Parte prima - Cap. 1 Scenari migratori al femminile
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Cap. 1
Scenari migratori al femminile
Migrare non significa che “masse” di indigeni svuotino una regione
per saturarne un’altra, come amano esprimersi le scienze della popolazione,
ma che una pluralità di individui, provvisti di progettualità e aspettative
diverse, sono disponibili a cercarsi delle chance di vita
dove queste sono possibili o promesse
(Alessandro dal Lago)
Le migrazioni non sono semplici movimenti di popolazione tesi ad annullare o
ridurre gli squilibri economici tra aree a diverso livello di sviluppo, ma dei
fenomeni complessi in cui l’individuo può e deve rivestire un ruolo di attore: si
deve parlare delle migrazioni come di veri e propri eventi sociali [Brusa C., 1997,
p. 15]. La rilevanza sociale è evidente principalmente per il fatto che le
implicazioni delle migrazioni non riguardano solo i diretti protagonisti
dell’esperienza migratoria, ma anche altre persone ad esse collegate, e in
generale il contesto sociale complessivo delle aree di arrivo e di provenienza
[Macioti M. I., Pugliese E., 2003, p. 3].
Detto ciò, bisogna precisare che non è la stessa cosa emigrare da donna o da
uomo: non sono uguali le motivazioni che spingono alla partenza, non sono
uguali le opportunità una volta raggiunta la meta [Ibid., p. 115]. Certamente la
donna migrante porta numerose novità sia nel gruppo etnico di appartenenza,
che nelle comunità ospite e nella terra d’origine.
Prima di analizzare i vari aspetti del tema di questo scritto “le migrazioni al
femminile”, è opportuno introdurre il fenomeno migratorio nel suo complesso,
in modo tale da individuarne le cause e riconoscere i caratteri specifici di un
fenomeno che si ripete sin dagli albori dell’umanità.
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1.1. L’età delle migrazioni
Nel mondo sono tante le persone che lasciano il loro paese natio per andare a
vivere in luoghi lontani e radicalmente diversi dal proprio. Possiamo notare
come, a differenza del passato, oggi la maggior parte delle persone provenga
dalle zone economicamente più deboli, dalle periferie del mondo originate
dall’espansione del capitalismo [Perrone L., 2005, p. 167] dirigendosi verso i
Paesi sviluppati.
Le mete dei flussi migratori sono principalmente gli Stati Uniti e l’Europa, in
particolare l’Europa continentale dove la Germania rappresenta il Paese con la
più elevata ricezione di immigrati negli ultimi decenni [Macioti M. I., Pugliese E.,
idem, p.13]. Tuttavia, bisogna precisare che i migranti cercano inizialmente una
soluzione nelle periferie del loro Paese e, successivamente, nel <<Cuore
dell’impero>>. In altre parole, prima di intraprendere la migrazione
internazionale tentando la “grande impresa” hanno vissuto, ancor prima, una
migrazione interna, intraregionale [Perrone L., idem, p. 167]. Inoltre, la
decisione di lasciare il proprio Paese per raggiungerne un altro non è un
fenomeno nuovo: tutta la storia dell'uomo sembra essere caratterizzata da una
costante mobilità di singoli, di gruppi e talvolta di interi popoli. Si pensi ad
esempio, allo spostamento in “branchi” in epoca preistorica, le ricorrenti
invasioni delle popolazioni dell’Asia orientale, i movimenti di persone
provenienti dalla penisola arabica, la colonizzazione greca e romana, i
trasferimenti coatti degli schiavi, le ondate dei barbari ed infine, i movimenti
diretti verso le città a fini commerciali. Tali spostamenti però, riguardano
ristretti gruppi umani che si muovono entro spazi limitati e per ragioni che oggi
non sono più riproponibili. Proprio per questo, gli studiosi cominciano a parlare
di vere e proprie migrazioni, cioè grandi movimenti di uomini a datare dall’età
moderna [Famoso N., 2005, p. 19].
Per comprendere tale fenomeno, pertanto, proponiamo una prima analisi che
permette di effettuare la distinzione tra migrazioni definitive e migrazioni
temporanee, in base alla prevista permanenza nel luogo di arrivo. Tra le
migrazioni temporanee ci sono quelle stagionali, cioè trasferimenti in particolari
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periodi dell’anno (principalmente a scopo lavorativo come turismo, edilizia,
raccolte agricole).
