3
(mi riferisco a Stanislavskji, Meiercold, Ejzenstejn, Vachtangov) nei loro
Studi o scuole laboratorio. Ma anche Copeau, Lecoq, Strehler, il Living
theatre, Peter Brook, Grotowsky, Dario Fo hanno pensato e usato
l'improvvisazione come espressione artistica.
In tutti questi campi, lungi da essere riferito a qualcosa di
immediato e, potremmo dire, di originario, l’improvvisazione diviene
qualcosa che richiede molta tecnica, e che costituisce la fine di un
percorso. Si dice“ti sei improvvisato artista” di quella persona il cui
allestimento è preparato in fretta, spesso senza pratica specifica. In realtà,
si tratta di un uso improprio. Non consideriamo il jazz come una musica
improvvisata da autodidatti digiuni di teoria; così, nel teatro
l’improvvisazione non è mai libera ma stretta in griglie, forme, ritmi,
orchestrazioni, consonanze, complementarietà. Nell’improvvisazione,
quindi, convivono struttura e spontaneità. Dario Fo, durante
un’intervista, afferma:
L'improvvisazione è l'arte più scientifica che esista.
Perchè in verità l'improvvisazione è soltanto metà della
storia: l'altra metà è che bisogna avere la macchina dentro.
Devi acquisire moduli infiniti di svolgimento, devi impararli,
come un suonatore di jazz che sa di dover rientrare alla
sedicesima battuta, e ne ha sedici a disposizione per fare le
4
varianti. Tutte le consonanti del canto lui le ha dentro, e va
insieme al battere e al levare. E naturalmente si lega ai ritmi,
ai tempi, al contrappunto. La matematica del contrappunto è
la stessa nella commedia, nel monologo, nella musica
3
.
In Canada nel 1977 due uomini di teatro hanno dato origine ad un
format, il Match di improvvisazione teatrale. Robert Gravel e Yvon
Leduc rivisitano le tecniche di improvvisazione teorizzate da Viola
Spolin qualche anno prima, ma le trapiantano in un contesto inconsueto,
che è quello della competizione sportiva e del gioco. Nel Match non ci
sono ne’copioni ne’costumi ne’personaggi prestabiliti ne’scenografie.
L'unico elemento su cui tutto viene edificato è un tema, spesso suggerito
dallo stesso pubblico. Questa esperienza si è sviluppata rapidamente,
passando dai paesi francofoni a quelli anglofoni, in cui sarà elaborata
un’esperienza simile, quella del Theatersport. In Italia, a distanza di un
decennio, l’esperienza del Match ha trovato terreno fertile in Toscana,
patria di un altro tipo di performance legata all’improvvisazione, l‘Ottava
rima, e ha avuto come padrino fin dalle origini Francesco Burroni.
In tutte queste espressioni, il pubblico, ci dice Viola Spolin, è
concepito come una parte organica dell’esperienza teatrale, uno dei tre
3
PIERGIORGIO ODIFREDDI, “Dario Fo”, La Repubblica, 17 aprile 2002.
5
attori principali, assieme al giocatore nel patinoire e alla figura atipica
dell’arbitro. Egli suggerisce i temi, si esprime attraverso il voto, può
violare il silenzio nel corso della performance; la quarta parete scompare,
lo spione diventa parte del gioco
4
. Come avevano teorizzato i fondatori
del Living Theatre, non c’è differenza tra attore e spettatore, bisogna
recuperare un’unione persa, quella di una congregazione guidata da
sacerdoti. La stessa cosa era stata teorizzata da Adolphe Appia che
parlava già nel 1921 di “Cattedrale dell’avvenire”, in cui cadevano le
distinzioni tra attore e pubblico.
Anche qui, come è facile intuire, l’improvvisazione è legata ad una
tecnica e ad un lavoro di preparazione, che per gli attori del Match dura
due anni, e in seguito prosegue sotto forma di esercitazioni regolari.
L’esperienza del Match solleva, infine, una serie di questioni più
generali, che ci portano a domandarci se è possibile imparare a
improvvisare, e cosa può insegnare una scuola del genere. Inoltre, si
pone l’ipotesi di un nuovo tipo di strumenti di analisi per accostarci
all’atipicità del Match. A questi problemi, è legato a mio parere un
dubbio di fondo: è onesto applicare categorie classiche ad una nuova
forma? Molto probabilmente, dovremmo smettere di servirci di termini
4
VIOLA SPOLIN (2006), Esercizi e improvvisazioni per il teatro, Dino Audino Editore, Roma.
