere nei confronti di chi muore ogni giorno per malattie
legate alla fame. Secondo Singer, infatti, siamo tutti responsabili non solo di quello che facciamo,
ma anche di ciò che abbiamo deciso di non fare, ed è questo, come vedremo, il punto di partenza
per ripensare la tradizionale demarcazione tra carità e dovere morale. Se esistono persone che
vivono in condizioni tali da non poter soddisfare i propri bisogni primari e da rischiare la propria
sopravvivenza, noi abitanti dei paesi ricchi siamo direttamente responsabili di questa situazione. Per
comprendere come Singer giunga a queste conclusioni è importante considerare l’origine
utilitaristica del suo pensiero e analizzare attentamente i vari procedimenti del suo discorso sulla
filosofia morale, e del ruolo che questa assume nell’agire pratico.
La produzione filosofica di Singer inizia con la critica della concezione dei cultori della
metaetica classica
12
per quanto riguarda il ruolo della filosofia morale. Nella prospettiva metaetica i
filosofi devono dedicarsi solamente a questioni teoriche, e in particolar modo alla logica del
linguaggio morale, senza occuparsi dell’analisi di questioni pratiche, come l’aborto o le
diseguaglianze economiche. La metaetica, quindi, non autorizza il filosofo a dare una soluzione ai
problemi morali (poiché il suo ambito è quello dei problemi logici); Singer invece rileva la
necessità che i filosofi tornino a essere protagonisti delle discussioni morali normative.
13
Com’è stato osservato, infatti:
11
La povertà assoluta è la più dura condizione di povertà, impeditiva della disponibilità dei livelli minimi di
sostentamento umano, riguardo a beni essenziali come acqua, cibo, indumenti e abitazione.
12
Il termine metaetica fu coniato in origine nel mondo anglosassone per designare la riflessione sulla natura e sullo
status dell'etica stessa. La metaetica è fondamentalmente uno studio logico sul linguaggio morale. Il termine, dunque,
designa il discorso sui discorsi etici. Non si pone, in sostanza, la questione di "cosa sia buono", ma di "cosa buono sia".
In questa prospettiva teorica vengono messi da parte i problemi etici concreti e le questioni classiche quali "cosa
dobbiamo fare?" , "come dobbiamo agire?", ma si occupa in prima istanza di fornire un'analisi e un significato dei
termini e dei concetti etici ("cosa vuol dire giusto, buono, cattivo? che cosa s’intende per responsabilità, volontà,
intenzione?"). In secondo luogo distingue quelli che sono gli usi morali di tali termini da quelli non morali (ossia privi
di morale da un punto di vista ontologico, da non confondere con immorali, che indica piuttosto un termine o un
concetto opposto ad una morale). Infine si occupa di proporre un'analisi inerente alla possibilità di verificare,
giustificare o dimostrare i giudizi etici. Possiamo dire che la chiarezza nell’uso dei termini che sono coinvolti nelle
nostre dispute morali è vantaggiosa, perché talvolta le nostre differenze non riguardano i valori che sosteniamo ma i
concetti che usiamo per difenderli e il linguaggio in cui esprimiamo tali concetti.
13
Cfr, M. Reichlin, Etica della vita. Nuovi paradigmi morali, Bruno Mondadori, Milano 2008, pp. 42-50.
9
Singer si può considerare un vero pioniere di quella che verrà poi chiamata “la
svolta dell’etica applicata”, in seguito alla quale i filosofi morali hanno cessato di
limitarsi ai problemi logici ed epistemologici, e sono entrati nel vivo delle
questioni normative, offrendo soluzioni alla luce di teorie e argomenti razionali.
Singer ritiene che la teoria etica abbia immediate conseguenze pratiche e non
sarebbe di grande interesse se non le avesse. […] L’aspetto caratteristico della
riflessione pratica di Singer sta poi nel fatto che, pur prendendo in considerazione i
modi di pensare comuni sulle questioni etiche di cui si occupa, la sua
preoccupazione costante è fornire una valutazione da un punto di vista teorico
indipendente, ossia mostrare se tali modi di pensare siano giustificabili alla luce
della riflessione razionale.
14
Possiamo quindi vedere come l’etica, per Singer, non deve cercare di organizzare le credenze
morali già radicate nel senso comune, ma deve determinare la loro ragionevolezza e, nei casi in cui
certe credenze non possano essere moralmente giustificate, rimpiazzarle con altre credenze che
possano essere sostenibili; quindi, «la cosa migliore è dimenticarci dei nostri giudizi morali
particolari e ricominciare dal punto più vicino possibile a degli assiomi morali autoevidenti».
15
Questo ci fa capire come la posizione utilitarista di Singer si presenti come una revisione dei modi
di pensare diffusi e una critica delle norme tradizionali; per Singer infatti «solo se disponiamo di
una teoria morale sufficientemente sviluppata, siamo in grado di valutare criticamente le nostre
intuizioni per affidarci a quelle che risultano razionalmente giustificabili, abbandonando quelle che
non trovano un sostegno adeguato»
16
.
