3
televisione. E, sin dall’inizio, si manifestò una profonda continuità
istituzionale ed organizzativa con gli apparati della radiodiffusione, che
si trasformarono in quegli anni in sistema radiotelevisivo.
Le democrazie europee, sulla scorta delle esperienze radiofoniche degli
anni ’20 e ’30, consapevoli della potenza ancora maggiore del mezzo
televisivo, erano decise a non correre due principali rischi: il
totalitarismo pubblico, che aveva caratterizzato i sistemi radiofonici del
regime fascista e nazista, e il monopolio privato che, con
l’accentramento in mano a pochi grandi gruppi industriali e finanziari,
rischiava di influenzare o indirizzare la politica del paese, soffocandone
il pluralismo e, in prospettiva, la democrazia.
Il modello adottato su scala continentale fu, dunque, quello della BBC,
che si distingueva per alcune caratteristiche:
- natura pubblica degli organismi di gestione,
- offerta su scala nazionale,
- canone annuale di abbonamento,
- equilibrio fra diversi generi (informazione, spettacolo, intrattenimento,
cultura).
A metà degli anni Cinquanta, anche la stampa cominciò ad occuparsi con
regolarità della televisione, ma non lo fece mai disgiuntamente dalla
radio: l’una era considerata l’evoluzione tecnica dell’altra, e la
programmazione radiofonica accompagnava sempre quella televisiva.
L’Unità, durante tutto il 1955, propose una rubrica settimanale, intitolata
prima “GAZZETTINO CULTURALE, Notizie della Radio e della TV”,
e poi “GAZZETTINO DELL’ABBONATO, La settimana RadioTV”, in
cui proponeva recensioni, commenti, informazioni, sul mondo della
comunicazione radiofonica e televisiva. In realtà, nei primi mesi del ’55
l’attenzione dell’Unità sembrò rivolta soprattutto alle innovazioni
4
tecniche che, di volta in volta, vedevano protagonista il mezzo televisivo.
2 gennaio: “E’ stata inaugurata a Mosca, dopo una lunga serie di
accurate ricerche e di esperimenti, la prima emittente televisiva a
colori”
1
; 24 gennaio: “Acquistato il terreno per costruire in Campania gli
impianti televisivi”
2
; 8 febbraio: “La televisione è giunta in Siberia”
3
; 1°
aprile: “Segnali televisivi riflessi dalla Luna”
4
; 10 aprile: “Il municipio
di Mosca ha disposto l’uso di una sola speciale antenna per fabbricato
allo scopo di preservare l’aspetto della città dalla selva di antenne che
avevano cominciato a deturpare alcune zone del centro”
5
; 26 giugno: “In
Germania è stato messo in circolazione un televisore a gettone, un
sistema comodo che permette agli spettatori di pagare solo per le
trasmissioni che interessano loro”
6
.
Successivamente, l’attenzione dell’Unità e, dunque, le polemiche del
PCI, furono concentrate sul contenuto dei programmi trasmessi, sulle
scelte operate dai dirigenti RAI e sugli spazi che la TV andava
conquistando nella vita quotidiana del pubblico italiano. 18 luglio: “La
RAI non ha il diritto di procedere ad una riduzione del proprio servizio
nei mesi estivi, dal momento che i telespettatori pagano l’abbonamento
per tutto l’anno”
7
; 14 agosto: “Nelle rubriche per ragazzi predomina una
deprimente stupidità, alla quale si accompagna spesso una smaccata
esaltazione al teppismo”
8
; 11 settembre: “Con il quiz Duecento al
1
A. Gi., La televisione in Urss, <<L’Unità>>, 2 gennaio 1955
2
A. Gi., La televisione in Campania, <<L’Unità>>, 24 gennaio 1955
3
A. Gi., La TV giunge in Siberia, <<L’Unità>>, 8 febbraio 1955
4
P. G., Segnali televisivi riflessi dalla Luna, <<L’Unità>>, 1°aprile 1955
5
A. Gi., TV nel mondo, <<L’Unità>>, 10 aprile 1955
6
A. Gi., Il televisore a gettone, <<L’Unità>>, 26 giugno 1955
7
A. Gi., Letarghi ingiustificati, <<L’Unità>>, 18 luglio 1955
8
A. Gi., Programmi TV per ragazzi, <<L’Unità>>, 14 agosto 1955
5
secondo i dirigenti della RAI tentano la via del successo commerciale
attraverso lo sfruttamento massiccio dei motivi più grossolani e banali”
9
.