6
rigidi, come la suddivisione classica in attore, autore, regista, o il ricorso
all’ottica di un’estetica classica, e fornirci di categorie nuove, più fluide.
Nuovi occhi per guardare una nuova forma di teatro. Ma prima,
bisogna rivisitare la definizione stessa di teatro.
7
CAPITOLO I
L’IMPROVVISAZIONE IN UNA LETTURA
CONTEMPORANEA
Per affrontare alcune problematiche, è utile abbandonare gli
strumenti dello scienziato, in quanto inadatti. Così come è indispensabile
lasciarsi alle spalle il riferimento ad oggetti definiti, compiuti, e dirigere lo
sguardo verso le direzioni mutevoli dell’azione. La dinamica, appunto,
studia il movimento, e nel suo variare va in cerca di costanti.
E’ quello che sembra pensare Davide Sparti che ci presenta una
serie di metafore per descrivere l’improvvisatore. A volte un’immagine
rende un concetto in maniera più immediata di un discorso.
L’improvvisatore è come un esploratore in terre sconosciute, che ha con
sé delle mappe e fa ipotesi sul percorso da fare
5
. L’improvvisatore è un
viaggiatore che prende sempre all’ultimo momento un treno, quello
dell’input lanciatogli dal compagno
6
. L’improvvisatore è come un
bricoleur, che non sa da principio cosa produrrà, ma recupera quello che
ha sottomano attribuendogli un nuovo significato. L’improvvisazione è
come una frana, un evento improvviso che, però, si prepara da molto
tempo.
5
DAVIDE SPARTI (2005), Suoni inauditi, L’improvvisazione nel jazz e nella vita quotidiana, Il
Mulino, Bologna, p.128.
6
DAVIDE SPARTI (2005), Suoni inauditi, L’improvvisazione nel jazz e nella vita quotidiana, Il
Mulino, Bologna, p.180.
8
Sono rappresentazioni che in qualche modo ci forniscono dei
suggerimenti singolari, proprio perché sfuggono ad un tentativo di
definizione rigorosa.
In questo primo capitolo si parlerà dell’improvvisazione e di come
questo concetto nel senso comune ha spesso un’accezione diversa
rispetto a come dovrebbe essere inteso. Da qui, nasce una
consapevolezza nuova: quella del percorso che porta ad improvvisare,
fatto di tradizione, studio, esercizio. E’ la prima nota di revisione alla
definizione classica di improvvisazione. A questa, si accostano una serie
di qualità che aiutano a definire la dimensione dell’estemporaneo. Tra
queste, c’è l’inseparabilità, l’originalità, la responsività e l’irreversibilità.
In seguito, vogliamo considerare l’importanza che
l’improvvisazione assume nel corso del Novecento in diversi ambiti
artistici. Penso alla pittura, alla musica, alla scrittura, e al teatro. Con
qualche esempio vedremo come si è manifestata questa pratica nei vari
contesti. Tutto sembra partire dall’impulso del jazz, che ha agito da
catalizzatore negli altri campi. Un’attenzione particolare sarà dedicata al
teatro il quale, benché sia legato all’improvvisazione da tempi lontani, è a
partire dal Novecento che la considera una forma di performance in sé.
Infine, si prenderanno in considerazione alcuni aspetti centrali nel
processo improvvisativo. Nel fare ciò, dovremo uscire dal laboratorio di
9
osservazione dello scienziato, dato che non si improvvisa in un vuoto
pneumatico, ma solo in un contesto sociale. C’è un passo avanti rispetto
alle argomentazioni appena fatte: l’improvvisazione non interessa solo il
campo delle arti, ma è qualcosa che fa parte della vita di ogni giorno. Sia
che si tratti del campo dell’ordinario, che di quello speciale, c’è un
aspetto che resta dominante. E’ espresso con molta chiarezza da Elster
nella formula less is more: per noi uomini dalla razionalità imperfetta, è
funzionale muoverci all’interno di limiti anziché disporre di tutta la
libertà d’azione. E’ la contrainte, il punto d’appoggio, dal quale dispiegare il
filo della creatività.
