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CAP I
ASSUNZIONE DI SOSTANZE STUPEFACENTI
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1) Nozione di tossicodipendenza
L’attuale legislazione in materia di stupefacenti e di sostanze
psicotrope non contiene una espressa definizione di sostanza
stupefacente limitandosi ad indicare negli artt. 13 e 14 del d.l. 30‐12‐
2005, n. 272 convertito dalla l. 21‐02‐2006, n. 49, le sostanze vietate o
comunque soggette a controllo nelle due tabelle e precisamente tabella
I, tabella II (sez. a, b, c, d, e)
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La precedente normativa dettata dal DPR 309/90 prevedeva la
ripartizione in sei tabelle e forniva i criteri che dovevano essere seguiti
per l’identificazione di ogni singola sostanza e la relativa inclusione in una
delle tabelle. La vecchia legge, nelle tabelle I e III, ricomprendeva le
“droghe pesanti” che sono in grado di produrre effetti sul sistema
nervoso centrale e che hanno capacità di determinare dipendenza fisica
o psichica nell’assuntore: tra queste, l’oppio e i suoi derivati; le foglie di
coca e i suoi alcaloidi; le anfetamine ad azione eccitante sul sistema
nervoso, etc. etc..
Nelle tabelle II e IV, la vecchia normativa, includeva le “droghe
leggere” per le quali i pericoli di induzione di dipendenza fisica e psichica
sono di intensità e gravità minori di quelli prodotti dalle sostanze
elencate nelle tabelle I e III: tra queste la cannabis indica e i suoi derivati
(hashish, marijuana) e i prodotti di corrente impiego terapeutico che,
presentando nella loro composizione talune delle sostanze indicate nelle
tabelle I e III possono presentare problemi di dipendenza.
Nelle tabelle V e VI erano inseriti dei prodotti usati con finalità
terapeutica che per il fatto di contenere talune delle sostanze di cui alle
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Guida al diritto n. 12, 25 marzo 2006, pag. 56‐64.
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precedenti tabelle, possono dar luogo al pericolo di abuso ed alla
possibilità di farmacodipendenza e che comunque era opportuno
sottoporre a controllo da parte dell’autorità amministrativa
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.
La nuova normativa d.l. 30‐12‐2005, n. 272 convertito in l. 21‐2‐2006,
n. 49 ha abrogato sostanzialmente la distinzione tra “droghe pesanti” e
“droghe leggere”, sicché gli stupefacenti sono raccolti in due tabelle delle
quali la prima contiene le sostanze psicotrope in senso stretto, la
seconda invece include i medicinali che contengono principi attivi
stupefacenti.
Secondo qualche autore una definizione sufficientemente precisa può
essere trovata facendo riferimento a quella offerta dall’Organizzazione
Mondiale della Sanità secondo la quale vanno considerate come
sostanze stupefacenti tutte quelle sostanze di origine sintetica o vegetale
che agendo sul sistema nervoso centrale provocano stati di dipendenza
fisica e/o psichica, dando luogo, in alcuni casi ad effetti di tolleranza
(bisogno di incrementare le dosi con l’avanzare dell’abuso) ed in altri casi
a dipendenza a doppio filo e cioè dipendenza dello stesso soggetto da
più droghe
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.
Viene definita droga o psicodroga ogni sostanza che, assunta in
quantità relativamente piccola, è capace di modificare funzioni psichiche,
nel senso di produrre stimolazione o depressione del sistema nervoso
centrale o mutamenti nelle percezioni, nell’ ideazione, nell’affettività, e,
di conseguenza, è capace di modificare la tensione psichica, l’umore, il
pensiero, il ciclo veglia‐sonno.
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In conformità con la Convenzione delle Nazione Unite contro il traffico illecito di stupefacenti e di sostanze
psicotrope adottata a Vienna il 20‐12‐1988, ratificata e resa esecutiva in Italia con l. 5‐11‐1990, n. 328; il Ministro della
Sanità vi provvedeva con decreto, di concerto con il Ministro di Grazia e Giustizia Giustizia ed il Consiglio Superiore di
Sanità, come previsto dall’art. 13 comma I d.P.R. 309/90.
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Amato G. ‐ Droga ed attività di polizia, Roma 1992, pag. 82.
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Si è anche sostenuto che possono essere considerate stupefacenti o
psicotrope quelle sostanze che a) manifestano potenzialità lesive del
funzionamento individuale e sociale dell’individuo; b) quelle che sono
suscettibili di uso e di abitudine voluttuari allo scopo di procurarsi effetti
psichici di evasione dalla realtà; c) quelle che presentano attuale
diffusione o pericolo di diffusione in un determinato contesto sociale
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.
Talvolta si sono fatte rientrare nel concetto di droga tutte le sostanze
psicoattive capaci cioè di agire sul sistema nervoso centrale e di alterare
l’equilibrio psicofisico dell’organismo
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Si considerano droghe le sostanze naturali o sintetiche, le preparazioni
che le contengono e i loro derivati che, agendo sul sistema nervoso
centrale, producono effetti psicoalteranti oppure effetti psicodepressivi
o psicostimolanti insieme a probabilità di dipendenza psichica e/o fisica.
