7
Introduzione
Lo sviluppo del presente elaborato, trova origine nel mio interesse verso il tema della
sostenibilità ambientale, concetto relativamente giovane che indica, per il mondo delle
imprese, un’opportunità strategica nella ricerca di un vantaggio competitivo sul mercato
e che sarà sempre più una determinante chiave nei futuri processi strategici e
decisionali.
Lo scopo che questo lavoro si è prefissato è stato quello di identificare quali linee
debbano essere considerate strategiche da un’organizzazione aziendale che vuole
operare perseguendo un percorso di sviluppo sostenibile e raggiungere al contempo
adeguati livelli di efficienza economica, necessaria alla sua sopravvivenza nel mercato.
L’idea di sviluppo sostenibile, nata con il rapporto Brundtland nel 1987, introduce per la
prima volta il principio della prospettiva intragenerazionale e infragenerazionale nelle
scelte economiche, apportando un cambiamento radicale nelle logiche di gestione delle
risorse naturali e modificando in modo strutturale l’equilibrio tra economia e ambiente.
Considerare basilare e prioritario il fattore ambientale nell’attività economica richiede
un cambiamento profondo degli orientamenti produttivi: il principio fondamentale è che
ogni sistema economico venga strutturato a ciclo chiuso in modo da far ricircolare le
risorse impiegate, massimizzando l’efficacia del loro impiego. Questo principio viene
declinato a livello micro dalle moderne organizzazioni aziendali che devono impiegare
impegno e innovazione, optando per soluzioni che consentano in modo economico che
questa chiusura dei cicli (dell'energia, dei rifiuti, dell'acqua) s i realizzi nei processi
industriali.
Questo elaborato vuole analizzare in particolare cosa significhi intraprendere strategie di
sviluppo sostenibile per imprese operanti nel settore delle acque minerali, grazie anche
all’analisi dell’esperienza di una grande impresa, attiva sul territorio italiano.
Nella prima parte si intende fornire una rassegna dei principali elementi teorici e
concettuali legati al tema dello sviluppo sostenibile; utilizzando uno schema logico a
“centri concentrici”, che ha permesso di avvicinarci progressivamente al caso di studio,
attraverso i concetti chiave emersi e descritti in apertura del lavoro.
8
Nel primo capitolo si descrive, quindi, l’intenso rapporto tra la dimensione economica e
quella ambientale: passando dai primi bagliori di sviluppo sostenibile ritrovabili nel
pensiero dei classici della storia economica, per arrivare fino alla moderna visione di
economia ambientale. Il capitolo si conclude introducendo l’evoluzione dell’approccio
teorico della responsabilità sociale e le sue inevitabili connessioni con il pensiero
sull’attuazione concreta dello sviluppo sostenibile.
Dopo aver descritto l’evoluzione del ruolo dello sviluppo sostenibile nella sfera
economica, si è passati ad analizzare più concretamente nel secondo capitolo,
l’applicazione di questo concetto nello specifico settore dell’acqua minerale, cercando
di evidenziare le peculiarità di questo particolare settore di mercato, a partire dalla sua
nascita nel nostro paese, e dalle implicazioni che la diffusione del concetto di sviluppo
sostenibile ha avuto in tale specifico ambito.
Nel terzo capitolo si è voluto descrivere da un punto di vista maggiormente operativo le
conseguenze, per le prassi d’impresa, della crescente incidenza della variabile
ambientale nel settore dell’acqua minerale. Si è quindi cercato di mostrare le principali
strategie ambientali perseguite, con un focus specifico sul quadro complessivo degli
strumenti di misurazione della variabile ambientale maggiormente utilizzati dagli
operatori di questo settore; si è cercato infine di portare in evidenza anche il ruolo
giocato dalla variabile sociale in queste realtà aziendali.
Passando da un piano di analisi della letteratura e delle teorie sviluppate in materia a
quello della ricerca sul campo, l’ultimo capitolo introduce quanto emerso dallo studio di
caso che ha riguardato il Gruppo Sanpellegrino. Azienda leader del settore dell’acqua
minerale, una realtà d’impresa il cui core business è rappresentato proprio dallo
sfruttamento di una risorsa naturale; a partire da questa prospettiva s’illustrerà come per
questa tipologia di impresa, operare in un’ottica sostenibile rappresenta non più una
possibilità di scelta, quanto l’unica strada possibile per perseguire al contempo una
legittimazione sociale e soprattutto un vantaggio competitivo.