I tempi, tuttavia, erano ancora troppo prematuri perché ci si accorgesse
che il piccolo schermo avrebbe ben presto ridefinito anche il rapporto
che gli ascoltatori avevano avuto fino ad allora con la radio, e che
l’aumento del canone di abbonamento sarebbe stato giustificato con le
spese per gli impianti televisivi
10
.
Subito dopo la seconda guerra mondiale, numerosi osservatori
profetizzarono un rapido declino per la radio: lo sviluppo della tv, si
pensava, l’avrebbe resa assurdamente antiquata, una tv senza immagini.
Nel 1955 il numero degli abbonati alla radio era ancora di gran lunga
superiore agli abbonati alla tv, ma anno dopo anno, si assistette ad un
travaso delle utenze in progressivo aumento. In realtà, in quel periodo il
mezzo radiofonico conobbe una metamorfosi tecnica e sociale. Tra le
novità tecniche va ricordato, in primo luogo, lo sviluppo della
modulazione di frequenza, che permetteva di ampliare notevolmente la
quantità di emittenti ed anche di abbassare i costi di trasmissione
11
; in
secondo luogo, grazie all’invenzione del transistor, fu possibile la
miniaturizzazione degli apparecchi.
La televisione si insediava nelle case della popolazione dei Paesi
sviluppati con una rapidità straordinaria, quasi che fosse considerata la
continuazione più ovvia e logica della radio, e il coronamento necessario
di una tendenza a trasferire all’interno dell’abitazione tutte le forme di
comunicazione che in precedenza si svolgevano in luoghi separati.
Furono le reti radiofoniche a guidare la sperimentazione del nuovo
9
A. Gi., Una via pericolosa, <<L’Unità>>, 11 settembre 1955
10
A. Gi., Il regalo del 1955, <<L’Unità>>, 9 gennaio 1955
11
A. GI., Innovazioni tecniche, <<L’Unità>>, 2 gennaio 1955
6
mezzo, e lo fecero già pochi anni dopo l’avvio delle trasmissioni radio.
Ma, per il vero debutto della tv si sarebbe dovuto attendere la fine della
guerra e la riconversione pacifica dell’industria elettronica militare.
Tra la radio e la tv si stabilì all’inizio, e si andò affinando nel corso del
tempo, una vera e propria divisione dei compiti: mentre la televisione
occupava il ruolo di medium familiare per eccellenza, protagonista in
particolare delle ore dei pasti e di quelle della prima serata, la radio,
sorella maggiore della TV, si faceva medium d’accompagnamento dei
vari momenti dell’esistenza, sottofondo di tutte le attività domestiche.
La radio è stata anche terreno di sperimentazione delle politiche di
palinsesto, cioè delle politiche di programmazione per fasce orarie, che
sarebbero state poi applicate alla televisione. Nel 1954 la RAI apriva i
programmi del primo ed unico canale esistente alle 17:30 fino alle 19:30
e, dopo una pausa, riprendeva alle 20:45 per concludere i programmi alle
23:00. L’unica eccezione era costituita dalla domenica che prevedeva
quattro ore di trasmissione in più. Il palinsesto era organizzato attorno ad
appuntamenti settimanali: giovedì il quiz, venerdì la prosa, sabato il
varietà. Una programmazione che traduceva, quindi, la logica con cui era
stata pensata la televisione in Italia, che tendeva a porre un freno al suo
stesso consumo, cercando di non interferire con le abitudini familiari e il
tempo libero degli ascoltatori, senza alcuna volontà di ottimizzare l’uso
del mezzo. I programmi della radio, invece, venivano man mano
collocati in orari sempre più meridiani, nei quali la tv non trasmetteva.
Le trasmissioni drammatiche e narrative alla radio cominciarono a non
avere più molto senso, anche perché si presentavano come copia
impoverita della televisione; cresceva invece il ruolo della musica e della
conversazione, la chiacchiera che riempiva le pause e manteneva
7
l’ascoltatore in contatto con i suoi simili, anche nei momenti di
isolamento.
