MUBI: La Netflix del cinema d’autore Roberta D’ Addario
Introduzione
Negli ultimi anni le piattaforme di streaming video hanno completamente rivoluzionato il mercato
televisivo, il modo di fare televisione e le abitudini di visione dei fruitori.
Netflix domina il mercato con un servizio complessivamente presente in 90 paesi e disponibile in
121 lingue e con un fatturato di 29,7 miliardi di dollari (dato aggiornato al 2021 ), seguito da
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Amazon e da Disney.
Si tratta di grandi player generalisti che offrono cataloghi ricchi e variegati di film, serie tv, show e
documentari, piattaforme che fanno uso di algoritmi sofisticatissimi che hanno il compito di
profilare gli utenti e governare questa enorme complessità, proponendo a ciascuno spettatore un mix
di contenuti personalizzato in base a dati demografici ed abitudini di visione.
Si tratta di “televisioni via internet” (anche se questo appellativo è impreciso e decisamente
limitato, poi vedremo perché) che mettono insieme pubblici anche molto diversi, gruppi
demografici talmente vari da coinvolgere quasi l’intera popolazione dei paesi sviluppati (e larga
parte anche di quelli in via di sviluppo).
Le esigenze di capitale per un business di questo tipo sono ovviamente enormi, le società che li
gestiscono major hollywoodiane come Disney, HBO, Paramount e NBCUniversal o grandi aziende
nel settore tech come Amazon e, più recentemente, Apple. Le scelte di produzione e editoriali
governate da algoritmi.
Ma esiste un’alternativa a tutto ciò?
Piattaforme piccole e, a volte, piccolissime ci provano tutti gli anni, in nome della libertà di impresa
e di espressione, ma la maggior parte sopravvive solo per alcuni mesi.
Saremo, quindi, costretti a sottostare ad un oligopolio in cui poche aziende enormi, molte delle quali
attive anche in altri settori, faranno il bello e il cattivo tempo del nuovo mercato televisivo?
Aziende in cui le scelte di palinsesto saranno demandate (quasi) in toto ai sowftware, senza
l’intervento di curatori e responsabili della programmazione umani?
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Fonte: Google
1
https://about.netflix.com/it
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MUBI: La Netflix del cinema d’autore Roberta D’ Addario
V ogliamo credere di no ed è per questo che, nella nostra analisi, dopo aver dato un’immagine
generale del settore, prenderemo in considerazione alcuni modelli alternativi di piattaforme di
nicchia rivolte a pubblici o generi specifici che stanno conoscendo un discreto successo mondiale.
In particolare, analizzeremo MUBI, piattaforma fondata dall’ingegnere turco Efe Cakarel nel 2007 e
dedicata ai film d’autore, che sta conoscendo una crescita lenta ma costante, la quale ha subito
un’accellerazione negli ultimi anni, anche a causa della pandemia di covid-19.
La analizzeremo in profondità, prendendone in considerazione il business model, la strategia di
branding, le scelte editoriali, le partnership e le acquisizioni per capire il perché del suo successo,
sicuramente limitato rispetto a quello di Netflix e gli altri colossi mainstream, ma comunque reale,
con lo scopo di delineare un modello alternativo a quello generalista e capire se questo è sostenibile
nel medio-lungo periodo.
Infine, negli ultimi capitoli, proveremo ad immaginare anche delle ulteriori alleanze strategiche, dei
possibili ampliamenti dell’offerta e strategie promozionali per l’azienda in questione, allo scopo di
solidificare ulteriormente la sua posizione di mercato ed, eventualmente, accrescerla.
Un piccolo viaggio attraverso una Netflix del cinema d’autore, in cui c.rcheremo di rispondere alla
domanda se il marketing di nicchia o concentrato sia un’alternativa possibile nello spietato settore
delle streaming television.
Buona lettura.
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MUBI: La Netflix del cinema d’autore Roberta D’ Addario
Capitolo 1: Il mercato internazionale delle streaming
television
1.1 La televisione al tempo di internet
1.1.1 La connecting television e i player OTT
La televisione, così come la conoscevamo fino a 20 anni fa, ha subito ed è, al contempo, stata
protagonista di un’importante evoluzione negli ultimi tempi.
