1 - Introduzione
Oggetto di questa tesi è lo studio di una serie di film che, sul finire del millennio, hanno
attirato l'interesse degli studiosi per le loro peculiarità. Oltre ad una regia molto legata ad
alcune forme del nuovo della contemporaneità questi film presentavano (soprattutto) una
forma narrativa insolita, che tende a prendersi gioco dello spettatore. Questa tendenza
1
rappresenta una delle più intricate forme della complessità narrativa raggiunte ad
Hollywood, all'interno del cinema commerciale.
Già, perché, come avremo modo di vedere, questi film si muovono all'interno di un
circuito di fruizione assolutamente mainstream, la loro distribuzione nelle sale è stata, nella
grande maggioranza dei casi, molto felice in termini di incassi ed il numero di spettatori
che hanno avuto accesso al film è stato incrementato da altrettanto riuscite edizioni del film
in varie modalità di home-video. Non parliamo quindi di opere di movimenti artistici o di
avanguardie, ma parliamo del prodotto commerciale, che i nostri occhi hanno visto
pubblicizzato sulle locandine o in trailer su qualche canale televisivo. Parliamo di lavori
estremamente pubblicizzati e diffusi, la cui fruizione è estremamente accessibile, ancor più
nell'era di internet e il cui influsso di senso, pur curando l'aspetto del divertimento in
maniera estremamente attenta, non si limita al mero intrattenimento e si dà senza esaurirsi
in esso.
Queste pellicole ripropongono infatti, mediante la trattazione di tematiche ai confini del
lecito o del comprensibile, attraverso personaggi, non-personaggi, eroi privi di qualsiasi
pregio, soggetti senza alcuna connotazione monumentale, tipica del personaggio
hollywoodiano degli anni del cinema classico, forme di intrattenimento quanto mai
conosciute, reinterpretandole effettivamente in maniera originale ma non modificandole
nella sostanza. Il punto di vista narrativo, che costituisce l'aspetto attraverso il quale
affronteremo questo nostro discorso sui film in oggetto, è in particolar modo riformulato
all'interno di queste opero in modo da essere sostanzialmente occultato alla vista, con la
conseguenza di uno spiazzamento dello spettatore, che cercando in una sala commerciale
un film conciliante si trova di fronte ad un'opera straniante, che ne ridicolizza l'aspettativa
e che, in ultima istanza, si prende gioco di lui.
1 Cfr. infra, cap. 3 par. 1;
3
La narrativa che si è consolidata ad Hollywood negli anni del cinema classico era infatti
caratterizzata dall'estrema riconoscibilità dei personaggi e delle situazioni, tanto da fare del
sistema dei generi, ad esempio, uno dei punti cardine intorno a cui far ruotare la
costruzione delle storie.
Questo aveva il duplice scopo di consentire agli sceneggiatori di avere dei punti fermi a
cui riferirsi e di offrire al pubblico degli appigli per evitare ridondanze semantiche o
didascaliche finalizzate all'introduzione del pubblico nell'universo diegetico. Allo stesso
modo Hollywood costruì un sistema di segni narrativi che fungessero da capisaldi, in modo
da carpire l'attenzione dello spettatore e veicolare il suo flusso emotivo verso
l'immedesimazione con la vicenda narrata. Il primo capitolo tratta di questo aspetto del
cinema americano, in particolar modo del suo universo comunemente definito “classico” e
del suo esaurire, in un certo senso, le proprie significanze strutturali.
La struttura, il sistema osseo sul quale veniva costruito il film, infatti, non ha subito, ad
Hollywood, un cambiamento sostanziale ma, al più, intorno ad esso è stata armata una
sorta di rivoluzione verso alcuni tabù, con lo scopo di rifunzionalizzare il linguaggio
hollywoodiano al servizio di storie più forti, come vedremo, sempre nuove e sempre
uguali. Il sistema industriale generò, quindi, dapprima, uno scheletro sul quale si è basata
la narrativa all'incirca fino agli anni Sessanta. Dopodiché attraverso un intenso lavoro delle
produzioni assieme ad alcuni autori di radicale importanza, Hollyowood, dopo il tramonto
della sua classicità, ha visto la nuova alba di un sistema nuovo, che trasformava ed
utilizzava in maniera incredibilmente innovativa le forme del classico.
Queste forme della classicità costituiscono il riflesso di una logica culturale, quella della
società statunitense, che in un primo momento collimavano con i contenuti espressi,
comunicando l'idea conciliante di un universo diegetico, che pur trattando tematiche
esistenziali importanti, non turbassero la pacifica esperienza dello spettatore. Questo in un
senso principalmente narrativo: al momento della visione il pubblico doveva essere in
condizione di seguire le vicende di eroi riconoscibili, attraverso personaggi decifrabili, che
agissero all'interno di una logica causale, in spazi ben qualificabili ed in tempi
sensatamente leggibili. Da un insieme combinato di queste esigenze, nacquero le strutture,
illustrate in questa tesi, attorno alle quali Hollywood ha costruito la narrazione di
innumerevoli storie e sulle quali lo spettatore ha costruito propri strumenti di lettura del
film.
4
La reinterpretazione di queste forme è spettata agli autori hollywoodiani di tutto il
dopoguerra, la cui fortuna ha consentito ad altri autori di affacciarsi sul panorama mondiale
ed il cui lavoro ha prodotto alcuni dei grandi capolavori della modernità. Il secondo
capitolo affronta invece, nel dettaglio, il modo in cui, gli autori delle pellicole in oggetto,
hanno affrontato il pesante bagaglio della classicità e della post-classicità
2
. Questi film
infatti rielaborano in maniera inedita il ruolo delle forme narrative cristallizzate nel primo
secolo di vita del cinema commerciale occidentale e le interrogano proprio a partire da un
rinnovato interesse per la fascinazione che la settima arte mette in scena. I suoi modi di
rappresentazioni subiscono oggi l'influsso del cinema digitale, i sistemi di produzione e le
logiche di distribuzione risentono di nuovi strumenti d'indagine, come internet o i cinema
multisala e i registi si formano con cento anni di linguaggio da studiare, capire,
riformulare.
Il problema maggiore nell'affrontare questo studio risultava essere una perenne necessità
d'integrazione, che rendeva impossibile guardare all'oggetto studiato come qualcosa di
definito. Le linee che ne delineano i confini sono tuttora sfocate ed i riferimenti a cui
prestare attenzione spuntano continuamente. Era pertanto necessario creare una struttura
analitica che riflettesse in qualche modo sia le peculiarità delle forme in analisi sia il loro
continuo ripresentarsi. Il proposito appariva forse troppo ambizioso, perciò il testo ha
puntato sulle tre unità aristoteliche, nell'accezione di queste accolta dalla narrativa
cinematografica, quale punto di riferimento per strutturare l'analisi, in modo da affrontare
esemplarmente dei film che sfruttano questi momenti formali del cinema contemporaneo
mainstream ed i modi di rappresentazione sfruttati da queste pellicole nell'affrontare l'unità
di tempo, l'unità di spazio e l'unità d'azione. La schematizzazione è però solo apparente.
Esse infatti non servono a catalogare i film che rientrano nel nostro studio ma fungono da
lente d'ingrandimento per la lettura di queste pellicole alla luce delle loro peculiarità.
Lo spazio è immediatamente collocabile poiché l'immagine è fondante nel linguaggio
cinematografico; il tempo costituisce la vera novità linguistica del cinema rispetto alle altri
arti figurali, per quanto la sua percezione rimanga effimera e per quanto sia limitata la
nostra capacità di descriverne le caratteristiche. L'azione è il vero motore narrativo, alla
quale gli sceneggiatori guardano con più attenzione e nella quale vengono formalmente
inscritte le altre due unità mediante le operazioni di rappresentazione.
2 Cfr. infra, cap. 2;
5
Il riferimento ad Aristotele, più volte menzionato all'interno del testo, è dovuto
primariamente a due fattori: in primis esiste una categoria di professionisti del cinema, a
cui si farà riferimento altrettanto di frequente, che, a partire dagli anni Ottanta, ha costruito
una vera e propria manualistica del cinema a partire dai precetti narrativi del filosofo
greco, indirizzata principalmente agli scrittori ma utilizzata dagli analisti
3
della scrittura
cinematografica come fonte di lettura. In secundis uno degli autori più importanti per
questo testo, vale a dire Warren Buckland
4
, ne fa esplicita menzione per spiegare la
complessità narrativa affrontata in queste pellicole, dimostrando l'efficacia del riferimento
ad Aristotele ancora in merito a storie estremamente recenti ed espletando così uno dei
punti cardine della presente analisi, che risiede nel fatto che determinate forme di
narrazione non sono mai variate nei secoli poiché spesso non rispondono solo alle esigenze
espressive dell'essere umano ma si spendono nel confrontarsi con la nostra logica
cognitiva, percettiva, sociale e culturale.
3 Cfr. infra, cap. 2;
4 Cfr., infra, cap. 3, par. 1;
6
2 - Dal cinema classico “eccessivamente ovvio” a Die Hard.
In ultima analisi abbiamo amato così
il cinema americano, perché tutti
quei film
si assomigliavano fra loro
François Truffaut
2.1 La nascita del classicismo hollywoodiano
Finché una determinata forma di complessità narrativa risulta ascrivibile ad un
movimento d'avanguardia o ad un contesto underground o all'interno del cosiddetto cinema
indipendente, tale forma di complessità non desta particolare interesse né tanto meno un
particolare stupore. Questo perché il suo significato si sta dando, linguisticamente,
attraverso una forma di opposizione, di resistenza. Si dà in qualche modo in una forma
d'arte che pur muovendosi all'interno dell'infernale industria culturale, non cessa almeno di
sembrare, se non di risultare, come una forma d'arte che stia agendo per contrasto. Lo
sfondo sul quale questa forma d'arte riesce a fare da contrasto è sempre stato, per il cinema,
l'orizzonte del cinema mainstream. Era grazie ai film hollywoodiani di ampia diffusione
che le varie correnti o controcorrenti si stagliavano e assurgevano a categoria. Si può dire
che esse si categorizzavano per contrasto (se non per negazione), complicando sempre i
precetti del cinema mainstream, che per il suo lato congenitamente industriale non
potevano evitare di essere di immediato consumo e comprensione.
Tali complicazioni delle forme narrative e dei linguaggi si palesavano nel cinema senza
essere ad esso circoscritte. Esse riguardavano necessariamente il linguaggio dell'occidente
dei consumi, i linguaggi dell'occidente della società di massa. Si complicavano i bisogni
letterari, pubblicitari, mercantili, di trasporto e di comunicazione diretta. Complicando il
bisogno si complicavano i mezzi di soddisfazione di quel bisogno. Il cinema andava via via
complicandosi in risposta ad un'esigenza linguistica ed insieme commerciale: obbediva da
un lato al mercato e dall'altro ascoltava il pubblico che chiedeva a gran voce continue
novità.
7
«Invece il film, al di là della sua più profonda consonanza con la realtà del
Novecento, ha intrattenuto un rapporto assolutamente irregolare con il moderno,
dovuto senza dubbio alle due vite o identità distinte attraverso le quali è stato destinato
a passare in successione (come l'Orlando di Virginia Woolf): la prima, l'epoca del
muto, nella quale si rivelò possibile una certa fusione marginale tra il pubblico di
massa e il formale o il modernista (secondo modalità e soluzioni che non possiamo più
intendere, per via della nostra peculiare amnesia storica)».
5
Questa fase costituisce una sorta di “protostoria” narrativa in cui, nel suddetto tentativo
di coniugare profitto e qualità dell'offerta, le produzioni commerciali creano il montaggio
narrativo. Già nel 1906 si hanno tracce di un montaggio alternato (in Una probabilità su
cento o una corsa verso la fortuna, The 100 to 1 shot, or a run of luck, Vitagraph, 1906),
tra il 1907 e 1911 i cosiddetti “inserti” cominciano a trasformarsi negli elementi fondanti il
montaggio analitico; dal 1905 (con Rescued by Rover, Salvato da Rover, di L. Fitzhamon)
alla prima metà degli anni Dieci, il cinema americano scopre anche il montaggio contiguo
6
.
Il cinema comincia la sua strada di emancipazione linguistica e procede verso l'autonomia
di linguaggio che conosciamo ancora oggi e che verrà rifunzionalizzata dall'avvento del
sonoro:
«la seconda, l'epoca del sonoro, che si è posta quale predominio delle forme della
cultura di massa (e commerciale), attraverso cui il medium ha dovuto faticare per poter
reinventare le forme del moderno in maniera nuova con i grandi autori degli anni
Cinquanta (Hitchcock, Bergman, Kurosawa, Fellini). Tutto ciò lascia intendere che,
malgrado sia utile a spingerci fuori dalla cultura stampata e/o dal logocentrismo, la
dichiarazione del primato del cinema sulla letteratura è rimasta una formulazione
essenzialmente modernista, chiusa in una serie di valori e di categorie culturali che in
pieno postmodernismo risultano manifestamente antiquati e “storici”».
7
La complicazione di tutta la narrativa passava dunque per il cinema, che si manifestava
come la forma di comunicazione umana eletta per il racconto e l'espressione del ventesimo
secolo. Ma il novecento avrebbe raffinato e saziato sempre più i mercati oltre che i palati e
5 F. Jameson, Postmodernismo. Ovvero la logica culturale del tardo capitalismo, Roma, Fazi, 2007, p. 84;
6 Cfr. D. Bordwell, Gli inizi della continuità narrativa, in D. Bordwell & K. Thompson, Storia del cinema
e dei film, Milano, McGraw Hill, 2010, pp. 91-97;
7 F. Jameson, Postmodernismo. Ovvero la logica culturale del tardo capitalismo, op. cit., p. 84;
8
gli immaginari delle masse. Quindi tale complicazione doveva competere sul finire del
secolo con un mercato famelico e caotico a cui rispondevano i gusti famelici e caotici di un
pubblico sempre più ansioso di novità perché sempre più abituato al linguaggio
audiovisivo e ai suoi strati di complicazione. Tali strati di complicazione passavano
certamente dapprima attraverso forme di composizione strettamente narrative ma avevano
la necessità di configurarsi all'interno di una dimensione d'immagine, del tutto tipica del
cinema, farcita, sul finire del secolo, da un lato, dall'improvvisa esplosione tecnica e
linguistica del digitale e dall'altro da una relativa perdita di fiducia nell'istanza narrativa
causata dalla fine della società industriale (sia in termini economico-sociali che culturali)
che potremmo definire postmoderna
8
.
Se da una parte venivano garantite nuove e sensazionali novità dal punto di vista della
ripresa, i produttori dovevano fare i conti con un mercato la cui competitività andava ben
oltre le loro specifiche competenze. La recente partecipazione di L.A. Noire, videogioco di
Rockstar Games sulla malavita californiana degli anni'50 (fortemente voluta da una figura
fondamentale della “new Hollywood” come Robert de Niro) al Tribeca, storico film
festival newyorchese, sancisce probabilmente in maniera irreversibile la rottura dell'ultima
barriera tra il cinema e le altre tecniche di applicazione della tecnologia digitale, quali,
assolutamente non ultimi, i videogames. Il digitale d'altronde ed il 3D suscitano nuovi ed
intralasciabili interrogativi sulle modalità espressive del cinema e sui confini della settima
arte.
La complessità non è più la risposta sofisticata alle richieste di una qualche élite o di
un'avanguardia o di una sottocultura, né evidentemente il manifestarsi di una produzione
strettamente intellettuale e quindi individuale come era accaduto negli anni della cosiddetta
New Hollywood. La complessità è una delle risposte che l'industria cinematografica
mainstream presenta alla massa per soddisfare i suoi raffinati bisogni, è fonte di
competitività produttiva ma sa parlare di tematiche interessanti. Bisogni della cui
8 «Semplificando al massimo, possiamo considerare “postmoderna” l'incredulità nei confronti delle
metanarrazioni. […] La nostra ipotesi di lavoro è che il sapere cambi di statuto nel momento in cui le
società entrano nell'era detta postindustriale e le culture nell'età detta postmoderna. Questa evoluzione è
iniziata almeno a partire dalla fine degli anni Cinquanta, che in Europa segnano la fine della
ricostruzione». J. F. Lyotard, La condizione postmoderna, Milano, Feltrinelli, 1981, pp. 6-9; sulla
relazione tra cinema e postmoderno vedi anche N. Carroll, Film, in The postmodern moment: a handbook
of contemporary innovation in the arts, a cura di S. Trachtenberg, Westport, Greenwood Press, 1985; J.
Hoberman, Vulgar modernism: writing on movies and other media, Philadelphia, Temple University
Press, 1991; F. Jameson, Firme del visibile, Roma, Donzelli, 2003; F. Jameson, Una modernità singolare:
saggio sull'ontologia del presente, Milano, Sansoni, 2003;
9
raffinazione la stessa industria mainstream si è occupata a lungo. Ricorda d'altronde
Roman Jakobson: «I believe that a very important thing in analyzing trends in the cinema
or the structure of a film, is the necessity of considering the base, the background of the
spectator's habits. What films is the spectator used to seeing? To what is he accustomed».
9
Perché è l'istituzione di un certo tipo di spettatore che consente, dialetticamente, un
costante stimolo, una significativa spinta all'innovazione, una costante evoluzione che non
tralascia le esigenze di mercato e non scade nella guerra del quantitativo ma si concentra
sulla forza molto più granitica della qualità.
Questa connotazione qualitativa, dato il quoziente estremamente narrativo con cui il
cinema mainstream passa attraverso il confronto con un audience sempre più in grado di
affrontare attivamente un approccio a film i cui risvolti e le cui tecniche narrative sono
molto lontani dal canone classico. Allo stesso tempo essi non avrebbero avuto alcun senso
probabilmente senza l'evoluzione storica e linguistica che proprio il cinema classico ha
subito dagli anni Settanta ad oggi. E ancora avanti, il “genere” di film che citando
Elsaesser chiameremo mind-game films, nasce da un immaginario altamente condizionato,
abituato ed educato ad un certo tipo di narrazione (aristotelica appunto), standardizzata e
cristallizzata proprio grazie al cinema classico.
Facciamo nostro questo quesito:
«il cinema post-classico è rimasto immutato, oppure occorre cambiare le nostre
chiavi analitiche per rendere giustizia ai film girati a Hollywood a partire dalla
metà/fine degli anni '70? una corrente (rappresentata per esempio da David Bordwell e
Kristin Thompson) sostiene che non serve cambiare approccio giacché anche i
successi cinematografici hollywoodiani del nostro tempo per molti aspetti rispondono
a criteri stilistici e narratologici che hanno pervaso il cinema tradizionale dagli anni '20
agli anni '60. Un'altra corrente (a cui appartengono Thomas Schatz, Tim Corrigan,
Scott Bukatman) ritiene invece che siano da chiarire le differenze, e non gli scenari
immutati, per spiegare il grande ritorno del cinema hollywoodiano. […] I sostenitori
della rottura 'post-classica' aggiungerebbero che sono gli effetti speciali, le coreografie
sonore e le sensazioni fisiche tipiche piuttosto del luna park o delle montagne russe a
caratterizzare più chiaramente l'estetica del nuovo cinema hollywoodiano, e che
9 «Credo che nell'analizzare la struttura dei film o le sue caratteristiche, una cosa molto importante sia la
necessità di considerare la base, il background delle abitudini dello spettatore. Che film è abituato a
vedere, lo spettatore? A quali è avvezzo?»; R. Jakobson, in D. Bordwell, J. Staiger and K. Thompson, The
Classical Hollywood cinema: film style & mode of production to 1960, Londra, Routledge, 1988, p. 10;
10
l'orrore, le morti violente, le scene di sesso esplicito (inclusa la pornografia), sono
passati dai film di serie B alla cinematografia mainstream. Gli stimoli sensoriali e gli
ingredienti tematici hanno cambiato il modo in cui si elaborano e visualizzano i film,
che vengono di conseguenza interpretati (o fruiti) in maniera diversa dal pubblico. In
tale contesto il termine 'spettacolo' qui indicherebbe che questi film sono 'vissuti'
piuttosto che visti, offrono uno spazio immaginario da 'abitare' e non una finestra
aperta sulla realtà. L'accento sull'impatto sensoriale e sul contatto emotivo
suggeriscono che la narrazione ha perso la rilevanza tipica del periodo dello stile
cosiddetto classico.»
10
Occorre quindi iniziare un rapido excursus sull'evoluzione della narrativa del cinema
hollywoodiano ed in particolare a proposito del passaggio avvenuto verso la New
Hollywood a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta ed un'ultima “evoluzione” avvenuta
negli ultimi venti anni di cui il mind-game film
11
rappresenta l'espressione più netta. A
partire dagli anni Dieci gli Stati Uniti hanno vissuto, a livello cinematografico, un
intensivo processo di industrializzazione, di organizzazione e settorializzazione della
produzione. La professionalizzazione crescente vissuta in quegli anni ha portato al rapido e
progressivo sorgere del cosiddetto studio system
12
e tra le figure professionali, accanto al
produttore o al regista, sorge in quel periodo lo sceneggiatore; il nuovo ruolo dello scrittore
per immagini possiede da subito alcune delle caratteristiche che, ad Hollywood, lo
sceneggiatore non perderà mai. Nascono già ora delle linee guida all'interno delle quali è
possibile identificare i capisaldi della narrativa cinematografica (su tutti la rottura della
situazione iniziale e lo scioglimento finale così come la netta presenza di un eroe centrale)
che gli sceneggiatori devono seguire fedelmente e sui quali, sostanzialmente, si basano
anche alcuni dei più celebri testi sulla sceneggiatura editi da famosi story analysts, come
Syd Field, Robert McKee, Chris V ogler o Linda Seger, non a caso detti neoaristotelici.
13
Questo ci porta a pensare che esista una linea di continuità tra i primordi degli stilemi
narrativi classici hollywoodiani e le più contemporanee scuole di pensiero sulla
sceneggiatura.
10 T. Elsaesser & W. Buckland, Teoria e analisi del film americano contemporaneo, op. cit., p. 46;
11 Cfr. T. Elsaesser, The Mind-Game Film, in, Puzzle Film: complex storytelling in contemporary cinema,
edited by W. Buckland, Wiley-Blackwell, Chichester, UK, 2009, pp. 13-41;
12 Cfr. G. Carluccio, Il cinema americano classico, 1930-1960. evoluzione e declino dello “studio sistem”,
in Introduzione alla storia del cinema, a cura di P. Bertetto, Torino, Utet, 2002, pp. 97-140;
13 Cfr. L. Bandirali & E. Terrone, Il sistema sceneggiatura. Scrivere e descrivere i film, Torino, Lindau,
2009, p. 5;
11
La creatività, d'altronde, sembra essere stata la fortuna di Hollywood in più di un
occasione: l'inventiva che ha portato le produzioni ad imporsi sulla scena mondiale
nell'arco di un paio di decenni all'inizio del secolo è in fondo la stessa che ha portato un
pugno di autori sconosciuti a far rinascere un'industria in crisi, come era quella
cinematografica statunitense alla fine degli anni Sessanta
14
. Fatto sta che, prima di quella
significativa crisi, il cinema americano impose lentamente il suo “standard” su scala
mondiale; non soltanto condizionò il pubblico di tutto il mondo ma influì anche su molte
delle modalità di messa in scena e di regia riuscendo altresì a captare le grandi innovazioni
delle industrie estere ed ad importarle efficacemente reinvestendole all'interno del proprio
sistema produttivo.
Si creò pertanto un universo artistico rilevante formato da grandi autori che influirono
fortissimamente sia sulla cultura generale della prima metà del secolo, sia sulla formazione
di cineasti ed intellettuali in generale per tutta la seconda parte del Novecento; da Griffith a
William Wyler, da Charlie Chaplin ad Alfred Hitchcock, da John Ford e Howard Hawks a
John Huston e Billy Wilder, i registi del classicismo hollywoodiano hanno per mezzo
secolo prodotto film di grande successo, interpretati da attori celebri e professionalmente
eccellenti, ai quali il pubblico rispondeva con entusiasmo, e sui quali si è basata la
formazione degli autori che si sono succeduti dopo di loro. Si pensi, a tal proposito,
all'influenza che il cinema di Hitchcock o di Orson Welles ha avuto sugli autori della
Nouvelle Vague prima e sul modo in cui la New Hollywood ha prodotto i suoi lavori più
significativi: essa non ha infatti rinunciato agli insegnamenti e ai precetti della sua età d'oro
ma piuttosto gli ha reinterpretati nell'ottica di un nuovo “stile”.
Ma come è possibile definire il cinema classico? Esso può essere definito «“classico”
perché vanta una storia lunga stabile e influente»
15
. I suoi elementi comuni possono essere
d'altronde rilevati nella causalità incentrata sul personaggio e sui fattori psicologici. «Il
cinema hollywoodiano classico propone individui psicologicamente definiti che lottano per
risolvere un problema o per raggiungere uno scopo preciso. … Il personaggio
cinematografico è pertanto il principale agente causale, un individuo che possiede delle
caratteristiche peculiari, tratti distintivi e un insieme di qualità evidenti e comportamenti
espliciti e coerenti»
16
. Inoltre è possibile rilevare un costante meccanismo di
14 Cfr. Bordwell & K. Thompson, Storia del cinema e dei film, op. cit., pp. 798 e ss.;
15 D. Bordwell & K. Thompson, Cinema come arte: teoria e prassi del film, Milano, Il Castoro, 2003, p.
120;
16 D. Bordwell, in P. Rosen, Narrative, apparatus, ideology: a film theory reader, New York, Columbia
12
ripetizione/risoluzione che non solo sta alla base della struttura narrativa, considerata come
un alternarsi di desiderio e appagamento ma anche come riflesso dello schema che sta alla
base della nascita della coppia: «un … effetto fondamentale tipico di molti film americani
classici [è che] la mole testuale moltiplica e chiude due volte il suo raggio di espansione.
L'accumulazione sistematica di simmetrie e asimmetrie nella catena filmica, scomposte da
un lavoro di segmentazione generica, imita e riproduce continuamente (giacché l'uno
genera l'altro) uno schema di rapporti familiari che danno forma allo spazio narrativo […
e] che fa della segmentazione la condizione testuale atta a favorire il passaggio da un
contesto familiare a un contesto coniugale».
17
Si concorda inoltre nel rintracciare,
all'interno dei film hollywoodiani, l'utilizzo di un montaggio in continuità e l'applicazione
costante dei sistemi di raccordi al fine di creare un campo visivo spaziale lineare. «Nel
cinema classico, il mondo immaginario è omogeneo: lo spettatore può reintegrare la
discontinuità e la giusta apposizione a un diverso livello di coerenza che non violi i
principi di verosimiglianza (definiti genericamente) e di plausibilità in relazione all'azione,
alle motivazione che spingono i personaggi ad agire, o alla corrispondenza fra luogo e
spazio. In pratica questo significa che [...] tutto nel cinema classico è motivato e ha uno
scopo, mentre le “regole” che governano il montaggio in continuità garantiscono passaggi
fluidi e invisibili».
18
Ne risulterà ovviamente un'applicazione sistematica di tali precetti
all'interno di una concezione del tempo quanto mai legata ad una stringente causalità il più
possibile riconducibile ad un rapporto logico, il tutto con il succitato scopo di andare a
designare un mondo il più possibile coerente ed omogeneo. «Nella narrativa
hollywoodiana classica la catena di azioni che risulta da cause prevalentemente
psicologiche tende a motivare la maggior parte o tutti gli altri eventi narrativi. Il tempo è
subordinato in molti modi alla relazione causa-effetto. L'intreccio ometterà lassi di tempo
significativi per mostrare solo gli eventi con un rilevo causale».
19
Non esiste d'altronde un'univoca ed assoluta definizione di “cinema hollywoodiano
classico”. Le correnti di pensiero sono infatti molteplici e, riguardo ad un così centrale
punto di riferimento per lo studio dell'evoluzione del linguaggio cinematografico, il
percorso teorico cambia moltissimo a seconda di dove venga posto l'accento dell'analisi.
University Press, 1986, trad. it. di D. Pedrazzani, in T. Elsaesser & W. Buckland, Teoria e analisi del film
americano contemporaneo, op. cit., p. 55;
17 R. Bellour, L'analisi del film, Torino, Kaplan, 2005, in T. Elsaesser & W. Buckland, Teoria e analisi del
film americano contemporaneo, op. cit., p. 55;
18 T. Elsaesser & W. Buckland, Teoria e analisi del film americano contemporaneo, op. cit., p. 56;
19 D. Bordwell & K. Thompson, Cinema come arte: teoria e prassi del film, op. cit., p. 121;
13
Ovviamente per il nostro studio è fondamentale porre l'accento sull'aspetto narrativo e
drammaturgico, sulla fase di ideazione e scrittura così come sulla struttura, cercando
ovviamente di mostrare un prototipo narrativo che ci faccia da faro all'interno di un
approfondimento sulle nuove forme di complessità del linguaggio cinematografico.
Stabilito il “prototipo” più utile per la nostra ricerca procederemo all'approfondimento vero
e proprio, muovendoci per contrasti. Seguendo il metodo teorico proposto da Buckland ed
Elsaesser, nel tentativo di avere una generica visione d'insieme sulle molteplici prospettive
teoretiche, si rintracciano principalmente le principali linee teoriche contemporanee:
«La descrizione di alcuni dei possibili prototipi della narrazione classica
hollywoodiana rimanda a due gruppi o famiglie di ispirazione letteraria: il primo
gruppo dal dramma classico e dal romanzo (la poetica di Aristotele, il formalismo
russo, Gèrard Genette); il secondo da tradizioni orali quali i miti, le favole e il
romanzo primitivo (picaresco) (Lévi-Strauss, Propp, Bakhtin). Negli studi sul cinema
il primo è associato alla struttura narrativa tradizionale così come veniva insegnata nei
manuali di sceneggiatura e perfezionata nella poetica neo-formalista di David
Bordwell (Bordwell, 1985
20
); il secondo ha talora adattato la Morphology of the Folk
Tale di Vladimir Propp (1973) (es. Wollen 1982
21
) o elaborato un'interpretazione
strutturalista tradizionale della narrazione hollywoodiana classica grazie alla
Structural Anthropology di Claude Lévi-Strauss (1972) (e modificata da Raymond
Bellour o Fredric Jameson) […] Lèvi-Strauss ha elaborato alcune delle categorie più
note dell'approccio macro-analitico[...]. Il suo metodo si è rivelato influente non
perché rappresenti una sorta di “verità” sul mondo o sulla mente umana, il suo testo
chiave in tal senso, vale a dire lo studio “strutturale del mito” (1972), aderisce a un
rigoroso formalismo ed evidenzia preoccupazioni di carattere teoretico che sono
condivise da qualsiasi analisi narrativa, quali il problema della segmentazione, della
categorizzazione e della classificazione, oltre a considerare la 'differenza (percettibile)
come la condizione minima di produzione del significato. […] Di contro, il modello
aristotelico sembra sottolineare l'unità generale (di tempo, spazio e azione), piuttosto
che la segmentazione, e verte sul ruolo dei personaggi nella veste di agenti iniziatori,
che fungono da elementi centrali di una forma narrativa, piuttosto che sugli scambi
interpersonali (funzioni). […]»
22
20 D. Bordwell, J. Staiger, K. Thompson, The Classical Hollywood Cinema: Film Style and Mode of
Production, op. cit.;
21 P. Wollen, Readings and Writings: Semiotic Counter Strategics, Londra, Verso, 1982;
22 T. Elsaesser & W. Buckland, Teoria e analisi del film americano contemporaneo, op. cit., pp. 47-48;
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Il testo illustra molto chiaramente, attraverso questo rapido, schematico e sintetico
excursus tra le varie correnti di studio sulla narrativa cinematografica, quali siano i
presupposti di accordo tra queste correnti, quali siano i punti in comune grazie ai quali
poter rintracciare alcuni nodi fondamentali su cui basare la nostra definizione di cinema
classico. Ovviamente vengono qui menzionate le linee teoretiche principali ed i loro
esponenti (ad esempio Bordwell e Bellour, come vedremo a breve) senza che questi siano
direttamente schierati all'interno di esse ma in base al criterio secondo cui i loro studi
possono essere ricondotti a questo o a quell'orientamento. Nel testo de quo vengono più
chiaramente illustrate l'ampiezza e la profondità di questi studi, facilmente rinvenibile
anche nelle righe qui riportate mediante il diretto riferimento, ad esempio, alle opere di
Propp e Lévi-Strauss, che in maniera imprescindibile fanno da sfondo agli studi degli
autori che più direttamente ci troveremo a trattare. Ai fini dell'economia della nostra
analisi, invece, quest'estrema schematizzazione è più che utile poiché la vastità di queste
teorie presupporrebbe e richiederebbe un'attenzione più che significativa che con tutta
probabilità rischierebbe di allontanarci dal nostro percorso all'interno del cinema
americano.
2.2 Caratteristiche dell'ovvietà
D'altronde, la riduzione a due filoni e la succitata schematizzazione delle teorie qui
menzionate è più che funzionale al nostro discorso poiché, principalmente si è rintracciato i
punti di contatto di questi studi in merito al cinema classico ed intorno questi punti di
convergenza siamo più serenamente in grado di costruire la nostra analisi senza per questo
rinunciare a delle solide basi teoriche. É opportuno precisare che la definizione ci è utile
per avere uno sfondo preciso che faccia da contrasto al nostro discorso sulla complessità
contemporanea, per mostrare come questa si muova nervosamente, allontanandosi da tale
sfondo, ma senza che in alcun modo possa o voglia prescindere da esso:
«Se si considerano David Bordwell e Raymond Bellour come simboli dei modelli
proposti, si può notare che:
- Concordano sugli effetti prodotti dall’evidenza (ideologica) e sui mezzi
realizzati: David Bordwell utilizza la definizione di “cinema eccessivamente ovvio” in
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