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Voglio dedicare questo mio lavoro a chi in un certo modo l’ha creato insieme a me: alle
uniche persone che sono costantemente presenti nella mia vita, quelle che mi amano in tutta
la mia complessità. Hanno costruito un cerchio intorno a me, e sanno che è tenuto ben saldo.
La mia grande famiglia.
"Caratteristica tipica dei veri ambiziosi: farsi portare dalle onde senza curarsi della
schiuma." (Charles De Gaulle 1890-1970, statista francese).
INTRODUZIONE
“Il fine della psicologia è darci un'idea completamente diversa delle cose che conosciamo
meglio.” (Paul Valèry).
Questo lavoro ha l‟obiettivo di tentare un‟analisi delle dinamiche della mente umana per
sapere dove e come colpire, perché avvenga un cambiamento. Era interessante sapere quali
sono gli elementi sui quali agiscono le diverse tecniche strategiche e persuasorie con l‟intento
di ripristinare o creare ex novo funzionalità relazionale per quanto riguarda ambiti come
quello della vita privata: coppia, famiglia, amici; e efficienza ma soprattutto efficacia in
ambito aziendale. In questo caso si tratta di analizzare leve sulle quali puntano le strategie
manageriali. Inoltre ci si soffermerà sul caso più evidente della persuasione pubblicitaria. In
ultima analisi, è stato integrato il tutto con un capitolo dedicato alle strategie “in rosa” ossia
tipicamente femminili. In sintesi questo lavoro si propone come un‟analisi integrata di
modelli, teorie e discipline diverse che hanno come comune denominatore: strategia e
persuasione. Faccio riferimento a ben tre discipline: economia, semiotica ma soprattutto
psicologia che è la disciplina che sostiene il lavoro in toto. E‟ stato scelto di riportare citazioni
celebri ad inizio paragrafo: è un modo di rispecchiarsi in autori che conservano la medesima
linea di pensiero. Il modo di operare segue un percorso logico. Si parte da una
generalizzazione tematica per poi andare a focalizzarsi su aspetti sempre più specifici, fino ad
arrivare all‟analisi di un aspetto esplicativo della ricerca basato sulla comunicazione del brand
Givenchy: nello specifico del caso Ange ou Démon L‟universale, in questo caso, è la tematica
della comunicazione che poi va a sbriciolarsi in sottocategorie sempre più definite. E‟ stato
seguito l‟iter evolutivo di questo macrotema che è partito dall‟idea della comunicazione come
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mero scambio informativo ed ha seguito un continuum toccando il processo, poi, di
significazione fino ad arrivare a quelle prospettive che hanno enfatizzato prima le dinamiche
interattive e poi contestuali. In questo lavoro si concentrerà l‟attenzione su quelli che sono gli
aspetti psicologici del processo comunicativo. C‟è da premettere che si dovrebbe fare uno
sforzo d‟immedesimazione per capire a fondo la logica soggiacente in ogni parte della tesi, il
cosiddetto filo conduttore. Si proverà a renderlo quanto più possibile esplicativo.
ξ “Overall” Strategic Planning in realtà è una denominazione inesistente che potrebbe
condurre ad una spiegazione del tutto personale. Lo Strategic Planner è il creativo che si
occupa della pianificazione strategica nell‟ambito, però, di un settore ben preciso: quello
pubblicitario. In sintesi è colui che pianifica la comunicazione pubblicitaria affinché sia
efficace. Cerca di cogliere le dinamiche della mente umana, analizzarle e trovare leve sulle
quali agiscono strategie ad hoc. Inserendo l‟accezione “global” ho inteso allargare il
concetto di strategia in ambiti anche diversi da quelli pubblicitari. Ho immaginato una
figura che non applicasse strategie e tecniche persuasorie finalizzate esclusivamente alla
pubblicità ma che le utilizzasse anche nelle dinamiche quotidiane: per aiutare/si nei
sistemi relazionali, per tentare di ristrutturare in maniera funzionale il suo punto di vista
disfunzionale e magari quello degli altri. Alla stessa maniera, strategie e persuasione sono
state viste anche nell‟ottica di elementi di uso di un brillante management aziendale:
pronto a costruire o risollevare le sorti delle risorse umane e non. Un‟altra accezione è
quella più comune del termine: persuasione e strategia nell‟ottica di una comunicazione
pubblicitaria d‟impatto. Il tutto è stato integrato con la strategia tutta al femminile
sottolineando, però, l‟assenza di ogni sorta di pregiudizio, luogo comune, stereotipo o
teoria femminista in merito. Non esiste il prevalere di un genere ma può esistere quello di
una mente. L‟attento lettore può ben intuire che la scelta è stata attuata puramente sulla
base dell‟appartenenza a quel genere, senza per questo riconoscerlo come migliore. Ho
ristretto il campo a quello della moda, restringendolo ancora per soffermarmi sull‟analisi
della semiotica comunicativa di un brand a me caro.