Coadiutori e responsabili di questa trasformazione la diffusione delle tecnologie di rete sotto
protocollo IP (internet), la conversione dei formati analogici in digitali, la diffusione della banda
larga e del wi-fi, ossia di un insieme di tecnologie per reti locali senza fili.
A partire dal 2005, infatti, all’avvio di quella fase contrassegnata dal web 2.0, dalla disponibilità di
connettività a banda larga, dall’integrazione dei dispositivi mobili nella rete internet e dalla nuova
centralità che nelle pratiche di consumo hanno acquisito i social network sites anche il medium
televisivo ha preso atto ed inglobato queste trasformazioni .
3
«Le generazioni più giovani, in particolare», sostenevano i professori Alberto Marinelli e
Giandomenico Celata già nel 2012, «sembrano aver rimosso la televisione broadcast dalle loro
abitudini di consumo ed entrano in contatto con i contenuti televisivi quasi solo attraverso la
mediazione di piattaforme online» .
4
In tutto ciò, lo schermo televisivo è diventato sempre più un connected device in grado di dialogare
o competere con altri dispositivi personali (tablet, smartphone, personal computer) connessi alla
rete, determinando una profonda alterazione del regime temporale attraverso il quale vengono
gestiti l’accesso e le modalità di fruizione dei contenuti rispetto all’esperienza di visione che ha
caratterizzato per decenni la televisione di flusso .
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5
ivi, p. 23-24
4
ibid
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Marinelli Alberto e Celata Giandomenico, Connecting television: La televisione al tempo di internet, Guerini
Scientifica, 2012
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MUBI: La Netflix del cinema d’autore Roberta D’ Addario
Il televisore analogico a tubo catodico è ormai sostituito dagli schermi piatti a LED che sono, più
propriamente, dei computer con un grande schermo.
Tali dispositivi possono connettersi ad internet, oltre che all’antenna del digitale terrestre e a quella
satellitare, possono riprodurre i DVD o i video che teniamo su un hard disk o nel computer e
offrono una buona resa anche per i videogiochi. Su di essi è possibile anche cercare direttamente i
video su YouTube o sul sito di un giornale quotidiano.
Si tratta di una tv connessa, che presenta una schermata a icone, in cui ogni utente, come fa col suo
pc, colloca quelle che più gli servono nell’ordine che preferisce. Il telecomando si trasforma, così,
in una specie di mouse per comunicare al sistema le nostre indicazioni.
Si seguono i programmi televisivi nel giorno e nell’orario in cui vengono offerti dal palinsesto
(visione lineare), oppure quando si ha il tempo e la voglia, diventando quindi i protagonisti di un
palinsesto personalizzato (visione non lineare). In ciò, siamo aiutati da un EPG, la guida elettronica
ai programmi, che memorizza le nostre visioni preferite e ci suggerisce cosa vedere sulla base delle
preferenze che noi stessi abbiamo comunicato .
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Non solo cambiamenti nei dispositivi di fruizione (televisori connessi, ma anche tablet e
smartphone), la conquista dei mercati internazionali da parte di Netflix e l’arrivo della piattaforme
di streaming lanciate dai grandi player dei media (come Disney+, HBO Max, Peacock) e della
tecnologia (AppleTV+ e Amazon Prime Video) hanno obbligato tutti gli operatori dell’audiovisivo
a rivedere le proprie strategie .
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Le emittenti tradizionali si sono dotate di siti per ritrovare i programmi già trasmessi (la cosidetta
catch-up television di RaiPlay, Rivedila7 e Mediaset Infinity), o scoprirne di inediti, e sono
comunque tutte ricevibili anche al di fuori del televisore e dell’ambito domestico, su computer
portatile, tablet ecc. .
8
La televisione si è, quindi, ristrutturata in tre livelli: quella gratuita, quella pay per view (disponibile
già dai primi anni duemila), proposta da emittenti quali Sky, e il video on demand.
