5
Introduzione
Il seguente lavoro di ricerca si sviluppa all’interno
del contesto teorico dei Cultural Studies, pensabili
come una pratica intellettuale finalizzata a
descrivere la vita quotidiana dell’uomo, che si
sostanzia mediante la cultura.
In particolare, si intende esplorare l’evoluzione dello
sguardo sul femminile nel contesto delle produzioni
mediali: dalla sua costruzione maschile, come
teorizzata da Laura Mulvey nel 1978
1
, alla sua
costruzione femminile, fenomeno oggi ancora di
nicchia, ma dotato di grande potenzialità
espressiva. Il cammino di questa evoluzione
ripercorre gli studi di genere e di stampo
femminista e post-femminista di autrici come
Judith Butler, Teresa De Lauretis e Angela
McRobbie, concentrando maggiormente l’attenzione
sul panorama di produzione contemporaneo, in
particolare eleggendo la fiction The L Word a caso
d’analisi, rappresentativa di quello che può essere
definito uno sguardo femminile sul femminile.
Il progetto di ricerca prende specificamente avvio
dal pensiero di Laura Mulvey, studiosa
anglosassone che scorge nel cinema tradizionale la
presenza di uno sguardo maschile che proietta
attivamente la sua fantasia sulla figura femminile,
che ne è determinata di conseguenza.
1
Mulvay L. (1975), Visual Pleasure and Narrative Cinema, in
Screen, 16, 3 (trad. it. Piacere visivo e cinema narrativo, in
Nuova DWF, 8, 1978).
6
Il ruolo tradizionale delle donne, secondo l’autrice, è
sempre stato esibizionistico, il loro aspetto è
codificato affinché possano essere guardate e
mostrate attraverso un forte impatto visivo ed
erotico.
La presenza dello sguardo maschile ed
eterosessuale relegherebbe, quindi, le donne nella
posizione passiva di oggetto erotico, all’interno
dell’interpretazione socialmente stabilita della
differenza sessuale, che controlla le immagini e i
modi erotici del guardare.
Con riguardo a quanto appena detto, si è ritenuta
valida l’ipotesi di analizzare un prodotto mediale
come The L Word, che con una produzione quasi
totalmente al femminile, dalle ideatrici, alle
sceneggiatrici, all’intero cast, costituisce un
supporto interessante per esplorare lo sguardo
femminile sul femminile.
Sarà, infatti, interessante indagare quanto,
all’interno di un prodotto seriale al femminile, la
costruzione dello sguardo spettatoriale abbia delle
peculiarità caratterizzanti, o ricalchi, invece, le
stesse dinamiche del tradizionale sguardo maschile
sul femminile.
9
Capitolo primo: Cultural Studies come
approccio teorico
1.1 Introduzione ai Cultural Studies
Il termine Cultural Studies rimanda a così tante e
diverse teorie che oggi non indica più solamente il
Centre for Contemporary Cultural Studies di
Birmingham (CCCS), in quanto esistono numerose
e diverse tradizioni di ricerca anche molto distanti
tra loro.
Originariamente il termine si lega ad una precisa
tradizione di ricerca: quella che nasce in Gran
Bretagna attorno alla scuola di Birmingham, i cui
padri fondatori sono Richard Hoggart, Raymond
Williams e Edward Palmer Thompson; anche se in
realtà è Williams che avrà l’influenza maggiore sullo
sviluppo successivo dei Cultural Studies.
Possono essere pensati come una pratica
intellettuale finalizzata a descrivere la vita
quotidiana dell’uomo, che si sostanzia mediante la
cultura. Per i Cultural Studies parlare di “cultura”
significa riferirsi ad un intero stile di vita che
racchiude in sé istituzioni, comportamenti
quotidiani, arte, letteratura e le modalità per
comunicare tutto ciò. Da quanto appena detto
consegue che il termine “cultura” non sia
meramente un’abbreviazione di “high culture”,
considerata come qualcosa di costante nel tempo e
nello spazio, ma sia un termine decisamente non
univoco, che può variare a seconda dei diversi
10
momenti e contesti economici, sociali, politici. La
cultura deve intendersi, quindi, come una pratica
quotidiana, di cui tutti sono artefici e che può
anche essere luogo di conflitto nel quale si
scontrano ideologie contrastanti. Proprio per questo
è importante rinnovare, o almeno mettere in
discussione i canoni classici della cultura,
prendendo consapevolezza delle diverse istanze di
produzione, distribuzione e consumo agite da
soggetti non tradizionali. La cultura, infatti, si
sostanzia contemporaneamente sia nei testi, che
nelle persone che li producono, che in quelle che li
recepiscono.