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PRIMA PARTE:
LA COMUNICAZIONE STRATEGICA E
PERSUASIVA
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CAP. 1 I LINGUAGGI
“Con qualunque persona io parli, insomma, ho bisogno di farmi una faccia speciale adatta a
una qualche particolare debolezza di detta persona, con evidente pregiudizio di quella che
potrebbe essere la mia faccia vera. Sono così anche riuscito a non saper più quale sia questa
mia faccia. Che magari non c'è neanche.” (Cesare Pavese,biografia).
Ci sono stati, nel corso del tempo, sostanziali sviluppi dello studio della comunicazione dovuti
soprattutto a progressi in campo tecnologico, anche se l‟interesse per il fenomeno
comunicativo è recente. Sempre più palesemente si è rivolta l‟attenzione verso elementi
interagenti e mass mediatici. Il macrotema della comunicazione ha investito i campi più
disparati: sociologia, informatica, rifacendosi addirittura a modelli matematici e cibernetici
fino ad arrivare alla psicologia che cerca di inglobare un po‟tutto questo aggiungendovi
l‟apporto sostanzioso della psiche umana. Le sfere applicative sono molteplici: religione,
internet, media ecc. Si cercherà di estrapolare i principi fondamentali su cui si basa la
comunicazione.
La si può a tutti gli effetti considerare come un fenomeno eterogeneo: un puzzle di costituenti
dissimili tra loro ma che tra loro concorrono per la sua essenza. E‟ un sistema di elementi
interagenti e come tale cambiando o spostando uno di questi possono cambiare o spostarsi gli
altri. Ci sono differenze di consistenza, di base culturale e profondità. La prima e forse
principale distinzione che va fatta è tra informazione e comunicazione. Se si parla di
informazione, infatti, si intende una pura trasmissione di segnali da un mittente ad un
ricevente. Il concetto di comunicazione è ben diverso: ben più corposo e che ingloba quello di
trasmissione. Comunicare, infatti, non significa solamente informare ma anche fare in modo
che l‟utente sia consapevole di tale proposito e stare attenti che la stessa informazione possa
giungere a destinazione. In ogni caso possiamo parlare di trasmissione di informazioni ma nel
secondo il concetto si arricchisce e completa. E' stato evidenziato, cosi, l‟elemento su cui si
basa la differenziazione uomo/animale. Inizialmente l‟uomo interagiva solamente attraverso la
comunicazione non verbale perché il linguaggio non verbale è apparso tardi ma
paradossalmente l‟interazione gli permetteva di sopravvivere. La comunicazione svolge
diverse funzioni: il linguaggio verbale può aprire un discorso, facilitarlo o addirittura
chiuderlo. Questa macrodimensione si può dire bimodulare: si caratterizza per una funzione
preposizionale propria del linguaggio ed una relazionale e non verbale. La prima dimensione è
quella che permette l‟organizzazione delle cognizioni, idee, rappresentazioni mentali in
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pacchetti o proposizioni. Queste conoscenze possono essere accidentali o generali. Fra
comunicazione e intelletto c‟è interdipendenza: l‟uno rende esprimibile l'altro. Tutto ciò
permette di interpretare e sistematizzare tutto il carico conoscitivo. Tutto il linguaggio è
formato da microelementi e come un perfetto sistema deve il suo significato globale dal valore
di ognuno di questi e dalla loro collocazione. Tutti questi elementi, poi, vengono articolati in
sintassi. Ogni unità può avere con le altre diverse combinazioni. Tutto ciò consente la
categorizzazione della realtà: la dimensione proposizionale fa in modo che si possa elaborare
la realtà con calcoli, confronti, letture di differenze. E‟ con la dimensione proposizionale che
si possono costruire ed amalgamare simboli e regole che favoriscono lo sviluppo culturale.
