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Introduzione
È un po’ picchiatella, tutto qua.
Non c’è dubbio, però la sua mente trabocca di cose molto interessanti.
Ha una personalità ricca di fascino.
(Alix Strachey)
A poco più di un secolo dalla comparsa della Psicoanalisi
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, forse non abbiamo ancora
valutato appieno la portata della rivoluzione copernicana compiuta da Sigmund Freud
(1856-1939) e dai suo allievi.
Erede della Religione e della Filosofia, nonché della Medicina e della Psichiatria
della fine del XIX secolo, la Psicoanalisi le ha decostruite e rinnovate tutte, imponendo
l’idea secondo la quale l’anima umana, tributaria del corpo e del linguaggio, non solo
può essere conosciuta, ma, luogo di dolore e soggetta alla distruzione e persino alla
morte, è soprattutto il nostro spazio di rinascita.
Grande avventura entrata a far parte del costume oppure oscura ignoranza,
tenacemente denigrata da alcuni, la scoperta dell’inconscio continua a presentarsi,
all’alba di questo terzo millennio, come un enigma.
Con la passione propria degli esploratori dell’ignoto, i pionieri di questa scoperta le
hanno dedicato tutta la propria esistenza e forgiato così un nuovo tipo di sapere, che
sfida la razionalità classica e, tenendo conto dell’immaginario su cui poggia il legame
tra individui che parlano, ne allarga i confini.
Anche se molti ne hanno diffidato e ancora ne diffidano (da Heidegger a Popper, per
citare solo i più risoluti), alcuni tra uomini e donne più ingegnosi di questo secolo - da
Virginia Woolf a Georges Bataille, da André Breton a Jean-Paul Sartre, da Cherlie
Chaplin a Alfred Hitchcock a Woody Allen - leggono Freud o si stendono sul lettino
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Il termine «psicoanalisi» viene usato per la prima volta nell’articolo di Freud, pubblicato in francese,
L’Hérédité et l’étimologie des névroses, 1896 [trad. it. L’ereditarietà e l’etimologia delle nevrosi, in
Opere di Sigmund Freud, Bollati Boringhieri, Torino 1966, vol. II, pp. 289-302]. Sarà però Die
Traumdeutung [trad. it. L’interpretazione dei sogni, ibid. vol. III], pubblicata nel 1900, dopo le Studien
über Hysterie [trad. it. Studi sull’isteria, ibid., vol. I, pp. 171-390] con Joseph Breuer nel 1895, a essere
considerato il libro che inaugura la psicoanalisi.
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dell’analista per capire o sperimentare l’innovazione della conoscenza di sé, condizione
di una libertà nuova e al tempo stesso svolta della civiltà.
I dissidi che hanno accompagnato e turbato il movimento psicoanalitico ai suoi
esordi, e nel corso della sua storia secolare, non sono stati provocati solamente dalla
permeabilità dei terapeuti alla follia che essi curano, come i maldicenti insinuano.
Freud e i suoi “complici” mutuarono proprio la malattia mentale quale strada maestra
per conoscere e tentare di liberare l’anima umana. Parecchi moralisti e scrittori, in
particolare francesi, avevano già aperto a modo loro questa strada, rivelando la follia nel
fondo dell’anima umana.
Da non ignorare e da non rinchiudere, la follia va detta, scritta, pensata: temibile
confine, inesauribile stimolo della creatività.
Questo apparente paradosso è ancora e sempre al centro dell’incomprensione e delle
resistenze suscitate dalla psicoanalisi: come è possibile che la patologia dica la verità?
Occupandosi della malattia psichica, analizzando il disagio, la psicoanalisi scopre le
logiche che governano le esperienze umane definite normali e può precisare le
condizioni a partire dalle quali quelle logiche si fissano in sintomi.
La teoria dell’inconscio cancella dunque il confine tra il “normale” e il “patologico”
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e, senza rinunciare a guarire, si offre sostanzialmente, e a ciascuno, come un viaggio al
fondo della notte intima.
La straordinaria personalità di Melanie Klein (1882-1960)
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, ricca di fascino,
raccogliendo spunti da Freud, riuscì ad apportare contributi importanti alla psicanalisi.
Questa donna, che diventò caposcuola di un’importante corrente analitica
4
, celava
infatti dietro alla sua apparente sicurezza un’eccezionale permeabilità all’angoscia:
quella degli altri e la propria.
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Cfr. M. FOUCAULT, Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino 1976.
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Per i dati biografici si è consultato la ricca raccolta in P. GROSSKURT, Melanie Klein: il suo mondo e il
suo lavoro, Boringhieri, Torino, 1988.