Tre sono i tipi fondamentali di droghe:
1) psicolettici (psicodepressivi), ovvero sostanze che deprimono l’attività
cerebrale (barbiturici, oppiacei);
2) psicoanalettici (psicostimolanti), ovvero sostanze che eccitano
l’attività cerebrale (caffeina, cocaina, amfetamina);
3) psicodislettici (psicoalteranti), ovvero sostanze che determinano
un’alterazione nella percezione (cannabis, allucinogeni).
Dall’uso delle droghe possono derivare al soggetto conseguenze
patologiche classificabili secondo quattro elementi fondamentali:
1) tossicità e cioè l’abitudine ad assumere in modo più o meno
continuato sostanze stupefacenti o tossiche di cui, ad un certo punto,
non si può più farne a meno;
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Bartone N., Iazzetti A., Izzo F. ‐ Stupefacenti e sostanze psicotrope, Napoli 1991, pag. 47.
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Garavelli M., Caselli G. ‐ Attività antidroga della polizia giudiziaria, Torino 1991, pag. 14.
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2) tolleranza detta anche assuefazione; cioè per ottenere lo stesso
effetto provato la prima volta occorre prenderne dosi sempre più
abbondanti. Per questo i consumatori di droghe ne consumano
sempre di più e sempre più spesso fino a superare una soglia oltre la
quale non sono più in grado di vivere senza ricorrere alla sostanza;
3) dipendenza fisica e cioè lo stato patologico conseguente alla
somministrazione ripetuta del prodotto che si manifesta qualora la
manifestazione venga interrotta, con sintomi dolorosi (sindrome
privativa o crisi di astinenza);
4) dipendenza psichica e cioè il desiderio smodato, qualche volta
irresistibile,
all’assunzione della sostanza
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Va sottolineato come molte droghe sono usate liberamente senza
alcun controllo da parte delle autorità sanitarie o giudiziarie, come la
nicotina (contenuta nel tabacco), l’alcool e la caffeina (contenuta nel
caffè e nel tè) altre, invece, sono incluse in speciali tabelle di controllo e
possono essere utilizzate al solo scopo curativo sotto stretto controllo
medico come ad esempio gli psicofarmaci; altre ancora non alcuna
attività dal punto di vista medico ed il loro uso è totalmente vietato
come ad esempio l’eroina e la cocaina.
In definitiva è possibile sostenere che non esiste una definizione unica
e condivisa da tutti di che cosa sia realmente la droga. Al riguardo,
comunque, si distinguono quattro ambiti di definizione: la definizione
medica che, che considera droga tutte quelle sostanze che introdotte
nell’organismo ne modificano una o più funzioni; la definizione
farmacologica, che riserva il termine droga ad una categoria di sostanze,
non importa se naturali o artificiali, che vengono definite psicotrope, le
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Giannelli G. ‐ Note sull’ <<uso terapeutico>> di sostanze stupefacenti, in Riv. It. Dir. e proc. pen., pag. 571, 1979.
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quali agiscono, modificandola, sull’attività mentale; la definizione legale,
che è incentrata sulla presunta dannosità e pericolosità sociale delle
sostanze; la definizione comune, che non ha alcun riferimento specifico e
si basa su una serie di diverse ed incontrollabili informazioni e
disinformazioni, i cui tratti specifici sono rappresentati dall’assuefazione
e dalla pericolosità
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7
Scuola di Perfezionamento per le Forze di Polizia, Roma 1988, pag. 9 ss..
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2) Imputabilità del tossicodipendente
La nozione di imputabilità è posta dal codice penale all’art. 85, il
quale, dopo aver sancito il principio che “Nessuno può essere punito per
un fatto preveduto dalla legge come reato, se al momento in cui lo ha
commesso, non era imputabile”, stabilisce al 2° comma che “E’
imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere”.
L’imputabilità costituisce una qualità, un modo di essere
dell’individuo, o meglio uno status della persona che coincide, secondo
quanto afferma l’art. 85 c.p., con la capacità di intendere e di volere
concepita come sintesi delle condizioni fisio‐psichiche che consentono
l’ascrizione di responsabilità all’autore di un fatto corrispondente ad una
previsione legale e che rendono tale fatto un reato meritevole di tutela
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La capacità di intendere si riferisce alla capacità del soggetto di
rendersi conto del valore sociale delle proprie azioni, ossia il valore
positivo o negativo che queste assumono in rapporto agli altri. Tale
capacità manca, pur in assenza di una vera e propria malattia mentale, in
tutte le ipotesi limite di sviluppo intellettivo così ritardato o deficitario da
precludere al soggetto il potere di orientarsi nel rapporto con il mondo
esterno.
