44
II RIFLESSIONI TEOLOGICO-SPIRITUALI SULL’EROS:
CLÈMENT, YANNARAS E AVERINCEV – RUPNIK
Se nel precedente capitolo abbiamo visto come Marion e Lacroix,
attraverso la loro fenomenologia, esprimevano in modo misurato l’aspetto
esistenziale-spirituale proprio della relazione amorosa, mentre Bastaire si
concedeva una maggiore espressività; ora, grazie alla teo-poetica di
O. Clément, alle “variazioni musicali” di C. Yannaras e alla pastoralità
coniugale e sacerdotale di S. S. Averincev e di M. I. Rupnik, la componente
esistenziale-spirituale della relazione amorosa viene manifestata con maggior
vigore e intensità.
Ciò è reso possibile dal fatto che le opere dei nostri autori non hanno il
carattere sistematico di una dissertazione teologica, né di una trattazione di
sacramentaria e neppure vogliono essere opere di esegesi ed ermeneutica
biblica. Si presentano invece come riflessioni esistenziali, filosofiche e
teologiche sull'amore, intrise di quella spiritualità che è propria della
tradizione cristiana orientale.
Clement, come possiamo constatare dal titolo delle opere da noi prese in
esame
137
, ha una visione dell’uomo teo-poetica e liturgica, dove l’uomo si
trova in stretta relazione non solo con Dio e con l’altro, ma con tutto il creato.
Come vedremo, per Clement l’uomo è loghikós, celebra e glorifica con tutto
se stesso il Creatore, scopre i logoi dell’universo e li offre a Dio.
Yannaras, nel suo Variazioni sul Cantico dei Cantici, «testo concepito
come un’ampia composizione musicale, dalla folgorante Ouverture
introduttiva fino al Te Deum conclusivo»
138
, presenta la vitalità dell’eros
137
O. CLÉMENT, Occhio di fuoco. Eros e kosmos e Teologia e poesia del corpo.
138
A. ANDREINI, Variazioni sul Cantico dei Cantici, «Testimonianze» 6-1 (2014-2015), 31.
45
come l’unica «via per l’incontro, la conoscenza e la creazione»
139
, sia in
rapporto con l’altro, sia in rapporto con Dio.
S. S. Averincev e M. I. Rupnik, nel loro Adamo e il suo costato.
Spiritualità dell’amore coniugale, mostrano l’amore coniugale attraverso due
modalità che contraddistinguono l’esperienza di vita dei due autori.
Avernicev presenta la sua riflessione non come «una piccola dissertazione
teologica, [ma come un insieme di] confessioni buttate giù senza ordine ed
estremamente personali»
140
che partono dalla sua esperienza di marito e
padre; invece Rupnik pone una riflessione più sistematica-pastorale; egli
afferma che «questo breve scritto vuole essere solamente l’impostazione
teologico-antropologica della questione, per cogliere il significato della
sessualità e dell’amore coniugale nell’ordine della salvezza dell’uomo»
141
,
con uno sguardo alle esperienze di vita incontrate nel suo ministero.
Ci sembra opportuno al termine del capitolo presentare il punto di vista
teologico cattolico occidentale del nostro tema sull’amore. Lo faremo
presentando brevemente l’enciclica del papa emerito Benedetto XVI Deus
Caritas est
142
.
In particolare, ci concentreremo sulla prima parte dell’enciclica che, a
differenza della seconda parte prettamente teologica, si presenta come una
riflessione filosofico-teologica sull’amore, quindi in linea con le modalità di
trattazione dei nostri autori esposti.
Come vedremo Benedetto XVI in questa prima parte tratta dell’eros,
dell’agape e della philia, le dimensioni che caratterizzano l’amore di Dio per
l’uomo e che mostrano l’intrinseco legame che vi è tra l’amore di Dio l’amore
umano.
139
C. YANNARAS, Matrimonio e monachesimo: le vie dell’eros, in S.S FOTIOU. – A. MARINI
– G. PATRONOS – C. YANNARAS, La «cella del vino». Parole sull’amore e sul matrimonio,
Servitium, Sotto il Monte (BG) 2006, 182.
140
S.S. AVERINCEV – M.I. RUPNIK, Adamo e il suo costato. Spiritualità dell’amore
coniugale, 59.
141
Ivi, 12.
142
BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Deus caritas est, (25 dicembre 2005).
46
2.1. La teopoetica di Clément
L’obbiettivo di Clément è quello di ripristinare la centralità del corpo. Egli
lo fa sia criticando la concezione idolatrica contemporanea del corpo, sia
andando al di là di ogni dualismo corpo–spirito di ispirazione platonica-
religiosa. Non solo: egli vuole superare anche quella perdita di armonia che
si è attuata tra l’uomo da una parte e il cosmo (Creato) dall’altra, per ricercare
quell’unità degli inizi presente in Genesi, che trova il suo pieno compimento
nella salvezza.
Per Clément tale unità può essere contemplata solo all’interno di una
teologia-poesia: una teopoetica.
Infatti solo l’“occhio di fuoco” (sguardo ascetico-spirituale) e
l’intelligenza poetica consentono, attraverso il loro linguaggio spirituale e
simbolico – in particolare quello liturgico – di «superare la parzialità, i
riduzionismi e gli antagonismi addirittura a livello gnoseologico»
143
e di poter
così procedere verso una piena unità spirituale con Cristo, nella quale l’uomo
trova la completa integrazione tra corpo, carne, anima e spirito.
Per questi motivi il linguaggio utilizzato da Clément è poetico-metaforico,
poiché, attraverso i simboli, esso gli permette di mantenere insieme gli
opposti: corpo–spirito, uomo–cosmo, eros–agape.
Vedremo come il linguaggio poetico–metaforico riesce meglio a mostrare
«la fecondità della tensione tra eros e agape, tra il desiderio e l’amore
comunione»
144
, senza nessun dualismo o pregiudizio di valore, ma come unità
nella diversità, ridando bellezza a quell’eros del corpo che pregiudizialmente
è considerato come qualcosa di negativo o peccaminoso.
143
O. CLÉMENT, Solchi di luce. La fede e la bellezza, Lipa, Roma (2001), 9.
144
P. PISARRA, Un mistico tra Parigi e Bisanzio, in www.stpauls.it/jesus/0902je/0902je90.htm.
47
Riesce inoltre a ridare bellezza, perché per Clément «la Bellezza [è] unità
realizzata [che] solo l’amore è capace di creare»
145
senza cancellare la
diversità, una bellezza che solo un linguaggio poetico e uno sguardo
contemplativo possono esprimere e vedere.
2.1.1. L’uomo: corpo e anima
Clément vuole eliminare ogni concezione dualistica all’interno del
cristianesimo, ribadendo come esso sia «la religione dell’incarnazione e della
risurrezione della carne»
146
. Il corpo è l’espressione e il linguaggio della
persona. L’uomo si presenta all’altro con il suo corpo, non come un oggetto,
ma come una presenza che rimanda alla propria esistenza.
Se il corpo rimanda all’esistenza di sé, allora non possiamo scindere carne
e spirito in un dualismo platonico–religioso, ma è necessario riprendere la
definizione che la Bibbia dà dell’uomo: «L’uomo non ha un’anima, egli è
un’anima vivente; non ha carne, è carne animata»
147
.
Nella sua carne l’uomo sperimenta la fragilità della creatura, ma allo stesso
tempo nell’anima sperimenta la sua fragile libertà.
Il soffio ricevuto dall’uomo all’interno del proprio cuore è ciò che lo rende
ad immagine e somiglianza di Cristo; immagine e somiglianza che, come
sottolinea il racconto di Genesi, manifestano la «corrispondenza simbolica tra
il Soffio di Dio – lo Spirito – e il soffio vitale dell’uomo»
148
.
L’uomo appare così unificato nella sua carne–basar. Il dualismo che vi è
tra spirito–corpo, tra anima–carne è sempre di tipo esistenziale, mai
ontologico. Il dualismo è sempre frutto del peccato, quel peccato che fa sì che
l’uomo possa abusare del proprio e altrui corpo, che possa rispondere all’altro
oppure no.
