ermeneutica della verità inesauribile gettano le basi dell’ultima riflessione incentrata
sulla ontologia della libertà.
È a questa ultima filosofia di Pareyson, che si concretizza nell’opera omonima
Ontologia della libertà, che questa ricerca dedica maggiore considerazione, poiché
costituisce il riferimento imprescindibile per capire la schellinghiana filosofia della
libertà. L’obiettivo di questo lavoro è di capire fino a che punto Pareyson sia stato
influenzato dalla concezione del male, di Dio e della libertà di schellinghiana memoria,
cercando di giungere a vederli come momenti della stessa indagine, d’una indagine
fortemente polemica nei confronti della metafisica ontica, razionalizzante ed
oggettivante, in forme d’una ontologia che legge Schelling come l’unico pensatore
moderno che ha il merito di essere chiamato, nonostante la sua collocazione storica,
posthegeliano e addirittura postheideggeriano.
Per un recupero della libertà Pareyson riflette sulle categorie della modalità che,
come è noto, sono tre: possibilità, realtà e necessità. La più importante è quella della
realtà, sciolta e leggera, gratuita e priva di sentore anteriore come nella possibilità, priva
di pesantezza interiore come nella necessità; né annunciata dal possibile né fondata dal
necessario. “Della realtà che sia pura realtà non si può dire né che è perché poteva
essere, né che è perché non poteva non essere; ma unicamente che è perché è”.
1
La
realtà non è fondata, anzi è un abisso, non ha fondamento, essa è pura libertà.
È importante, per me, cercar di far vedere attraverso Schelling una realtà pensata
diversamente, una realtà dialettica, non di sintesi e conciliazione, ma di opposti e lotta,
in cui ogni uomo si ritrova in bilico tra i due grandi abissi: quello dei supremi ideali e
quello della degradazione e della sofferenza umana. La genialità del pensatore idealista
consiste nel non sottovalutare l’aspetto nascosto in noi e in Dio. Nell’osare un pensiero
1
L. Pareyson, Filosofia della Libertà, Il Melangolo, Genova, 1990, p.12
II
che spezza le catene da ciò che era, abbandonando l’idealismo fino ad accettare un
divenire divino che si fa con piena libertà, che supera i propri limiti negativi, che vuole
essere con sofferenza e che dona. Un pensiero che pensa l’impossibile, a ritroso da ciò
che vediamo, dove nessuno con coraggio torna a pensare.
Schelling pensa prima del Bèresit biblico, pensa l’essere originario, nella sua
dialettica e nelle sue oscurità e così facendo ripensa la vita e l’uomo in sé. Di per sé la
realtà suscita al tempo stesso stupore e orrore, angoscia e meraviglia, sicché la sua
caratteristica fondamentale è l’ambiguità; ambiguità che è già in Dio, il Dio dell’ira e il
Dio della croce; ambiguità nella libertà che è sempre positiva e negativa, capace di
affermarsi ma anche di negarsi. L’uomo vive immerso in questa drammatica situazione,
in questa immensa ambiguità. Ripensare l’essere con Pareyson significa allora
ripensarlo in questo rapporto co-essenziale con la libertà.
Del tragitto teoretico con cui Pareyson pensa la libertà, mi è sembrato opportuno
sottolineare due aspetti dall’elevata forza speculativa. La domanda che in filosofia, da
Leibniz in poi, è famosa con la dicitura di domanda fondamentale, che in effetti si
interroga su ciò che risiede a monte di tutto e l’immagine poetica dello stupore della
ragione, usata da Schelling per connotare la divisione tra filosofia negativa e filosofia
positiva. È proprio la riflessione sulla domanda fondamentale che offre a Pareyson,
attraverso l’insegnamento ontologico di Heidegger, di giungere a riconoscere il vincolo
originario fra libertà e nulla. L’immagine di Schelling dello stupore della ragione è da
Pareyson utilizzata per teorizzare il concetto di una filosofia critica, ovvero di una
nuova filosofia, che è positiva perché rifiuta l’indagine puramente razionale al fine di
ritrovare se stessa, recuperando la propria natura mitica originaria, la fonte inesauribile
di ogni sapere dell’umanità.