1.1 Etimologia e definizioni
Improvvisazione deriva da improvisus (in=non, provideo=vedere in
anticipo). Il termine, dunque, indica ciò che non può essere visto prima.
Improvvisare, in una definizione classica, vuol dire agire in modo
immediato, con minima o nulla opportunità di pianificare le proprie
mosse prima di compierle.
In realtà, l’improvvisazione non si configura solo come
estemporaneità, ma come il risultato di un lavoro di formazione,
caratterizzato dallo sviluppo di capacità di ascolto, e di regia degli spazi e
dei tempi.
10
Il nuovo Zingarelli (a cura di Miro Dogliotti e Luigi Rosiello,
Undicesima edizione, 1985) ci fornisce questa definizione di
improvvisazione: «tenere un discorso, comporre versi, musica, per
immediata ispirazione senza studio o preparazione».
Tale definizione ci mostra in maniera evidente la sua
incompletezza e il legame con modelli culturali ormai superati, e per
questo può esserci utile come punto di partenza per un’analisi più critica.
Notiamo innanzitutto come l’improvvisazione sia ricondotta
esclusivamente agli ambiti performativi della vita, non considerando che
essa ha un ruolo importante anche in quelli che possiamo definire
ordinari. E’ una prima precisazione che sottolinea Davide Sparti, in Suoni
Inauditi
7
.
Inoltre, questa definizione può essere ritenuta inesatta sotto altri
due punti di vista. Innanzitutto, per quanto riguarda l’assenza di studio e
di preparazione. E’ l’idea da cui siamo partiti, molto radicata anche a
livello scientifico. In realtà, non ci si improvvisa improvvisatori, è una
competenza che si acquisisce. Occorrono esercizio ed esperienza, oltre
che un notevole bagaglio di materiale preso dalla tradizione.
7
DAVIDE SPARTI (2005), Suoni inauditi, L’improvvisazione nel jazz e nella vita quotidiana, Il
Mulino, Bologna, p.209.
11
C’è poi un’altra mancanza nella definizione di partenza.
L’improvvisazione è sempre inserita in un contesto relazionale, che
comprende gli altri artisti coinvolti, e i fruitori dell’evento artistico.
In realtà, se consultiamo altri dizionari, torna sempre il riferimento
alla «mancanza di studio e preparazione». Queste definizioni sembrano
non considerare la distinzione temporale tra momento dell’acquisizione
della competenza, per la quale occorre appunto preparazione, e l’atto
dell’improvvisare, che avviene a partire da questo trampolino di lancio.
Il Vocabolario della Lingua Italiana della Treccani (a cura di Aldo
Duro, 1987, vol.2, p.794) definisce così l’improvvisare:
Dire scrivere comporre (versi, un discorso, ecc.)
all’improvviso, seguendo l’ispirazione del momento, senza cioè
preparazione e meditazione; comporre musica mentalmente
nell’atto stessa dell’eseguirla[…] Con riferimento a
composizioni letterarie o musicali, include a volte un giudizio
negativo (per le qualità spesso scadenti delle creazioni
estemporanee, per la mancanza del necessario lavoro di
preparazione e di lima, e anche perché non di rado quella che è
detta ispirazione è soltanto abilità e bravura).
12
Questa definizione è molto più articolata della precedente, prende
in considerazione il versante artistico dell’improvvisazione facendo una
serie di distinzioni (tra arti della parola e musica); a proposito della
musica evidenzia la coincidenza temporale tra momento della
composizione e quello dell’esecuzione; inoltre, pur ignorando il tempo
preparatorio che è alle spalle, enfatizza l’atto di improvvisare, quello
legato all’ispirazione del momento e ad una dinamica non meditativa
che possiamo ricondurre all’intelligenza corporea di cui parleremo in
seguito. Infine, esplicita i limiti riconosciuti all’improvvisazione
nell’opinione comune: frettolosità, mancanza di studio e di meditazione,
faciloneria. E’ curioso il distinguo finale, secondo cui l’ispirazione è
spesso soltanto abilità e bravura. Questa lettura è ancora legata ad una
logica gerarchica tra qualità della sfera intellettiva (l’ispirazione indica
l’entusiasmo, l’eccitazione fantastica che alimenta l’opera dell’artista, e
nell’etimologia è legata ad una rivelazione divina), e qualità poietiche
(l’abilità e la bravura si riferiscono ad un saper fare). In realtà c’è un filo
rosso che sembra unire improvvisazione ed ispirazione, contro i suoi
detrattori: il rimando all’estemporaneità.
