4
Rochdale
2
. Nel 1873 si calcolò che oltre 40 società di mutuo soccorso avevano aperto
magazzini di consumo a beneficio dei soci.
Negli anni in cui il mutuo soccorso acquisiva importanza Mazzini promuoveva lo
sviluppo della cooperazione, affermando che “il capitale per la produzione appartiene
indivisibilmente all’associazione e gli utili distribuiti secondo il lavoro fatto costituiscono una
proprietà individuale di ciascun associato”. Egli riteneva inoltre che ci fosse una sorta
d’aumento della miseria e dell’incertezza, una situazione di disagio risolvibile solo se il
lavoro fosse diventato padrone del suolo e dei capitali. Oltre ad essere un importante
promotore della cooperazione a livello teorico Mazzini riuscì anche ad indirizzare parte della
realtà cooperativa; soprattutto in Liguria nacquero società cooperative d’ispirazione
mazziniana: ad esempio a Genova, nel 1853, si costituì la Consociazione operaia tra 20
società di mutuo soccorso d’evidente ispirazione mazziniana. Dalla Consociazione nacque nel
1855 il Magazzino cooperativo di consumo. All’interno dei centri operai mazziniani si poteva
scorgere l’intenso legame tra mutuo soccorso e cooperazione. Nel 1862, in Toscana, si
progettò la costituzione di un’istituzione che acquistasse beni alimentari all’ingrosso e li
rivendesse a prezzo di costo, con il solo aumento delle spese d’amministrazione. Mazzini
nelle cooperative vedeva la cosciente associazione dei lavoratori, l’unione dei loro capitali e
del loro lavoro al fine di distoglierli definitivamente dal “giogo del salario”.
Oltre a Mazzini, ci furono altri protagonisti dello sviluppo e del rafforzamento della
cooperazione, tra i quali Viganò, uno dei più importanti pionieri del movimento e sostenitore
dell’idea che nelle società di mutuo aiuto per soccorsi pecuniari ci fosse la primitiva forma di
cooperazione. Egli già nel 1865 si era impegnato a suggerire agli operai di Como l’apertura di
una cooperativa sul modello Rochdale.
Altra personalità di spicco nel mondo della cooperazione fu Luigi Luzzatti. Egli
riteneva fondamentale che lo Stato dovesse sostenere lo sviluppo industriale e allo stesso
tempo provvedere alla tutela e salvaguardia dei ceti più umili. La cooperazione poteva
rappresentare una valida alternativa per le classi lavoratrici, permettendo una loro pacifica
integrazione nelle nuove strutture economiche e la promozione del loro benessere materiale e
morale. Già nel 1864 il governo nazionale si era espresso a favore della cooperazione, ma
risultava intimorito dalla possibile politicizzazione del movimento (sostanzialmente cercava
di non spianare la strada a Mazzini che aveva già espresso l’intenzione di raccogliere insieme
tutti gli operai); pertanto ne consigliava il decentramento per luogo e professione e si
2
Rochdale: norme dell’associazione dei Probi pionieri di Rochdale (1844) che vendevano a prezzi correnti ai
soci e non soci, ripartivano in tutto o in parte gli utili fra i compratori in ragione dei loro acquisti; le azioni
nominative e di piccolo taglio davano diritto a ciascun socio ad un solo voto.
5
opponeva ad un centro unico. Verso il 1880, Rabbeno definiva il movimento cooperativo
come un’unione di persone non associate per speculare, ma per adempiere mutuamente e
collettivamente ad un bisogno comune che altrimenti sarebbe stato maggiormente
dispendioso. Tutto ciò avrebbe permesso di evitare gli intermediari sostituendoli con
vantaggio comune. La cooperazione non si occupava del vantaggio di pochi individui, ma
dell’interesse d’intere classi.
Riprendendo il già citato incitamento ad un ruolo attivo dello Stato da parte del
Luzzatti, si osserva che, con la statistica del 1872 pubblicata nel 1875 dal MAIC
3
, l’interesse
per la cooperazione da parte del governo si ufficializza; ciò è fondamentale per gli sviluppi
futuri della cooperazione proprio perché la collaborazione Stato-movimento nel corso degli
anni sarebbe diventata sempre più stretta. Dai dati emersi dalla statistica risultavano in
crescita soprattutto le cooperative di consumo e quelle di credito, mentre le cooperative di
produzione erano ancora deboli. Ci si trovava di fronte ad uno sviluppo incerto, forse frenato
dalle caratteristiche rurali ed artigianali dell’Italia di fine secolo; in ogni caso, le condizioni
indispensabili per lo sviluppo cooperativo si trovavano nel dinamismo economico legato
indissolubilmente ad una maggiore istruzione (ad esempio l’analfabetismo era al 62%). Dalla
relazione si rileva che le cooperative di consumo erano 16 (di cui 11 seguenti il modello
Rochdale); si trattava però delle sole legalmente costituite e ciò rende la statistica poco
affidabile. I problemi delle cooperative di consumo erano la scarsa competenza e
professionalità della dirigenza, la “guerra” degli esercenti tradizionali e il dazio consumo. È
importante sottolineare come le società di mutuo soccorso fossero ancora legate alle
professioni tradizionali (o non legate all’industrializzazione), e come molte di esse fossero
espressione della piccola borghesia.