III
Queste sono in definitiva le compagini dell’ontologia della libertà di Pareyson. Al
centro di tutto resta il riconoscimento della libertà come il cuore stesso della realtà. Ciò
comporta che il principio originario sia appunto pensato non come essere necessario, ma
come libertà originaria, nel suo essere preceduta solo dal nulla, inizio e scelta, perché è
solo per aver scelto di essere, e da cui ogni realtà può derivare solo per ulteriori atti di
libertà. L’intera realtà è libertà: la libertà originaria si lega con la libertà umana e sono
libertà sia Dio che l’uomo: Dio è libertà assoluta e l’uomo è libertà finita nella sua
potenza, ma infinita nella sua estensione.
Fino a qualche decennio fa Schelling è stato scarsamente studiato dalla critica, in
quanto ritenuto una figura di secondo piano quando non addirittura marginale rispetto
ad Hegel. Infatti, per lungo tempo “l’immagine predominante di Schelling, fissata
nell’opinione comune e nei manuali, era […], quella del pensatore impetuoso e geniale,
che ha brillato come una meteora tra Fichte, il fondatore dell’idealismo tedesco, ed
Hegel, il maestro dell’impresa”
2
. Chi si accinge a studiare la sua opera si trova a far
fronte ad una fonte inesauribile di pensieri e ad una quantità sterminata di scritti; ma
ritenerlo l’anello di congiunzione tra Fichte ed Hegel sembra piuttosto riduttivo, per un
filosofo che è stato, invece, uno dei più grandi e brillanti pensatori che hanno fatto la
storia dell’Idealismo tedesco e la cui presenza nel dibattito filosofico è stata fino
all’ultimo attiva ed efficace.
Fortunatamente quell’immagine di Schelling considerato per oltre un secolo prima
kantiano, poi fichtiano e addirittura confinato alle spalle di Hegel, tende a essere
2
Schelling a volte è stato ricordato come il “Proteo dell’idealismo tedesco: era quasi un suo epiteto
naturale. Era così da vivo, agli occhi degli avversari accaniti che gli procuravano il suo atteggiamento
sdegnoso ma anche la sua genialità. L’origine piuttosto innocente di questa immagine di Schelling ─
prosegue Tilliette ─ risale infatti alla scena festosa del Secondo Faust, la Notte classica di Valpurga, dove
i giochi acquatici della fauna marina sono moderatamente cifrati”. Ma, nonostante tutto, non sarebbe del
tutto inopportuno “ritornare all’immagine di Proteo se si interpretasse il mito nel senso che aveva pure per
Schelling: si tratterebbe più di cogliere il vero Schelling, di strappargli la sua identità, che di seguire le
metamorfosi e la natura del camaleonte”. (X.Tilliette, Attualità di Schelling, trad. it. a cura di N.De
Sanctis, Mursia, Milano, 1974, pp. 9-10).
IV
superata: l’influsso schellinghiano “riemerge […] da sotto terra, dalle profondità
inconsapevoli della nostra matrice culturale, con una voce tanto più congeniale e
familiare quanto più segreta e abissale ne è la provenienza”
3
.
Schelling diventa per Pareyson la figura più emblematica e simbolica dell’epoca
ed è stato colui che meglio di tutti ha dato voce alle inquietudini romantiche, a quello
Streben, ossia a quel tendere senza sosta e senza riposo, a quel continuo sorpassarsi, a
quel continuo andare oltre, affrontando sempre nuove imprese filosofiche, cimentandosi
in un incessante e continuo approfondimento nei diversi campi: dalla mitologia alla
religione, dal diritto alla scienza, dalla filosofia all’arte, dalla storia alla filologia. Al di
là dei suoi innumerevoli interessi e delle sue apparenti contraddizioni, è tuttavia
possibile scoprire una profonda unità di atteggiamenti e di posizioni, là dove le sue
inquietudini, la sua enigmaticità, le sue apparenti involuzioni testimoniano, invece,
un’altissima originalità e una straordinaria capacità di rinnovamento.
Ai grandi critici ed interpreti è ben noto il procedere schellinghiano: da un lato
vigore speculativo, dall’altro immaginazione filosofica, ed è altrettanto manifesto l’uso
di un linguaggio particolare. Naturalmente Schelling è un geniale e brillante studioso,
capace di associare un acuto pensiero speculativo ad un’anima piena di entusiasmo e
vigore poetico. Le immagini suggestive che Schelling utilizza non sono né espedienti,
né metafore superflue, al contrario in esse si incarna la fantasia speculativa che è propria
del suo pensiero.