Il numero e i rapporti tra gli individui coinvolti nello spostamento permette, poi,
di distinguere tra migrazione individuale, familiare, di gruppo e di massa [Pollini
G., 2002, p. 67]. Come le denominazioni stesse suggeriscono, si tratta di
movimenti di singoli individui, nuclei familiari, parenti o amici e popolazioni
intere o parti di queste, come accade con gli esodi. È doverosa una riflessione su
questo punto, poiché la storia antica ci ricorda le migrazioni come spostamento
di interi popoli o di gruppi spesso, come visto prima, in relazione a
insediamenti, conquiste o guerre per il possesso di regioni di varia estensione.
Le migrazioni più recenti invece, sono prevalentemente di tipo individuale,
facilitate dalle maggiori disponibilità di mezzi di trasporto e dalla relativa
economicità del viaggio. A tal proposito Colombo afferma che: «La condizione di
straniero è, nel mondo moderno, una condizione individuale. Oggi si emigra da soli
o in gruppi molto ristretti che poi, una volta arrivati nel nuovo territorio, si
frantumano e si disperdono; l’emigrazione è pacifica, non implica più un conflitto
diretto e violento con i nativi: il conflitto sociale legato alla migrazione si
trasforma in conflitto interno, personale, psicologico» [Colombo E., 1999, p. 46].
A seconda che la mobilità dell’attore sociale sia l’esito di una libera scelta o
meno si distingue, inoltre, tra migrazioni volontarie e migrazioni coatte o
forzate. Di questa ultima modalità la storia ricorda l’immane tratta di schiavi
africani costretti al popolamento americano, ma esistono anche recenti vicende.
In Tanzania a partire dal 1974 si è assistito ad un enorme trasferimento, gestito
in modo autoritario dall’apparato amministrativo, di contadini costretti a creare
dal nulla una rete di villaggi comunitari [Pollini G., idem, p. 67].
Infine, si possono stabilire tre forme di migrazione in base agli aspetti formali:
quando gli spostamenti avvengono nel pieno rispetto delle procedure normative
previste dai Paesi di partenza e di arrivo, la migrazione è legale; invece, risulta
illegale la migrazione iniziata con l’ingresso in forma legale, a cui segue un
soggiorno in maniera non conforme alle norme sociali, sia perché scaduti i
permessi o per lo svolgersi di attività diverse dalle originarie motivazioni
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ufficiali e, per concludere, è detta migrazione clandestina il passaggio di
frontiere in maniera informale, eludendone i controlli [Ibid., p. 77].
Oltre a suddette distinzioni, ci sono alcune caratteristiche individuate da Castles
e Miller che riguardano in particolare l’attuale fase migratoria. Essi
evidenziano:
- Una globalizzazione delle migrazioni, che si esprime attraverso la
progressiva crescita dei Paesi interessati;
- Un’accelerazione, cioè una tendenza all’aumento dei movimenti
internazionali legata anche all’incremento dell’incidenza dei rifugiati
1
;
- Una differenziazione delle migrazioni, in altre parole una più complessa
composizione dei flussi dal punto di vista demografico, sociale, delle
motivazioni e delle migrazioni;
- Una femminilizzazione delle migrazioni, che consiste nell’incremento
della componente femminile dei flussi e delle comunità di immigrati, e
nel fatto che spesso le donne sono le protagoniste delle prime fasi
dell’esperienza migratoria;
- Una politicizzazione, vale a dire che i flussi migratori tendono ad essere
progressivamente regolati dalle politiche migratorie ai Paesi d’arrivo.
Significativo è soprattutto il carattere globale del fenomeno migratorio: il
numero dei Paesi interessati è cresciuto in maniera enorme e riguarda ormai
l’intero sud del mondo, a prescindere dal grado di sviluppo, dando luogo alla
contraddizione tra spinta all’emigrazione dai Paesi del sud del mondo e
drastiche politiche di chiusura nei Paesi ricchi. Il risultato di tale contraddizione
è senz’altro la presenza significativa in tutti i Paesi ricchi di persone entrate in
condizioni di irregolarità [Macioti M. I., Pugliese E., idem, p. 21].
Concludendo, possiamo osservare come queste classificazioni e caratteristiche
palesino le sfaccettature e la complessità del fenomeno migratorio. Complessità
che si moltiplica se consideriamo gli aspetti politici ed economici, psicologici e
1
Negli ultimi anni la componente rappresentata da richiedenti asilo e rifugiati ha acquisito un
peso e rilievo crescenti, e questo tipo di migrazioni è il più sensibile all’andamento della
situazione politica e della crisi a livello internazionale; pertanto è uno dei fenomeni meno
prevedibili e quindi meno programmati.
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sociali, delle realtà di partenza e di arrivo, delle persone che si muovono o che
rimangono.