La differenza tra televisione, video e cinema si ridefinisce e in qualche modo si assottiglia, le
pratiche e le abitudini di visione si moltiplicano, spesso biforcandosi tra la visione in diretta e quella
in differita a seconda del tipo di contenuto e del coinvolgimento (tipicamente sport e show in
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9
ibid
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Menduini Enrico, Video Storia: l’Italia e la tv, 1975 – 2015, Bompiani, 2018
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Corvi Ester, Streaming Revolution: dal successo delle serie alla competizione a tutto campo per conquistare il pubbico,
Dario Flaccovio Editore, 2020
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Menduini Enrico, Video Storia: l’Italia e la tv, 1975 – 2015, Bompiani, 2018
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MUBI: La Netflix del cinema d’autore Roberta D’ Addario
diretta, film e serie senza vincoli di spazio o di tempo).
La televisione, che aveva in gran parte determinato la “rilocazione” del film fuori dalla sala
cinematografica, a sua volta viene adesso “rilocata” fuori dal salotto domestico, su altri dispositivi -
portatili e non - e in altri luoghi .
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Alla tv contemporanea non resta che prendere atto del progressivo affrancamento delle audience
(iniziato con il VHS e il video recording) dai tempi della programmazione televisiva broadcast,
grazie alle tecnologie timeshifting, che disarticolano l’idea di flusso e la ritualità del consumo ad
esso collegato.
In modo ancora più radicale la tendenza verso la tv anytime si esprime all’interno di quel complesso
ecosistema televisivo e, più in generale, mediale in cui le tecnologie di time shifting si ibridano con
la logica del placeshifting.
La tv anywhere rappresenta, quindi, la dimensione complementare al processo di liberazione dal
regime temporale imposto dal producer controlled flow (il flusso dei programmi nella tv lineare),
consentendo il consumo dei contenuti video attraverso differenti device (pc, second screen, game
console, connected television) e in qualsiasi luogo (outdoor o indoor) .
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Netflix, Prime Video e gli altri utilizzano, inoltre, strumenti e tecnologie sempre più avanzati basati
sull’intelligenza artificiale per conoscere al meglio i propri utenti, fornire loro consigli
personalizzati (reccomendation) e tracciarli nelle loro esperienze di visione, fino a ideare e produrre
nuove serie tv e show a seconda dei gusti del pubblico stesso (o di nicchie di pubblico) in base ai
big data da essi raccolti .
12
Per questo motivo si è gradualmente interrotta la pratica di realizzare pilot (la prima puntata di una
serie televisiva) e, dopo i riscontri del caso, decidere se procedere o meno con gli episodi
successivi.
Netflix e Amazon, infatti, (ma non solo loro) producono direttamente serie intere dal momento che
conoscono già, con un buon grado di approssimazione, quale tipo di risposta giungerà dal pubblico
13
. Insomma, le piattaforme OTT (Over the Top, acronimo utilizzato per indicare i nuovi entranti del
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Cucco Marco, Economia del film. Industria, politiche, mercati, Carocci Editore – Studi superiori, 2020
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Corvi Ester, Streaming Revolution: dal successo delle serie alla competizione a tutto campo per conquistare il
pubbico, Dario Flaccovio Editore, 2020
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Marinelli Alberto e Celata Giandomenico, Connecting television: La televisione al tempo di internet, Guerini
Scientifica, 2012
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Menduini Enrico, Video Storia: l’Italia e la tv, 1975 – 2015, Bompiani, 2018
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settore legati alle tecnologie web), distribuendo i contenuti tramite la rete, hanno cambiato le regole
del gioco, con effetti disruptive su tutta la filiera .
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Si tratta, per altro, di aziende prive degli insediamenti materiali e fisici delle “vecchie” televisioni
(pay tv come Sky comprese): niente torri con trasmettitori e ripetitori, antenne o installatori e
sempre più spesso nessuna redazione, studi televisivi, registi o giornalisti; i contenuti, del tutto
digitali e virtualizzati, “volano” su reti che queste aziende non hanno costruito né pagato, senza
spese di trasporto e di consegna.
Tali soggetti operano a livello internazionale o globale senza spese di diffusione, di delivery dei loro
prodotti, i quali contengono sempre un sistema DRM (Digital Rights Management), che ne
impedisce la riproduzione non autorizzata, almeno a chi non sia un hacker provetto.
Gran parte di questi servizi richiede un pagamento, ma anche la pubblicità può essere un’entrata
significativa . I recenti cambiamenti della tecnologia e dei gusti del pubblico spingono anche molte
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aziende televisive tradizionali ad arricchire la proprio offerta con servizi e piattaforme direct to
consumer (si veda il già citato tentativo della Rai con RaiPlay, ad esempio).