A tal proposito mantiene tutta la sua rilevanza l’osservazione con la quale
Giuseppe Semerari, nel 1958, tratteggiava il compito ermeneutico di chi intendesse
affrontare il pensiero schellinghiano: “ritrovare i nessi reali tra momento e momento,
scoprirli e portarli alla luce ove si nascondano e, infine, definire gli effettivi punti di
3
L.Pareyson, Federico Guglielmo Giuseppe Schelling, in Grande Antologia Filosofica, diretta da
M.F.Sciacca, vol. XVIII, Marzorati, Milano, 1971, p. 55.
V
intersezione e sutura dei problemi gli uni con gli altri”
4
. Quindi è compito del critico
saper valutare le rielaborazioni, i capovolgimenti e gli slittamenti di significato del
pensiero schellinghiano, determinandoli però in una prospettiva coerente, perché
Schelling è stato un “vero artigiano di concetti”
5
e il suo dramma, per molto tempo, è
stato quello di essere stato giudicato dalle apparenze, sebbene proprio queste stesse
apparenze rivelassero invece parecchi aspetti veri e costanti.
Analizzare oggi le opere di Schelling significa analizzare la figura di un pensatore
che, all’interno dell’Idealismo tedesco, è diventato il celebre “filosofo della libertà” ed a
questa ha dedicato, nel 1809, una breve ma densa e profonda trattazione intitolata
Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana e gli oggetti che vi sono connessi.
La grande importanza di questo scritto dipende non tanto dall’acutezza delle critiche o
dal linguaggio vivido che in esso viene utilizzato, quanto dal fatto che Schelling, con
questo trattato, ha messo in discussione uno dei pochi classici della filosofia: il tema
della libertà. Che il trattato occupi un posto considerevole nella storia del pensiero
schellinghiano è cosa nota, ma è anche vero che il tema della libertà non è limitato
all’opera del 1809, ma rappresenta l’elemento costante nel pensiero schellinghiano, il
leit-motiv che ha accompagnato indissolubilmente gran parte delle sue opere.
Giustamente si può dire, con un’espressione di Karl Jaspers, che la libertà “è dal
principio alla fine il grande tema di Schelling. Essa è il motivo comprensivo, che tutto
muove del suo pensiero. Appena un solo filosofo ha parlato con tanto entusiasmo e con
tanta continuità della libertà”
6
.
Dati questi presupposti mi sono proposta di chiarire il significato che la libertà ha
assunto nella riflessione filosofica di Schelling, tenendo presente che essa è strettamente
intrecciata alla questione dell’Assoluto. Si mostrerà, infatti, come l’intero sforzo
4
G.Semerari, Interpretazione di Schelling, Libreria Scientifica, Napoli 1958, p. XXV.
5
X.Tilliette, Attualità di Schelling, p. 20.
6
K.Jaspers, Schelling in G.Semerari, Interpretazione di Schelling, p. 253.
VI
speculativo del filosofo tedesco sia volto a trovare, sin dai suoi esordi filosofici, il modo
di tenere insieme senza farli collidere, la libertà finita dell’io empirico e la libertà
infinita propria dell’Assoluto.
Il pensiero schellinghiano, infatti, è una continua ricerca incentrata sul problema
della libertà, compiuta all’interno di un percorso di sempre ulteriore e radicale
approfondimento, che porta Schelling a considerare la libertà sin dai suoi esordi
filosofici, non solo “alfa e omega della filosofia”
7
, ma anche “principio ed essenza
dell’uomo”
8
.
Schelling tra l’altro, come gran parte dell’ambiente intellettuale tedesco del
tempo, assimila appassionatamente l’eco suscitata in Germania dalla Rivoluzione
Francese con il connesso messaggio di libertà sia politica quanto religiosa. Gli
intellettuali, gli uomini di cultura della borghesia europea guardano all’evento della
Rivoluzione Francese come ad una svolta epocale, che porta un’enorme possibilità di
liberazione dell’uomo.
Lo stesso Schelling vive lo spirito della Rivoluzione assumendolo come stimolo
per una rivoluzione dello spirito: l’esigenza capitale, infatti, è quella di una rivoluzione
nel modo di pensare e di sentire dell’uomo, di una vera e propria rinascita spirituale
9
.
Almeno fino ai primi mesi del 1794 gli interessi e gli studi del giovane Schelling sono
rivolti alla teologia, per diventare poi esclusivamente, o quasi, filosofici
10
.