145
O. CLÉMENT Solchi di luce. La fede e la bellezza, 10.
146
O. CLÉMENT, Teologia e poesia del corpo, 6.
147
Ivi, 7.
148
O. CLÉMENT, Occhio di fuoco. Eros e kosmos, 77.
48
L’unità ontologica tra spirito e corpo, attuata pienamente dall’Incarnazione
del Verbo, permette all’uomo di partecipare della comunione del Corpo di
Cristo e del Corpo della Chiesa. È questa partecipazione, questa comunione
che rende l’uomo liturgico e loghikós.
2.1.2 L’uomo liturgico-loghikós
Come detto in precedenza, non è possibile parlare del corpo e dell’uomo
se non partendo dall’Incarnazione.
La carne di Cristo vivente e vivificante fa sì che anche la carne dell’uomo
possa essere pienamente vivificata e divenire carne di risurrezione e corpo
glorioso. È attraverso la liturgia che «l’uomo si àncora in questa carne vivente
e vivificante. Parlerei addirittura di liturgia carnale»
149
.
In questa liturgia carnale l’uomo fa esperienza del proprio corpo come
corpo liturgico e con l’eucarestia partecipa del Corpo di Cristo. Con la liturgia
eucaristica l’uomo è «colloca[to] nel corpo di Cristo, spazio illimitato del
Soffio latore del mondo e anche casa del Padre. In questo Corpo la
Comunione trinitaria si propone come comunione degli uomini»
150
.
In tale comunione con il Cristo e con gli altri uomini all’interno della
Chiesa, il corpo diventa linguaggio e con il soffio ricevuto si apre alla lode.
Nell’esperienza della comunione ecclesiale, l’uomo comprende che
l’eucarestia «ci insegna che il corpo esprime la persona quando quest’ultima,
in Cristo, immagine consustanziale del Padre, diventa l’immagine sempre più
fedele di Dio, per ciò stesso “consustanziale” a tutte le altre»
151
.
L’uomo nella sua “consustanzialità” fa l’esperienza di un’esistenza
eucaristica che gli permette di prendere coscienza del suo essere “immagine
di Dio”, o meglio gli permette di acquisire una coscienza eucaristica con la
quale cerca un senso e scopre «le vere “ragioni” (logoi) delle cose, nelle quali
149
O. CLÉMENT, Teologia e poesia del corpo, 26.
150
Ivi, 27.
151
Ivi, 37.
49
si manifesta il Logos come Ragione o Sapienza divina»
152
. Questo è il
compito dell’uomo: svelare i logoi e offrirli a Dio. In questo compito l’uomo
si riscopre e si riconosce loghikós: «Quell’Adamo chiamato a “dare un nome”
a tutti gli esseri viventi»
153
.
L’uomo loghikós–Adamo primordiale, il quale partecipa della
consustanzialità eucaristica all’interno del corpo ecclesiale, diviene
il centro spirituale dell’universo. Lo riassume in quanto microcosmo, ma in
quanto immagine di Dio, lo contiene e lo qualifica. L’uomo è un’“ipostasi”, una
persona […] in senso trinitario, nel senso di un modo di esistere unico, senza
alcuna possibilità di confronto. L’uomo è così chiamato a diventare l’“ipostasi”
del cosmo, a dire il senso di questo lógos álogos
154
.
In questo suo essere ipostasi, l’uomo attraverso «l’occhio del cuore [occhio
di fuoco purificato attraverso l’ascesi dalla luce divina] vede i logoi luminosi
delle cose»
155
in modo tale da vedere «il mondo come creazione, linguaggio,
poesia, fantasia di Dio»
156
.
Quindi attraverso i logoi, che non sono altro che parole creatrici del Logos,
si svelano «la gloria di Dio, la sua “grazia increata”, la sua “energia”»
157
,
un’energia della quale, come vedremo, l’eros, come slancio creatore, è una
delle manifestazioni.