Questo consente altresì l‟arricchimento delle conoscenze. Questa dimensione appartiene solo
all‟uomo. Con questo non si vuole assolutamente sostenere che l‟uomo sia l‟unico essere
comunicante ma solo che il suo modo di interagire con l‟ambiente è più articolato, più
cospicuo. Ogni organismo vivente, infatti, ha le capacità di comunicare e lo fa:
dall‟elementare plancton all‟essere umano ma la sostanziale differenza sta nel modo in cui lo
fa. Nella definizione più semplicistica che se ne dà la comunicazione non sarebbe che un
meccanismo di azione e retroazione, uno scambio tra due organismi che in un certo senso si
completano a vicenda. A tal proposito, Watzlawick porta un esempio semplice ma
illuminante. Un moscerino si poggia su una mano. La mano (più precisamente la mente che la
guida) ha più possibilità: può decidere di scacciarlo, di ucciderlo, di ignorarlo. In questo
frangente anche il moscerino avrà la facoltà di retroagire di conseguenza: potrà volar via,
morire o semplicemente restare sulla mano. Quando si parla della comunicazione si parla di
una molteplicità di manifestazioni significative: dalla pura espressione propria anche degli
organismi più semplici che si limitano a manifestare la loro presenza alla più elaborata
trasmissione di un contenuto, tipica degli organismi più complessi. Da questo si deduce che la
comunicazione non si basa esclusivamente sulle parole e che queste, quindi, non sono gli
indicatori unici e denotanti la situazione comunicativa. Ci sono mille altre possibilità
espressive: il linguaggio è solo comunicazione ma la comunicazione non è fatta solo di
linguaggio. Ogni cosa che ci circonda, il mondo reale intero è comunicativo: si tratta di un
fitto tramaglio di messaggi linguistici o non. Si interagisce con la postura, lo sguardo, i gesti, i
movimenti, le posizioni, con l‟esserci o non esserci. Le strade “comunicano”con la
segnaletica, la moda comunica con l‟abbigliamento. Persino in guerra uno sparo comunica
qualcosa. Non si hanno alternative: nessuno ha la facoltà di scegliere se comunicare o no,
succede e basta, al limite si può scegliere come farlo. Spesso ed erroneamente la
comunicazione è stata considerata come un semplice mezzo per esprimere un‟identità. La
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comunicazione è l‟identità!Si ha a che fare con un contenuto che deve trovare espressione in
una forma e succede che spesso tale forma divenga più importante dello stesso contenuto. Di
conseguenza acquisiscono una certa rilevanza le modalità espressive: i sentimenti che ne
scaturiscono, le vibrazioni che si proiettano e quelle che si ricevono. Ecco che allora questo
macrotema, o meglio, la sua analisi, diviene un processo fondamentale per cercare di capire le
dinamiche sociali e psicologiche: dal soggetto all‟oggetto e dal soggetto verso altri soggetti.
Diventa quasi impossibile riuscire a scomporre e studiare la comunicazione in ogni sfumatura.
