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Introduzione
Per quanto possa sembrare incredibile, le statistiche sui dati del mercato
petrolifero sono alquanto inaffidabili. Più precisamente, i paesi membri dell'Opec
(Organization of the Petroleum Exporting Countries) pubblicano i dati sulla loro
produzione effettiva con tre mesi di ritardo e ciò alimenta la confusione fra le
quote teoriche di produzione e la produzione effettiva, fino ad oggi storicamente
superiore alle quote previste. Possiamo, quindi, soltanto fare delle “congetture”
sulla situazione del mercato attraverso i risultati di un lavoro di interpretazione dei
cosiddetti ‘fondamentali’, i fattori della dinamica della domanda e dell’offerta che
influenzano il comportamento del prezzo.
Ma come nasce il mercato del petrolio? Come tutti i mercati, con la scarsità
di un bene, non disponibile in numero sufficiente per tutti. E se un bene è scarso,
chi non lo possiede è disposto a pagare un prezzo per appropriarsene. Fino a circa
venticinque anni fa il commercio del petrolio veniva effettuato prevalentemente
tramite “contratti a termine”. Venditori e compratori avevano, di fatto, creato un
mercato ibrido del petrolio tramite accordi diretti tra le due parti. Questi accordi
tranquillizzavano sia il venditore, che poteva gestire flussi sicuri di moneta nei
tempi programmati, sia il compratore che aveva la garanzia di un
approvvigionamento certo nei tempi e nei modi prestabiliti. Oggi, invece, il
mercato si è evoluto in una “commodity exchange” (scambio di materia prima)
dove gli operatori del Nymex (New York Mercantile Exchange) negli U.S.A. o
dell’ICE (International Commodities Exchange) in Europa, mantenendo “large
positions” (acquisti/vendite con termini temporali dilatati), sono potenzialmente
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in grado di avere la stessa influenza sui prezzi di quella del ministro del petrolio
dell’Arabia Saudita.
Il mercato spot, detto anche mercato libero, è ormai la forma di vendita
preferita da parte dei maggiori produttori mondiali. Ieri (25 anni fa) il prezzo dei
contratti a termine era stabilito dagli stessi paesi produttori attraverso l’emissione
di pubblicazioni periodiche dei prezzi ufficiali. Oggi i produttori tengono in
debito conto le quotazioni del mercato spot quando attribuiscono un prezzo ai loro
greggi.
Anche nell’industria petrolifera, come in altri mercati delle commodities più
comuni, si impongono i due fattori costituenti qualsiasi teoria economica, ossia la
domanda e l’offerta, componenti fondamentali che debbono trovare un giusto
equilibrio in un mercato che genera un business valutabile intorno ai 40 mila
miliardi di dollari
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annuali, che ha un numero estremamente variabile di grezzi
commercializzati, con impianti e raffinerie sparse nel mondo, con complessi
processi tecnologici, che deve fare i conti scelte di politica estera dei governi che
appaiono certe volte inspiegabili per i non addetti ai lavori. Un altro importante
aspetto è l’insostituibilità della merce petrolio, che ci porta ad una riflessione
fondamentale: nonostante si parli di un mercato ben definito, quello petrolifero
non è una commodity come tutte le altre poiché il suo è un mercato che non ha
sostituti pronti per applicazioni chiave quali i trasporti e la petrolchimica.
La moderna civiltà non può fare ancora a meno del petrolio e ciò assicura
che, per molti anni a venire, tale materia prima sarà di vitale importanza per le
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Cfr. “Grandi riserve, bugie e segreti” da “Il Sole 24 Ore” del 30.8.2006 a cura di Marco Magrini
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economie di tutti i paesi del mondo anche se il parametro economico che stima la
cosiddetta intensità petrolifera (la quantità di petrolio richiesta per produrre una
unità di Pil) si è drasticamente ridotto nel tempo. Nel 1980, per produrre 1000
dollari di Pil, servivano 1,8 barili di petrolio, nel 2004 ne bastano 0,6.
L’esclusiva caratteristica del mercato petrolifero attuale è la sua dinamicità,
poiché molti degli aspetti che andremo ad analizzare sono in un continuo processo
di trasformazione e, rispetto al passato, troviamo alcune importanti differenze
quali la volatilità del prezzo, il numero di nuovi soggetti che animano il mercato
(come produttori le repubbliche russe di recente costituzione e vari altri paesi non
Opec, come consumatori l’India e la Cina), nuovi modi di commerciare il petrolio,
nuovi assets che si sono costituiti fra le imprese, una crescita dei contratti a futuri
e di altri strumenti finanziari nati per ridurre il ‘price risk’.
Il prezzo del petrolio, nel breve periodo, dipende da una interazione tra i
vari segnali provenienti dal mercato dei prodotti, tradotti in azioni mediante le
decisioni dei raffinatori, e gli obiettivi dei produttori.
Ma come si può giustificare la differenza di prezzo che c’è tra un greggio ed
un altro? Nel mondo sono estratti e commercializzati una grande quantità di
greggi con caratteristiche diverse, ognuno dei quali produce una differente gamma
di prodotti che ne determina il valore commerciale. Il valore intrinseco della
materia prima è derivato dalla sommatoria dei valori dei prodotti ottenibili dalla
sua distillazione. Tale sommatoria prende il nome di Gross Product Value
(G.P.V.). Quindi, un operatore del settore che dovrà confrontare economicamente
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greggi diversi per effettuare delle scelte di approvvigionamento, dovrà comparare
i relativi G.P.V. correlando tali valori ai rispettivi prezzi di acquisto.
A questo punto del discorso occorre fare una importante distinzione tra due
aree di interesse primario per l’intera industria petrolifera: l’Upstream e il
Downstream. L’Upstream comprende le fasi di esplorazione e produzione mentre
il Downstream comprende tutte le fasi della raffinazione e del marketing. Il
trading petrolifero (la compra-vendita del greggio) rappresenta il nesso tra le due
aree, il campo in cui le decisioni operative, relativamente alle acquisizioni dei
greggi, devono combinare con le richieste del settore della raffinazione che sono il
frutto di un monitoraggio continuo del mercato dei prodotti. Sin dal 1970 questa
integrazione è stata verticale, forte di una stabilità di prezzo che oggi il mercato
libero ha frantumato rendendosi principale artefice di una volatilità che
certamente non favorisce le decisioni strategiche dei grandi investimenti in
esplorazione e perforazione, impossibili da effettuarsi senza un ritorno di mercato
che copra gli ingenti costi di ricerca ed estrazione.
Ma perché il prezzo del greggio, oltre ad essere stabile, deve essere alto?
Per estrarre un barile di petrolio occorre trivellare zone impervie, sia dal punto di
vista climatico che geologico. Zone in cui gli stati sovrani debbono essere
d’accordo nel far entrare sul loro territorio le trivelle americane, inglesi, francesi o
italiane, tutti paesi all’avanguardia per queste tecnologie con costi elevatissimi e
che richiedono una alta specializzazione. Il petrolio è destinato a finire un giorno
o l’altro ma ancora oggi non è una merce facilmente sostituibile. Per riuscire
nell’impresa le maggiori compagnie petrolifere sono impegnate soprattutto nel
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settore upstream, laddove è necessario un impegno finanziario estremamente
oneroso per una fruttifera attività di esplorazione e perforazione. Le imprese
occidentali, in grado di portare alla luce l’oro nero molto meglio di altre, ricevono
in cambio delle ‘royalties’ per lo sfruttamento del giacimento a compensazione
dei costi in tecnologia che sono altissimi e che devono essere recuperati da ricavi
altrettanto importanti. La situazione del mercato, nel ventennio precedente, non ha
permesso adeguati investimenti nell’esplorazione perché il prezzo del greggio non
li copriva a sufficienza. Per questo motivo è naturale che, dopo i circa 20 anni di
cui sopra, con prezzi inferiori rispetto a livelli più opportuni, in questi ultimi mesi
stiamo assistendo ad un loro rialzo improvviso. Occorre, infatti, rimpiazzare il
petrolio finora consumato con nuovi giacimenti, con altri pozzi che possano
consentire di soddisfare i consumi mondiali.
Ma il rinnovo della ‘spare capacity’
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non è che uno dei motivi che ha
determinato l’ascesa del prezzo. Occorre riconsiderare, infatti, il ruolo nello
scacchiere economico e politico di paesi emergenti quali la Cina e l’India e la loro
ragionevole sete di petrolio, il combustibile indispensabile per la crescita
economica. E poi vi sono anche motivi di ordine morale nella faccenda petrolio:
possiamo dire ai paesi in via di sviluppo di non svilupparsi o svilupparsi meno
perché il petrolio altrimenti non basterebbe per tutti? La situazione attuale è,
quindi, ben diversa da quella degli anni ‘60 e ’70, anni in cui i flussi petroliferi
erano strettamente controllati dalle maggiori compagnie petrolifere tramite
contratti a termine (detti anche Long Term Contract).
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Capacità dei paesi produttori di far fronte alle richieste del mercato.
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Considerando che la domanda futura sarà quasi sicuramente superiore
all’offerta programmata e che non vi sono ancora soluzioni pronte per sostituire
una merce come il petrolio, il prezzo del greggio non tornerà sui livelli del
passato, almeno finché l’offerta non si adeguerà alla domanda. Riguardo l’offerta,
il mercato, attraverso il prezzo sostenuto del greggio, finanzierà le ricerche per il
necessario ampliamento. Sul lato domanda, i paesi occidentali si sono organizzati
già da qualche anno con politiche che tendono ad evitare gli sprechi energetici,
attraverso tecnologie migliori e politiche di sensibilizzazione presso l’opinione
pubblica atte a ridurre i consumi.
In questo lavoro osserveremo che una situazione di prezzi in salita, oltre ad
essere un motivo che tenderà a caratterizzare il mercato almeno fino al 2012, è
indispensabile per garantire un futuro energetico alle generazioni che verranno,
anche se potrà creare dei seri rallentamenti alle crescite economiche dei paesi più
industrializzati.
Come già accennato più sopra, bisogna considerare anche gli aspetti politici
che talvolta influenzano il mercato. Difatti, più di qualche analista percepisce
l’alto prezzo del greggio quale conseguenza delle guerre contro il
“fondamentalismo islamico”. In altre parole il mercato starebbe risarcendo gli
arabi dei danni di guerra e gli americani per le spese militari finora sostenute. Gli
arabi si gioverebbero del prezzo alto ed incasserebbero moneta liquida da
impiegare nelle attività finanziarie e nelle imprese americane di cui dispongono di
elevate quote di proprietà. Non dobbiamo prendere tale tesi come fantascienza né
demagogia, ma soltanto come una ipotesi che più di qualche autorevole
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giornalista e critico storico sta vagliando da qualche tempo, a conferma del grande
potere che il petrodollaro ha avuto sin dagli accordi di Bretton Wood.
Un dato che emerge dalle analisi dei numeri delle riserve monetarie
internazionali, ci prospetta una situazione molto delicata dal punto di vista degli
equilibri politici ed economici. L’Euro sta, infatti, sostituendo il dollaro quale
moneta prediletta dalle Banche centrali per conservare valuta estera e questo fatto
avviene in un periodo di marcato revanscismo nei confronti degli USA da parte di
molti paesi produttori. Questi paesi non allineati stanno costituendo un fronte
comune al fine di adottare la moneta europea al posto del dollaro negli scambi
delle principali commodities.
Al fine di illustrare nella maniera più esaustiva possibile il mercato
petrolifero, è stato suddiviso il lavoro in cinque capitoli distinti, completati da
note a piè di pagina da utilizzarsi per le spiegazioni dei termini più difficilmente
comprensibili. Nel primo capitolo sono riportate le più accreditate teorie
economiche sulla formazione del prezzo del petrolio. Il secondo è utile per
comprendere le varie fasi del processo petrolifero. Il terzo capitolo è dedicato ad
illustrare chi sono gli interpreti di questi meccanismi. Nel quarto, che è la parte
più tecnica e centrale del tema, sono spiegati i processi che portano alla
formazione del prezzo del greggio nel mercato mondiale. Nel quinto capitolo sono
riportate alcune considerazioni sulla “spare capacity” mondiale, un commento sui
numeri del rapporto semestrale dell’Agenzia Internazionale dell’Energia da cui
sono tratte le considerazioni principali sui livelli di prezzo attuali e su quelli attesi
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nel futuro, oltre ad alcune osservazioni sul ruolo del petro-dollaro. Chiude
l’esposizione il paragrafo dedicato alle conclusioni finali.
Per ultimo, un rilievo di tipo statistico: questa fase di rialzo dei prezzi, che
stiamo registrando sin dal 2003, rappresenta il terzo picco verso l’alto dopo
l’esplosione dei prezzi del 1973-74 (guerra del Kippur) e del 1979-80 (guerra
Iran-Iraq). Un picco di natura differente da quelli precedenti, causati da singoli
accadimenti storici, che forse renderà economicamente convenienti anche le
ricerche di energia alternativa a quella basata sul combustibile fossile. Non
dimentichiamo che il mercato del petrolio nasce, in effetti, da una crisi del
mercato del carbone.
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