6
ξ favorire l’apprendimento guidato grazie alla
collaborazione fruitore-formatore.
Esse si inseriscono sempre più nella formazione, il loro aiuto
in tal senso va crescendo di importanza e potenza. L’approccio
più prolifico vede l’integrazione della formazione tradizionale
con quella a distanza. Quindi le nuove esperienze formative si
avvalgono sempre più delle opportunità offerte dalle nuove
tecnologie, Internet in testa. Parliamo di e-learning
1
. La
formazione a distanza, i supporti tecnologici all’informazione,
le risorse infinite che ci apre il mondo del Web, tutti elementi
che contribuiscono in maniera decisiva a rendere la
formazione più flessibile permettendo di ottimizzare il
rapporto costi-benefici di una formazione sempre più
personalizzata e coinvolgente.
Grazie all’intervento del computer, gli orizzonti della
formazione si ampliano anche oltre la realtà fisica, come
avviene quando si utilizza la simulazione a scopo formativo.
Le simulazioni corrispondono ad ambienti simili a quelli reali,
ma in cui vi è l’assenza dei rischi che incontreremmo in un
contesto reale. Fino ad oggi le simulazioni su computer, ed in
particolare le simulazioni con modello dinamico, sono state
adottate principalmente come strumento di apprendimento
nei contesti aziendali
2
(i business game descritti nel terzo
capitolo). Noi crediamo che tale strumento possa rivelarsi
1
Definiamo l’e-learning come «un tipo di istruzione distribuita
elettronicamente, in parte o completamente utilizzando un browser Web,
attraverso reti Internet o Intranet, o attraverso supporti multimediali quali
Cd Rom» [www.brandon-hall.com].
2
Per un’analisi dell’uso dei modelli dinamici di simulazione in contesti
lavorativi si rimanda a:
¾ Ceriani, La simulazione nei processi formativi, una metodologia per un
pensiero creativo progettuale, Milano, Franco Angeli, 1996
¾ Tesi di Laurea di Arianna Palluzzi, Il business game dall’aula alla rete,
Facoltà di Scienze della Comunicazione, Università La Sapienza di
Roma, scaricabile dal sito www.tesionline.it
7
idoneo anche in ambienti differenti, come quello scolastico (si
veda il caso di applicazione preso in esame nel quinto
capitolo).
Il presente lavoro si pone l’obiettivo di avvicinare il lettore
all’uso delle simulazioni nell’apprendimento sia in presenza
che a distanza. Vogliamo solo introdurre una possibilità di
ricerca in tale campo, poiché ancora molte cose sono da
studiare in riferimento alle diverse fasi di cui il processo
didattico si compone.
Per iniziare vorremmo spiegare perché la scelta del termine
“education” nel titolo. La questione rimanda in particolare
all’area semantica del termine, che indica nello specifico il
processo di insegnamento/apprendimento. Dal momento che
il termine inglese “education” viene tradotto nelle lingue latine
con educazione, educaccion, éducation, va messo in conto che in
queste lingue la sua area semantica è molto più ampia. Il
Vocabolario della Lingua Italiana Treccani lo definisce così:
«In generale, l’attività, l’opera, e anche il risultato di educare, o
di educarsi, come sviluppo di facoltà e attitudini, come
affinamento della sensibilità, come correzione del
comportamento, come trasmissione e acquisizione di elementi
culturali, estetici, morali». L’educare non riguarda solo
l’attività formalizzata dell’impartire un’istruzione, ma acquista
un significato più globale che lo rende prossimo ad altri
concetti, come quello di socializzazione e di trasmissione
culturale. Inoltre, in questo particolare lavoro, l’educazione è
vista non soltanto inerente l’ambito dell’istruzione primaria e
secondaria, ma anche come formazione post-secondaria e
dell’educazione degli adulti in genere, compresa “l’educazione
continua” [Rivoltella, 2001]. Insomma, l’inglese è sintetico, le
lingue latine no. Ecco perché abbiamo scelto il termine
“education”, che con una sola parola racchiude tanti diversi
aspet t i , che diversamente non sembra abbracciare il termine
italiano “educazione”.
8
Il primo capitolo mira a fornire le basi per comprendere a
fondo i concetti che spiegano la nascita ed il funzionamento
delle simulazioni: il Pensiero Sistemico e la Dinamica dei
Sistemi. Lo sviluppo dell’argomento percorre un andamento
top-down come mostrato in figura 1: a partire dai costrutti
teorici ampi che hanno dato vita ad un nuovo modo di
“vedere il mondo”, incarnato nel Pensiero Sistemico, si passa
alla disciplina che ha permesso di attuare in forma soprattutto
pratica, grazie all’intervento dei vari diagrammi e alla
conseguente implementazione della simulazione, i principi del
Pensiero Sistemico: la Dinamica dei Sistemi.