Non si denota come qualcosa di esterno che si può isolare e studiare singolarmente. Fa parte
dell‟uomo e lo caratterizza: non si può, quindi, osservare dall‟esterno e analizzare a fondo ma
fare tentativi aiutandosi con un supporto esterno. E‟ come dire che non riusciamo a guardarci
se non utilizzando uno specchio che riflette la nostra immagine: cosi si può tentare di studiare
il riflesso della comunicazione. In sintesi si possono fare tentativi di analisi per quanto
approfonditamente e prolissamente, sempre in maniera molto ridotta. Si possono delineare i
punti fondamentali. La parola COMUNICAZIONE deriva dalla radice latina
communicationem: cummunus cioè “dono comune”, e cum-moenia cioè “fraternità in uno
spazio comune”. Tale definizione riesce già a dare l‟idea di un atto che ha lo scopo di unire, di
mettere in comune qualcosa o l‟idea di un contatto materiale. Per molto tempo il significato si
limitava a questo. Di recente a questo significato si è aggiunto uno nuovo. La comunicazione
viene vista anche come “trasporto”, “trasferimento di informazione”. Come la comunicazione
presenta diverse sfaccettature cosi noi possiamo cercare di interpretarla da diversi punti di
vista. Il punto iniziale potrebbe essere la distinzione elementare tra comunicazione diretta e
indiretta: può essere intuitivo sapere a cosa ci si stia riferendo. La sostanziale dissomiglianza
in questo specifico caso riguarda la scelta dell‟uso o meno di un supporto fisico. Si può far
riferimento alla “comunicazione indicativa”. In questo caso la persona non manifesta
esplicitamente le sue percezioni ma si limita ad designare l‟oggetto di riferimento. “Non
mordermi il dito, guarda dove indica” (Mc Culloch, 1943). Se utilizzata dal medico il suo
scopo è quello di rendere visibile l‟articolazione del pensiero del paziente, a mobilitare la sua
parte consapevole. Se, invece, ad impiegarla è lo stesso paziente lo fa per separarsi
dall‟oggetto della comunicazione e dalla circostanza in maniera da formare un dislivello
spazio- temporale tra la sua persona e l‟oggetto di riferimento. Per questo stesso motivo si
avvale dell‟uso del passato che quasi derealizza. La persona cerca di decodificare l‟oggetto
astraendolo dal suo mondo, evita rimandi sensoriali e cerca altresì di distaccarsi da quelle che
sono le sue emozioni. In sintesi: utilizzando il passato il soggetto tenta di non identificarsi
nella situazione, cerca di slegare e rimescolare presente e passato. Esattamente all‟opposto
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della precedente, poi, c‟è la “comunicazione espressiva”che fa l‟esatto contrario. In questo
caso non ci si limita esclusivamente ad indicare ma si manifesta qualcosa a tutti gli effetti. In
questo caso il linguaggio si arricchisce: denota ma oltre a raccontare di un‟esperienza ne fa
avvertire sensorialmente le singole sfumature. La differenza con la precedente sta anche nel
fatto che elimina lo stacco temporale. Dopo aver dato conto di qualche tipologia comunicativa
ci si soffermerà con ordine sui modelli base.
Il primo modello era molto elementare e si fondava su ben pochi elementi. Tale modello non
si preoccupava o se ne preoccupava in maniera limitata del funzionamento reale
dell‟interazione tra gli elementi. In un certo senso, se si può osare, tendeva a considerare solo
quella che era la parte “meccanica” della comunicazione: gli elementi più tangibili che
possiamo considerare “di hardware”. Nonostante tutto tale modello ha significato l‟inizio
dell‟interesse e di conseguenza degli studi sulla comunicazione. La costruzione del modello
classico avviene nel „900. Il suo nome è MODELLO INFORMAZIONALE ed i suoi teorici
sono Shannon e Weaver. Questo semplicistico schema tendeva a considerare la
comunicazione come trasferimento di informazione mediante segnali da fonte a destinatario.
L‟unità di misura della quantità di informazione era il bit. Un‟integrazione a tale modello fu
proposta con la TEORIA MATEMATICA che immise nel primo schema la nozione di
“rumore”. Per rumore ci si riferisce alle interferenze che disturbano la linearità comunicativa,
che in un certo senso inquinano la ricezione del messaggio: stereotipi, malintesi ecc. In questo
frangente temporale si ha l‟obiettivo principale di cercare il più possibile di ridimensionarli
per raggiungere i presupposti di ricezione più ottimali e eliminare le incongruenze. Tutto ciò
venne reinterpretato dando forma al modello universale.
Analizzando la figura possiamo vedere che l‟origine dell‟informazione è rappresentato dalla
fonte. Il comunicatore è chiunque ha la funzione di lanciare un messaggio ad un destinatario.
