INTRODUZIONE
Questa tesi ha come oggetto di analisi l’influenza che il marketing e, in particolar
modo la comunicazione pubblicitaria, esercitano all’interno delle dinamiche politiche
ed elettorali. Questo elaborato nasce dalla necessità di rispondere ad una domanda:
considerando il personaggio, come ha fatto Donald Trump a diventare il presidente
della democrazia più potente del mondo? Senza dubbio le presidenziali americane
sono un evento che attira su di sé gli occhi degli osservatori di tutto il mondo; in un
contesto come quello odierno, rinnovato anche tecnologicamente, la
“mediatizzazione” dell’evento è una delle caratteristiche principali con cui i candidati
devono confrontarsi e saper governare. Comprendere il ruolo dei media ed il loro
utilizzo da parte dei contendenti, quindi, è una parte fondamentale se vogliamo
analizzare come il movimento popolare e la “massa-votante” si muove e determina il
successo o il fallimento di una campagna elettorale. Infatti, l’interesse ed il dibattito
che la “gara” politica suscita non riguarda esclusivamente le conseguenze politico-
economiche, ma anche i meccanismi sociali e culturali che sottostanno e governano le
elezioni. Per spiegare nel miglior modo possibile al lettore questa multidisciplinarità
che contrassegna e rende così stimolante la comunicazione politica è stato
fondamentale fare un passo indietro, partire un po' più da lontano per arrivare ad
esprimere in modo corretto ed esaustivo il sorprendente successo del magnate
newyorkese.
Nel primo capitolo, dunque, si affronta il rapporto simbiotico e le similitudini che
contraddistinguono la comunicazione pubblicitaria e la propaganda politica, non solo
negli obiettivi che si prepongono, ma anche nel radicamento che hanno all’interno
della nostra società. Più precisamente, sebbene su scale e con attori diverse, entrambe
vengono sfruttate per aggiungere un determinato pubblico e persuaderlo a livello
cognitivo, emotivo, e soprattutto, conativo. Gli strumenti e le tecniche per
promuovere queste tipologie di comunicazione servono a farle risultare comprensibili
all’audience ed emozionalmente coinvolgenti; l’unione di questi due risultati renderà
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più semplice un cambiamento comportamentale che si traduce in un atto di consumo,
nel campo pubblicitario, e nella preferenza alle urne, per quanto concerne la
propaganda politica. Da questa prospettiva, diventa strategico studiare l’aspetto
culturale, la tendenza dell’uomo a riunirsi in gruppi e diventare una “folla” poiché sono
alla base della formazione degli schemi mentali, delle opinioni e, in via definitiva del
processo decisionale.
Nel secondo capitolo si entra ancora più nel merito e si cerca di effettuare
un'indagine più specialistica e specifica dei processi che la comunicazione politica
moderna ha preso in “prestito” dal marketing e ha adattato al suo contesto e i suoi
pubblici di riferimento. Allo stesso modo del macrocontesto del consumo, anche
quello elettorale nel corso degli anni ha subito delle variazioni che hanno costretto una
reinterpretazione del modo di comunicare il candidato ed il suo messaggio. In un
nuovo millennio in cui siamo bombardati di messaggi e la secolarizzazione ha scisso i
grandi poli d’opinione diversificando l’audience in tanti piccoli gruppi, è di vitale
importanza poter diversificare la trasmissione delle informazioni personalizzandole e
rendendole memorabili. Questo giustifica la direzione che la comunicazione politica sta
prendendo: analisi del contesto competitivo, segmentazione e individuazione del
target necessario alla vittoria, costruzione e branding del personaggio e del messaggio,
slogan, spot e narrazione come strumenti essenziali a sviluppare engagement e
adesione. Tutto questo, che descrive e rende autonomo il microcosmo politico, è stato
sfruttato e utilizzato in maniera magistrale dall’entourage di Donald Trump capace di
cucirgli addosso un abito da 62.314.184 milioni di voti. Nell’ultimo capitolo, infatti, si
affronta l’abilità con cui Trump si è mosso all’interno del marasma socio-politico
americano, riuscendo a portare a casa la vittoria. Viene trattato, quindi, di come il
processo descritto nel capitolo secondo sia stato messo in pratica alla perfezione:
partendo da un’analisi dell’enviroment di riferimento, la nascita dello slogan ed il suo
legame con il personaggio ed il linguaggio da esso adottato, arrivando alla
classificazione ed esaminazione degli spot. In ultima analisi si fa riferimento alla
strategia social, attraverso i quali Trump ha veicolato la maggior parte dei suoi
messaggi e spot. Un ruolo quello del web, che ha amplificato la potenza comunicativa
di tutto quello che gravitava intorno al candidato repubblicano, aprendo, così, la
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discussione sul nuovo potere che i media esercitano, anche per quanto riguarda una
situazione così complessa e piena di sfaccettature come la corsa alla presidenza degli
Stati Uniti d’America.