La capacità di volere, d’altro canto, riguarda la capacità del soggetto
di autodeterminarsi, controllando i propri impulsi e agendo secondo il
motivo che appare più ragionevole o preferibile in base ad una
concezione di valore. Esistono, infatti, delle anomalie psichiche per le
quali, pure essendo normale il processo di comparazione dei valori, il
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Pagliaro A. ‐ Principi di diritto penale, Milano, 2000, pag. 629 ss.; Fiandaca G., Musco E. ‐ Diritto penale, Bologna,
2000, pag. 287; Antolisei F. ‐ Manuale di diritto penale, Milano, 2000, pag. 607 ss.; Mantovani F. ‐ Diritto penale,
PADOVA, 2001, pag. 667; Padovani T. ‐ Diritto penale, MILANO, 2001, pag. 171 ss..
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soggetto non riesce a volere in conseguenza, vale a dire in conformità del
proprio giudizio.
Affinché sussista l’imputabilità è necessario che concorrano entrambe
le capacità al momento della commissione del fatto che costituisce reato,
altrimenti, se manca una sola di esse il soggetto non sarà imputabile,
come accade quando egli possegga la capacità di intendere e non la
capacità di volere, (ad esempio nel caso del piromane, mitomane, etc.),
o, anche se più difficilmente, quando possegga la capacità di volere ma
non la capacità di intendere
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La disciplina relativa all’influenza dell’assunzione di sostanze
stupefacenti o psicotrope sull’imputabilità del soggetto che ha
commesso il reato è contemplata dall’art. 93 c.p. che rinvia agli artt. 91 e
92 c.p., nell'art. 94 c.p. e nell’art. 95 c.p., che rinvia a sua volta agli artt.
88 e 89 c.p..
L’art. 93 c.p. prevede l’ipotesi e quindi la rilevanza penale del fatto
commesso sotto l’azione di sostanze stupefacenti e recita: “Le
disposizioni dei due articoli precedenti si applicano anche quando il fatto
è stato commesso sotto l’azione di sostanze stupefacenti”.
L’art. 91 c.p. disciplina le conseguenze del fatto sull’imputabilità del
soggetto quando essa sia la conseguenza del caso fortuito o della forza
maggiore e suona così: “Non è imputabile chi, nel momento in cui ha
commesso il fatto, non aveva la capacità di intendere o di volere, a
cagione di piena ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza
maggiore. Se l’ubriachezza non era piena, ma era tuttavia tale da
scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere o di
volere la pena è diminuita”.
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Marini G. ‐ Imputabilità, in Digesto, VI, Toriono, 1992, pag. 253; Marini G., Portigliatti Barbos M. ‐ La capacità di
intendere e di volere nel sistema penale italiano, Milano, 1964, pag. 47; Crespi A. ‐ Imputabilità, in Enc. dir., XX,
Milano, 1970, pag. 772; Fiandaca G., Musco E. ‐ Diritto penale. Parte Generale, Bologna, 1996, 3°ed., pag.289.
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L’ubriachezza – cioè l’intossicazione acuta di alcool – esclude (se
piena) o diminuisce (se parziale) l’imputabilità soltanto se derivata da
caso fortuito o da forza maggiore
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Soltanto nel caso che l’individuo, nel momento in cui ha ingerito
l’alcool (o la sostanza stupefacente… v. art. 93 c.p.) non abbia voluto
ubriacarsi, non abbia previsto di ubriacarsi e non abbia potuto nemmeno
prevedere di ubriacarsi, si ha l’ubriachezza accidentale, cioè dovuta al
caso fortuito o a forza maggiore.
Del reato commesso in stato di ubriachezza (o stupefazione)
accidentale l’individuo non risponde affatto (se si trattava di ubriachezza
piena) o risponde con pena diminuita (se si trattava di ubriachezza
semipiena ai sensi
dell’art. 65 n. 3 c.p.).
Per sostanza stupefacente si intende quella che – comunque
composta – produce in un determinato individuo effetti di eccitazione
inebriante seguiti da obnubilazione della coscienza, stato crepuscolare,
confusione o torpore o paresi mentale.
Pertanto, la prova che una sostanza sia stupefacente è data dagli
effetti prodotti o producibili su una determinata persona.
Il combinato disposto dagli artt. 93 e 91 c.p. attribuisce rilevanza,
sotto il profilo degli artt. 88 e 89 c.p., all’intossicazione accidentale, cioè
dovuta a caso fortuito o a forza maggiore.
L’art. 92 c.p. recita: “L’ubriachezza non derivata da caso fortuito o da
forza maggiore non esclude né diminuisce la imputabilità.
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Le indagini da svolgere per accertare se l’ubriachezza è derivata o meno da caso fortuito o forza maggiore, sono le
seguenti. Bisogna accertare se nel momento in cui ingerì l’alcool l’individuo:
a) Voleva ubriacarsi (è da escludere senz’altro l’ubriachezza accidentale quando si accerti che il soggetto ha
voluto ubriacarsi per festeggiare, ad es., una vincita al gioco);
b) Prevedeva di ubriacarsi (perciò, nel caso prospettato è pure da escludere l’ubriachezza accidentale quando si
accerti che il soggetto ha esitato prima di bere appunto nel timore di ubriacarsi), Cfr., Codice Penale Carrabba
E. F., Firenze, Laurus Ed., 1984, pag. 180 ss..