9
Prima parte
Capitolo 1 Lo Sviluppo Sostenibile
1.1 Origine e principali tappe di definizione del concetto di sviluppo sostenibile,
dagli anni Settanta ad oggi
E’ solo sul finire degli anni Sessanta del secolo scorso che sono iniziate a sorgere molte
teorie riguardanti la necessità di considerare le risorse naturali come esauribili e la
necessità crescente di imparare a considerare il nostro pianeta non più come un
serbatoio inesauribile ma come un sistema chiuso con risorse limitate e fonti di energia
esauribili.
Proprio negli anni Settanta si accendono i toni, di fronte alla prima grande crisi
energetica a livello mondiale, scatenata dai critici rapporti politici nel Medio Oriente, si
avverte una forte spinta verso le tematiche ambientali e al preoccupante esaurirsi delle
risorse naturali.
Sul piano politico-istituzionale si è tenuta a Stoccolma nel 1972 la prima Conferenza
Mondiale delle Nazione Unite sull’Ambiente Umano, che ha segnato la transizione
dall’ambientalismo ingenuo ed emozionale degli anni Sessanta, a quello più razionale
degli anni Settanta.
Durante questa prima conferenza su scala mondiale è stato affrontato principalmente il
tema del valore della terra, come capitale da preservare, nella considerazione critica del
rapporto tra crescita ed ecosistema e del processo irreversibile costituto dallo
sfruttamento delle risorse non rinnovabili.
In questa sede nasce l’UNEP
1
, il programma Onu per l’ambiente con l’obiettivo di
coordinare le politiche ambientali globali.
La conferenza di Stoccolma è stata determinante poiché per la prima volta fu adottata
una Dichiarazione in cui la tutela dell’ambiente veniva ad essere parte integrante dello
sviluppo; “la difesa e il miglioramento dell’ambiente sono divenuti uno scopo
1
United Nations Environmental Programme.
10
imperativo per tutta l’umanità da perseguire insieme a quelli fondamentali della pace e
dello sviluppo economico e sociale mondiale”.
E’ in questi anni, precisamente nel 1968, che nasce il Club di Roma, fondato
dall'imprenditore italiano Aurelio Peccei e dallo scienziato scozzese Alexander King,
insieme a premi Nobel, intellettuali e leader politici. Il nome del gruppo è nato dal fatto
che la prima riunione si è svolta a Roma, presso la sede dell'Accademia dei Lincei alla
Farnesina. E’stata un’associazione non governativa, non-profit, la cui missione era di
agire come catalizzatore dei cambiamenti globali, analizzando i problemi in un contesto
mondiale e ricercando soluzioni alternative utilizzando diversi scenari possibili.
Nel 1972 fu pubblicato il “Rapporto sui limiti dello sviluppo” commissionato al MIT
dal Club di Roma; questo rapporto ha portato in estrema sintesi a una conclusione: ”Se
l'attuale tasso di crescita della popolazione, dell'industrializzazione, dell'inquinamento,
della produzione di cibo e dello sfruttamento delle risorse fosse continuato inalterato, i
limiti dello sviluppo su questo pianeta sarebbero stati raggiunti in un momento
imprecisato entro i prossimi cento anni”; il risultato più probabile sarebbe stato un
declino improvviso ed incontrollabile della popolazione e della capacità industriale.
2
È possibile modificare i tassi di sviluppo e giungere ad una condizione di stabilità
ecologica ed economica, sostenibile anche nel lontano futuro. Lo stato di equilibrio
globale dovrebbe essere progettato in modo che le necessità di ciascuna persona sulla
terra siano soddisfatte.
Purtroppo non è facile mettere in relazione le dimensioni e le componenti di un sistema
economico con quelle di un sistema ecologico, sopratutto per la complessa difficoltà di
pervenire una “valutazione” economica dei fenomeni naturali e delle molteplici
interazioni esistenti fra gli ecosistemi; anche se i due termini “economia” ed “ecologia”
hanno una comune radice greca “oikos” che significa “casa”, “abitazione”, l’economia
si occupa della gestione della casa, l’ecologia ha invece come oggetto di studio la
conoscenza delle regole e dei fenomeni che la governano.
