1. Introduzione Appena un anno fa il mercato energetico italiano sembrava tutto un altro
mercato. Era il dicembre 2010, il Governo Berlusconi aveva sul tavolo una
nuova Strategia Energetica Nazionale che prevedeva il ritorno all'energia
nucleare, un consorzio di grandi imprese si preparava a mandare in onda
uno spot per rilanciare, con l'opinione pubblica, il tema nucleare,
instaurando un discorso sereno e razionale. Il settore delle rinnovabili,
navigava tranquillo e spingeva per ottenere maggiore attenzione, senza
ancora immaginare l'effetto “boom” che il “III Conto Energia” potesse avere
sulle installazioni di nuovi impianti fotovoltaici.
L'Italia istituzionale navigava sicura verso gli obiettivi europei del 20, 20, 20,
contemplando, nel suo energy mix, una bella dose di 25% prodotto da fonte
nucleare. Nel frattempo le associazioni ambientaliste scaldavano i motori,
pronte a dare battaglia contro il ritorno del nucleare nel nostro Paese.
Fu in questo clima che, nel gennaio del 2011, decisi di approfondire il tema
del public affairs e della comunicazione nel settore energetico. Inizialmente
mi sarei dovuto concentrare sulla comunicazione e lobbying del nucleare,
ma gli eventi successivi hanno scritto la mia nuova storia.
Passato il disastro di Fukushima e con i risultati di un referendum abrogativo
alle spalle, ho deciso di addentrarmi nel mondo dell'energia italiana per
comprendere come si stesse riorganizzando il settore.
Era il giugno 2011 e c'erano evidentemente vincitori e vinti: i rapporti di
forza sembravano essersi capovolti. Ho cercato, attraverso interessanti
5
interviste ad esperti del settore, regolatori e politici, di tirare un filo rosso
che guidasse il lettore attraverso i pezzi del puzzle.
Ho cercato di raccontare come il settore energetico sia cambiato, ampliato e
aperto a nuovi confini geopolitici, ma anche legislativi: le politiche
energetiche si decidono a Roma col Governo centrale e in Europa, tra le
Istituzioni europee, ma anche nelle varie piazze regionali.
Una fitta trama di direttive, regolamenti e leggi influiscono sul settore e
bisogna imparare a domarle attraverso il ricorso al public affair. Il lobbying è
una pratica ancora troppo oscura nel nostro piccolo Paese, ma ben
convenzionata nell'Europa delle roadmaps che descrivono gli scenari futuri,
in cui rinnovabili e risparmio energetico sono la chiave per il successo.
Ma la scena, negli ultimi anni, era cambiata anche sul fronte commerciale: le
liberalizzazioni hanno permesso l'ingresso di nuovi operatori e ampliato
l'offerta commerciale, dando il via a una “caccia al cliente”, senza
dimenticare che anche i consumatori stessi si sono evoluti, abbracciando
sempre di più i prodotti green, anche per la luce di casa.
L'Italia, in questo periodo, si è trovata a fare delle scelte importanti, forse
non sempre dettate da razionalità e comprensione, ma sicuramente
spiegabili attraverso la lente di ingrandimento della comunicazione.
“Lobbying e comunicazione nel mercato energetico nazionale” vuole
descrivere il metodo che le imprese nel mondo dell'energia, ma anche le
associazioni, hanno dovuto abbracciare per far fronte alla anomala
situazione politica del nostro Paese, metodo che stava germogliando e che
gli eventi dell'ultimo anno hanno incentivato e amplificato.
Spero di portare il lettore a comprendere perché a livello nazionale si è
6
avuto lo slittamento dal “lobbying diretto” verso “l' issue lobbying”,
spiegando quali sono le basi del public affairs, raccontando il sistema
europeo e riassumendo gli ultimi anni di politiche energetiche italiane.
Un accenno alle comunicazioni dell'energia sostenibile e all'attuazione del
risparmio energetico si rivela essere doveroso, per comprendere come le
politiche energetiche macroeconomiche influenzino anche i nostri stili di
vita.
L'Europa sta avvicinandosi agli obiettivi del 20, 20, 20 e in meno di 50 anni il
mondo dell'energia potrebbe subire una rivoluzione completa grazie alla
ribalta delle fonti rinnovabili. Saremo in grado di gestire questa transizione?
A che costo? Riuscirà il nostro Paese a varare finalmente una politica
energetica lungimirante?
7
2. Lobbying e Relazioni Pubbliche 2.1 B, B & B. Le origini del lobbying.
Cosa è il lobbying? Questa è una domanda a cui non sempre è facile dare
una risposta chiara, soprattutto se stiamo parlando con persone comuni,
cittadini che hanno una visione del lobbying e del lobbista costruita tramite
film e tramite la cronaca politico – giudiziaria.
Ma andiamo con ordine:
Il termine lobby , che non deve essere confuso con il più comune hobby ( di
tutt'altro significato), ha origine nel gergo architettonico e indica un
ingresso, un vestibolo o un corridoio; più in generale tutte le appendici di
un edificio in cui la gente passa, aspetta e chiacchiera.
Il termine lobby discende dal latino medievale laubia , nel significato di
“corridoio di passaggio”, con il tempo il vocabolo ha assunto un significato
più esteso come “loggia” o “tribuna del popolo” 1
. Nella vecchia Inghilterra
del XVII secolo laubia indicava uno spazio aperto di fronte alla camera dei
comuni, dove si potevano aspettare ed incontrare i parlamentari, poi si
estese fino ad indicare la tribuna del pubblico nelle aule parlamentari 2
3
.
La prima apparizione dell'uso del termine lobby con un ’implicazione politica
si fa risalire storicamente al 1829, quando alcuni giornali scrissero
dell'esistenza di “lobby agents” 4
, identificandoli con persone, o meglio
“agenti” che sostavano nei corridoi delle istituzioni. La parola, per
metonimia, così, ha cominciato a designare non più il contenitore (luogo),
1 Massimo Franco, “Lobby, il Parlamento invisibile”, Ed. Il Sole 24 Ore, 1988. (p. 24)
2 Fabio Bistoncini, “Vent'anni da sporco lobbista”, Ed Guerrini e Associati, 2011. (p. 25)
3 BBC Bnews: http://news.bbc.co.uk/2/hi/uk_news/politics/82529.stm
4 Ibidem 8
ma il contenuto (persone).
Nacquero così i lobbisti ( lobbyists ), e dal nome delle persone si originò
anche l'azione delle stesse, e quindi il verbo “to lobby” , col significato di
premere sui pubblici decisori per ottenere leggi favorevoli a determinati
interessi 5
.
Esistono anche altre fonti (meglio dire aneddoti) che spiegano l'origine del
termine lobby : restando nella sfera americana qualcuno lo associa al
Presidente Grant 6
, il quale, per fumarsi dei sigari in tranquillità, si recava
quotidianamente nella lobby del Willard Hotel. Pian piano quella lobby
divenne il ritrovo di agenti che aspettavano il momento adatto per
sottoporre al Presidente tematiche e questioni che volevano perorare.
L'origine del lobbying quindi risale al periodo appena successivo alla
costituzione del Governo USA, ottenuta l'indipendenza dalla Corona inglese .
Il neonato Governo americano dovette affrontare l'azione di gruppi di
pressione che avanzavano richieste per vedere tutelati i propri interessi.
Un gruppo di interesse o di pressione è un organizzazione formale,
solitamente basata sull'adesione volontaria individuale, che cerca di
influenzare in proprio favore le politiche pubbliche, senza assumere
responsabilità di Governo.
7
Secondo Liborio Mattina
8
“gruppo di interesse” e “gruppo di pressione”
sono sinonimi, solo che nell’Europa continentale e negli USA ha prevalso il
vocabolo pressione, mentre nel Regno Unito ha prevalso il termine interesse.
5 Massimo Franco “Lobby, il Parlamento invisibile”, Ed. Il Sole 24 Ore, 1988. (p. 25)
6 18° Presidente USA (1869 - 1877)
7 Liborio Mattina, “I gruppi di interesse”, Ed. Il Mulino, 2010. (p. 13)
8 Liborio Mattina è professore presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di
Trieste
9
Marco Mazzoni 9
invece afferma che “gruppo di interesse” e “gruppo di
pressione” sono due organizzazioni distinte: i primi sono tutti quegli
interessi che si organizzano in gruppi, quindi con un'organizzazione e una
struttura . I secondi, di pressione, sono tutti i gruppi di interesse che
riescono ad accedere alle sedi formali e cercano di influenzare le politiche
pubbliche in modo attivo.
Un gruppo di pressione è sempre un gruppo di interesse, ma un gruppo di
interesse non sempre è un gruppo di pressione.
10
Entrambi i gruppi sono
visti spesso in modo negativo, soprattutto nel nostro Paese.
11
Essi, non rappresentando gli interessi maggioritari del Paese, non si
presentano alle elezioni, ma preferiscono influenzare il comportamento
degli eletti, e di conseguenza degli elettori, attraverso il lobbying.
Il lobbying non si esaurisce con l'azione dei gruppi, anzi, non deve essere
circoscritto a questa azione in quanto il lobbying è l'insieme delle strategie
attraverso le quali un'organizzazione cerca di influenzare il comportamento
degli eletti.
Mattina riassume così i vari tipi di gruppi:
• gruppi economici (sindacati, organizzazioni imprenditoriali e
professionali...)
• gruppi per una causa (organizzazioni volontarie, NIMBY...)
• gruppi di interesse pubblico (ambientalisti, diritti umani,
consumatori...)
9 Marco Mazzoni è ricercatore di Sociologia della comunicazione presso l'università di
Perugia
10 Marco Mazzoni, “Le relazioni pubbliche in Italia”, Ed Laterza, 2010.
11 Liborio Mattina, “I gruppi di interesse”, ed Il Mulino, 2010. (p. 13)
10
• gruppi identitari (religiosi, etnici, identità sessuale...)
• gruppi istituzionali (PA, strutture pubbliche...)
La nascita dei gruppi di pressione è precoce negli USA per motivi storici e
culturali . In America non era presente una tradizione di corporativismo
pregressa, si erano sviluppate però una forte imprenditorialità e una società
dinamica . Per di più vi era un governo ancora debole e facilmente
influenzabile, ma sopratutto la presenza di grandi investimenti, di grandi
interessi , che venivano mossi come conseguenza della recente indipendenza
e del continuo sviluppo economico – industriale americano.
Robert Alan Dahl 12
asserisce che altri elementi essenziali per il successo della
democrazia dei gruppi sono la scarsa partecipazione politica e l'apatia della
maggior parte dei cittadini, caratteristiche che si ritrovano ancora oggi nel
popolo americano. Quindi, secondo Dahl, non si è di fronte a una
democrazia ma in realtà ad una poliarchia, un governo di molti più che di
tutti.
13
Dello stesso avviso è Massimo Franco, che ricorda come il modello di
democrazia europeo sia basato sugli individui, al contrario della democrazia
americana che si fonda sui gruppi 14
.
Si ricorda che il presidente Thomas Woodrow Wilson 15
sosteneva che uno
dei problemi principali della democrazia americana era da ricercare nella sua
organizzazione perché favorisce oltremodo l'azione dei gruppi di interesse,
liberi di rapportarsi sia con gli uffici presidenziali che congressuali
16
.
Di notevole interesse per la mia indagine è il primo emendamento della
12Politologo statunitense
13Liborio Mattina, “I gruppi di interesse” Op. Cit.
14 Massimo Franco “Lobby, il Parlamento invisibile”, Op. Cit. (p. 12)
15 Presidente USA dal 1913 al 1921
16 Negli USA è possibile fare leva su due canali: attraverso il congresso oppure attraverso
l'ufficio presidenziale.
11
Costituzione americana, il quale sancisce il diritto alla petizione, cioè la
possibilità di rivolgersi ai decisori pubblici per far sentire la propria voce. Il
filo conduttore nell'evoluzione costituzionale americana è l'idea di un
sistema politico nel quale gruppi legittimi e attivi possano manifestare la
propria opinione in qualunque fase del processo legislativo.
Il diritto sancito nel primo emendamento è un passo importante perché
rafforza e legittima la posizione dei gruppi di pressione, ma si origina anche
in un sistema sociale che vede nello Stato un “nemico” da arginare in quanto
portatore di tasse e limitatore delle libertà.
In Europa erano i partiti politici a incamerare gli interessi e a sottoporli alla
politica, negli Stati Uniti invece i partiti erano ancorati sul territorio, anche se
troppo distanti da Washington per poter sottoporre al congresso e al
presidente le loro istanze.
Secondo Massimo Franco i partiti americani assumono la forma di una
piramide tronca alla testa
17
, ecco perché pian piano per perorare le cause e
tutelare gli interessi , la società americana si è strutturata per mezzo di
gruppi di pressione, piuttosto che attraverso il rafforzamento delle strutture
partitiche. Inoltre bisogna sottolineare che con i gruppi di interessi è
possibile l'affiliazione multipla, la quale non è concessa con i Partiti 18
.
Ci sono delle controindicazioni però alla società dei Gruppi: per esempio lo
squilibrio nell'accesso, l’eccessiva attenzione alle politiche economiche, il
deficit democratico, poi per molte issues che hanno rilevanza per tutti (come
la tutela dell'ambiente) molti individui tenderanno a comportarsi da “free
riders” e a non pagare i costi del cambiamento, aspettando che siano altri a
17 Massimo Franco, “Lobby, il Parlamento invisibile”, Op. Cit.
18 Liborio Mattina, “I gruppi di interesse”, Op. Cit.
12
“dare” al posto loro 19
.
Tuttavia l'origine del lobbying negli USA non può essere ricordata con
onore. Il lobbismo del primo tempo (XIX secolo), infatti, seguiva le regole
delle tre “b”: broads , booze and bribes 20
, come lo descrisse il cronista
parlamentare Edward Winslow Martin nel 1882
21
. Bambole, bottiglie e
bustarelle erano gli ingredienti necessari per poter entrare in contatto con i
politici e influenzare le loro scelte.
Di conseguenza all'inizio il lobbismo si confondeva spesso con la corruzione
e, molti anni dopo, per descrivere il fenomeno, Jesse Unruh 22
coniò queste
espressioni:
“ dollari e politica si grattano la schiena a vicenda” “il denaro è il latte materno della politica” .
Di strada ne è stata fatta molta, per tanto si è arrivati a definire il lobbista
come “più politico dei politici e più documentato di un ufficio studi” 23
, ma
anche colui che, come diceva John Fiztgerald Kennedy, “impiega 10 minuti
e 3 fogli di carta per farmi comprendere un problema, i miei collaboratori per
lo stesso problema impiegano tre giorni e decine di pagine” 24
.
Negli anni '60 Lester W. Milbrath ha definito il lobbying come un processo
di comunicazione
25
, quindi significa che le relazioni istituzionali hanno
19 Liborio Mattina, “I gruppi di interesse”, Op. Cit.
20 Bambole, bottiglie, bustarelle.
21Fabio Bistoncini, “Vent'anni da sporco lobbista”, Ed. Guerini e Associati, 2011. (p. 18)
22Parte dello staff del Presidente Kennedy, per anni tesoriere del Partito Democratico.
23Giuseppe Facchetti, Corso di Relazioni Pubbliche, AA 2009/2010, Università degli Studi
di Milano 24Citazione di John Fiztgerald Kennedy, tratta da “Vent'anni da sporco lobbista”, Fabio
Bistoncini, Op. Cit. 2011. (p. 73)
25“Lobbying as a communication process” da Marco Mazzone, “Le relazioni pubbliche e il
lobbying in Italia”, Ed. Laterza, 2010.
13
attraversato varie fasi per arrivare a maturazione ed essere qualificate come
una disciplina.
2.2 L'evoluzione della disciplina Dall'origine del lobbying ai giorni nostri molto è cambiato, sia sul piano
sociale sia sul piano istituzionale.
Per prima cosa dobbiamo rilevare come si sia assistito a un declino
dell'importanza dei partiti a livello mondiale. Ciò è accaduto perché la
società si è frantumata, pian piano si sono scoloriti gli stereotipi sociali , che
permettevano di semplificare la realtà e ridurla a una serie di variabili
gestibili da un'organizzazione centralistica. Ora vi sono tanti interessi che
non è possibile compattare e racchiudere sotto un unico cappello, in un
unico partito 26
.
Tale concetto fu subito chiaro a Antie Samish 27
, uno dei padri del lobbismo
americano; egli si occupò di trasformare in California i gruppi di interesse in
Lobby-Partito, saltando completamente i partiti tradizionali, questi ultimi
erano molto deboli nella California dell'epoca e, così facendo, egli ottenne
molti vantaggi sia professionali che personali.
2.2.1. Il “Lobbying Act” del 1946
A livello formale anche la legislazione americana si adeguò, infatti fu chiaro
fin da subito che era necessario disciplinare in qualche modo lo strapotere
26Marco Mazzone, “Le relazioni pubbliche e il lobbying in Italia”. Op. Cit. (p. 53)
27Definito il “boss segreto della California” dal California Government Today in un articolo
del 1949.
14
delle lobbies. Le udienze ( hearings ) sembravano essere diventate semplici
momenti farsa, dietro ai quali si nascondeva un rapporto più torbido con il
gruppo di pressione.
Fu così che nel 1946, poco dopo la morte del Presidente Theodore Roosvelt,
il Congresso approvò il Lobbying Act, che imponeva a tutti coloro i quali
avevano a che fare con un politico (assicurazioni, gruppi, individui..),
l'obbligo di registrarsi al “C lerk della Camera dei Rappresentanti” e al
“Secretary del Senato” 28
.
All'atto della registrazione bisognava rilasciare una dichiarazione giurata in
cui si attestava l'identità dei propri datori di lavoro, i fondi e i finanziamenti
che si avevano a disposizione. Poi bisognava redigere un report periodico
delle proprie attività di pressione. Le informazioni non veritiere erano
passibili di un'ammenda con l'aggravante di una possibile pena di
reclusione.
La filosofia alla base dell'Act del 1946 consiste proprio nel cercare di
schiarire l'alone di segretezza e di “confidenzialità” che circondava le
relazioni istituzionali e che alimentava l'idea del lobbying come espressione
delle tre “B” 29
, e quindi fenomeno negativo e malsano per la società.
Il Lobbying Act del 1946, anche se partiva da intuizioni correte, fu un
insuccesso perché non prevedeva un organismo di controllo e di
sorveglianza, insomma non era coercitivo ; tanto che , un anno dopo la sua
entrata in vigore , il numero di lobbisti registrati al clerk era circa 1000 (un
numero esiguo rispetto il reale numero di lobbisti attivi già all'epoca).
C'era poi un problema “semantico” da non sottovalutare: pochi volevano
28 http://www.citizen.org/documents/LDAorigins.pdf
29“Broads, booze, bribes” (Bambole, bottiglie, bustarelle)
15
farsi etichettare ufficialmente come lobbyists , molti infatti preferivano essere
chiamati “avvocati legislativi”, una sfumatura che non era prevista dalla
legge, creando notevole reticenza alla registrazione.
30
Nonostante le imperfezioni dell'Act si deve rilevare come già nel 1946 gli
USA si siano dotati di uno strumento per censire i lobbisti operanti a
Washington.
2.2.2. Il “Lobbying Disclosure Act” del 1995 e le riforme del 2007
Nel 1995 il Senato americano ha affrontato nuovamente il tema del
lobbying, forse per reagire agli anni 80 e agli primi anni 90, nei quali i
gruppi di pressione hanno avuto una forte influenza sulla politica
statunitense.
E’ nata così una nuova legge, chiamata “Lobbying Disclosure Act”, la quale
punta a superare le criticità del Lobbying Act del 1946, cercando di fornire
strumenti adeguati ai “ clerk ” di Camera e Senato. La legge garantisce
maggior controllo, anche attraverso la magistratura di Washington, al fine di
sanzionare i lobbisti che non rispettano le regole di trasparenza e non si
iscrivono ai registri.
“ Questa nuova legge non intende vincolare l'attività di relazioni istituzionali
all'interno di una legislazione rigida, ma piuttosto vuole esorcizzare lo
spauracchio della corruzione e allargare lo sguardo ad una dimensione che
rende il diritto di lobbying un elemento utile allo sviluppo del sistema politico
– economico ” 31
.
30 Massimo Franco, “Lobby, il Parlamento invisibile”. Op. Cit. p 35
31Elisa Passalacqua, “Eticamente lobbying. Il caso della tutela del tessile italiano”.