7
Lettera di Schelling a Hegel del 4 febbraio 1795 in G.W.F.Hegel, Epistolario, trad. it. a cura di
P.Manganaro, Guida, Napoli 1983, p. 115.
8
F.W.J. Schelling, Dell’Io come principio della filosofia ovvero sull’incondizionato nel sapere umano,
trad. it. a cura di Antonella Moscati, Edizioni Cronopio, Napoli 1991, p. 24.
9
Secondo la tradizione biografica, nei primi mesi del 1793, Schelling manifestò apertamente il suo
interesse e il suo entusiasmo per la Rivoluzione: insieme a Hegel e ad altri compagni avrebbe innalzato un
albero della libertà; avrebbe tradotto la Marsigliese, attirando le ire del principe Carlo Eugenio; ed
avrebbe fatto parte, infine, di una società segreta sotto la copertura di un circolo di lettura che si era creata
all’interno dello Stift (cfr. C.Cesa, La filosofia politica di Schelling, Laterza, Bari 1969, p. 57).
10
Una prima risposta convicente che spieghi l’abbandono degli studi teologici e l’abbraccio alla filosofia,
si può trovare proprio negli scritti di questo periodo. Lo stesso Schelling, probabilmente si rese “conto
abbastanza presto che il metodo storico-critico poteva essere idoneo a dissolvere, di fatto, tutto il racconto
VII
Un’importante testimonianza di questo cambiamento di prospettiva è
rappresentata dalla celebre lettera inviata ad Hegel, la sera dell’epifania del 1795, dove
Schelling comunica all’amico di aver abbandonato quasi completamente gli studi
teologici: “Dei miei lavori teologici non ho molto da dirti. Quasi da un anno circa essi
sono diventati per me secondari. L’unica cosa che ancora mi interessava, erano le
ricerche storiche sull’Antico e sul Nuovo Testamento e sullo spirito dei primi secoli
cristiani, ─ qui c’è ancora parecchio da fare ─ da qualche tempo però anche questo
interesse è scemato. Chi si vuole sotterrare nella polvere dell’antichità, quando il corso
del suo tempo ad ogni istante lo avvolge e con sé lo trascina?”
11
.
L’enorme impatto con la filosofia kantiana e i primi contatti letterari e personali
con Fichte non fanno altro che favorire i cambiamenti e le scelte del giovane Schelling.
L’adesione ai nuovi movimenti culturali, infatti, è sinonimo di rottura con le resistenze
del vecchio mondo e non fa altro che attestare il coraggio intellettuale e l’intraprendenza
culturale del nascente astro filosofico.
Infatti, trasferitosi nel 1806 a Monaco ed entrato in contatto con i principali
rappresentanti del pensiero tardoromantico (Baader, Schubert, Ritter, ecc.), Schelling
abbandona la serenità apparentemente immutabile degli scritti di fine XVIII secolo,
debitori in parte all’ottimistico panteismo naturalistico di stampo goethiano, per
orientarsi nella direzione di quegli “aspetti notturni” dell’essere, cagionati
dall’irrompere del tema della libertà nei concetti di organismo e natura.
Posta nel 1809 la basilare distinzione tra fondamento ed esistenza, dualità di
principi metafisici che compongono e definiscono ogni essere, il pensatore di Leonberg
introduce la nozione di un Dio vivente che non è compiuto fin dall’inizio, ma che esce
fuori di sé e si rivela, che diviene Persona producendosi organicamente sul Grund
storico, del Vecchio come del Nuovo Testamento; non dava però risultati di fronte a idee come quella di
Dio e dell’immortalità dell’anima”. (ibidem., p. 63).
11
G.W.F.Hegel, Epistolario, trad. it. a cura di P.Manganaro, Guida, Napoli 1983, p. 107.