Poi c‟è un canale fisico che è lo strumento che consente la trasmissione ed è trasformato in
messaggio. Il “messaggio”, protagonista della comunicazione non è che la trasposizione in
parole di un concetto che si muove verso un destinatario. Vi si affianca il concetto di “rumore”
che è stato esplicitato precedentemente. Se il tutto si traduce nella comunicazione linguistica
questo modello considera cervello come fonte, apparato vocale come trasmettitore, orecchio
come ricettore e il cervello dell‟altro come destinatario. Il modello, però, partiva dal
presupposto che ci fosse un‟esatta linearità: ossia si teneva conto che bastassero questi
passaggi affinché arrivasse al ricevente il contenuto esatto. In sintesi il limite principale di
questo modello “meccanico” è che ipotizzava un soggetto – destinatario- ideale interessato al
contenuto e con risorse che lo rendevano capace di recepirlo allo stesso modo del mittente. Si
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davano per assunte le capacità cognitive ed emotive e si dava per assunto che venissero
interpretate come da contenuto originale. La realtà si discostava da questo per molti elementi.
Lo scopo principale della comunicazione, infatti, è quello di ricevere una risposta che sia
appunto appropriata. La comunicazione non è e non può essere intesa come un processo
lineare e la cosa che la connota è proprio il suo meccanismo retroattivo che in qualche modo
quasi impone una circolarità consentita dal “feedback”. Si può cosi, inserire un nuovo
costituente al modello.
Si può definire il feedback come un‟informazione di restituzione che rende il modello di una
processualità senza fine: non esiste più un unico destinatario e allo stesso modo non esiste più
un unico mittente. I ruoli diventano intercambiabili. Gli scienziati della comunicazione
esemplificano questo concetto utilizzando la metafora del termostato che regola la
temperatura. Nel momento in cui viene oltrepassata la soglia di temperatura il sensore (la
fonte)invia il segnale (messaggio) che segnala la presenza di un‟alta temperatura attraverso un
filo di rame (canale) fino al destinatario. Ne emerge una risposta (feedback): base dei sistemi
omeostatici che si autoregolano. Si è detto che è un processo circolare la cui dinamica è
ininterrotta e si fonda su ricorrenti messaggi di ritorno. Non rimane che traslare questa
colorita metafora sulla tematica della comunicazione interpersonale. Come avviene nella
termodinamica allo stesso modo nella comunicazione interpersonale un mittente che invia un
messaggio si attende una risposta che equivalga ad una verifica sull‟efficienza comunicativa:
si aspetta di sapere se il messaggio è arrivato, se è stato compreso e se il destinatario ne ha
accettato i contenuti. In tal caso può andare avanti il ciclo comunicativo. Di nuovo ci si trova
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di fronte alla sostanziale differenziazione tra il concetto di informazione e quello di
comunicazione che esige risposta. Non basta. Bisogna tener presente cha la risposta, a sua
volta, può essere positiva o negativa a seconda della capacità o meno di accrescere o ridurre il
volume di informazione. Essenziale e centrale, secondo questo schema, il concetto di “codice”
che diveniva cosi l‟elemento necessario per ottimizzare la trasmissione dei contenuti. Tutto
questo era ancora molto riduttivo, non si teneva conto di troppi fattori più “vitali” per una
trasmissione efficiente sotto tutti gli aspetti: la capacità cognitiva, elaborativa e temporale del
ricevente (il concetto di risorsa soggettiva), l‟inferenza e soprattutto la componente
emozionale del soggetto (soprattutto perché trattandosi di un elaborato in psicologia si
enfatizza questa componente). Ancora ci sono da aggiungere diverse cose. Il linguaggio, o
meglio ancora i linguaggi ci permettono di scambiare tantissime informazioni se agiscono in
concertazione tra loro. E‟ fondamentale il ruolo del destinatario e la sua capacità di decodifica