Nel corso del tempo le necessità di efficienza economica spesso si sono scontrate con
gli equilibri ecologici; è nata così l’esigenza di ampliare l’approccio economico
tradizionale, al fine di includere ulteriori obiettivi, per contemperare il massimo
2 MIT e Club Di Roma “I limiti dello sviluppo”, Milano, Mondadori, 1972.
11
benessere economico con una valorizzazione delle risorse naturali nonché di una
maggiore coesione etico-sociale.
Per fare ciò occorre una nuova chiave di lettura dei fenomeni economici e di quelli
naturali e sociali, non più incentrata sulla mera efficienza economica ma volta a
realizzare una crescita sociale coerente con il rispetto ambientale, abbandonando
modelli egoistici per promuovere modelli improntati alla massima condivisione.
E’ però solo sul finire degli anni Ottanta del secolo scorso, che emerge un forte
interesse verso la tutela ambientale da parte delle imprese e delle istituzioni unito
all’esigenza di adottare un nuovo modello di sviluppo, in grado di conciliare crescita
economica ed un’equa distribuzione delle risorse. Più precisamente nel 1983, l’ONU ha
istituito la Commissione Mondiale per lo Sviluppo e l’Ambiente, presieduta dal Primo
Ministro norvegese la signora Gro Harlem Bruntland, Presidente di questa
Commissione, che su incarico delle Nazioni Unite, nel 1987, ha presentato il proprio
rapporto, intitolato: “Il futuro di noi tutti”, formulando un’efficace definizione di
Sviluppo Sostenibile, come: “una forma sviluppo che soddisfa i bisogni del presente
senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri
bisogni".
3
Questa definizione ha senza dubbio portato ad un importante passo avanti verso una
maggiore consapevolezza della variabile ambientale da parte della società. Il rapporto
della Commissione Burtland costituisce una tappa storica nell’evoluzione dei rapporti
tra economia ed ecologia; esso contiene due elementi chiave: uno riconducibile al
concetto di limite, dovuto allo stadio della tecnologia e dell’organizzazione sociale, che
l’ambiente naturale ha nel soddisfare i bisogni del presente e del futuro; e l’altro risiede
nel concetto di bisogno, in particolare i bisogni essenziali a cui l’uomo dà la priorità.
Inoltre si definisce lo Sviluppo Sostenibile in una prospettiva intergenerazionale e intra-
generazionale nelle scelte economiche, con radicale mutamento nel modo di gestire e
utilizzare le risorse naturali.
La successiva tappa di questa evoluzione la ritroviamo a Rio De Janeiro, nel 1992
quando l’Assemblea Generale dell’ONU, decide di convocare l’United Nations
3
“ World Commission On Environment And Development”, Our Common future, Oxford University
Press, 1987.
12
Conference on Environment and Development
4
, dove vi parteciparono ben 178 stati,
con l’obiettivo di elaborare strategie e misure, atte ad arrestare e invertire gli effetti del
degrado ambientale e trovare un percorso universale di Sviluppo Sostenibile, a cui viene
dedicata la Conferenza.
A Rio si riconosce la portata globale delle questioni ecologiche e l’urgente necessità di
intervenire con misure su scala mondiale.
E’ da questo Summit che vengono elaborati 2 Convenzioni e 3 Dichiarazioni di principi:
• la dichiarazione di Rio su Ambiente e Sviluppo: definisce in 27 principi, diritti e
responsabilità delle nazioni, nei riguardi dello Sviluppo Sostenibile; viene
sottolineato lo spirito di cooperazione che gli stati dovranno adottare per
conservare, tutelare e ripristinare la salute e l’integrità dell’ecosistema terrestre,
la necessità del coinvolgimento e della sensibilizzazione dei cittadini nei
processi decisionali relativi alle questioni ambientale, idoneo a generare una
crescita economica e uno Sviluppo Sostenibile in tutti i Paesi; tale Dichiarazione
è stata il manifesto dello Sviluppo Sostenibile;
• la Dichiarazione dei principi per la gestione sostenibile delle foreste;
• l’Agenda 21, il Programma d’Azione per il XXI secolo: in cui si indicano le
linee guida per realizzare il modello dello sviluppo sostenibile, lasciando ai
governi di ogni singolo paese la formulazione di politiche e piani nazionali;
viene data grande importanza al ruolo degli enti locali nella promozione di
azioni condivise per la sostenibilità, è da questi presupposti che si sono
sviluppati temi come la pianificazione strategica integrata, la partecipazione
della comunità ai processi decisionali, la ricerca e la sperimentazione di
strumenti operativi adeguati;
• la Convenzione sulla biodiversità, con l’obiettivo di tutelare le specie nei loro
habitat naturali e riabilitare quelle in via di estinzione;
• la Convenzione sui cambiamenti climatici, che ha posto limiti miranti a
stabilizzare la produzione di gas che contribuiscono all’effetto serra.