1.1.1. I fattori che determinano la migrazione
Le migrazioni determinano innegabilmente un mutamento sociale e, quando ci
si interroga su chi o che cosa genera cambiamento, si cercano di mettere a fuoco
attori – agenti sociali, ovvero fattori – meccanismi operanti nel sistema sociale
[Scidà G., Pendenza M., 2000, p. 25]. I sociologi si dividono sulle ragioni che sono
dietro tale fenomeno e i diversi punti di vista possono essere racchiusi in tre
modelli:
- Olistico, sostenuto da Marx e Durkheim. Per loro, a spingere le persone
ad emigrare sarebbero gli squilibri economico - sociali che determinano
differenziali di reddito e costringono la forza – lavoro ad emigrare
[Perrone L., idem, p. 197];
- Azionista, che muovendosi sulla scia di Tarde e Weber, sostiene che
l’attore sarebbe come iposocializzato e l’azione come self – interested.
Quindi si pone l’attenzione sulle intenzioni e motivazioni individuali
sottostanti l’agire dell’attore [Scidà G., Pendenza M., idem, p. 26];
- Intermedio, che cerca un mix tra gli altri due modelli. Il migrante compie
la sua scelta misurandosi e interagendo con la rete di legami sociali e
simbolici nella quale è immerso [Ibidem].
Su quest’ultima prospettiva è doveroso soffermarci, in quanto essa è stata fatta
propria da sociologi, antropologi, psicologi ed economisti, e mette a fuoco il
ruolo dei più disparati legami sociali come la rete di informazione, i network,
non solo riguardo alla decisione di migrare, ma anche nella scelta del luogo
verso cui dirigersi e circa le modalità d’inserimento e integrazione nella
comunità d’accoglienza [D’Ignazi P., 2004a, p. 29].
In modo specifico, possiamo interpretare il fenomeno migratorio
distinguendone alcune determinanti, come un insieme di fattori che concorrono
alla nascita del progetto di emigrazione e raggruppabili in due categorie: push
factor e pull factor, ossia “fattore espulsivo” e “fattore attrazione”.
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Solitamente, fino agli ’70, per interpretare le migrazioni si parlava
indifferentemente di suddette categorie [Perrone L., idem, p. 169]. Le
motivazioni di tipo espulsivo o push factor, in un certo modo costrittive,
comprendono cause naturali (inondazioni, terremoti, eruzioni vulcaniche,
siccità, la progressiva desertificazione) oppure sociali, politiche e culturali, come
la povertà del mondo rurale o gli squilibri generati dall’industrializzazione, le
dure condizioni di lavoro nei nuovi poli industriali, le persecuzioni religiose
[Pollini G., idem, p. 67].
Accanto ai fattori di repulsione, ci sono quelli di attrazione dei Paesi di arrivo. I
pull factor, generalmente più soggettivi, costituiscono delle soluzioni agli agenti
espulsivi: l’emigrante sceglie di trasferirsi verso quella regione che gli permette
di trovare condizioni di vita migliori. L’esistenza altrove di abbondanti terre a
buon mercato, una forte e costante domanda di manodopera in un Paese,
differenti livelli retributivi tra i Paesi, una eventuale campagna pubblicitaria
realizzata da un ufficio per l’immigrazione di uno Stato, l’esplodere di una
cosiddetta “febbre dell’oro”, l’attrazione rappresentata da sistemi politici
liberali, sistemi socio-economici egualitari; ecc. [Ibid., pp. 67 - 68]. Bisogna tener
presenti inoltre, fattori di carattere culturale, come la diffusione dei modelli di
vita occidentale veicolati dalle consistenti, frequenti e capillari comunicazioni
d'oggi. Da ultimo, anche i ricongiungimenti familiari e le catene migratorie
incoraggiano il processo di spostamento.
In questi anni, nel dibattito italiano sull’immigrazione, è diffusa una visione
delle recenti immigrazioni come di un fenomeno originato soprattutto da
violenti fattori espulsivi, contrapposti ai fattori di attrazione considerati tipici
delle migrazioni dei passati decenni [Ambrosini M., 2000, p. 46]. L’attenzione, di
conseguenza, si è concentrata principalmente sulla prima categoria, poiché a
determinare la partenza sono, in primo luogo, le condizioni d’esistenza del
proprio Paese divenute ormai intollerabili [Perrone L., idem, p. 169].
L’attenzione posta sull’effetto spinta è ancor più consolidata con l’attuale
processo di globalizzazione
2
: intere regioni della terra partecipano all’”economia
2
Si riferisce all’integrazione dell’economia globale che si è accelerata nell’ultimo quarto di
secolo con l’esplosione delle tecnologie informatiche, lo smantellamento delle barriere doganali
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– mondo” con le risorse naturali o forza lavoro disponibile, ma senza riceverne
nulla in cambio [Dal Lago A., 2004, p. 249]. In merito a ciò, Castles afferma <<Il
processo di sviluppo – cioè l’inserimento nel mercato dell’economia dei Paesi
poveri
3
- ha tali effetti di sconvolgimento nelle strutture preesistenti, che il modo
di vivere precedente diventa impraticabile e le migrazioni appaiono come l’unica
soluzione>> [Macioti M. I., Pugliese E., idem, p. 7]. In breve, non è solo la povertà
in termini generali che spinge ad emigrare, ma principalmente una serie di
squilibri come tra popolazione e risorse, ampliati dall’attuale processo di
globalizzazione.
Oltretutto, non soltanto il processo di globalizzazione e la conseguente
intensificazione degli scambi crea squilibri all’interno del Paese stesso, ma esso
non ha neppure migliorato i rapporti tra Paesi poveri e Paesi ricchi: la
cosiddetta “economia - mondo” non è produttrice di uguaglianze, ma di
disuguaglianze nuove e feroci [Dal Lago A., idem, p. 249]. In tal senso, un
esempio è la Rivoluzione Verde citata da Castles, che appare come uno degli
aspetti della globalizzazione che hanno aggravato la condizione dei Paesi poveri
e accentuato la spinta all’emigrazione, prima in direzione delle grandi città del
Terzo Mondo e poi verso i Paesi sviluppati. Precisamente, la Rivoluzione verde è
una delle politiche di sviluppo messe in atto in passato nei Paesi poveri e
riguarda la diffusione, su vasta scala, di nuove varietà agricole ad alta
produttività per ettaro, basato su sementi ibride selezionate. L’attuazione di tale
politica risulta però non praticabile, poiché per i contadini più poveri l’accesso
ai mezzi tecnici è economicamente impossibile e, di conseguenza, più che a un
aumento della produzione agricola nei Paesi sottosviluppati, si è realizzata una
sua concentrazione nelle grandi aziende capitalistiche con un aumento della
dipendenza dai Paesi ricchi [Macioti M. I., Pugliese E., idem, pp. 8 - 9].
Ad ogni modo, una definizione per la figura dei migranti, nella quale traspaiono
le cause che spingono loro a partire, è quella di Perrone <<Gli emigranti sono
persone di ogni genere ed età, che provengono in gran parte da aree
e l’estendersi del potere politico ed economico delle imprese multinazionali [Macioti M. I.,
Pugliese E., idem, p. 10].
3
L’attuale processo di globalizzazione coinvolge anche i Paesi poveri, ma lo sviluppo
demografico e quello economico hanno andamenti discordanti.
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economicamente deboli del pianeta e si muovono per i più svariati motivi. In
alcuni casi si è di fronte a motivi di stretta sopravvivenza, in altri c’è la ricerca di
migliori condizioni d’esistenza, come una maggiore libertà politica e religiosa. Ma
in ogni caso, si tratta di persone che per poter vivere non hanno altra soluzione
che vendere la propria forza - lavoro>> [Perrone L., idem, p. 165].
In breve, a causa delle condizioni in cui l’individuo si trova nel proprio Paese è
costretto ad abbandonarlo per cercare fortuna altrove, vendendo la sua forza –
lavoro, ma non solo. Non dimentichiamo che egli lascia anche la sua cultura
d’origine e, nonostante ciò, non sempre viene accettato dalla cultura del Paese
ospitante che spesso chiede solo ed esclusivamente braccia, ma non vuole
persone. Di conseguenza, la situazione in cui oggi molti migranti si trovano è
molto difficoltosa: abbandonando la sua terra e la sua cultura il migrante è
costretto a vivere culturalmente in una terra di nessuno, uomo marginale, privo
di sicuri punti di riferimento che lo aiutino a costruirsi una sicura identità come
lavoratore e come cittadino [Ferrarotti F., 1994, p. VII]. Egli si configura come
una semplice forza – lavoro necessaria, non soggetto di cui riconoscere in primo
luogo l’individualità, le pretese all’uguaglianza e quindi i diritti [Dal Lago A.,
idem, p. 266].
1.2. Le migrazioni in Italia
1.2.1. Il modello mediterraneo
Tradizionale Paese di emigrazione
4
, l’Italia è divenuta nei decenni scorsi Paese
di immigrazione. Precisamente, sarebbe corretto dire che l’Italia è divenuto
anche Paese di immigrazione: infatti all’estero ci sono ancora significative
comunità di italiani i quali si identificano come emigrati ed esistono tutt’ora
flussi migratori tra l’Italia e altri Paesi, soprattutto europei [Pugliese E., 2002, p.
7]. Questa inversione storica del nostro Paese da "area di esodo ad area di
approdo" si è imposta precisamente a partire dagli anni Settanta,
4
L’Italia ha conosciuto due grandi esperienze migratorie verso l’estero: quella transoceanica fra
Otto e Novecento – la Grande Emigrazione – e quella dal secondo dopoguerra verso i Paesi
europei. Queste esperienze hanno inciso fortemente sulla storia e nei rapporti internazionali
dell’Italia. I tre o quattro milioni di persone fornite di cittadinanza italiana e residenti all’estero
sono il risultato evidente di quelle grandi ondate migratorie [Pugliese E., idem, p. 15].
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contestualmente all'attuazione di misure a carattere restrittivo (le cosiddette
"politiche di stop") avviate dai Paesi industrializzati dell'Europa Centro –
Settentrionale, al fine di controllare il flusso degli ingressi. L’effetto innescato da
queste politiche è stato lo spostamento dei flussi migratori verso altri Paesi
meno industrializzati (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia) e di conseguenza la
nascita del cosiddetto “modello mediterraneo” [Perrone L., idem, p. 172].
Se l’immigrazione tipica in Paesi come la Francia e la Germania coincideva con
un preciso bisogno di manodopera operaia, principalmente nelle industrie
metalmeccaniche e automobilistiche, nei Paesi della riva nord del Mediterraneo
la posizione lavorativa dei nuovi immigrati appare più variegata e
multiforme. Pugliese elenca una serie di elementi che permettono di parlare di
un modello di immigrazione mediterraneo, applicabile a tutti i Paesi dell’Europa
meridionale, che trova in Italia una delle sue espressioni più complesse. Sono in
primo luogo Paesi dove l’immigrazione ha progressivamente sostituito
l’emigrazione, anche se la connotazione di Paesi di emigrazione di queste
nazioni non è stata del tutto cancellata, cosi come il loro elevato tasso di
disoccupazione; in secondo luogo, uno sbocco occupazionale significativo dei
nuovi flussi è rappresentato anche dalle attività agricole, che invece avevano
avuto nullo o scarso rilievo nelle precedenti migrazioni intraeuropee; un terzo
elemento è l’iniziale assenza di norme che regolano l’immigrazione, cosicché la
facilità di ingresso (insieme alla diffusa condizione di irregolarità di soggiorno)
è un elemento importante e caratteristico di questo modello; infine, una
caratteristica tipica di questi Paesi, è la concentrazione degli immigrati nell’area
del lavoro terziario, in particolar modo nel settore dei "servizi alle persone", e la
rilevante presenza femminile [Pugliese E., idem, pp. 95 - 97].
Concludendo, possiamo dire che si è verificato un passaggio da una tipologia di
migrazioni <<Monoculturali e monorientate>> ad un’altra <<A ventaglio,
pluriorientate e pluriculturali>> [Perrone L., idem, p. 172]. Sottolineiamo inoltre,
che ci sono stati dei fattori di attrazione molto importanti e determinati da una
domanda di lavoro che riflette non solo le caratteristiche dell’economia
(l’occupazione degli immigrati nell’agricoltura ne è l’espressione), ma anche le
caratteristiche della società locale (ne è espressione l’occupazione degli
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immigrati nell’area di servizi alle persone). Mentre per quanto concerne i fattori
di spinta, essi sono gli stessi che dominano i processi migratori di tutto il mondo
[Pugliese E., idem, p. 97].
1.2.2. Gli immigrati in Italia
Nel precedente paragrafo, abbiamo affermato che già dagli anni Settanta si era
cominciato a parlare del nuovo ruolo dell’Italia passata da “area di esodo” ad
“area di approdo” per numerosi immigrati. In principio, i saldi migratori erano
divenuti positivi specialmente a causa di una prevalenza di ritorni sulle
partenze di emigrati dall’Italia [Pugliese E., 1994, p. 5]. Tuttavia, anche se nei
primi anni Settanta continuano i rientri e le partenze, la grande novità è
rappresentata dall’arrivo di immigrati stranieri provenienti soprattutto dal sud
del mondo e che scelgono l’Italia come destinazione temporanea o definitiva per
il loro trasferimento.
I primi arrivi negli anni Settanta in Italia sono dei lavoratori provenienti dal
Terzo Mondo: flussi molto particolari con composizione etnica, lavorativa e di
genere profondamente diversa. Il primo di questi flussi è costituito dai
lavoratori tunisini impegnati in agricoltura e nella pesca in alcune aree della
Sicilia; l’altro ha invece provenienze molto varie e distanti fra di loro (Paesi
cattolici dell’America Latina e dell’Asia o ex colonie italiane) ed è costituito in
prevalenza da donne impegnate soprattutto nel lavoro domestico [Pugliese E.,
idem, p. 67].