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Fra i suoi allievi (per citarne alcuni) si annoverano molte donne: Paula Heimann, Joan Riviere, Susan
Isaacs e per un certo periodo Sylvia Payne; ma anche Roger Money-Kyrle, John Rickaman, W. Svott e
Donald Woods Winnicott. Dopo Melanie Klein altri studiosi proseguirono le ricerche sulla psicanalisi
infantile. Fra i più importanti, non ancora citati, vanno ricordati: René Spitz (1887-1974), che analizzò le
conseguenze dovute alla mancanza della figura materna sui bambini piccoli; John Bowlby (1907-1990),
fondamentale per le ricerche sull’attaccamento materno; Bruno Bettlheim (1903-1990), con le sue ricerche
sull’autismo e sull’interpretazione psicoanalitica della fiaba e dei riti; Margareth S. Mahler (1897-1986) e
Daniel Stern (1934-), che svilupparono ulteriormente le indagini sull’attaccamento e le relazioni madre-
figlio.
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La coabitazione con l’angoscia, simboleggiata e perciò vivibile, perché vinta dal
pensiero, le ha dato il gusto e la forza di non indietreggiare davanti alla psicosi, ma di
curarla con più attenzione di quanto, forse, non ne facesse Freud.
Già Erasmo faceva un Elogio della follia (1511) per spiegare all’umanità rinascente
che la libertà trae origine dalle esperienze-limite.
Quando Freud, fin da L’interpretazione dei sogni (1900) ci insegna che i sogni sono
la nostra follia privata non nega la malattia, ma ce la fa conoscere meglio come se fosse
anche la nostra “inquietante estraneità”.
Individuando nel neonato un Io «schizo-paranoide», o costatando la «posizione
depressiva» è indispensabile per acquistare il linguaggio, Melanie Klein estende la
nostra familiarità con la follia e le sue sfumature.
Trascinata dalla storia drammatica del nostro continente, che culminò col delirio
nazista, Melanie Klein non si è però dedicata agli aspetti politici della follia che ha
sfigurato il nostro secolo
5
.
La sua analisi della psicosi privata, adulta ma tantopiù infantile, ci permette di
cogliere meglio i meccanismi profondi che condizionano, accanto alle contingenze
storico-economiche, la distruzione dello spazio psichico e l’uccisione della vita della
mente da cui l’età moderna è minacciata.
L’opera di Melanie Klein è tra quelle che più hanno contribuito alla conoscenza del
nostro essere in quanto disagio, nei suoi vari aspetti: tra l’altro schizofrenia, psicosi,
depressione, mania, autismo, ritardi e inibizioni, angoscia della catastrofe,
frammentazione dell’Io.
I suoi apporti originalissimi alle teorie freudiane hanno fatto sì che alcuni suoi
approcci a problematiche ancora attuali siano tuttora molto validi ed è mio scopo, con
questo lavoro, metterne in luce gli aspetti più rilevanti.
5
Cfr. H. ARENDT, La Banalità del Male [1964], Feltrinelli, Milano 2002.
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1. Da Freud a Melanie Klein
Freud ci ha indicato il bambino nell’adulto
Melanie Klein chi ha indicato il neonato nel bambino.
(Hanna Segal)
L’idea più comune attorno al lavoro di Melanie Klein e al suo ruolo nella storia del
pensiero psicoanalitico, è legata alla psicoanalisi infantile e alla tecnica del gioco. Ciò
farebbe pensare a un interesse originario di Klein per i bambini e per le patologie
infantili. Se si pone invece attenzione al modo con il quale si manifesta questo interesse
e, soprattutto, allo sviluppo delle sue idee in proposito, si può facilmente vedere come le
cose non stiano propriamente così.
Nell’autobiografia
6
, Melanie Klein scrive che lesse il lavoro di Freud sul sogno nel
1914.
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Da quello scritto realizzò che ciò di cui vi si trattava era quel che poteva
soddisfarla intellettualmente ed emotivamente.
Trasferitasi da Vienna a Budapest, era entrata in analisi
8
nel 1910 con Sandor
Ferenczi (1873-1933)
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, che era l’analista ungherese più eminente, e sarà proprio questi,
conosciuto attraverso contatti di lavoro del marito Arthur, a pensare che lei si sarebbe
potuta occupare con successo del lavoro coi bambini e a spingerla in questa direzione,
destando in lei un certo stupore.
Durante l’analisi con Ferenczi egli mi fece notare il mio interesse per i bambini e la mia grande
capacità di comprenderli, e incoraggiò moltissimo la mia idea di dedicarmi all’analisi dei bambini.
6
Mi riferisco all’autobiografia redatta ma mai pubblicata. Si veda P. GROSSKURTH, Melanie Klein: il
suo mondo e il suo lavoro, op. cit.
7
Cfr. P. GROSSKURTH, op. cit., p. 15.
8
A quell’epoca Melanie soffrì molto per la morte della madre (Libussa morì nel 1914) che aggravò il suo
stato depressivo già presente. Cfr. P. GROSSKURT, op. cit., p. 91.
9
Dal 1900 neurologo a Budapest, si interessò inizialmente ai fenomeni dell’ipnosi e dell’autosuggestione,
e la lettura, nel 1907, dell’Interpretazione dei sogni, fu per lui decisiva, introducendolo a entrare
direttamente in rapporto con Freud e la Società psicoanalitica di Vienna. Nel 1926-1927 compì un viaggio
negli Stati Uniti, contribuendo alla diffusione delle dottrine freudiane.
Nonostante le divergenze crescenti con certi aspetti del metodo freudiano, a differenza di Adler, Jung e
Rank non arrivò mai a una rottura con Freud. Il punto di maggior distacco riguarda soprattutto la pratica
terapeutica; mosso da un profondo senso umanitario e di partecipazione alla sofferenza psichica del
paziente, Ferenczi sosteneva la necessità di un intervento attivo dell’analista nel corso del trattamento, il
che comporta inevitabilmente una modifica della funzione del transfert.
7
Io naturalmente avevo tre bambini miei a quel tempo […] Non mi era mai passato per la mente
[…] che l’educazione […] potesse estendersi alla comprensione di tutta la personalità e avere
perciò quell’influenza che si voleva attribuirle. Avevo sempre la sensazione che dietro ci fosse
qualcosa che non si riuscisse ad afferrare.
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L’autobiografia fu composta, in modo discontinuo, tra il 1953 e il 1959, ed è quindi
interessante notare come ancora quarant’anni dopo, e pur in uno scritto artefatto e teso a
dare un’immagine di completezza inattaccabile delle sue idee e della loro genesi (così lo
definisce difatti Grosskurth), l’originario interesse educativo per l’analisi non venga
smentito e nemmeno mascherato.
Questo interesse risulta invece meno chiaro nel testo che la Klein compose nel 1953,
che illustra la tecnica del gioco e il suo significato.
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In effetti quando, il 13 luglio 1919, la Klein presenta il suo primo lavoro alla Società
Psicanalitica ungherese lo inquadra in un’ottica educativa che le è molto chiara:
l’istruzione sessuale dei bambini, che ormai molte scuole stavano tentando, richiedeva
un’educazione preventiva che avrebbe permesso al bambino di assorbire spiegazioni
«nella maniera più completa e naturale conformemente al procedere del suo sviluppo».
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Era l’importanza di un’educazione che favorisse un armonico sviluppo intellettivo la
proposta innovativa della psicoanalisi. La via che Melanie Klein segue nel trattamento
del primo paziente, il piccolo Fritz, che allora aveva all’incirca quattro anni e mezzo,
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era quella di «influire sull’atteggiamento della madre»
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suggerendole di rispondere
sempre con estrema franchezza. È probabile che questa scelta sia stata fatta dalla Klein
in relazione al precedente lavoro svolto da Freud con il padre del piccolo Hans, al quale
del resto fa riferimento esplicito nell’attacco della seconda parte del proprio lavoro.
Anche nell’ “Introduzione” alla Psicanalisi dei bambini del 1932, accennerà agli
inizi della psicoanalisi infantile, proprio ricordando il lavoro con il piccolo Hans che, a
suo giudizio, aveva dimostrato, innanzitutto, che «era possibile applicare i metodi
psicanalitici anche ai bambini piccoli».
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10
P. GROSSKURT, op cit., p. 93. (corsivo mio)
11
M. KLEIN, La tecnica psicanalitica del gioco: sua storia e suo significato, P. Heimann, R. Money-
Kyrle (a cura di), Nuove vie della psicoanalisi, il Saggiatore, Milano 1966.
12
M. KLEIN, Lo sviluppo di un bambino, in Scritti 1921-1958, Boringhieri, Torino 1978, p. 17.
13
Il piccolo Fritz, presentato nello scritto come «figlio di certi miei parenti che abitano nelle vicinanze di
casa mia» (Lo sviluppo di un bambino, op. cit., p. 18), era in realtà Erich, il terzogenito della stessa Klein,
nato il 1 luglio 1914.
14
M. KLEIN, La tecnica psicoanalitica del gioco: sua storia e suo significato, op. cit., p. 30.
15
M. KLEIN, La psicoanalisi dei bambini [1932], trad. it. Martinelli, Firenze 1988, p. 9.