La TV mantenne una forte continuità organizzativa con la radio. Negli
Usa, gli stessi tre grandi network che avevano coordinato le emissioni
radiofoniche nazionali divennero prontamente network televisivi,
adattando strutture organizzative, forme di raccolta pubblicitaria, generi,
al nuovo mezzo. In Europa, gli enti radiofonici pubblici si trasformarono
in enti radiotelevisivi mantenendo sostanzialmente inalterata la loro
natura giuridica e la loro organizzazione
12
. L’eccezione più importante fu
rappresentata dalla Gran Bretagna, il solo paese in cui l’avvento della tv
portò con sé un’organizzazione di tipo nuovo. Furono i conservatori a
battersi per “introdurre un elemento concorrenziale nel settore televisivo
e dare un ruolo alle imprese private” e per “ridurre l’impegno finanziario
dello Stato”
13
. Essi ottennero, quindi, nel ‘55 la formazione di un sistema
televisivo pluralista e parzialmente commerciale, che affiancava alla
British Broadcasting Corporation un secondo “ente pubblico, con
direttori designati dal governo e liberi dal rischio di pressioni esterne”, la
ITA (Indipendent Television Authority) delegata a creare un secondo
canale tv e rilasciare concessioni ai privati. L’Unità, tuttavia,
all’indomani della prima trasmissione del secondo canale inglese, il 24
settembre 1955, lasciava ai lettori queste riflessioni: <<Gli Inglesi
potranno scegliere tra due programmi…con la tenue speranza che la
concorrenza abbia il benefico effetto di mantenere alto, se non addirittura
di elevare, il livello culturale di ambedue>>
14
. E inoltre, <<Concorrenza
sì, dunque, nei confronti della BBC ma, dall’altra parte, come spesso
12
Peppino Ortoleva, Mass media, Giunti, Firenze, 2001, p. 163
13
Ibid., p. 164
14
Luca Trevisani, La TV commerciale inizia la sua attività a Londra, <<L’Unità>>,
24 settembre 1955
8
avviene con l’iniziativa privata, accumulazione di poteri in uno dei
maggiori trust della carta stampata di Gran Bretagna…Che speranza può
avere il pubblico, in questa situazione, di trovare nei giornali un efficace
strumento di controllo sul nuovo programma televisivo, visto che una
parte importante dei quotidiani appartiene proprio a coloro che
posseggono i maggiori interessi finanziari dell’ITA?>>
15
.
Anche sul piano del linguaggio fra la radio e la tv vi fu a lungo una
sostanziale continuità: i generi di maggiore ascolto dei primi anni, dai
quiz ai concorsi canori, dal varietà al teatro leggero, erano gli stessi che
si erano venuti consolidando nell’esperienza radiofonica dei decenni
precedenti. Questa continuità fu inizialmente favorita anche da un fatto
tecnico: fino al ’55-’56 la quasi totalità delle trasmissioni televisive
andava in onda in diretta, come la quasi totalità delle trasmissioni
radiofoniche.
Concludendo, possiamo dire che, in Italia, il graduale “passaggio di
testimone” tra radio e TV ha permesso non solo una riconversione
dell’apparato industriale per la produzione del nuovo mezzo, ma anche
un progressivo “adattamento” del pubblico alla comunicazione visiva e
al moderno consumo di immagini.
La radio aveva continuamente scandito le ore più importanti degli anni di
guerra. L’entusiasmo del soldato nel film di Comencini “Tutti a casa”
(1960) che diffonde la notizia del raggiunto armistizio con gli alleati al
grido “L’ha detto la radio” testimonia, infatti, l’importanza e
l’autorevolezza che essa aveva assunto come fonte di informazione. Tra
gli anni della guerra e quelli della ricostruzione, nonostante i disastri
della guerra, la precarietà della vita individuale e collettiva, la crescita
15
Ibid.
9
degli abbonati è costante. Ma, con gli anni 50, si apre una nuova fase.
Con la produzione di massa di beni di largo consumo, la crescita della
popolazione e il generale aumento del benessere economico, diventa
possibile la formazione di un pubblico vasto e disperso che può essere
raggiunto solo dai grandi mezzi di diffusione di massa. Questo è l’arco di
tempo che separa la centralità della radio da quella segnalata
dall’espressione “L’ha detto la televisione”.