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1. INTRODUZIONE
I Prodotti Agroalimentari Tradizionali sono definiti come prodotti le cui metodiche di
lavorazione, conservazione e stagionatura risultano consolidate nel tempo. In particolare,
devono risultare praticate sul territorio di riferimento in maniera omogenea secondo
regole tradizionali e protratte nel tempo, comunque per un periodo non inferiore ai 30
anni come riportato nell’articolo 3 del regolamento 1151/2012 riferito ai regimi di qualità
dei prodotti agricoli ed alimentari.
E’ importante notare come ci sia stato in questi ultimi anni un aumento nella richiesta da
parte del consumatore di prodotti alimentari tradizionali. Anche questi prodotti tuttavia
risentono dell’adeguamento alle recenti normative comunitarie volte a garantire la
sicurezza alimentare, uscendo quindi dall’ottica d’improvvisazione ed affrontando la
sfida volta a salvaguardare la tipicità, a standardizzare il processo produttivo per garantire
la ripetitività delle caratteristiche organolettiche, nutrizionali ed un controllo costante
della produzione in tutte le sue fasi (industrializzazione).
Recentemente le olive farcite all’ascolana sono state inserite nell’elenco nazionale dei
prodotti agro-alimentari della regione Marche con il Decreto delle Politiche Agricole e
Forestali del 18 luglio 2000, e poi modificato dal più recente D.M. del 21 giugno 2016
(G.U. n°143/2016). Questo prodotto si differenzia, non solo a livello produttivo ma anche
sotto l’aspetto del controllo volto alla sicurezza alimentare da parte delle autorità,
dall’oliva del piceno ripiena. Quest’ultima è prodotta solo ed esclusivamente con varietà
ascolana tenera; ha ottenuto la Denominazione di Origine Protetta nel 2005 ed è
sottoposta a vari controlli da parte delle autorità competenti, sulla base del regolamento
n°1855/2005.
La produzione di oliva all’ascolana invece è sottoposta a controlli, da parte dell’autorità
di controllo, finalizzati all’adempimento dei requisiti in materia d’igiene e di sicurezza
alimentare riportati nel manuale di autocontrollo della singola azienda.
Ciò fa si che una adeguata formazione del personale, una elevata sensibilità del produttore
e un’attenta gestione del processo produttivo possano portare anche ad elevati standard
igienico sanitari.
Tuttavia, nonostante elevati standard produttivi, non bisogna sottovalutare alcuni dati
epidemiologici raccolti negli ultimi anni dall’Istituto Superiore di Sanità che hanno
acceso i riflettori su problematiche quali la contaminazione da Listeria monocytogenes
che sembra mostrare a livello europeo una recrudescenza con un incremento dei casi
umani molto spesso associati a prodotti pronti per il consumo. Da qui la necessità di
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analizzare in modo accurato le pratiche produttive, effettuare un attento monitoraggio
delle caratteristiche microbiologiche di questo prodotto tipico e identificare possibili
interventi correttivi.
2. NOTE STORICHE E BOTANICHE DELL’OLIVA
ALL’ASCOLANA
2.1. CONSIDERAZIONI STORICHE
L’oliva farcita all’ascolana, originariamente, era prodotta con l’oliva ascolana tenera, da
cui appunto deve il suo nome.
I reperti geologici nei travertini del Colle San Marco, prospiciente la città di Ascoli
Piceno, testimoniano la presenza di una varietà di olive da mensa fin dall’età preistorica;
oliva che fu chiamata dagli antichi Romani “Picena” ed in seguito “Ascolana tenera”.
Questa varietà viene citata anche da Columella e Strabone; Marziale afferma che le Olive
Picene venivano offerte all’inizio dei banchetti per stimolare l’appetito e alla fine per
pulire la bocca; Nerone, Palladio e Plinio, che appunto le riteneva le migliori fra tutte
quelle italiane.
Da alcune considerazioni storiche, si può dedurre che le olive ripiene e fritte all’ascolana
sono nate intorno alla fine dell’ottocento. Di esse, infatti, non si trovano notizie
precedenti, né in testi, ricettari, menù, giornali o memorie varie. A conferma di quanto
sopra è il caso di ricordare che gli Statuti religiosi ascolani del 1377 e le rinomanze,
stabilivano che nel periodo compreso dal 2 novembre fino a Pasqua si doveva consumare
solo carne suina, dal periodo successivo alla Pasqua fino al 24 giugno era obbligo
mangiare solo carne ovina, mentre dal 24 giugno al 2 novembre carne bovina. Pertanto
da questa visione storica, le olive ripiene e fritte all’ascolana, in cui l’impasto è composto
da carne suina, bovina, pollo, parmigiano, spezie e uova, non potevano essere
confezionate in tempi remoti in quanto non si avevano contemporaneamente a
disposizioni le carni di bovino e suino senza parlare del parmigiano, che anche se nato
nel 1200, era sconosciuto nelle zone dell’ascolano che, prevalentemente utilizzava il
formaggio pecorino. Inoltre anche le spezie utilizzate nelle olive all’ascolana, come la
noce moscata erano per quei tempi estremamente costose, tanto che venivano sostituite
con il peperoncino, prodotto in vasta misura in queste zone ed utilizzato come tipico
condimento delle popolazioni indigenti.