L’elaborazione di questi documenti rappresenta un progresso verso la sensibilizzazione
sociale alle tematiche ambientali oltre al fatto che si arriva per la prima volta a un
4
UNCED.
13
processo di responsabilizzazione dei governi nazionali, vi è il coinvolgimento esplicito
delle grandi imprese ritenute insieme ai governi, una parte essenziale per salvaguardare
e migliorare l’ambiente; è proprio in occasione di questo Summit che viene riconosciuto
all’impresa un forte ruolo all’interno del sistema di garanzie sociali.
Ciò è particolarmente evidente nel V Piano di Azione Ambientale, approvato
dall’Unione Europea nel 1992 al fine di rendere operativi gli accordi firmati a Rio de
Janeiro.
Nel 1993 viene elaborato un documento dalla World Conservation Union denominato
“Guide to preparing and implementing national sustainable development strategies and
other multi-sectorial environment and development strategies” dove lo sviluppo
sostenibile assume il significato di conseguire una qualità della vita che può essere
mantenuta per molte generazioni in quanto è socialmente desiderabile, economicamente
fattibile ed ecologicamente sostenibile.
Qui lo sviluppo sostenibile diventa sintesi e punto di incontro tra le sfere dello sviluppo
economico, della protezione ambientale e dell’equità sociale.
L’Onu specifica sviluppo sostenibile, significa condurre l’attività in modo da conciliare
oggi i bisogni dell’azienda con quelli degli stakeholders, proteggendo, sostenendo e
aumentando la disponibilità di risorse naturali per il domani.
5
Con l’attenzione dedicata in quegli anni alla sostenibilità si è inteso ricercare una regola
di condotta che consentisse il raggiungimento di un obiettivo generale di sviluppo a
livello mondiale rivolto a una più attenta salvaguardia ambientale e a una più diffusa
incentivazione nell’impiego razionale delle risorse, con il fine ultimo di preservare i
diritti sull’ambiente delle generazioni future.
L’idea di Sviluppo Sostenibile nasce dalla maturazione della consapevolezza che tra
sviluppo economico e ambientale vi è una reciproca interdipendenza; ci si è resi conto
che la crescita economica ha un effetto positivo in termini di benessere economico, ma
non sempre questa condizione di benessere economico è accompagnata da una migliore
qualità della vita; l’aumento dell’inquinamento è un chiaro esempio di questa
contraddizione. L’ambiente viene definito come l’insieme dei fattori fisici, chimici e
5
United Nations: “Environmental management in transnational corporations, report and benchmark
corporate environmental survey”, New York, 1993.
14
biologici in cui si svolge la vita di tutti gli organismi animali e vegetali, che convivono
in condizioni di equilibrio dinamico, dando luogo a innumerevoli ecosistemi; oggi più
che nei decenni passati, si è consapevoli, riconoscendone gli effetti, che i sistemi
economici, tesi a fornire beni e servizi necessari a soddisfare le esigenze umane, sono
strettamente correlati all’ecosistema, in quanto sfruttano un'enorme quantità di risorse
prelevate dall’ambiente naturale , nel quale, peraltro, immettono scarti, rifiuti e agenti
inquinanti. Da qui deriva una fondamentale considerazione a lungo trascurata: le attività
economiche sono in realtà vincolate, limitate e condizionate dalla capacità degli
ambienti naturali, ossia dalla carrying capacity che rappresenta l’attitudine di cui i vari
sistemi ecologici sono dotati nel sostenere la presenza degli esseri viventi e il peso delle
molteplici attività poste in essere. La crisi ambientale rappresenta il risultato della
violazione di alcune leggi della natura, la conflittualità emersa tra obiettivi economici ed
esigenze derivanti dal complesso sistema ambientale porta alla consapevolezza che
senza la preservazione dell’ambiente lo stesso sviluppo economico non può essere
sostenuto; quindi lo sviluppo ha influenza sull’ambiente e viceversa.