Nel corso degli anni Ottanta, gli arrivi in Italia e negli altri Paesi Europei si
moltiplicano, dettati da “forze espulsive presenti nei Paesi di esodo”. L’Europa
centro – settentrionale infatti, chiude le frontiere: di qui anche gli arrivi intensi
dai Paesi del Terzo Mondo e dall’Europa Orientale. Si tratta di immigrati che
divengono, forzatamente, manodopera pronta a forme anomale di sfruttamento
e nel peggiore dei casi, e per specifiche aree, manovalanza per attività di tipo
illecito [Macioti M. I., 1994, pp. 95 - 96].
In ogni caso, bisogna evidenziare che in Italia ci si è accorti con un certo ritardo
della consistenza di questo fenomeno, sia da parte dell’opinione pubblica che
delle autorità e, di conseguenza si è risposto, come sovente accade in tali
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situazioni, con una certa permissività e debolezza unite a non chiare linee
politiche [Ibid., p. 97] . Difatti, i primi immigrati si trovavano di fronte ad una
legislazione praticamente inesistente, tanto che una delle cause più
frequentemente indicate per spiegare l’inizio del fenomeno, è proprio l’assenza
di una normativa adeguata e di controlli efficaci, in un momento in cui i
tradizionali Paesi di arrivo mettevano in atto politiche di ingresso sempre più
restrittive [Bonifazi C., 1997, p. 39].
Per anni si è lasciato che giovani, sia uomini che donne, entrassero in Italia
senza prevedere nulla per il loro inserimento nell’ambito della vita lavorativa e
sociale, con il risultato che queste persone finivano col trovarsi in stato di
bisogno. Dice Mons. Di Liegro, direttore della Caritas diocesana di Roma
<<Rischiamo di far venire questa gente e poi lasciarla in mezzo a una strada … la
gente non sa che non siamo noi a caldeggiare la venuta, no. È che ci troviamo di
fronte a persone che si trovano in grosse difficoltà>> [Macioti M. I., idem, pp. 97 -
98]. Per una maggior precisione, bisogna attendere gli anni Ottanta per assistere
al varo della prima vera e propria legge sull’immigrazione, la n. 943/’86
5
[Perrone L., idem, p. 215], anche perché, con il passare degli anni, il fenomeno è
divenuto sempre più intenso e difficilmente poteva non essere normalizzato
attraverso un quadro legislativo e regolativo.
Al momento, l’immigrazione ha ormai raggiunto una portata significativa, tanto
che il numero delle nazionalità presenti in Italia, con le più diverse motivazioni
all’emigrazione e con le più svariate collocazioni professionali, si è estesa
enormemente
6
. All’inizio del 2010, l’Istat ha registrato 4 milioni e 235mila
residenti stranieri, ma, secondo la stima del Dossier statistico, includendo tutte
le persone regolarmente soggiornanti, seppure non ancora iscritte in anagrafe,
si arriva a 4 milioni e 919mila. Sono persone principalmente di origine europea,
5
Ha per titolo “Norme in materia di collocamento e trattamento dei lavoratori extracomunitari e
immigrati e contro le immigrazioni clandestine”.
6
Secondo la Caritas, anche nello scenario di crisi economica e occupazionale, l’immigrazione
non ha arrestato la sua crescita. Nel 2009 ad esempio, sono in tutto 4.330.000 i cittadini
stranieri residenti e le presenze regolari non ancora registrate in anagrafe. Se poi si tiene conto
che la regolarizzazione di settembre 2009, pur in tempo di crisi, ha coinvolto quasi 300 mila
persone nel solo settore della collaborazione familiare, l’Italia oltrepassa abbondantemente i 4,5
milioni di presenze: siamo sulla scia della Spagna (oltre 5 milioni) e non tanto distanti dalla
Germania (circa 7 milioni).
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seguono gli africani, gli asiatici e gli americani. A livello territoriale invece, il
Centro e il Meridione sono molto distanziati dal Nord, quanto a numero di
residenti stranieri. Tuttavia, si denota un’elevata presenza in tutte le grandi
città, non solo nel Nord ma anche nel Centro e nel Sud.
Tra i diversi fattori che spingono a scegliere l’Italia come destinazione, hanno un
ruolo fondamentale quelli di origine geografica, vale a dire la vicinanza
dell’Italia ad aree a forte pressione migratoria, come il continente africano e
asiatico, e alla sua prossimità ai Paesi dell’Est Europeo. Inoltre, incide anche una
programmazione dei flussi quantitativamente debole e operativamente
inefficace ed infine il recupero, attraverso le regolarizzazioni, degli immigrati
sprovvisti di permesso di soggiorno ma già inseriti nell’area del lavoro nero
7
[Dossier statistico Immigrazione, 2005].