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1. IL RAPPORTO TRA PUBBLICITA’ PROPAGANDA
1.1 Il concetto di persuasione
Per riuscire ad analizzare in modo corretto ed esaustivo quale sia il rapporto tra
la comunicazione pubblicitaria e la propaganda, è necessario e fondamentale partire
da quell’elemento che le due discipline condividono: la persuasione. In un mondo dove
siamo costantemente bombardati di messaggi e la presenza dei mass media nella vita
delle persone è ingombrante ed unilaterale, il concetto di comunicazione persuasiva
sembra essere attuale e fonte di “preoccupazione” per coloro che ritengono essere
soggetti ad una sorta di privazione della propria libertà. Tuttavia, la persuasione ha
radici storiche assai antiche che risalgono al periodo del V secolo A.C., durante il quale
Corace di Siracusa scrisse il primo manuale di retorica. Infatti, è indiscutibile il legame
indissolubile che lega la persuasione alla retorica, ovvero l’arte di saper convincere
attraverso un’argomentazione strutturata e logica. Questa connessione è ancor di più
esemplificata da Aristotele secondo il quale la retorica è “la facoltà di scoprire il
possibile mezzo di persuasione riguardo a ciascun soggetto”, (Aristotele, 1996, p.11)
aggiungendo che “questo compito non appartiene a nessun’ altra tecnica, poiché
ognuna di esse si prefigge di insegnare e di persuadere in relazione alla materia che le
è propria”, mentre “la retorica, invece, per così dire, sembra essere in grado di
scorgere il mezzo di persuasione intorno a qualsiasi soggetto proposto” (ibidem)
Risulta, comunque, impossibile parlare di persuasione senza nominare il
coinvolgimento emotivo che si instaura nell’atto comunicativo. Le emozioni giocano un
ruolo molto più preponderante di quanto si possa pensare nel processo decisionale
degli uomini. Con lo sviluppo delle neuroscienze, coadiuvate da innovative tecnologie
di analisi e comprensione, si è potuto ribaltare il famoso sunto cartesiano “cogito ergo
sum”, secondo cui sono la ragione ed il pensiero a renderci umani. Il neurologo
portoghese Antonio Damasio, infatti, afferma che “è come se noi fossimo posseduti da
una passione per la ragione: un impulso che ha origini nel nucleo del cervello, permea
gli altri livelli del sistema ed emerge sotto forma di sentimenti o inclinazioni inconsce a
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guidare il processo di decisione” (Damasio, 1994, p.333); egli, dunque, sottolinea e
rivaluta l’importanza dell’aspetto cognitivo ed emozionale dell’essere umano
“ricucendo” quella separazione tra emozioni ed intelletto elaborata da Cartesio.
Questa unificazione introdotta da Damasio diventa esplicita nel neologismo
“Intelligenza Emotiva”
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spiegato dallo psicologo statunitense Daniel Goleman; egli,
riconoscendo il potere e l’influenza dei sentimenti sulle nostre scelte, afferma,
appunto, che “le nostre passioni, quando ben esercitate, possiedono una loro propria
saggezza; guidano il nostro pensiero e la scelta dei nostri valori, e garantiscono la
nostra sopravvivenza”(Goleman, 1995, p.16); per cui la paradossale associazione
ossimorica tra emotività e razionalità si giustifica nel momento in cui
l’autoconsapevolezza ed il conoscere se stessi permettono di incanalare in maniera
positiva il flusso delle emozioni e di controllarle in base ai propri limiti. Nonostante le
evidenze empiriche documentate dal dopo guerra in poi, l’importanza dell’emotività
nel processo persuasivo è stata introdotta per la prima volta da Empedocle di
Agrigento: l’oratore, secondo il filosofo greco, per ottenere consenso doveva riuscire a
suscitare forti sentimenti nel pubblico. Cicerone amplia questo concetto analizzandolo
in profondità e teorizzandolo. Egli riteneva, infatti, che il retore, per riuscire a
coinvolgere i suoi ascoltatori, doveva egli stesso immedesimarsi nei sentimenti che
intendeva evocare, calarsi nella parte, renderla vera e conforme alla situazione: “è
impossibile che l’ascoltatore provi dolore, avversione o rancore, che senta timore, che
venga trascinato al pianto o alla misericordia, se tutti quei motivi dell’animo che
l’oratore intende suscitare nei giudici non si mostreranno come impressi a fuoco nello
stesso oratore” (Cicerone, 2000, libro II, sezione 189) . Si può denotare, dunque, che
Cicerone sottolinea l’importanza della comunicazione non verbale, del linguaggio del
corpo ai fini di una comunicazione efficace e che entri come ricordo nella mente di chi
ascolta. Nelle relazioni interpersonali, al contrario di quanto si possa supporre, gli
argomenti e i concetti espressi sono la parte meno considerata dall’ascoltatore; infatti,
molti studiosi concordano sul fatto che il comportamento e i gesti, ovvero la parte
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Va notato che questo concetto nasce nel 1990 (Salovey e Mayer). Solo, però, grazie a
Goleman diventa un costrutto psicologico.