In direzione di un approccio globale si è continuato nel 1997 con la Conferenza di
Kyoto per la prevenzione dei cambiamenti climatici; gli accordi per il Protocollo di
Kyoto richiedono un meccanismo molto complesso di politiche industriali ed
energetiche volte a limitare le cause dei cambiamenti climatici originati dalle attività
umane rivolto prevalentemente ai paesi industrializzati che rappresentano il peso
maggiore in termini di produzione di gas serra.
Più precisamente il Protocollo di Kyoto impegna i paesi industrializzati e quelli a
economia in transizione, cioè i paesi dell’est europeo, raccolti in un apposito elenco di
38 paesi, a ridurre le loro emissioni di gas serra del 5% entro il periodo compreso tra
l’anno 2008 e l’anno 2012; a riguardo un recente passo è stato fatto a Cancun nel 2010
con la Conferenza ONU sul Clima che ha portato una visione più concreta della
necessità di proseguire con il Protocollo di Kyoto anche oltre la sua scadenza fissata nel
2012, aumentando anche il taglio delle emissioni di CO2 da un minimo di 25% ad un
massimo di 40%.
Nel 2001 è stato formulato dalla Commissione Europea il VI programma d’Azione,
dove sono state ribadite in maniera più sistematica gli approcci strategici nei confronti
15
della salvaguardia ambientale, temi svolti più accuratamente nel recente World Summit
on Sustainable Development, svoltosi a Johannesburg dal 26 agosto al 4 settembre del
2002; in questa sede sono stati definiti dopo una lunga trattativa, gli obiettivi di
miglioramento ambientale per il decennio successivo, in particolare viene elaborata una
nuova strategia dove lo Sviluppo Sostenibile viene definito secondo tre dimensioni:
• ambientale: il sistema economico può considerarsi sostenibile solo se
l’ammontare delle risorse utilizzate per la creazione di ricchezza viene
mantenuto, in termini quantitativi e qualitativi, entro opportuni limiti di
sfruttamento e non superi la carrying capacity;
• economica: si definisce in uno sviluppo duraturo e di lungo periodo con alti
livelli di occupazione, bassi tassi di inflazione e stabilità;
• sociale: si intende arrivare ad un’equità distributiva, ad adeguati livelli di
protezione sociale, alla salvaguardia dei diritti umani e civili.
Tutto questo indirizza verso una de-materializzazione del sistema economico e alla
partecipazione consapevole di tutti gli stakeholders nei processi decisionali e operativi,
a una condivisione delle politiche ambientali tra i soggetti coinvolti al miglioramento
della legislazione ambientale, una maggiore efficacia dei processi di informazione, a
una più marcata consapevolezza dei cittadini e all’ampliamento degli investimenti nella
ricerca scientifica e tecnologica a favore dell’ambiente e della sostenibilità.
1.2 Sviluppo sostenibile dalla teoria economica classica al pensiero organizzativo
moderno
1.2.1 Bagliori di sviluppo sostenibile nei grandi pensatori classici
Per iniziare a parlare di Sviluppo Sostenibile è propedeutico iniziare delineando come
questo concetto è stato analizzato dai pensatori del pensiero economico nel corso della
storia. Il concetto di limite delle risorse naturali, viene per la prima volta considerato dal
celebre economista Thomas Robert Malthus (1766-1834); che con il suo celebre saggio
16
del 1798 riguardante la popolazione mondiale
6
, evidenziava che se la popolazione
mondiale fosse cresciuta con una progressione esponenziale e la produzione di cibo
secondo una progressione lineare, le risorse non sarebbero state disponibili per
soddisfare tutte le esigenze; pur non avendo a disposizione dati molto precisi sui tassi di
crescita della popolazione mondiale e sui tassi di crescita della disponibilità di cibo, già
paventava il pericolo di terribili crisi innescate dall’insufficienza di risorse alimentari
disponibili per soddisfare i bisogni della crescente popolazione di quell’epoca.