Ma quali sono i caratteri fondamentali dell’improvvisazione? Ne
parla Davide Sparti, nel suo libro Suoni Inauditi
8
. Innanzitutto, il principio
8
DAVIDE SPARTI (2005), Suoni inauditi, L’improvvisazione nel jazz e nella vita quotidiana, Il
Mulino, Bologna, p.118.
13
di inseparabilità, ovvero la coincidenza temporale tra creazione ed
esecuzione. Ciò comporta la possibilità di essere testimoni di un
processo creativo, piuttosto che trovarsi di fronte l’opera d’arte. Di qui, il
fascino di assistere ad una jam session, o ad un Match di improvvisazione,
o alle performance di pittura estemporanea. Un secondo aspetto è quello
dell’originalità, la volontà di fare qualcosa di diverso
9
. E’ il criterio
fondamentale che si cerca in un musicista jazz, o in un attore del Match.
Il musicista, l’attore, ha deciso di dare una svolta e di allontanarsi dalle
terre del già tracciato, in cui aveva a soccorrerlo una regia o uno spartito.
«Il cuore dell’improvvisazione è la trasformazione», scrive Viola
Spolin
10
. E’ uno dei termini chiave del teatro di ricerca del Novecento,
che, a vari livelli, insegue un mutamento. Il nuovo diventa il criterio di
riferimento per lui e per il pubblico. L’antitesi è rappresentata dalla
tradizione (nel caso del jazz si tratta di un vero e proprio strappo, così
come nel teatro di ricerca del Novecento si vuole superare un concetto di
teatro morto, che annoia). Questa tradizione, però, resta lì, come punto
di partenza e come interlocutrice (penso alle citazioni jazzistiche).
Qualsiasi capitolazione verso il già noto è vista come un tradimento nei
confronti del patto originario. Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia,
9
Elster distingue due significati diversi che coesistono nel concetto di originalità: quello di
autenticità o non contraffazione, e quello di creatività, per cui un’opera d’arte è innovativa sotto
qualche aspetto, rompendo con le convenzioni o creandone di nuove. JON ELSTER (2004), Ulisse
liberato. Razionalità e vincoli, Il Mulino, Bologna, p.312.
10
VIOLA SPOLIN (2006), Esercizi e improvvisazioni per il teatro, Dino Audino Editore, Roma,
p.38.
14
che è la vaghezza, la mancanza di precisione. A ciò è connessa
l’irreversibilità: come nella vita, siamo costretti a percorrere la linea
temporale in un solo verso. Se il momento dell’esecuzione corrisponde a
quello della creazione, non avrò la possibilità di tornare indietro, e di
modificare un passaggio, o una battuta. E’ un rischio che si corre quando
s’improvvisa. Ma è un rischio molto minore di quello che nasce dal
ricondurre il pubblico ad un sistema prevedibile da cui si era volutamente
allontanato.
C’è poi il parametro dell’estemporaneità, che vuol dire succedere in
questo attimo, qui e ora, e in modo inatteso. E’ una rinuncia
all’aspirazione tipicamente umana all’eternità. Si è consapevoli del fatto
che nulla rimarrà, subito dopo. Anche se qualcuno dovesse filmare o
registrare la performance. Tale carattere crea spesso sconforto: ad ogni
esibizione si crea un laboratorio semantico interessante, che potrebbe
essere riutilizzato in successivo spettacolo. E invece tutto va
irrimediabilmente perso. Infine, un altro aspetto dell’improvvisazione, è
una visione orizzontale e composita. Si tratta del policentrismo, ovvero
l’abolizione delle gerarchie. E’ quello che avviene nelle jam sessions (in
particolare per quanto riguarda il free jazz), dove si suona con e contro
altri musicisti, ma in una situazione di parità. Una jam session è una vera e
propria sfida, in cui però anche i musicisti più giovani hanno la