1.2. L’etica e il “punto di vista morale”
Nel primo capitolo del suo Etica pratica,
17
Singer afferma che per capire cosa è l’etica
dobbiamo prima chiederci cosa l’etica non è, respingendone quattro concezioni tradizionali. In
primo luogo, l’etica non ha uno stretto rapporto con il comportamento sessuale, infatti, l’etica ha
cose ben più rilevanti della morale sessuale di cui occuparsi. In secondo luogo, l’etica non è un
insieme d’idee o di nobili principî che sono completamente inefficaci nella pratica, infatti, il
compito dell’etica è quello di guidare l’azione.
18
14
Ivi, p. 44.
15
P. Singer, Sidgwick and Reflective Equilibrium, in “The Monist”, 58, 1974, p. 516.
16
M. Reichlin, op. cit., p. 47.
17
Cfr, P. Singer, Etica pratica, cit., pp. 13-24.
18
«A volte si ritiene che l’etica non sia applicabile nel mondo reale perché la si giudica un sistema si semplici
regole […] ma il fallimento di un’etica fatta di semplici regole non può essere considerato come il fallimento
dell’etica in generale. Si tratta semplicemente del fallimento di una concezione dell’etica. Quelli che pensano che
l’etica sia un sistema di regole (i deontologi) possono salvare la propria posizione elaborando regole più complesse e
10
In terzo luogo, l’etica è completamente autonoma dalla religione: in passato si pensava che la
religione, grazie all’idea di ricompense e punizioni come motivo dell’agire, fosse in grado di
mostrare una ragione per fare ciò che è giusto.
19
Tuttavia basta osservare il comportamento umano
per vedere che l’agire morale non ha bisogno di essere accompagnato da queste credenze.
La quarta osservazione è la più importante, cioè quella in cui Singer rigetta il relativismo e il
soggettivismo. Prima di tutto, Singer sottomette a critica l’idea secondo cui la morale è relativa nel
senso che i valori morali riflettono i valori di un determinato tipo di società. Questo non può essere
completamente vero perché, se assumiamo questa posizione, non possiamo rendere conto del
disaccordo morale esistente tra diverse società, né possiamo affermare che i valori di una società
democratica sono superiori a quelli di una società schiavista. Scrive Singer:
Se la nostra società disapprova la schiavitù, mentre l’altra l’approva, non abbiamo
modo di scegliere tra queste opinioni in conflitto. In realtà, in un quadro relativista
non c’è realmente conflitto morale: se dico che la schiavitù è sbagliata, sto in realtà
solo dicendo che la mia società non la approva; e se i padroni di schiavi dell’altra
società dicono che è giusta, stanno solo dicendo che la loro società la approva.
Perché discutere? È chiaro che potremmo star dicendo entrambi la verità.
20
Anche se la società in cui viviamo ci dice cosa dobbiamo fare, Singer insiste sulla necessità che
dobbiamo prendere una decisione nostra: è vero che il modo in cui siamo stati educati può
influenzare molto le nostre scelte, ma una volta che iniziamo a riflettere possiamo decidere se agire
in conformità ad esso o meno.
Inoltre, il relativismo non rende conto del non conformista, ed è costretto a spiegare il suo
atteggiamento come un semplice errore di fatto: «Se “la schiavitù è sbagliata” significa in realtà “la
mia società disapprova la schiavitù”, chi vive in una società che non disapprova la schiavitù e dice
che essa è sbagliata, sta semplicemente commettendo un errore di fatto. Un sondaggio di opinioni
sarebbe sufficiente a dimostrare l’erroneità di un giudizio etico»
21
.
più specifiche, che non entrino in conflitto l’una con l’altra; oppure, possono ordinare le regole in una struttura
gerarchica, così da risolvere i conflitti tra di esse». Invece «i consequenzialisti non partono dalle regole, ma dai fini:
le azioni vengono valutate in rapporto alla loro capacità di promuovere questi fini. La teoria consequenzialista più
conosciuta è l’utilitarismo. L’utilitarismo classico considera un’azione giusta se essa produce, per coloro che ne
sono interessati, un aumento di benessere maggiore o uguale rispetto a qualsiasi azione alternativa. In caso contrario,
l’azione è sbagliata. […] L’utilitarista considererà che in alcune circostanze mentire è male, in altre è bene, a
seconda delle conseguenze». (Ivi) pp. 14-15.
19
«Non tutti pensatori religiosi sono stati d’accordo con questo: Kant, che era un cristiano molto devoto,
disprezzava qualunque motivo autointeressato di obbedienza alla legge morale. Dobbiamo obbedire, egli diceva,
spinti dalla sola legge. Né abbiamo bisogno di essere kantiani per fare a meno della motivazione offerta dalla
religione tradizionale. C’è una lunga tradizione di pensiero che trova la fonte dell’etica nella benevolenza e nella
simpatia verso gli altri, intesa come caratteristica comune alla maggior parte delle persone» . (Ivi) p. 16.
20
Ivi, p. 17.
21
Ivi, p. 18.