Università degli Studi di Milano, 2010. (p. 35)
16
La disciplina sul lobbying, almeno negli Stati Uniti, è in continua evoluzione
per cercare di portare le relazioni istituzionali ad essere il più trasparenti e
onesti possibile. Nel tentativo di limitare al minimo le relazioni confidenziali
tra avvocati legislativi e politici, nel 2007 si è modifica ulteriormente la legge
del 1955, prevedendo pene severe, con ricadute anche sulla pensione, verso
quei politici che sono stati condannati per reati contro la pubblica
amministrazione.
Il Lobbying Disclosure Act non è ancora perfetto, ma sono certamente
apprezzabili i grandi passi verso un metodo regolato e trasparente, quindi
“professionale”, di svolgere le relazioni istituzionali.
In Italia invece si comincia a parlare di un'istituzionalizzazione dell'attività di
lobbying dal 1976, attraverso numerose proposte di legge presentate da
parlamentari di tutti gli schieramenti politici.
32
Nel nostro Paese non si sono create ancora le basi per una vera
giurisprudenza nei confronti del lobbismo, anzi spesso si ritiene questa
regolamentazione del tutto inutile , in quanto non è in grado di risolvere le
problematiche che le relazioni istituzionali pongono al sistema istituzionale .
A confermare così il proverbio “fatta la legge trovato l'inganno”.
Tuttavia è necessario che anche nel nostro Paese si provveda al più presto a
regolamentare il settore, lo chiedono tutti i professionisti e cito, a proposito,
il comunicato stampa di Giuseppe Mazzei 33
:
"Da anni chiediamo che sia messo nell'agenda della politica questo tema
32http://www.ilchiostro.org/wp-content/uploads/2010/06/Andrea-Alessandro-Barbieri-
Schema-Proposte-di-Legge.pdf . Fu un firmatario di una proposte di legge atta alla
regolamentazione del lobbying, nel 1985, anche il Prof. Giuseppe Facchetti, all'epoca
Deputato (PLI).
33 Giuseppe Mazzei presidente dell'associazione "Il Chiostro per la trasparenza delle lobby"
che riunisce 130 professionisti delle relazioni istituzionali.
17
così cruciale per il buon funzionamento della democrazia! Occorre subito una
legge nazionale perché alcune Regioni si stanno già dotando di leggi locali e
bisogna evitare che anche su questo argomento si crei confusione
istituzionale ” 34
.
Anche Giuseppe Facchetti, presidente di Assorel 35
dichiara, a “Pubblicità
Italia” nel 2011
36
:
“Sarebbe ora che si mettesse ordine a questa materia per rendere formale e
riconosciuto un lavoro che è molto utile al buon funzionamento delle
istituzioni. Non chiediamo l’ennesimo Ordine professionale, ma una iscrizione
formale di chi ha relazioni con il sistema pubblico. Non una barriera
all’ingresso, ma una dichiarazione esplicita e responsabile. Chi usa le relazioni
per finalità illecite, ne risponde penalmente, ma non si deve dover “scoprire”
periodicamente che esiste un sottobosco non dichiarato e non
responsabilizzato”.
L'ultimo disegno di legge presentato in parlamento (2010) per la
riorganizzazione del public affairs , è firmato dalla Senatrice del Partito
Democratico Mariapia Garavaglia, già membro del comitato etico della
recente Public Affairs Association , il cui presidente è il Senatore Antonio
Tomassini 37
. Il disegno di legge introduce la figura del “Consulente in
relazioni istituzionali” e cerca di disciplinare le modalità di accredito dei
“Consulenti” , introducendo un apposito registro , presso la Presidenza del
Consiglio dei Ministri , per l’accredito delle organizzazioni e dei singoli
34Le Regioni Toscana e Molise si sono già dotate di una legislazione, mentre altre come
Veneto e Abruzzo le stanno discutendo.
http://www.ilchiostro.org/?page_id=447&lang=it
35http://www.assorel.it/showPage.php?template=istituzionale&id=1
36http://www.pubblicitaitalia.it/news/Fatti-e-Persone/Associazioni/relazioni-istituzionali-e-
lobby-la-dichiarazione-del-presidente-assorel-beppe-facchetti_28060353.aspx
37http://www.pa-association.it/
18