Le aziende televisive tradizionali vogliono, infatti, cogliere alcuni punti di forza di player come
Netflix, cioè la profilazione dei clienti e il loro engagement, sperando che ciò consenta una
monetizzazione più efficiente rispetto alla tv lineare, grazie a reccomendation personalizzate e ad
annunci pubblicitari più mirati, nel caso di piattaforme che li comprendano .
16
Il fatturato mondiale dei video OTT, secondo le stime di BlueWeave Consulting, così come
riportato da globenewsire.com, corrispondeva a 104.2 miliardi di dollari a fine 2021, con un netto e
ulteriore balzo in avanti rispetto al 2019 ; un trend positivo velocizzato dalla situazione pandemica
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che ha fortemente limitato altre forme di svago ed intrattenimento.
Qualcosa di simile è avvenuto, infatti, anche per l’industria del videogioco, con un fatturato stimato
di 180.3 miliardi di dollari nello stesso anno e margini di crescita ancora più promettenti .
18
Nonostante, infatti, il pioniere Netflix abbia perso circa 200.000 sottoscrittori durante i primi tre
mesi del 2022 in confronto all’ultimo trimestre dell’anno precedente, c’è da mettere in conto che il
fatturato dell’azienda di Reed Hastings continua a crescere, sebbene ad una percentuale del 9,8% e
18
https://newzoo.com/insights/articles/the-games-market-in-2021-the-year-in-numbers-esports-cloud-gaming/
17
https://www.globenewswire.com/news-release/2022/04/07/2418692/0/en/Global-OTT-Services-Market-to-Boost-in-C
oming-Years-Projected-to-Reach-worth-USD-293-0-Billion-in-2028-BlueWeave-Consulting.html
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Corvi Ester, Streaming Revolution: dal successo delle serie alla competizione a tutto campo per conquistare il
pubbico, Dario Flaccovio Editore, 2020
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Menduini Enrico, Video Storia: l’Italia e la tv, 1975 – 2015, Bompiani, 2018
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non del 24% come ad inizio 2021, ed il tasso di penetrazione delle famiglie provviste di banda larga
a livello globale si attesta ancora al di sotto del 50% con un’apprezzabile crescita potenziale
(quest’ultimo fatto anche a causa degli abbonamenti condivisi, pratica che la piattaforma si sta
impegnando a scoraggiare) .
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La perdita di abbonati del gigante dello streaming può essere anche in parte imputabile all’emergere
di nuovi e agguerriti competitor provenienti dalle major cinematografiche (i grandi produttori e
distributori di cinema hollywoodiani) come Disney, che vogliono riconquistare i diritti che avevano
in precedenza ceduto per sfruttarli in maniera esclusiva sulle loro piattaforme di streaming, o dai
grandi colossi della tecnologia come Apple e alla progressiva saturazione del mercato in paesi quali
Stati Uniti e Canada .
20
Sebbene, infatti, il mercato globale delle OTT continui a espandersi rapidamente, il ritmo di crescita
è destinato a ridursi di anno in anno, a mano a mano che sempre più mercati raggiungeranno la
massima maturità in termini di abbonati .
21
In questo contesto altamente competitivo l’affermazione “Content is king” è vera più che mai; i
maggiori player delo streaming video, per battere la concorrenza, devono lanciare continuamente
delle novità, al fine di tenere alto l’interesse degli abbonati ed evitare che disdicano l’abbonamento
. Programmazione originale ed esclusività del contenuto sono due capisaldi della strategia portata
22
avanti dai player delle OTT TV . Il punto critico è che questa strategia richiede elevati investimenti
per avere contenuti sempre nuovi e di qualità.
La programmazione globale deve essere, inoltre, affiancata a quella locale, per mantenere e
conquistare nuovi abbonati nei vari paesi.
In un ambiente sempre più competitivo, i nuovi operatori dei media che entrano sulla scena hanno,
però, il vantaggio, rispetto alle società che vendono prodotti di consumo, che gli utenti sono disposti
ad abbonarsi non soltanto ad una, ma a più piattaforme, rispettando un tetto di spesa complessivo .