Questo meccanismo è stato esaminato più accuratamente da David Ricardo (1772-
1823), il quale sosteneva che l’accumulazione del capitale consentita dai profitti,
avrebbe spinto a mettere a coltivazione terre sempre meno efficienti, sulla quale la
produttività marginale del lavoro sarebbe stata più bassa, in questo modo la produttività
media del lavoro su tutte le terre coltivate sarebbe stata superiore alla produttività
marginale e la differenza avrebbe dato origine a una rendita per i proprietari terrieri che
sarebbe aumentata nel tempo. L’accumulazione del capitale sarebbe continuata sino a
che la produttività marginale del lavoro fosse divenuta uguale al salario reale,
determinato esogenamente dalle condizioni di sussistenza, a quel punto l’intero prodotto
netto si sarebbe esaurito in salari e rendite annullando la quota del profitto del capitale
investito; lo sviluppo economico si sarebbe annullato trasformandosi in stato
stazionario
7
. Questa condizione è stata ancora meglio affrontata da John Stuart Mill,
l’economista classico che ha saputo meglio anticipare l’idea dei “limiti dello sviluppo”,
dibattuta intensamente poi negli anni Settanta del secolo scorso.
Mill ha esteso dalla terra alla scarsità delle risorse minerali non rinnovabili, la causa dei
rendimenti decrescenti che avrebbe portato allo stato stazionario.
Marshall (1842-1924) successivamente dichiarò che la terra e la natura dovevano essere
considerate non più unicamente input per la produzione, ma delle risorse naturali che
costituivano un valore monetario diretto, maggiore di quello riconosciuto dal mercato,
anticipando così il concetto di “esternalità” ripreso successivamente dal suo allievo,
Arthur Cecil Pigou (1877-1959)
8
, un altro importante pensatore del pensiero classico,
tra i primi ad evidenziare l’impatto che i fenomeni di inquinamento ambientale possono
6
Thomas Robert Malthus: “An Essay on the Principle of Population”, Macmillan, London,1909, ristampa
7
David Ricardo: “ Essay on the influence of a Low Price of Corn on the Profits of Stock” London, 1817.
8
Arthur Cecil Pigou, “The Economics of Welfare”, London, 1920.
17
avere sugli equilibri economici, proponendo la distinzione tra i costi “privati” delle
attività di produzione e di consumo e i costi “sociali” di tali attività. I risultati dei suoi
studi misero in risalto come l’inquinamento provocato dalle attività umane fosse causa
di costi esterni, che determinano uno scostamento tra i costi privati e i costi sociali,
essendo questi ultimi determinati dalla somma dei costi privati e di quelli esterni. Solo
in presenza di costi esterni nulli si sarebbe potuto realizzare un equilibrio ottimale dal
punto di vista economico e sociale. Le posizioni di questi economisti sono state
minoritarie rispetto a tutta la storia del pensiero economico, la maggior parte degli
economisti non si è affatto preoccupata delle implicazioni negative dell’esaurimento
delle risorse naturali e del degrado ambientale sulla qualità dello sviluppo.
1.2.2 Basi del pensiero organizzativo moderno fondate sulla responsabilità sociale
d’impresa
Il pensiero organizzativo moderno ha profonde radici nella teoria economica classica,
ma dovrà attendere gli anni ’80, ’90 per avere una più completa visione dell’aspetto
organizzativo aziendale finalizzato a una gestione responsabile e socialmente
sostenibile. Nei paesi a capitalismo avanzato la concezione di responsabilità sociale, si
fonda principalmente sul riconoscimento della crescente interdipendenza tra dimensione
economica, ed effetti socio-ambientali delle condotte strategiche, tecnologiche e
produttive e commerciali delle aziende di mercato; questo approccio si oppone all’ormai
limitata tradizionale visione, di Milton Friedman, secondo cui la Csr
9
consiste
sostanzialmente nel realizzare profitto e produrre valore per gli azionisti, riassunta dal
celebre motto: “business of business is business”.
La questione della responsabilità sociale d’impresa o Corporate Social Responsability,
non è certamente una moda manageriale ma è ormai diventata una tendenza radicata che
pone al centro della riflessione collettiva il ruolo dell’impresa all’interno della società,
sono sempre più frequenti le situazioni in cui sia gli stakeholders che i titolari di
imprese, che possono essere managers, imprenditori, rinegoziano i termini fondamentali
delle obbligazioni reciproche. Un interessante contributo per cogliere la collocazione
9
CSR: Corporate Social Responsibility.