Durante questi anni erano maturate le condizioni affinché il Parlamento attribuisse
rilievo giuridico alla cooperazione. Con la relazione del 1872 i relatori della citata statistica
avevano mostrato la necessità di una speciale legislazione per le cooperative. Dopo 10 anni il
governo, attraverso il codice di commercio (1882), istituzionalizzò le cooperative, limitandosi
però ad assimilarle alle società anonime e differenziandole da queste solo per il voto capitario,
il divieto di vendita a non soci senza l’approvazione assembleare, i limiti al possesso di azioni
individuali.
A questo punto è importante focalizzare l’attenzione sulle cooperative di consumo,
sulla loro nascita e sull’importante ruolo svolto nel movimento cooperativo italiano.
Tradizionalmente si ritiene che la prima cooperativa di consumo sia quella fondata nel 1853 a
3
MAIC: Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio.
6
Torino. Successivamente furono costituiti molti altri magazzini di previdenza per la vendita di
generi di prima necessità a basso costo. Questi magazzini venivano fondati su iniziativa dei
lavoratori; oppure per scopi benefici da parte delle classi agiate, o, infine, dai municipi. Oltre
alla soluzione della vendita a prezzo di costo maggiorato di una piccola quota per le spese
amministrative era diffuso il “modello Rochdale”, il quale attivava nelle classi popolari il
sentimento cooperativo; attraverso la vendita a buon mercato riservava un benefit più duraturo
e fortemente sentito, ovvero, il poter accumulare risparmi fatti sul consumo e riceverli ogni
tanto tempo sotto forma di dividendo piuttosto che, volta per volta, sotto forma di
diminuzione di prezzo. Ad esempio, a Como, nel 1864 fu costituita una società cooperativa
modello Rochdale. Altre cooperative vendevano ai soli soci, così da essere esentate dal
pagamento del dazio consumo. Negli anni ‘70 importanti erano le società cooperative di
consumo tra gli agenti ferroviari, che si diffusero con grande vigore.
Un breve esempio per comprendere meglio la realtà cooperativa dell’800:
“L’Associazione generale degli operai di Torino, fondata nel 1850, si impegnava a
favorire il mutuo soccorso, la fratellanza, l’istruzione, il benessere morale e materiale
attraverso la previdenza in ogni sua forma. Nel 1853 la carestia portò alla decisione di
formare un capitale per gli acquisti di generi alimentari con il fine di distribuirli ai soci al
prezzo di costo. Verso fine secolo a seguito dell’importanza acquisita la distribuzione delle
merci fu estesa a tutta la cittadinanza e non ai soli soci, inoltre fu abbandonato il sistema della
vendita a prezzo di costo più le spese amministrative per avvicinarsi al modello Rochdale
della vendita al prezzo più mite corrente e della restituzione degli utili ai consumatori in
ragione degli acquisti fatti”.
L’Unione cooperativa di Milano
4
e la società cooperativa di consumo presente a
Sampierdarena operavano secondo il sistema dei Probi pionieri di Rochdale. Alla fine del
secolo una testimonianza a favore del modello Rochdale venne da Arminotti
5
: “Noi abbiamo
poveri operai che hanno messo in società 2 o 3 lire, e che lasciando i dividendi, hanno oggi
500 e più lire in azioni. Ora, siccome sono povera gente, se avessero risparmiato giornalmente
i pochi centesimi, avrebbero questo piccolo capitale, che in un dato momento, può essere per
loro una vera e propria risorsa? Coloro che a questa domanda rispondono di sì, io li ritengo
dei buoni teorici, ma punto pratici delle famiglie povere e dei loro bisogni”. Un'altra
4
Fondata nel 1886.
5
Arminotti era il segretario della società cooperativa di consumo presente a Sampierdarena. La società di
Sampierdarena nell’anno della fondazione (1864) aveva 100 soci e un capitale di 2.000 lire. Nel 1886 aveva
1.700 soci e un capitale di 168.489 lire. Occorre puntualizzare, come fece Rabbeno, che questa società aveva
molte analogie con quelle inglesi ed era sorta in un ambiente simile alle città industriali inglesi, ambiente però
alquanto raro in Italia.
7
importante testimonianza arrivò dal presidente della società di consumo di Fosdondo
6
: “In
generale i soci riconosc[evano] essere più benefico il sistema di distribuzione delle merci ai
prezzi di piazza con la restituzione degli avanzi netti, anziché di quello dei prezzi di costo
aumentato delle spese di amministrazione. Ciò d[oveva] essere anche di fatto, perché con tale
mezzo l’operaio si fa[ceva] fiducioso nella potenza delle piccole economie, e continua[va]
nella via che gli [aveva] addita[to] la società, cioè al risparmio, e si fa[ceva] capitalista. Con
l’altro sistema invece il socio non guadagna[va] che pochi centesimi al giorno, che [erano] in
sé meschina quantità da non produrgli la smania di fare un capitale, ma anzi v[eniva]
sollecitato a maggiormente spendere”. Da queste testimonianze si può comprendere quale sia
l’idea di fondo delle cooperative di consumo: esse procurano ai soci un risparmio quasi
forzato che non costa loro alcuna fatica, e pone nelle loro tasche del denaro senza metterlo,
permettendo, inoltre, di non sciupare il guadagno che ad ogni consumo si ottiene.
6
In provincia di Reggio Emilia.