che si delinea come un processo interpretativo durante il quale acquisiscono rilievo: le abilità
cognitive del mittente nel parlare e del destinatario nel carpire, la circostanza, le disposizioni
emozionali di entrambi. In sintesi all‟elementare ma fondamentale modello base di Shannon e
Weaver si sono andati via via sempre di più aggiungendo elementi che lo hanno di gran lunga
arricchito tenendo conto di protagonisti, elementi ambientali, distorsioni, percezioni ed anche
relazioni e personalità. La conclusione più ovvia è, quindi che per interagire non è sufficiente
un codice condiviso. Si parla di qualcosa in una circostanza e situazione particolare e ci deve
essere condivisione non solo di codice ma di significato e soprattutto di relazione. Se dico:
“Sono stanca!”Solo chi condivide con me i miei mondi sa che non intendo dire che ho sonno,
che magari è questione di stress. Sa anche che non è assolutamente preoccupante per me
perché ci convivo bene, che è un‟espressione diciamo pure data in uno specifico momento e
che sono abbastanza determinata da non farmi assolutamente condizionare da un momento di
stanchezza. Ma ci si immagini chi non mi conosce. Potrebbe pensare che non ho dormito, o
potrebbe allarmarsi pensando che sia una frase grave di una persona al limite che reagisce nel
peggiore dei modi. Per fortuna niente di tutto ciò. Ma è la palese dimostrazione che il
linguaggio verbale serve a ben poco se non è accompagnata da indici contestuali, emotivi e
cognitivi ben più rilevanti. Non si può, d‟altra parte pretendere che ci sia una corrispondenza
perfetta tra codifica e decodifica. Abbiamo visto che, infatti, questa agisce in relazione ad
abilità cognitive ed emotive. A ciò ci si aggiunge la consapevolezza che l‟uomo incontra dei
limiti per quanto riguarda i mezzi di diffusione (udito, vista) e anche per quelli di ricezione.
Questo limite è stato superato con tecnologie che possiamo considerare come estensioni
sensoriali, mnemoniche e percettive. Non è questa la sede, però, per analizzare l‟impatto dei
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mezzi di comunicazione “meccanici”. Altra distinzione che non si può non prendere in esame
è quella tra significato e senso: principalmente oggetto dell‟analisi semiotica. Il significato è il
contenuto reale e intrinseco nell‟oggetto stesso: è ciò che l‟oggetto è non ciò che rappresenta
che invece è il “senso”del senso. Il senso è quello che lo stesso rappresenta soggettivamente.
Un‟esemplificazione soggettiva. La mia medaglia d‟oro con l‟incisione della dea bendata
significa esattamente una medaglia d‟oro con l‟incisione della dea bendata ma io vi aggiungo
un senso che amplia il significato stesso dell‟oggetto. Per me acquisisce il senso di un
amuleto: di un tesoro affettivo perché donato da mia madre e trasmesso di generazione in
generazione. Il senso quindi non è che il significato soggettivo che io attribuisco ad un oggetto
in quel momento in quel contesto. E‟ ciò che “per me” significa. A partire dal succitato,
elementare ma necessario, modello matematico la comunicazione è stato poi oggetto di esame
di diverse discipline ed ognuno ne ha dato un senso diverso. Alcune teorie hanno aggiunto
elementi diversi e hanno ampliato il modello stesso o si sono focalizzate direttamente su
aspetti diversi, dandone una diversa prospettiva. Gradualmente si è dato peso alla componente
relazionale dei linguaggi che costruiscono la realtà degli individui, tra gli individui e tra questi
e il loro ambiente. In seguito è stata inserita la nozione di contesto e di effetto comunicativo.
Si è giunti a delinearla come un veicolo delle manifestazioni comportamentali osservabili
nella relazione stessa. Si farà un rapido excursus tra le principali teorie che l' hanno presa di
riferimento per poi soffermarsi su quella che interessa in questa sede: quella psicologica anche
se poi va fatto un forte riferimento alla semiotica comunicazionale.