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visiva della comunicazione, è quella che lascia l’imprinting maggiore nella memoria.
L’importanza dei messaggi non verbali consiste nell’essere il principale veicolo dei
sentimenti quando si comunica (come si può notare quando spesso le espressioni
tradiscono le parole). La loro efficacia persuasiva, inoltre, deriva dal fatto che vengono
percepiti dall’interlocutore in maniera non conscia; il loro essere subliminali, fa si che
eludano il controllo razionale e la capacità critica della mente. La consapevolezza che
“non si può non comunicare”
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ci pone di fronte alla principale prerogativa di una
comunicazione efficace e quindi persuasiva: la coerenza tra il linguaggio digitale (le
parole) e analogico (corpo e voce). La coesione dei due universi comunicativi, quello
che si dice e come lo si esprime, consentono di evitare incongruenze che potrebbero
minare la veridicità del discorso e la credibilità dell’oratore. In ogni caso, l’obiettivo
principale della persuasione è, come diceva Aristotele, quello conativo, ovvero di
indurre un cambiamento nel comportamento delle persone; non si parla più, dunque,
solo di un livello cognitivo di opinioni ed atteggiamenti. Quali sono, quindi, a livello
teorico le fasi del processo persuasivo e le caratteristiche che la fonte, il messaggio e il
ricevente devono avere per attuare un cambiamento di tale portata?
Carl Hovland (1953) e i suoi collaboratori all’università di Yale cercarono di
soffermarsi sugli effetti ed il ruolo che le singole caratteristiche (fonte, messaggio e
ricevente) giocano nell’efficacia del processo persuasivo.
- La fonte: indipendentemente dal messaggio recapitato, è essenziale
comprendere le caratteristiche che rendono la fonte convincente. La prima
presa in considerazione è la “credibilità”, della quale Hovland individua due
dimensioni: l’attendibilità che si riferisce ad un alto livello di expertise
(conoscenza specifica) circa l’argomento preposto e la sincerità connessa
invece alle intenzioni dichiarate. Per quanto, tuttavia, sia intuitivo pensare che
un messaggio proveniente da una fonte ritenuta credibile abbia un impatto
persuasivo notevole, non va sottovalutato lo sleeper effect (effetto latente).
Infatti, se il risultato è misurato poco dopo la fruizione del messaggio,
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1° dei cinque assiomi della comunicazione elaborati dalla scuola di Palo Alto (California), il cui
massimo esponente era Paul Watzlawck.
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l’attendibilità dell’emittente genera un maggiore mutamento degli
atteggiamenti rispetto a quello trasmesso da un soggetto ritenuto poco
affidabile. Se, invece, facciamo trascorrere del tempo dal momento della
ricezione, avviene una scissione tra colui che ha inviato il messaggio ed il
contenuto del messaggio stesso; accade, cioè, che tendenzialmente le persone
dimenticano la fonte focalizzandosi sul contenuto. In questa condizione
temporale, quindi, un messaggio forte trasmesso da una fonte meno
attendibile può avere un’incidenza maggiore di un messaggio debole proposto
da una fonte autorevole (Hovland, Janis, Kelley, 1953, pp.57-59)
L’altro aspetto preso in considerazione è l’attrattiva della fonte, ovvero i
suoi connotati personali e fisici che recitano una parte di primo piano nella
comunicazione persuasiva. Psicologicamente, infatti, le persone sono
maggiormente protese ad identificarsi e a voler assomigliare a coloro che
apprezzano esteticamente (bellezza fisica), a coloro che condividono gli stessi
ideali e valori e a coloro di cui hanno una conoscenza pregressa (un nome noto,
un viso familiare etc.) (Kelman, 1961, p.63). Il processo che segue
l’identificazione è l’internalizzazione: l’individuo accetta inconsciamente di
essere influenzato dall’attrattività e credibilità della fonte perché il
comportamento indotto è confacente al proprio sistema valoriale. L’adozione
di questo behavior deriva dal fatto che “egli lo percepisce come un conduttore
naturale per la massimizzazione dei suoi valori” (Ivi, p.65)
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- Il messaggio: tenendo in considerazione il contesto comunicativo,
l’articolazione dell’argomentazione e le caratteristiche del ricevente, Hovland
cerca di rispondere ad alcuni quesiti che concernono la forma del messaggio, in
modo che esso raggiunga il massimo potenziale persuasivo in base alle variabili
intervenienti. In primo luogo bisogna decidere tra argomentazioni unilaterali,
quando si forniscono solo ipotesi che avvalorano la tesi dell’emittente o
bilaterali, quando si citano anche le ragioni avverse. Il discorso bilaterale è
maggiormente adeguato quando si parla a persone preparate sull'argomento,
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Nostra traduzione.