L’Italia può essere considerato, dunque, a tutti gli effetti come un grande Paese
d’immigrazione, anche se sono tanti gli aspetti poco conosciuti di questo
fenomeno. Ad esempio, una manifestazione forse poco conosciuta del fenomeno
migratorio in Italia, è legata al caso della “migrazione nella migrazione”. In altre
parole, ciò significa che sono tanti gli immigrati che lasciano il Sud per il Nord
Italia e ci sono frequenti spostamenti di immigrati o di gruppi da una regione
all’altra nel nostro paese. Sottolineiamo oltretutto, il fatto che i migranti si
indirizzano sia verso aree a elevato sviluppo, sia verso regioni meno sviluppate
[Macioti M. I., Pugliese E., idem, p. 31].
È doveroso, tuttavia, evidenziare che i deficit conoscitivi, spesso vengono
colmati dagli italiani con luoghi comuni: un esempio su tutti e che colpisce
profondamente è la visione degli immigrati come persone poco scolarizzate e
con un tasso di analfabetismo molto alto, quando in realtà non è esattamente
7
Per capire l’effettivo dinamismo migratorio in Italia, bisogna riconoscere che la
regolarizzazione è stata la parola chiave a fronte di una programmazione di scarso impatto.
All’inizio degli anni ’90 un terzo dei soggiornanti è costituito da una parte delle 220.000 persone
che hanno beneficiato della regolarizzazione dell’anno precedente, che coinvolge in prevalenza
africani e asiatici e pone come condizione la semplice dimostrazione della presenza in Italia a
prescindere da effettivi legami col mercato del lavoro. Il 1992 è l’anno di una consistente
diminuzione dei permessi, perché molti regolarizzati non riescono a trovare un lavoro, quanto
meno ufficialmente dichiarato. Il recupero di questa diminuzione e i successivi aumenti
avvengono per effetto delle quote programmate (scarse e inclusive anche degli ingressi per
lavoro stagionale) e dei ricongiungimenti familiari (sia di coniugi che dei minori a carico). Questi
aumenti sono solitamente contenuti; negli anni di regolarizzazione, invece, gli aumenti sono
molto consistenti.
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così. Molti immigrati hanno un elevato titolo di studio o comunque un elevato
numero di anni di frequenza scolastica, e nonostante ciò, la maggior parte,
svolge un’attività poco vicina alle aspettative professionali o viene relegata solo
ad alcuni lavori scarsamente soddisfacenti e pesanti.
È opportuno sottolineare, che proprio oggi i livelli di istruzione, pur
mantenendosi relativamente alti, sono più modesti rispetto qualche anno
addietro, considerato che si è allargata la base sociale dell’immigrazione verso il
nostro Paese [Ibid., p. 33].
In ogni caso, in Italia si continuano ad alimentare luoghi comuni, false credenze,
e questo, lo ricordiamo, anche e soprattutto a causa del contributo dei media.
Sempre più, ad esempio, i media dimostrano il fenomeno dell’immigrazione
come una vera e propria “invasione”
8
, e a testimonianza di ciò, è diffuso un luogo
comune che si riscontra nella frase spesso pronunciata dagli italiani “gli
immigrati sono troppi”. Ma in realtà, da alcune indagini condotte dal prof. Luigi
Perrone nel Salento, emerge che molti cittadini non conoscono affatto le reali
cifre e, non è un caso, che chi non conosce l’effettivo numero degli immigrati,
sono soprattutto coloro che si sono informati solo attraverso i media e si
dichiarano per altro contrari alla loro presenza. Viceversa, gli altri che
dichiarano di essere solidali, conoscono l’effettiva presenza degli immigrati ed
hanno informazioni più precise, ricche ed articolate, provenienti da più fonti. È
dunque evidente che chi ha ricevuto la sola informazione dei media, ha una
immagine negativa e distorta del fenomeno immigrazione [Perrone L., idem, p.
192].
I media non sono solo “ossessionati” da questa presunta invasione, ma adottano
altresì il metodo dei <<Binomi abusivi>>, accoppiando regolarmente il fenomeno
immigrazione ai diversi mali sociali [Ibid., p. 195]. Più precisamente, nel
susseguirsi quotidiano di notizie lo straniero viene sempre proposto in
un’immagine negativa e associato quasi sempre al termine “criminale” e, di
conseguenza, quello che era semplicemente il “fenomeno immigrazione” diviene
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Un ruolo di rilievo nel determinare questa “sindrome da assedio” lo hanno sicuramente i
giornalisti, che traducono in termini di pressione sulle frontiere italiane e occidentali in genere,
la spinta proveniente da queste aree [Macioti M. I., Pugliese E., idem p. 206].