Figura 1. Diagramma cap. I
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In seguito, nel secondo capitolo, vengono presentati i trend
attuali nel campo della formazione – e con questo non
intendiamo solo “educazione degli adulti” – cercando di
attenersi ad un’analisi sia degli ambienti d’apprendimento in
presenza che a distanza (e-learning). Scopo di questo capitolo
è evidenziare come tali trend ben si adattano agli assunti
fondamentali del Pensiero Sistemico e della Dinamica dei
Sistemi.
Figura 2. Diagramma cap. II
Il terzo capitolo si concentra su uno dei principali strumenti di
studio introdotti dalla Disciplina dei Sistemi Dinamici: le
simulazioni su computer (computer based simulation). Tali
dispositivi vengono presentati come conformi alle necessità
prospettate nel precedente capitolo, i trend educativi della
formazione. Le simulazioni qui vengono viste sia come
strumenti di apprendimento precostituiti, utili ad avviare
un’esperienza istruttiva fondata sui principi del situational
learning, sia come momenti di costruzione delle simulazioni
stesse, cioè come momenti cha aiutano a capire la realtà
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tramite la costruzione del modello che la rappresenta. Le
simulazioni sono considerate, nel presente lavoro, come
modalità formative che seguono un’impostazione sistemica.
11
Figura 3. Diagramma cap. III
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Nel quarto capitolo si presenta un possibile approccio
valutativo delle simulazioni, inserito in una prospettiva
generale di valutazione complessiva dell’intervento formativo.
Figura 4. Diagramma cap. IV
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Infine, nell’ultimo capitolo, viene presentato un caso di
applicazione in ambito scolastico: l’uso di un software per
creare simulazioni con modello dinamico nello studio del
poema di Shakespeare, Amleto.
Figura 5. Diagramma cap. V
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Un modo
diverso di
vedere il
mondo
Fin dall’infanzia ci viene insegnato a scomporre i problemi e a
frammentare il mondo. Questo procedimento, però, rende più
gestibile la complessità solo ad un livello apparente: in realtà,
in questo modo, non riusciamo a vedere le conseguenze delle
nostre azioni e il fatto che siamo parte di un insieme più
grande. Il Pensiero Sistemico suggerisce un modo particolare
per guardare la realtà che ci circonda.
Tra i divulgatori del Pensiero Sistemico ritroviamo Peter
Senge, che con la sua “Quinta disciplina” apre le porte per uno
sguardo più “sistemico” nei confronti della realtà che ci
circonda. Il Pensiero Sistemico sottolinea come spesso siamo
prigionieri delle nostre stesse convinzioni, siamo prigionieri di
meccanismi che non identifichiamo né conosciamo. Ma, per
liberarsi, basta aprire le porte e ri-conoscere questi
meccanismi: basta rendersi conto di quali sono i limiti per
poterli superare!
Molti di noi hanno interiorizzato la convinzione di essere
impotenti e incapaci al punto di non riuscire a ottenere le cose
che veramente ci interessano. Oppure che non meritiamo di
avere quello che desideriamo. L’insieme di tali convinzioni
15
proviene dai nostri contatti con il mondo, dalla nostra
esperienza ed educazione. Ma sembra proprio che tutti questi
limiti vengano interiorizzati col crescere: un bambino non si
pone il problema se saprà o non saprà andare in bici, ci va e
basta. Tali limiti pesano nella vita di tutti i giorni di ciascuno
di noi, ma ancor di più nelle organizzazioni.
Mai come oggi le organizzazioni hanno bisogno di apprendere
per andare avanti, e hanno bisogno di apprendere in un modo
nuovo. Ed è per rispondere a queste esigenze che si stanno
facendo strada, secondo i principi del Pensiero Sistemico,
cinque “tecnologie di componenti” che convergono per
trasformare in innovazioni le organizzazioni che apprendono
[Senge, 1992]. Esse sonno così classificabili:
1. il Pensiero Sistemico (quello che a noi più interessa in
questa sede): tutto è un sistema, compresi noi stessi. Il
tutto può essere maggiore della somma delle sue parti.
Il Pensiero Sistemico è uno schema concettuale, un
insieme di conoscenze e strumenti per aiutarci a capire
i modelli e a cambiarli in modo efficace. Il Pensiero
Sistemico è l’arte e la scienza di fare inferenze
attendibili sul comportamento della realtà tramite una
comprensione approfondita della struttura sottostante.
È un potente mezzo d’apprendimento e di
comprensione;
2. la padronanza personale: per cercare di essere il più
obiettivi possibili è necessario mettersi sempre in
discussione;
3. i modelli mentali: ipotesi profonde e radicate che
determinano il modo di comprendere il mondo e di
agire;
4. costruire una visione condivisa: per raggiungere un
obiettivo è necessario sviluppare una visione di esso,
un motore per dar forza alle nostre azioni;
16
5. l’apprendimento di gruppo: apprendere a livello di
gruppo è vitale per far si che l’apprendimento procuri
le conseguenze desiderate. Esso inizia con il
“dialogo”(mettere in dubbio le ipotesi precedenti per
dar vita ad un “pensare in comune”).
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Alla base del Pensiero Sistemico sta la visione di un mondo
formato da forze collegate. Dovremmo guardare ad esso
facendo attenzione agli interi, anziché alle cose singole, ai
processi di cambiamento piuttosto che alle istantanee statiche,
alle interrelazioni invece che alle catene lineari di causa-
effetto. Ogni impresa umana è riconducibile ad un sistema: un
insieme (una collezione) di elementi che concorrono
(funzionano/collaborano) per uno stesso obiettivo. Ma dato
che noi stessi siamo parte di questa trama, vedere come il tutto
funziona è doppiamente difficile. Il Pensiero Sistemico è un
insieme di strumenti e tecniche specifiche derivanti da due
filoni:
1. dal concetto di retroazione della cibernetica;
2. dalla teoria del servomeccanismo dell’ingegneria.
Scopo principale è scoprire le strutture che sottostanno alle
situazioni complesse per distinguere gli elementi capaci di
provocare cambiamenti efficaci da quelli a basso effetto.
Esistono due tipi di complessità:
1. la complessità al dettaglio, con molte variabili;
2. la complessità di tipo dinamico, in cui i legami causa-
effetto non sono ovvi, in cui la stessa azione ha effetti
molto diversi a breve e a lungo termine e in cui
un’azione ha localmente un insieme di conseguenze e
in un’altra parte del sistema ha conseguenze del tutto
diverse. Questo è il tipo di complessità da cui deriva il
17
vero effetto leva, la vera forza che causa il
cambiamento.
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Il limite che più di ogni altro impedisce di adottare un
approccio sistemico è il fatto che vediamo la realtà come se
fosse una linea retta, mentre invece è un circolo in cui le azioni
possono rafforzarsi reciprocamente oppure agire l’una contro
l’altra. Una delle cause che spiegano questo modo di vedere la
realtà può essere ricondotta nella struttura della lingua che
utilizziamo per comunicare. Il nostro linguaggio modella la
percezione del mondo. Le lingue occidentali, con la loro
struttura soggetto-verbo-oggetto, sono orientate in modo
lineare. Le difficoltà sono molteplici nel momento in cui
bisogna descrivere un sistema non lineare con uno strumento
che ha nella linearità la sua struttura costitutiva.
Nel Pensiero Sistemico qualsiasi tipo di influenza viene
riconosciuta come retroazione -feedback-,
contemporaneamente causa ed effetto in un circolo di
influenza [Senge, 1992]. L’adozione di questa prospettiva di
reciprocità comporta il superamento di una visione
antropocentrica: l’essere umano stesso è parte del processo di
retroazione. Questo significa che non solo influenziamo la
realtà ma che ne siamo anche influenzati. Ognuno condivide la
responsabilità rispetto ai problemi presenti nel sistema.
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Per chiarire la rappresentazione di un sistema espresso sotto
forma di dipendenze si focalizza l’attenzione sulle relazioni
circolari di causa ed effetto o circuiti di retroazione. Un
circuito di retroazione è costituito da una sequenza chiusa di
relazioni causa-effetto. Al fine di comprendere meglio i
principi di comportamento potremmo dire che esso
rappresenta il legame che sussiste tra le decisioni (politiche di
comportamento), le azioni e le rispettive fonti di informazione.
Si viene quindi a creare una logica di tipo circolare (figura 1):
la decisione dà origine all’azione, l’azione che ne deriva
modifica la condizione attuale del sistema che, a sua volta,
fornisce informazioni relative al suo stato le quali
influenzeranno la decisione futura.
Figura 1. Circuito di retroazione
19
In sintesi, possiamo distinguere due distinti processi di
retroazione:
1. processi di retroazione di rafforzamento (ampliamento
o feedback positivo);
2. processi di retroazione di equilibrio (di stabilizzazione
o feedback negativo).
Solo quando ci renderemo conto dell’esistenza di questi
processi potremmo influenzarne il comportamento.