MODELLO SEMIOTICO. Si occupa dell‟analisi del sistema dei segni. Esamina la
comunicazione alla luce dei concetti di segni e significati. Vengono inseriti tre concetti
fondamentali ossia: il “referente” che è l‟oggetto o contenuto dell‟interazione; il “simbolo”
che rappresenta il segno linguistico legato al referente e “referenza” che è l‟idea mentale
dell‟oggetto stesso. In sintesi: di un oggetto tangibile (referente) si ha la rappresentazione
mentale (referenza) e si utilizza un determinato termine linguistico per la sua designazione
(simbolo). Questa teoria va a focalizzarsi sul processo di significazione linguistica ossia sulla
produzione di significato del messaggio. All‟intero della stessa teoria si sono distinte altre
sottoteorie. Saussurre per quanto riguarda il segno distingueva i concetti di “significato” (che
si può associare al succitato concetto di referente) che rappresenta il contenuto; e quello di
“significante” (associabile al concetto di simbolo) che ne è la forma, l‟espressione. Secondo
questa sottoteoria la funzione semiotica del segno sta nella relazione stretta di espressione e
contenuto il quale hanno una piena equivalenza. In questa specifica concezione il segno ha
valenza arbitraria. In antitesi c‟è Peirce secondo il quale ogni elemento rimanda all‟altro:
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l‟espressione sposta sul contenuto. Viene a mancare la piena correlazione tra i due. Peirce
introduceva tre tipologie di segni: “Icone” che somigliano all‟oggetto, gli “indici” che sono
vicini all‟oggetto e i “simboli” il cui legame con l‟oggetto viene “contrattato”ossia con
valenza arbitraria. In sintesi la comunicazione si denota come uno scambio di segnali tra
organismi in cui ognuno dei due retroagisce al segnale che inevitabilmente manda l‟altro. Il
“segnale” è qualsiasi cosa che colpisce gli organi di senso. L‟“informazione”è ogni cosa che
viene recepita come dotata di significato e il “rumore” è tutto ciò che disturba. Non tutti i
segnali sono uguali ma esiste, come succitato, una differenza tra segnali “digitali”astratti e in
cui la corrispondenza con l‟oggetto è arbitraria. Sono i linguaggi di numeri o parole. I segnali
“analogici”riguardano la comunicazione non verbale e sono debolmente codificati. Il “senso”
è qualcosa che ha significato in un preciso momento per una determinata persona.
APPROCCIO SOCIOLOGICO. Questa proposta si focalizza sulle relazioni sociali e la
conseguente probabilità che hanno di modificare in qualche modo la realtà soggettiva. A
sintetizzare il tutto c‟è Goffman. Considera come un assioma la certezza dell‟influenza delle
interazioni sociali sulla comunicazione e sulla realtà. Con una romantica metafora immagina il
contesto che caratterizza le relazioni sociali come fosse un teatro: le relazioni interindividuali
sono confrontate con quelle che intercorrono in teatro tra gli attori. Anche nelle relazioni
sociali c‟è un copione che detta procedure e regole comunicative: lo chiama “frame” e
rappresenta una cornice rigida entro la quale si instaurano le relazioni. Dietro le quinte c‟è la
persona senza trucco, in tutta la sua trasparenza. Sul palco sale non più la persona ma il
personaggio, l‟attore ricostruito e “mascherato” di ciò che vuol far vedere alla sua platea.
APPROCCIO PRAGMATICO. Nel linguaggio vanno distinte tre funzioni principali, ognuna
delle quali pone l‟accento su un diverso aspetto. C‟è la “sintassi” attinente alla struttura
grammaticale, La"semantica” che si occupa del significato dei segni e la “pragmatica “che ne
designa la relazione. Tra i fattori comunicativi si concentra particolarmente sulla funzione del
contesto. Mira a sottolineare il “come” i significati vengono impiegati. Parlare dello studio
della comunicazione, ribadisce Watzlawick significa non limitarsi al contenuto ma studiare:
“Un composto fluido e poliedrico di molti moduli comportamentali, verbali, timbrici,
posturali, contestuali, eccetera- che qualificano, tutti, i significati di tutti gli altri”
(Watzlawick, 1971). Si delinea l‟associazione tra il concetto di comunicazione e quello di
comportamento. A circoscrivere la comunicazione era la centralità del contesto stesso. Teorie
differenti fanno riferimento a tale approccio: