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I . 1 RADIOATTIVITA’ E RADIAZIONI
NUCLEARI
Nella ricerca dei costituenti elementari della materia, i fisici ritengono per ora che esistano
due classi di particelle elementari, i quark e i leptoni. Ogni classe è costituita da sei
particelle, ciascuna differisce dalle altre per una serie di parametri come massa, carica
elettrica. Nell’ambito dei quark sono annoverati, in ordine crescente di massa, quark up e
quark down di carica pari a +2/3 e +1/3 rispetto alla carica del protone; gli altri quattro, di
massa notevolmente maggiore, tendono a decadere in particelle più leggere e pertanto
coesistono in natura in minore quantità. Tra i leptoni ritroviamo l’elettrone di carica -1, il
muone e il tau che differiscono dall’elettrone perché molto più pesanti. Gli altri tre leptoni
sono chiamati neutrini e sono di massa piccolissima e di carica nulla.
Per ogni particella “normale” esiste una anti-particella di segno opposto, anti-quark up,
anti-quark down, positrone (di carica opposta all’elettrone), anti-neutrino ecc.
Queste particelle possono combinarsi in diversi modi: tre quark costituiscono un barione,
come il protone di carica positiva od anche il neutrone di carica nulla. Un quark può
combinarsi con un anti-quark originando un mesone, che può essere di carica positiva o
negativa o neutra.
Barioni e mesoni insieme formano gli adroni, presenti nella radiazione cosmica, in
particolare neutroni e protoni insieme formano i nuclei, veri costituenti della materia. In
natura ciascun nucleo è immerso in una nube elettronica carica negativamente ove gli
elettroni percorrono orbite attorno ad esso, proprio come i pianeti intorno al sole. Il più
piccolo sistema così costituito, protoni, di carica positiva, neutroni, di carica neutra ed
elettroni, di carica negativa, si definisce atomo.
Protoni e neutroni si somigliano molto, tanto da essere indicati entrambi col nome di
nucleoni, anche se il neutrone è elettricamente neutro e leggermente più pesante.
Le forze subatomiche che legano i componenti della materia sono quattro: gravitazionale,
elettromagnetica, forte e debole. La nota forza gravitazionale agisce col minimo effetto nei
processi subatomici; la forza elettromagnetica è responsabile del legame fra particelle di
segno opposto ovvero elettroni e nucleo; la forza forte interviene in qualità di “collante”
nel legame fra i protoni, ossia fra particelle dello stesso segno che normalmente dovrebbero
respingersi ma che invece restano aggrappati ai neutroni a formare il nucleo, detto anche
nuclide; la forza debole agevola i processi di trasformazione di particelle con massa
relativamente elevata in altre particelle più leggere, come può accadere ad un neutrone di
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decadere in protone. Le forze nucleari forti, quelle che tengono insieme protoni e neutroni,
sono molto più forti di quelle elettromagnetiche e gravitazionali e agiscono solo su distanze
molto corte, comparabili con il raggio del nucleo. Se non esistesse tale forza, la repulsione
elettrostatica allontanerebbe i protoni l’uno dall’altro rendendo impossibile l’esistenza dei
nuclei.
Ogni atomo è caratterizzato da un numero di massa definito A, corrispondente alla somma
dei protoni e neutroni, ovvero somma del numero atomico Z e numero N dei neutroni.
Generalmente per atomi di piccole medie dimensioni, il numero atomico è uguale al
numero dei neutroni. Atomi con un numero elevato di protoni necessitano di un numero
altrettanto elevato di neutroni per vincere la repulsione fra particelle uguali, tale che N sia
maggiore di Z.
In ogni caso, ciascuno di questi atomi può esistere in natura sottoforma di isotopo. Gli
isotopi sono atomi di uno stesso elemento aventi lo stesso numero di protoni ma diverso
numero di neutroni, identificati dal numero di massa. Ad esempio, l’uranio (simbolo U) ha
vari isotopi:
238
U
235
U
233
U. L’uranio 238, 235 e 233 hanno sempre 92 protoni, ma 146, 143 e
141 neutroni.
Nel nucleo è concentrata quasi tutta la massa dell’atomo. Infatti neutroni e protoni hanno
masse molto più grandi di quella degli elettroni, circa 1850 volte. Il nucleo atomico si può
immaginare come una sferetta carica di energia positiva il cui raggio vale circa un
decimillesimo di miliardesimo di centimetro (10
-13
cm).
Se si potessero “pesare” prima un nucleo atomico e successivamente i suoi componenti
separati, ci si troverebbe di fronte ad un risultato sorprendente: la massa del nucleo è
leggermente inferiore alla somma dei protoni e neutroni che lo costituiscono; si ha in
pratica un difetto di massa. Quando due o più nucleoni si uniscono a formare un nucleo,
parte della loro massa è convertita in energia di legame, conseguenza della relazione
d’equivalenza tra massa ed energia intuita da Einstein, come se fossero due forme sotto cui
si presenta la stessa entità fisica: E = mc
2
. Essa permette di calcolare a quanta energia E
corrisponde una certa massa m, moltiplicata per la velocità della luce c. Considerando le
dimensioni del nucleo e il “difetto di massa”, per cui i nucleoni hanno dovuto rinunciare ad
un centesimo della loro massa per potersi legare, l’effetto non è affatto trascurabile e si
spiega perché la forza che li tiene insieme è denominata “forte”. Viceversa, l’energia di
legame è quella che si deve fornire al nucleo per riuscire a separare uno dall’altro gli Z
protoni e gli N neutroni che lo compongono. E’ allora evidente che un nucleo
caratterizzato da una grande energia di legame risulta particolarmente stabile. Lo studio
7
sperimentale delle energie di legame ha evidenziato che nuclei aventi valori di Z ed N
dispari sono molto meno stabili di quelli aventi Z e N pari, in altre parole hanno un energia
di legame inferiore. Osservazioni effettuate hanno anche permesso di trarre conclusioni sul
legame esistente tra il numero di nucleoni presenti nel nucleo e la sua stabilità: al crescere di
Z il numero di neutroni necessari a garantire la stabilità aumenta, superando di gran lunga il
numero di protoni. L’andamento ora descritto è reso molto bene dalla cosiddetta retta di
stabilità nella fig.I.1: più un nucleo, come A o B o C, si allontana dalla retta, vale a dire più
la coppia Z-N si discosta dai valori ottimali, maggiore è l’instabilità che lo contraddistingue.
Il rapporto tra numero di protoni e numero di neutroni che si trovano nel nucleo non è
dunque casuale.
Figura I.1 - Relazione fra il numero neutroni e il numero
di protoni negli atomi presenti in natura
Alla base delle emissioni radioattive c’è la tendenza di alcuni nuclei a portarsi verso
configurazioni sempre più stabili: se volessimo, infatti costruire nuclei atomici aggregando a
caso un certo numero di nucleoni, la maggior parte delle combinazioni risulterebbe
instabile e darebbe origine alle reazioni di decadimento.
Questi processi vengono chiamati “decadimenti radioattivi” perché sono accompagnati
dall’emissione di radiazioni di diversa natura: raggi gamma, particelle alfa, particelle beta.
Col termine radioattività si intende quel fenomeno spontaneo nucleare e non atomico, che
porta alla trasformazione di un nucleo in un altro nucleo o in un altro stato di energia di
8
uno stesso nucleo atomico con emissione di radiazioni di natura sia corpuscolare che
ondulatoria.
La rottura dell’equilibrio delle forze nel nucleo, che provoca il fenomeno della radioattività,
può essere spontanea o indotta artificialmente ad opera dell’uomo. Le sostanze radioattive
naturali sono una decina e sono costituite da nuclidi o nuclei di numero atomico maggiore
di 82 (piombo) e minore o uguale a 92 (uranio). Le sostanze radioattive artificiali sono
invece molte di più, costituite da radioelementi con un numero atomico uguale o maggiore
di 93 (elementi transuranici) e da isotopi artificiali di elementi stabili (radioisotopi).
I . 1 . 1 – Decadimento radioattivo
Il momento esatto in cui un nucleo instabile decade in uno più stabile è assolutamente
casuale e imprescindibile e ancor più complesso risulta quantificare i decadimenti stessi
attraverso il numero di particelle o raggi emessi dal decadimento. Si determina allora il
numero di disintegrazioni N che avvengono in un intervallo di tempo dt, ovvero l’attività
del radionuclide A, tale che:
A = dN / dt (Eq I-1)
L’unità di misura che generalmente rappresenta l’attività è il becquerel (Bq) espresso come
unità di tempo: 1Bq = 1s
-1
, spesso sostituita dalla più veterana unità Curie (Ci), equivalente
a 3,7
.
10
10
s
-1
ossia 1 Ci = 3,7
.
10
10
Bq.
L’attività di una sostanza radioattiva riduce nel tempo, seguendo la relazione, specifica per
ogni radionuclide, di tipo esponenziale:
A = A
0
e
- λ t
(Eq I-2)
dove A
0
è l’attività iniziale al tempo t = 0, A è l’attività dopo un certo tempo t, λ è la
costante di decadimento. Quest’ultima esprime la probabilità che si verifichi una transizione
nucleare nell’unità di tempo per il radionuclide considerato, espressa dunque in s
-1
.
Dopo che è trascorso un tempo pari a τ, quasi due terzi dei nuclei iniziali risultano aver
subìto il decadimento radioattivo, hanno trascorso cioè un tempo di vita media. Il tempo di
vita media è strettamente correlato alla costante di decadimento, secondo la relazione
inversa τ = 1/λ.
Quando un nucleo riduce la sua attività esattamente della metà, per cui A = ½ A
0
, egli ha
trascorso un periodo T di dimezzamento, tale che 1/2= e
–λ T
oppure 2 = e
λT
da cui ln 2 =
λT => T= ln2/λ (fig.I.2).
9
Figura I.2 – Andamento del decadimento radioattivo
in funzione del tempo ed individuazione
del tempo di dimezzamento
Spesso si fa uso dell’attività specifica, As
più che dell’attività A, che nulla dice sulla
quantità di sostanza radioattiva. Infatti As, espresso in Bq g
-1
è il numero di disintegrazioni
nell’unità di tempo e nell’unità di massa.
Concludendo, un nucleo che si trova in uno stato eccitato, avente in pratica energia
superiore a quella dello stato fondamentale, si libera dell’energia in eccesso emettendo
particelle alfa, beta o/e fotoni gamma.
Emissione di particelle alfa
I corpuscoli alfa emessi nel decadimento radioattivo sono nuclei di elio He, ciascuno
costituito da due protoni p e due neutroni n, che riescono a sfuggire alla forza nucleare,
come se un sasso lanciato in aria riuscisse a sfuggire all’attrazione gravitazionale.
L’elemento che le genera si trasforma in un nuovo elemento con numero atomico Z-2 e un
numero di massa A-4. Un’ emissione di radiazione alfa si esprime con la relazione semplice:
A
Z
X Æ
4
2
−
−
A
Z
X’ +
2
4
He (Eq I-3)
Le particelle α, seppur relativamente piccole, sono considerate di massa elevata;
interagiscono con la materia sia elettricamente (poiché dotate di carica, doppia e positiva
+2) che meccanicamente (poiché pesanti), determinandone la ionizzazione. Il loro potere
ionizzante è piuttosto elevato (mille volte maggiore delle particelle beta) a causa della
doppia carica di cui sono caratterizzati. Inversamente, il loro potere penetrante è molto
debole: i raggi α non oltrepassano un foglio di carta, una lamina di alluminio dello spessore
di 50 micron o lo strato basale dell’epidermide. Nell’aria percorrono dai 2 agli 8 cm.
Emissione di particelle beta
Il decadimento beta è il più comune dei fenomeni di natura nucleare e tutti gli elementi
radioattivi (Z>82) hanno isotopi che decadono in questo modo. Si tratta della
10
trasformazione di un nucleone nell’altro nucleone con l’emissione di particelle β, che
possono essere elettroni o positroni.
Più precisamente, il decadimento β
-
avviene quando un neutrone si trasmuta in un protone
p emettendo un anti-neutrino û e l’elettrone β
-
(Eq I-4); il decadimento β
+
vede trasmutarsi
in neutrone n, un protone, con emissione di un neutrino u e un positrone β
+
(Eq I-5).
Protoni e neutroni restano nel nucleo, mentre le parcelle elementari neutrino e anti-
neutrino vengono espulse assieme alle particelle β.
Entrambi i decadimenti β provocano una transizione isobarica, vale a dire che il numero di
massa resta inalterato, mentre aumenta o diminuisce il numero atomico rispettivamente in
β
-
e in β
+
A
Z
X Æ
A
Z 1+
X’ + β
-
+ û (Eq I-4)
A
Z
X Æ
A
Z 1−
X’ + β
+
+ u (Eq I-5)
Al decadimento beta sono soggetti quasi tutti quegli elementi che presentano all’interno del
proprio nucleo un eccesso di protoni o neutroni, eccesso che deve esser eliminato: tale
processo è descritto dalle interazioni o forze deboli. In particolare la radiazione
corpuscolare β
-
avviene per eccesso di neutroni sui protoni, ovvero elementi di massa
leggermente più grande si stabilizzano perdendo un po’ del loro peso; la radiazione
corpuscolare β
+
avviene quando un nucleo è instabile per difetto di neutroni e quindi per
un eccesso di carica positiva.
Alternativa al decadimento β
+
è la ”cattura elettronica”: un elettrone degli orbitali più
esterni può essere catturato dal nucleo dove un protone si trasformerà in neutrone,
secondo la formula:
p
+
+ e
-
→
n
0
+ neutrino (Eq I-6)
Il riarrangiamento degli elettroni che si spostano verso l’orbitale più interno a minor
contenuto energetico provoca la liberazione di energia in eccesso sottoforma di onda
elettromagnetica (raggi X).
La cattura elettronica è più probabile rispetto ad decadimento β
+
per gli elementi con
elevato numero atomico e come quest’ultimo causa una transizione isobarica.
Caratteristica peculiare dell’emissione di particelle β è la contemporanea emissione di un
antineutrino (o neutrino), che sottrae parte dell’energia cinetica all’elettrone (o positrone),
modificandone la forma spettrale, per cui l’energia totale si ripartirà tra elettrone ed
antineutrino. Lo spettro energetico risultante sarà quindi continuo tra lo zero (caso in cui
tutta l’energia cinetica è assorbita dall’antineutrino) e l’energia del decadimento (detta anche
11
E
max
, caso in cui tutta l’energia fuoriesca sull’elettrone), diversamente da quanto accade per
particelle α e raggi γ, che, generati da salti di energia discreti e finiti, genereranno a loro
volta un insieme di emissioni monoenergetiche, per cui lo spettro risultante sarà
rappresentato da righe parallele all’esse delle attività. (spettro a righe).
Nella figura I.3 sono rappresentati gli spettri, registrati come diagrammi Att = f(E).
Attività
Energia
Fig I.3 – Spettri delle emissioni α, β, γ
Emissione di raggi gamma
Quasi tutti i nuclei instabili emettono raggi γ: un nucleone può trovarsi, alla fine di un
processo radioattivo, in uno stato altamente energetico avendo tuttavia libero uno stato a
più bassa energia; il nucleone passa allo stato meno energetico e la differenza di energia è
rilasciata sottoforma di fotone γ, cioè di onda elettromagnetica di origine nucleare.
La radiazione gamma accompagna solitamente una radiazione α o β: dopo l’emissione α/β
il nucleo è ancora eccitato perché i suoi protoni e neutroni non hanno ancora raggiunto la
nuova situazione di equilibrio, di conseguenza il nucleo si libera rapidamente del surplus
energetico emettendo raggi γ.
I raggi γ si propagano con la velocità della luce ed hanno un’energia proporzionale alla loro
frequenza.
I raggi gamma differiscono dai raggi X poiché vengono emessi dal nucleo, mentre i raggi X
dagli elettroni. Inoltre i primi sono fortemente più energetici.
I raggi gamma godono di elevatissimo potere di ionizzazione; altrettanto elevato è il potere
penetrante che è 100 volte maggiore dei raggi corpuscolari beta: 1 cm di piombo, 6 cm di
cemento, 9 cm di materiale pressato possono ridurre l’intensità del 50% (fig I.4).
Tre sono gli effetti provocati alla materia dalle radiazioni γ:
9 effetto fotoelettrico: un fotone di energia medio-bassa interagisce con l’elettrone
delle orbite più interne (meno energetiche) dell’atomo della materia, cedendo tutta
la sua energia; il fotone scompare.
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9 effetto Compton: un fotone di media energia interagisce con un elettrone di orbita
più esterna (più energetica) cedendo solo parte della sua energia; il fotone si riduce
a fotone “secondario” (γ Compton) che si propaga in direzione diversa rispetto al γ
originario, con una intensità energetica ridotta , I, pari a:
I = I
0
e
-µ x
(Eq I-7)
dove I
0
è l’intensità iniziale del fascio, µ è il coefficiente di assorbimento, specifico
di ogni mezzo, x è lo spessore attraversato.
9 creazione di coppie: il fotone ad alta energia interagisce con il campo di forza del
nucleo della materia che attraversa, equidistribuendo tutta la propria energia
sottoforma di energia cinetica fra 2 particelle, un elettrone e un positrone,
originatesi dall’annullamento del fotone.
Fig I.4 – Radiazioni e loro potere di penetrazione
I . 1 . 2 - Serie radioattive
Si parla di serie o famiglie radioattive allorché un radionuclide (capostipite) decadendo
origina un altro radionuclide che a sua volta decade originando ancora un radionuclide e
così via fino a raggiungere un prodotto stabile. Questi fenomeni di trasformazione possono
riprodursi più volte successivamente; tuttavia questo ciclo non è infinito, ma termina
allorquando il nucleo non irraggia più, per cui il processo si arresta. In una catena di
decadimento l’isotopo originario è chiamato “padre” e i suoi prodotti “figli”.
Oggi si conoscono tre serie radioattive naturali che prendono il nome dai capostipiti che le
generano
1
: la famiglia dell’Uranio nasce con Uranio-238 e termina con Piombo-206, la
famiglia del Torio origina dal Torio-232 per concludersi in Piombo-208, la famiglia
dell’Attinio ha come precursore Uranio-235 e figlio ultimo Piombo-207. La sola famiglia
13
radioattiva artificiale vede come capostipite il Curio-241 che decade nel prodotto stabile
Bismuto-209.
Per conoscere il numero di atomi di ciascun membro della famiglia presenti in un certo
istante, è necessario applicare il sistema di equazioni differenziali che descrive il loro
decadimento:
11
1
N
dt
dN
λ−=−
(Eq I-8)
2211
2
NN
dt
dN
λλ −=
. . . . . . . . . . . . .
nnnn
n
NN
dt
dN
λλ −=
−− 11
dove N
1
, N
2
, . . . N
n
, indicano il numero di atomi dei vari membri della famiglia e λ
1
, λ
2
, . . .
λ
n
, le relative costanti di decadimento. In generale, si parla di equilibrio, quando la derivata
rispetto al tempo di una certa funzione è nulla. Nel caso di una serie radioattiva questa
condizione si verifica allorché il numero di atomi di ciascun membro della catena non varia
più con il tempo. Queste equazioni non possono essere mai rigorosamente soddisfatte in
quanto richiederebbero λ
1
= 0, vale a dire che il capostipite non sia soggetto a decadimento
e ciò rappresenta un’ovvia contraddizione. Se tuttavia il tempo di dimezzamento del
predetto capostipite è molto più lungo di tutti gli altri membri della famiglia si arriva ad una
condizione molto prossima a quella d’equilibrio, che viene detta di equilibrio secolare,
ovvero, dimensione temporale entro la quale l’attività del capostipite uguaglia, in valore
assoluto, quella del discendente, pur presenti in differenti concentrazioni. Tale condizione è
caratterizzata dalle seguenti relazioni:
λ
1
N
1
=λ
2
N
2
=λ
3
N
3
= . . . =λ
n
N
n
(Eq I-9)
e si verificano quando il termine λ
1
N
1
si mantiene costante, come avviene nel caso di un
capostipite a vita media lunga. Si parla invece di equilibrio transiente quando il capostipite
ha vita media più lunga del prodotto di decadimento, pur non avendo una vita media molto
lunga in assoluto.
I . 1 . 3 – Sorgenti di radiazioni
La radioattività è una normale componente dell’ambiente naturale. L’uomo è stato esposto
alle radiazioni di origine naturale fin dal suo apparire sulla terra e queste sono rimaste
14
l’unica fonte di radiazione sino a poco meno di un secolo fa. Ancora adesso, malgrado il
largo impiego di sostanze radioattive artificiali, la radioattività naturale continua a fornire il
maggior contributo (circa l’80%) alla dose ricevuta dalla popolazione.
La maggior parte delle sorgenti di radiazioni naturali proviene dal profondo spazio
interstellare; esso emette nella galassia particelle cariche positivamente, quali particelle alfa e
nuclei pesanti, quali mesoni. Le altre particelle, i protoni, traggono origine dalle esplosioni
nucleari nel sole. Tutte le particelle così originate irradiano la terra direttamente (raggi
cosmici) e interagiscono con l’atmosfera, che ne filtra gran parte, producendo di riflesso
ulteriori tipi di radiazioni e di materiali radioattivi (radiazione cosmogenica). Nessuno può
sfuggire a questa pioggia universale ed invisibile, tuttavia essa colpisce alcune parti della
terra più di altre: ad esempio i poli ne ricevono in maggiore misura rispetto alle regioni
equatoriali, dove il campo magnetico della terra, esercitando maggiore repulsione, devia le
radiazioni e solo quelle dotate di energia superiore a qualche GeV possono contribuire al
fondo di radiazioni a livello del suolo, mentre quelle con energia minore sono imprigionate
dal campo magnetico terrestre in zone situate a qualche migliaio di chilometri dalla
superficie terrestre formando le cosiddette cinture o fasce di Van Allen.
In ogni caso il livello di assorbimento aumenta con l’altitudine, dato che a maggiori altezze
c’è una minore quantità di aria che scherma la radiazione proveniente dal cosmo: chi vive al
livello del mare, riceverà una quantità sicuramente inferiore di chi vive in montagna; il
viaggio aereo espone i passeggeri a dosi di radioattività ben più elevati.
Una minor parte, seppur consistente, di sorgenti di radiazioni naturali è da attribuire alla
radiazione terrestre, i cui principali materiali radioattivi presenti nelle rocce sono il potassio-40
(K-40) il rubidio-87 (Rb-87) e gli elementi delle due serie dell’uranio-238 (U-238) e del
torio-232. (Th-232). La concentrazione dei radionuclidi naturali nel suolo e nelle rocce varia
fortemente da luogo a luogo, in dipendenza della conformazione geologica delle diverse
aree. Tipici valori di concentrazioni di attività nel suolo sono compresi tra 100 e 700
Bq/Kg per il K-40, tra 50 e 100 Bq/Kg per i radionuclidi delle serie radioattive dell’U-238
e del Th-232
2
. In generale, le rocce di origine vulcanica, come i graniti e i tufi, contengono
U-238 in concentrazioni più elevate delle rocce sedimentarie come il calcaree e il gesso.
Alcune rocce sedimentarie di origine marina possono però contenere U-238 in
concentrazioni assai elevate. L’uranio, come il torio, è più abbondante in rocce acide (sono
chiare per la presenza di minerali come il quarzo e hanno contenuto di silice SiO
2
superiore
al 65%) che in quelle basiche (rocce ricche di ferro, sono scure, spesso nere, hanno un
contenuto di silice inferiore al 52%).