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In quel periodo storico le campagne ascolane erano povere, la produzione limitata a
colture tradizionali e il bestiame era scarso per la difficoltà di allevamento data soprattutto
dalla limitata quantità di foraggi, considerando che il mais venne introdotto dopo il 1820
mentre la sulla, l’erba medica, la fava e la veccia apparvero intorno al
1860. Quel poco di bestiame che c’era veniva utilizzato soltanto per il lavoro nei campi e
la sua macellazione per uso domestico era quasi inesistente.
Successivamente alla costituzione del Regno d’Italia, migliorate le condizioni
economiche, iniziò a svilupparsi la cultura di questo piatto. I cuochi al servizio delle nobili
famiglie Ascolane, sull’esempio di un’antica ricetta del 600 nella quale le olive si
riempivano di erbe, si lessavano e si friggevano, cominciarono a farcire le olive tenere
ascolane.
Da ciò si evince che le olive tenere ascolane, ripiene e fritte, sono nate alla fine dell’800
come un piatto pregiato e non come un piatto di recupero, come si ritiene erroneamente.
Una delle prime ricette è riportata in “Le olive bianche ascolane nell’antichità” di
Giuseppe Castelli (1889) che riporta: (dose per circa 120 chicchi) olive “Tenera
Ascolana” 1Kg; carne magra di manzo 300g; carne magra di maiale 300; carne di pollo
300 g; sale; parmigiano reggiano grattugiato 50 g o nel caso formaggio pecorino; 8 uova
intere; una presa di noce moscata; pane grattugiato; farina; olio di oliva ½ bicchiere; una
cipolla steccata con un chiodo di garofano; una carota; un gambo di sedano, un pizzico di
pepe nero.
Le olive devono essere snocciolate praticando un taglio elicoidale attorno al nocciolo,
senza spezzettare la polpa.
Per il ripieno; tagliare le carni in pezzi grossolani, farle rosolare in casseruola con l’olio,
la cipolla, il sedano, la carota, salare, profumare con un pizzico di pepe nero. In una
terrina riunire: il macinato, il parmigiano o nel caso formaggio pecorino, tre uova
leggermente battute e la noce moscata. Amalgamare il tutto fino ad ottenere un impasto
omogeneo di media consistenza. Se risultasse troppo duro si può ammorbidire
aggiungendo un po’ di brodo di carne. Farcire le olive snocciolate con un po’ di ripieno,
riportandole alla forma allungata originaria. Infarinare leggermente i chicchi così
ottenuti, poi passarli in un piatto contenente cinque uova ben battute, sgocciolarli e
impanarli nel pangrattato, il che equivale alla classica indoratura. Friggerle in
abbondante olio bollente. Quando sono ben dorate da ogni parte, sgocciolarle e servirle
calde, accompagnate con spicchi di limone.
(Castelli, 1889). Nonostante ciò, problematiche legate
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commercio di questo prodotto esistevano già negli anni passati. Infatti, come riportato
da S. Armellini in Flash del 1981, la raccolta dell’oliva tenera ascolana pesa troppo sul
bilancio economico in quanto non è possibile applicare la raccolta meccanica per
ridurne i costi e poi il settore non è ancora ben
attrezzato in quanto è privo di centri di raccolta e di lavorazione. Inoltre viene riportato:
“ per poter dar credito a questa preziosa cultivar, basterebbe che gli Enti interessati della
provincia, magari sotto l’egida della Regione, ne caratterizzassero il prodotto con un
marchio di origine”.
Nel 2005 all’Oliva Tenera Ascolana viene concessa la Denominazione di Origine Protetta
e viene indicata come “Oliva ascolana del Piceno” in salamoia o ripiena. Il
Piceno è noto per l’oliva tenera, la vera espressione di questo territorio, intorno alla quale
ruotano tante altre produzioni. Dal punto di vista organolettico è un prodotto
assolutamente inimitabile e l’esigenza di lavorazione a mano aggiunge un valore ulteriore
anche e soprattutto per l’effetto di restituire il ruolo centrale all’uomo, come riportato da
Leonardo Seghetti (Professore di Chimica alimentare e tecnologie alimentari presso
l’Istituto Tecnico Agrario di Ascoli Piceno) in un articolo di Piceno Oggi del 15 gennaio
2012.
In bibliografia o sul web, non mancano i suggerimenti su come fare le olive ripiene
all’ascolana; tuttavia, quasi tutte le ricette si discostano anche fortemente dalla vera
tradizione. Possiamo quindi ricordare alcune varianti suggerite (Seghetti et al. 2017):
- poiché le Olive tenere del Piceno spesso sono introvabili, andare alla ricerca di
varietà simili, grosse a mesocarpo compatto; (ricordiamo che le olive più grosse
si trovano in commercio tuttavia sono a mesocarpo legnoso e non tenero);
- per accelerare i tempi di produzione, ricorrere alle olive denocciolate con il
grosso foro interno; (la denocciolatura a spirale col coltello è caratteristica e
facile da apprendere e connotazione di produzione artigianale);
- aggiungere prezzemolo, aglio, salsiccia, mortadella, prosciutto crudo, tartufo,
solo carne di maiale, concentrato di pomodoro, (vengono inclusi componenti del
tutto estranei rispetto alla tradizionale ricetta);
- le olive verdi vanno subito denocciolate (prima vanno tenute per qualche ora in
acqua per depurarle dal sale e dal gusto amarognolo);
- di alimento ipercalorico, da consumare con moderazione o solo in casi
eccezionali (la quantità mediamente consumata da una persona non può