2.1.3. Lo slancio erotico
Come non vi è alcun dualismo o contrapposizione tra corpo–spirito,
uomo–cosmo, allo stesso modo per Clément non sussiste alcuna dualità tra
eros e agape.
Il desiderio è per Clément
quel moto che Dio infonde nel creato perché questo tenda a Lui; non attraverso
qualche gerarchia di stampo neoplatonico, ma attraverso Cristo, che è al
152
O. CLÉMENT, Occhio di fuoco. Eros e kosmos, 62.
153
O. CLÉMENT, Teologia e poesia del corpo, 57.
154
O. CLÉMENT, Occhio di fuoco. Eros e kosmos, 43.
155
Ivi, 64.
156
O. CLÉMENT, Teologia e poesia del corpo, 56.
157
O. CLÉMENT, Occhio di fuoco. Eros e kosmos, 41.
50
contempo Dio stesso che corre verso di noi, come il Padre ad abbracciare il figlio
prodigo. L’eros è raggiunto dall’agape
158
.
L’eros si presenta così come un’energia, uno slancio, che permette al cuore
dell’uomo di entrare in comunione con Dio e con l’altro, attraverso il proprio
corpo e la propria sessualità. Anzi, «l’eros nella pienezza del suo senso è uno
slancio ontologico di cui la sessualità non è che un’espressione»
159
.
In questo slancio ontologico la sessualità non può essere considerata solo
come semplice strumento di piacere o di procreazione. Essa assume una
dimensione imprescindibile della persona, è quel linguaggio che esprime il
rapporto che si instaura tra due persone che trovano il loro compimento
nell’essere «un’unica carne» (Gen 2,24), dove quest’unica carne è l’incontro
non solo di due corpi, ma «l’intessitura di due esistenze»
160
.
Proprio perché la sessualità permette l’intessitura di due esistenze, essa
non ha nulla di peccaminoso o cattivo, anzi la sessualità «è fondamentalmente
buona, buona come partecipazione di due persone al Soffio latore del mondo,
proprio perché è il linguaggio più forte, più violento con cui due esseri
possano parlare»
161
.
Il peccato è non comprendere questo linguaggio. Peccare è non attuare
quella conoscenza atta a svelare il volto dell’altro, per rimanere in una
ignoranza caratterizzata dall’egoismo e dalla volontà di dominare l’altro.
Invece l’amore che nasce dalla sessualità e dall’eros deve far emergere e
valorizzare l’alterità dell’altro: «Amare qualcuno è favorire il suo slancio
creatore: questo slancio, soprattutto questo slancio esprime l’eros»
162
.
Lo slancio creatore rende l’incontro amoroso incarnazione; qui l’amore si
fa servizio e mistero, inteso come accoglienza della profonda alterità
dell’altro, che non è dato conoscere totalmente, ma che richiede di essere
custodito nel suo svelarsi.
158
O. CLÉMENT, Teologia e poesia del corpo, 58.
159
O. CLÉMENT, Occhio di fuoco. Eros e kosmos, 28.
160
O. CLÉMENT, Teologia e poesia del corpo, 83.
161
Ivi, 85.
162
O. CLÉMENT, Occhio di fuoco. Eros e kosmos, 31.
51
Solo nell’incontro vissuto come incarnazione, in cui l’altro è accolto come
mistero, è possibile unire l’eros–desiderio con l’agape–tenerezza ed è nel
sacramento del matrimonio che questa unità viene pienamente simboleggiata
e manifestata.
2.1.4. Il matrimonio: rivelazione dell’altro e vocazione alla sessualità
come simbolo dell’unione mistica eros–agape
Il carattere sacro del matrimonio per Clément è espresso nel Cantico dei
Cantici. Infatti
se il Cantico dei Cantici è un canto d’amore – sia nel senso della tenerezza sia nel
senso dell’eros – che è simbolo dell’unione tra Dio e il suo popolo, dell’unione
tra Dio e l’anima, significa che l’amore umano, insieme tenerezza ed eros, ha
qualcosa a che vedere con Dio, e che esso rimane per molti una delle poche
esperienze mistiche che sia consentito di vivere su questa terra
163
.