23
Netflix è, fra gli OTT, quello che investe di più in contenuti, a costo di avere un flusso di cash flow
negativo e doversi finanziare sul mercato con l’emissione di bond, mentre un colosso come Amazon
può contare sull’ingente flusso di cassa che deriva dal proprio marketplace e dalle altre attività.
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ivi, p. 100
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ivi, p. 28
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pubbico, Dario Flaccovio Editore, 2020
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https://www.ft.com/content/c3b63a57-0d46-41c7-8f6b-c61d388db039
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https://www.forbes.com/sites/tonifitzgerald/2022/04/19/with-subscribers-in-decline-what-does-the-future-hold-for-netf
lix/
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MUBI: La Netflix del cinema d’autore Roberta D’ Addario
Accanto ai giganti ci sono le piattaforme più piccole che stanno aumentando le loro basi di
abbonati, cercando di ritagliarsi uno spazio in nicchie di mercato .
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È il caso di MUBI, portale di film d’autore e social network site dedicato agli appassionati della
settima arte di tutto il mondo e dotato esso stesso di una certa longevità (è stato fondato nel 2007
sotto il nome di The Auteurs), che è il nostro caso di studio in questa sede, in quanto presenta un
modello di business peculiare e, per certi versi, opposto a quello di Netflix (almeno sulla carta).
Riassumendo, quindi, le caratteristiche peculiari dei player OTT possono essere così sintetizzate:
1) La flessibilità dei tempi di fruizione (tv anytime);
2) La flessibilità del contesto di consumo (tv anywhere);
3) Un generale senso di abbondanza dell’offerta che l’utente percepisce e che le piattaforme
enfatizzano per incoraggiare sottoscrizioni e rinnovi;
4) I bassi costi di accesso: la sottoscrizione di un abbonamento (di norma il modello di
business più diffuso per queste piattaforme, come vedremo nel prossimo paragrafo) consente
di accedere a cataloghi generalmente ricchi e di effettuare consumi ripetuti, pagando un
prezzo fisso e contenuto, più conveniente rispetto a quello del biglietto della sala o
dell’acquisto di un DVD .
25
1.1.2 I modelli di business delle OTT TV
Le piattaforme OTT sono in aumento, rendendo la competizione nello streaming video sempre più
accesa, ma se in comune hanno la caratteristica di permettere l’accesso degli utenti a show, serie tv
e film secondo modalità nuove (come, dove e quando vogliono), di fatto applicano differenti
modelli di business, che permettono di generare ricavi grazie agli incassi derivanti dall’acquisto o
dal noleggio di un singolo prodotto, oppure tramite gli abbonamenti, o, ancora, dalla combinazione
di abbonamenti ed entrate degli annunci pubblicitari .
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Con la crescita del numero dei competitor è probabile che l’inserzione di annunci pubblicitari
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pubbico, Dario Flaccovio Editore, 2020
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Cucco Marco, Economia del film. Industria, politiche, mercati, Carocci Editore – Studi superiori, 2020
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ivi, p. 48-50
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MUBI: La Netflix del cinema d’autore Roberta D’ Addario
diventi una pratica più diffusa . Inoltre, man mano che la crescita di sottoscrittori delle principali
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piattaforme di OTT TV in abbonamento continua a diminuire, queste stanno esplorando fonti di
introito aggiuntive o alternative in modo da supportare la creazione di contenuti .
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Nel prossimo futuro si può immaginare una polarizzazione del mercato fra piattaforme streaming
che inseriranno la pubblicità e altre che non lo faranno.
La prima opzione è senza dubbio la più agevole per le OTT TV che offrono contenuti dal vivo,
come gli eventi sportivi e gli show in diretta.
In ogni caso si andrà, presumibilmente, verso la concentrazione del settore intorno a quattro o
cinque grandi player .
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Prima di proseguire nella nostra trattazione e di concentrarci sui principali competitor del settore, è
importante fare chiarezza su quelli che sono i modelli di business ed i principali termini (o
acronimi) che caratterizzano il mondo delle OTT TV .
Innanzitutto occorre fare una distinzione tra OTT Service Providers (fornitori di servizi OTT) e OTT
Platforms (piattaforme OTT): i primi sono le aziende che propongono servizi di streaming di film e
programmi tv (serial, show, eventi musicali o sportivi che siano), le seconde sono i sistemi e i
servizi che li ordinano tramite gruppi e liste, programmano ed effettuano lo streaming degli stessi.