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una “questione o emergenza immigrazione”. I meccanismi per la costruzione di
tale allarme sociale sono sintetizzati da Scidà in tre passaggi:
1. La trasformazione del singolo episodio di cronaca in una
stigmatizzazione dell’intera categoria di immigrati, o più precisamente,
di immigrati clandestini;
2. La creazione di una forte associazione tra la presenza immigrata e il tema
dell’insicurezza urbana;
3. L’interazione tra operato dei media e l’agire e le prese di posizione di
attori che hanno una forte visibilità sulla stampa, personaggi famosi,
opinion leader e soprattutto attori politici [Naldi A., 2000, p. 148].
È evidente dunque, non solo la trasformazione dell’immigrazione in una
minaccia e in una emergenza, ma anche la sproporzione che c’è tra le reali
problematiche attribuite alle presenze straniere, e la minaccia e insicurezza con
cui sono socialmente rappresentate [Landuzzi C., 2000, p. 61]. Eppure l’Italia si è
da sempre dichiarata un Paese vaccinato contro il razzismo, soprattutto per il
fatto di essere stato in passato un popolo di migranti e, per di più, orgoglioso di
tali trascorsi. Ma i luoghi comuni, come detto pocanzi, si sprecano, e assistiamo
inoltre a un angosciante susseguirsi di discriminazioni e violenze quotidiane
verso gli immigrati che dilaniano il tessuto sociale e danno inizio a processi
incontrollabili [Perrone L., idem, pp. 186 - 188].
Per concludere, le tendenze demografiche in atto nel paese, con un processo di
invecchiamento sempre più intenso, concorreranno nei prossimi anni a far
aumentare i fattori di attrazione e, per questo motivo, il processo di
sedimentazione degli immigrati nella società italiana continuerà, facendosi
sempre più elemento permanente e definitivo della sua realtà [Bonifazi C., idem,
p. 47]. Pertanto, la giusta considerazione relativa al calo della natalità, con
conseguente invecchiamento ed eventuale riduzione della popolazione italiana,
può svolgere non solo un ruolo sdrammatizzante in un Paese che spesso soffre
da ansia di invasione, ma contribuire anche alla presa di coscienza del fatto che,
in Italia, c’è spazio per gli immigrati [Pugliese E., idem, p. 131]. Da qui, la
necessità da parte della società italiana di intervenire a livello locale e generale,
operando con una politica matura che riesca a rendere meno complesse e più
Parte prima - Cap. 1 Scenari migratori al femminile
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accessibili le vie legali dell’immigrazione, e costruendo percorsi di integrazione
certi e sicuri, che consentano di sfruttare al meglio le opportunità e risorse
rappresentate da questi nuovi arrivati.
1.3. Le migrazioni al femminile
1.3.1 Breve premessa
Dopo questa ampia, ma necessaria introduzione, utile per capire la portata del
fenomeno migratorio e alcuni suoi presupposti fondamentali, analizziamo ora il
nostro tema principale: le migrazioni femminili.
Sono rare le immagini o racconti di emigrazione che riportino l’esperienza
migratoria al femminile e, in particolare, l’esperienza di queste donne nei luoghi
dell’immigrazione. Non bisogna dimenticare, che le donne hanno un ruolo
fondamentale nel processo migratorio, non solo perché hanno assunto in prima
persona la gestione delle attività economiche e delle relazioni sociali nel luogo
di partenza, in sostituzione degli uomini lontani, ma anche per il fatto che, in
caso di emigrazione, hanno duramente contribuito con il loro lavoro, spesso
illegale così come la loro presenza, al bilancio familiare in vista del compimento
del progetto migratorio [Marengo M., 1997, p. 167].
Nei prossimi paragrafi, pertanto, intendiamo raccontare gli scenari migratori al
femminile, proponendo dapprima la presentazione del fenomeno, per poi
ripercorrere le tappe dei flussi migratori in Italia. Successivamente, nel secondo
capitolo, si esaminerà principalmente l’esperienza, in tutti i suoi aspetti, della
donna immigrata nella società di destinazione, in particolar modo in Italia, e la
sua “lotta” quotidiana tra l’integrazione e la discriminazione.
1.3.2. La femminilizzazione dei flussi migratori
Frequentemente, nell’immaginario collettivo, la migrazione è associata a lunghe
file di uomini nel deserto o a masse di uomini accalcati sui barconi che
attraversano il Mediterraneo, e questo dimostra, come le donne non siano
presenti negli stereotipi collettivi riguardanti la migrazione [Dean M., 2007].
Malgrado ciò, la migrazione femminile é un fenomeno concreto, anche se non é
quasi considerato dalle legislazioni in materia e, in molti casi, non appare