Poiché l’amore umano ha a che fare con Dio, possiamo dire che la
componente erotica, insieme alla tenerezza, ottengono una conseguenza
importante: «L’unione mistica, le nozze spirituali dell’anima non si riducono
più a una sublimazione illusoria della sessualità, ma è la sessualità stessa che
può trovare senso diventando loro simbolo»
164
.
La sessualità diviene simbolo delle nozze spirituali a patto che venga
vissuta nella castità.
La castità non è intesa da Clément come la separazione, l’allontanamento
dei coniugi attraverso l’astinenza; essa è invece «integrazione dello slancio in
un incontro autentico, una condizione della sessualità [attraverso la quale]
ogni persona impar[a] che l’altro è fatto a immagine di Dio, e che anche
l’amore è a immagine di Dio, finanche nelle sue espressioni corporali»
165
.
La castità è «l’integrazione dell’eros nella tenerezza [agape]»
166
.
163
O. CLÉMENT, Teologia e poesia del corpo, 97.
164
O. CLÉMENT, Occhio di fuoco. Eros e kosmos, 29.
165
O. CLÉMENT, Teologia e poesia del corpo, 102.
166
Ivi, 95.
52
Per poter esprimere al meglio questa sessualità nella castità è necessario
inserirsi all’interno dell’amore di Cristo risorto; in questo consiste il
sacramento del matrimonio.
Nel sacramento entrambi i coniugi muoiono a se stessi affinché l’altro sia
aiutato a divenire pienamente se stesso. Nel sacramento è chiesto di ri-trovare
il volto dell’altro in modo tale che il coniuge possa «intuire l’altro come
rivelazione»
167
, come quel mistero che ogni volta si rivela, ma che è sempre
oltre ogni egoistico possesso ed ogni presuntuosa conoscenza.
Intuire l’altro come rivelazione permette a entrambi i coniugi di scoprire
la vocazione dell’altro e la propria: l’essere amati da Dio. Attraverso questa
vocazione i coniugi con il loro amore sono chiamati ad associarsi all’amore
eterno che Dio ha per ciascuno di loro e a divenirne testimoni e simbolo qui
ed ora. L’altro rivela l’amore del Padre e lo rivela solo al proprio coniuge; è
una rivelazione che nessuno può fare al suo posto e che non può fare ad altri.
Questa è la fedeltà nel matrimonio.
Tale fedeltà va coltivata nel tempo, quel tempo in cui il coniuge accoglie
il passato dell’altro, ne vivifica il presente e diviene responsabile del suo
futuro.
In questa temporalità gli sposi comprendono e coltivano il rispetto
reciproco, derivante dalla consapevolezza che «l’altro non mi appartiene, e
con questa consapevolezza posso superare quel che sussiste di captazione
nello slancio erotico»
168
; contemporaneamente, i due si pongono in devozione
di fronte all’altro e «davanti a Dio [facendo ciascuno] voto di vivere, o anche
di morire, perché l’altro esista»
169
.
Possiamo quindi concludere che solo in un matrimonio vissuto pienamente
come rivelazione, come vocazione, con fedeltà, con rispetto e con devozione,
167
Ivi, 99.
168
Ivi, 101.
169
Ibidem.
53
l’incontro amoroso diviene pienamente casto, in quanto, integrando eros e
agape,
assume tutta l’immensità della vita, tutta la celebrazione cosmica in una
reciprocità, una tenerezza [agape], un’incandescenza [eros] in cui “un’anima
vivente” “conosce” un’altra “anima vivente”, per usare il linguaggio biblico,
secondo il mistero dell’unione del Cristo con la chiesa, cioè di Dio con la terra,
del Logos con la Sapienza
170
.
Celebrazione cosmica e conoscenza reciproca trovano il loro inizio in
Genesi e la loro piena simbologia nel Cantico dei Cantici, come vedremo
espressa da Yannaras nel successivo paragrafo.
170
O. CLÉMENT, Occhio di fuoco. Eros e kosmos, 30-31.