Ulteriore branca dello streaming è rappresentata dai cosiddetti Live Streaming Systems, sistemi
hardware e software utilizzati per produrre dirette (live streaming) di eventi e spettacoli, che
richiederebbero una trattazione a parte rispetto alle OTT TV che in questa sede analizziamo, e i
Content Distribution Networks (CDNs), servizi che gestiscono la distribuzione di film, show e
video a molteplici punti .
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In seguito alla diffusione degli OTT (sia nel senso di OTT Providers che di OTT Platforms), si parla
spesso di MPVD (Multichannel Video Programming Distributor) virtuali (in breve, VMPVD).
Gli MVPD virtuali ricreano fondamentalmente l’offerta tradizionale della tv a pagamento, ma, a
differenza di questa che usa il cavo, il satellite o le reti, trasmettono i loro servizi tramite internet ad
un costo inferiore e con maggiore flessibilità di prezzo.
Alcuni VMPVD provengono da nuovi entranti come YouTube TV , PlayStation Vue (Sony) e Fubo
TV , mentre altri derivano da player già esistenti.
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Harte Lawrence, OTT Business Opportunities: Streaming, TV Advertising, TV Apps, Social TV , & Commerce, 2019,
DiscoverNet Publishing
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Corvi Ester, Streaming Revolution: dal successo delle serie alla competizione a tutto campo per conquistare il
pubbico, Dario Flaccovio Editore, 2020
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https://fortune.com/2022/05/03/netflix-ad-revenue-streaming-platforms-tech-advertising-media-rajeev-goel/
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ibidem
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Gli MVPD virtuali rappresentano un’evoluzione importante della pay tv per spostarsi in un
ambiente digitale al di fuori del controllo degli operatori tradizionali, ma il modello di business è
sostanzialmente lo stesso: il contenuto delle reti multimediali transita ancora da un distributore
prima di raggiungere l’utente.
Il modello di business della maggior parte delle OTT TV è, però, DTC (Direct To Consumer). Le
società media, infatti, in questo caso aggregano i diritti dei loro programmi e li vendono
direttamente agli utenti, evitando del tutto gli MVPD.
L’aspetto interessante è che questi soggetti non hanno necessariamente bisogno di possedere i diritti
di proprietà intellettuale dei programmi (intellectual property rights), ma solo quelli di distribuzione
(distribution rights). Per esempio, Netflix distribuisce sia i contenuti originali sia quelli in licenza
sulla sua piattaforma.
Per tenere il passo con i tempi, i grandi gruppi mediali hanno deciso nel 2019-2020 di lanciare i
propri servizi DTC, come nel caso di Disney (Disney+), ma anche di WarnerMedia (HBO Max) e
Comcast (Peacock) , non tutti ancora presenti in Europa.
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Se nel campo dei media il DTC è un modello di business relativamente nuovo, per i marchi di tutti i
settori è sempre stata una scelta fondamentale quella di vendere direttamente ai consumatori oppure
tramite i distributori all’ingrosso, o di usare entrambe le modalità .
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Un altro modo per distinguere i contenuti video è legato alla loro disponibilità temporale: contenuti
lineari e video on demand (VOD). Il video lineare è il sistema utilizzato dalla tv tradizionale, in
base al quale i contenuti sono organizzati in un flusso simultaneo e pianificato, consentendo a tutti
gli utenti di sintonizzarsi sullo stesso programma nello stesso momento. Al contrario, le offerte
video on demand permettono all’audience di vedere i programmi disponibili ogni volta (e
dovunque) lo desiderano.
In generale, i player OTT vengono distinti in base alle fonti attraverso le quali vengono generati i
ricavi: inserzionisti pubblicitari o consumatori finali (tramite abbonamento o singole transazioni),
oppure entrambi. Ogni modello di business ha pro e contro, a seconda delle caratteristiche
dell’operatore, della strategia che persegue (locale o globale, generalista o tematica/di nicchia) e
della tipologia dei contenuti che offre (film, serie tv, show, documentari, sport) .
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pubbico, Dario Flaccovio Editore, 2020
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pubbico, Dario Flaccovio Editore, 2020
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