VIII
abissale della sua essenza, Grund o natura di Dio come base o sostrato individuale
intrinseco alla divinità stessa. Ogni esistenza finita, diversa da Dio toto genere, non è
pertanto creata a partire dal nulla, bensì da tale fondamento in Dio, stato inconscio in
cui tutto è ancora inseparato e unito, materia originariamente priva di regola e caotica, la
quale deve essere portata verso l’ordine. Ciò implica lo sforzo schellinghiano di pensare
la nascita come un venire alla luce dall’oscuro, come trasfigurazione dell’inconscio nel
conscio. Ma se in Dio fondamento ed esistenza sono due principi insolubili, dato che
Egli abita nella pura luce, nell’uomo, invece, il loro legame è talmente precario da
mantenere costantemente viva la possibilità di una naturale tensione all’egoità e
all’indipendenza nei confronti di Dio. Proprio qui si annida il germe del male, che
diviene reale con la radicale scissione tra il principio luminoso e la natura; l’uomo, per
sete di dominio e di potere, ottenebra il punto di trasfigurazione della natura nel mondo
spirituale e costringe la natura a farsi mondo indipendente da quello spirituale, donde “il
velo di tristezza” che si stende su di essa, “la profonda e insopprimibile malinconia di
ogni vita”. I concetti schellinghiani di malinconia e nostalgia segnano profondamente il
creato, prove inconfutabili del peccato originale come tragedia cosmoteandrica, ma
anche indizi fondamentali di quell’inconscio anelito al “mondo degli spiriti”, verso il
cui raggiungimento il mondo naturale è momento e trapasso.
Per l’importanza di tali concetti schellinghiani e per l’evidente influenza che
avranno sul pensiero di Pareyson, ho ritenuto quindi opportuno esplicitarli,
considerando che l’operare di Pareyson sia da sempre un confilosofare con Schelling, la
cui lezione rappresenta la base e la direzione fondamentale di tutta l’opera filosofica
pareysoniana.
Il lavoro consta di tre capitoli e di una conclusione.
IX
Il primo capitolo, Luigi Pareyson e la libertà al centro della realtà, traccia, in
primo luogo, le tappe essenziali del pensiero del filosofo e, attraverso alcuni cenni
biografici, cerca di delineare alcuni momenti significativi della biografia. Verrà inoltre
sviluppato il tema della libertà attraverso la teoria del personalismo ontologico. In esso
verranno evidenziati i temi di essere e libertà che, all’interno di tutta l’opera
pareysoniana, vivono in un rapporto di co-essenzialità risolvendosi l’uno nell’altra. Essi
rappresentano, come vedremo, i due poli dell’attività umana la quale è al massimo della
propria produttività quando si concretizza nei suoi due aspetti: fedeltà all’essere e
impegno della libertà. In secondo luogo intende presentare il compagno di cammino di
Pareyson, mettendo in luce quelli che sono i legami e le differenze con il filosofo
tedesco.
Il secondo capitolo, La filosofia della libertà schellinghiana in un quadro di
interpretazione pareysoniana, vuole presentare l’uomo e il filosofo Schelling
attraverso un’analisi pareysoniana attenta nel cogliere l’evoluzione e i cambiamenti di
pensiero che si legano sempre ad una profonda esperienza di vita. In primo luogo
verranno tracciate le tappe essenziali del pensatore di Leonberg e alcuni cenni
biografici. In secondo luogo verrà approfondita la svolta in senso religioso del pensiero
schellinghiano, la ripresa del teismo in termini filosofici e la teorizzazione di una
filosofia della libertà.
Il terzo capitolo, La ragione filosofica fra stupore per l’esistenza e rivelazione
di Dio, intende presentare due filosofi che, seppure con notevoli differenze ma anche
moltissime affinità, mostrano un ardito pensiero che si inoltra oltre le certezze
dell’esperibile, un pensare che ama il rischio e conduce il discorso filosofico dalla
concezione dell’essere come inesauribile/indefinibile, all’essere libertà o all’eterna
libertà del Mögen. In primo luogo si mostrerà in Schelling, attraverso l’immagine
X
dell’estasi, i rapporti fra uomo e Dio, nella personalità e libertà di entrambi, della nudità
dell’uomo davanti a Dio e dell’indefinibilità di Dio da parte dell’uomo. Momento di
cesura e d’unione l’estasi/stupore indica un momento di crisi della ragione critica, che si
arresta attonita dinanzi all’assolutamente necessario. In secondo luogo, attraverso il
rapporto libertà/nulla, verrà evidenziato come suscita orrore e meraviglia una realtà del
tutto infondata, interamente appesa alla libertà, che si profila come abisso, un
fondamento che si nega sempre come fondamento. Da questo punto di vista, l’orrore
dell’essere è il genuino significato d’una filosofia che, mentre è pervasa da un vigile
senso del carattere miracoloso del mondo e da un’ansia di redenzione, tuttavia getta uno
sguardo inquietante sulla vanità dell’esistenza e sulla infelicità dell’uomo.
XI