La cultura è anche un concetto sfuggente, ogni
volta che la conoscenza scientifica ci si avvicina,
essa indietreggia
2
: questo perché il parlare di
cultura, il renderla oggetto del discorso è già una
parte dell’oggetto che si vuole analizzare, in quanto
il discorso è una pratica culturale
3
.
È proprio l’importanza che tali studi assegnano alla
cultura che sostanzia l’aspetto pratico e tangibile
del loro porsi come progetto politico, oltre che
intellettuale, come uno strumento per produrre un
sapere utile nelle situazioni quotidiane, anche al di
fuori del contesto accademico.
2
Benhabib S. (2002), The Claims of Culture: Equality and
Diversity in the Global Era, Princeton University Press,
Princeton, tr. it. (2005), La rivendicazione dell’identità cultural.
Eguaglianza e diversità nell’era globale, il Mulino, Bologna.
3
Jedlowski P. (2007), Capire le differenze. Integrazioni e
conflitti nelle società del XXI secolo, convegno A.I.S., Università
di Urbino.
11
Ed è in vista di tale interesse alla quotidianità che i
Cultural Studies danno ampio spazio al metodo
etnografico. Tale metodo, nato in antropologia ed in
seguito importato nella sociologia, consiste in un
lavoro continuativo sul campo, che analizza i
fenomeni e le pratiche sociali nella loro normalità e
quotidianità. Come l’etnometodologia, l’etnografia si
occupa del mondo del senso comune, di ciò che è
dato per scontato, trattandolo come se scontato non
fosse. L’etnometodologia è lo studio dei metodi
utilizzati dalle persone per rendere spiegabile e
intellegibile la realtà nella quale sono immerse. In
questo senso l’etnografo ha il compito di analizzare
le spiegazioni e i racconti che gli stessi attori sociali
forniscono e impiegano nella vita quotidiana,
attingendoli dalla conoscenza di senso comune.
Un elemento sicuramente fondamentale e tipico di
questi studi è l’approccio interdisciplinare che ha
caratterizzato il CCCS fin dalla sua fondazione.
Molto importante in tal senso, ad esempio, il
contributo di Stuart Hall, che introdusse nella
scuola di Birmingham la filosofia post-strutturalista
francese e i suoi approcci semiologici e
strutturalisti dei fenomeni culturali. Le analisi
strutturali servirono a mettere sempre
maggiormente in evidenza la componente ideologica
che si trova alla base delle forme culturali, per
offrire una visione demistificata dei rapporti sociali.
All’interno di tale scuola la cultura si venne sempre
più a caratterizzare come un campo di battaglia per
la definizione di significati; i prodotti culturali,
come i testi mediali, vennero indagati sempre più
12
minuziosamente al fine di rintracciarvi i segni di
quel potere, di quella ideologia che tenta di
nascondere se stessa, presentandosi come naturale
e normale, fino a diventare una sorta di common
sense.
I Cultural Studies ottennero nel tempo, anche
grazie ai contributi post-freudiani di Jacques
Lacan, una struttura di base composta da teorie
semiotiche, psicoanalitiche e neomarxiste. La
complessità del concetto di ideologia e il ruolo della
linguistica strutturale portò, inoltre, alla
consapevolezza della polisemia originaria dei
messaggi culturali, contrassegnando l’apertura nei
confronti di teorie e metodi diversi come tratto
distintivo dei Cultural Studies.
Un concetto di decisiva importanza che caratterizzò
fortemente lo sviluppo di tali studi fu il già citato
concetto di ideologia, che Louis Althusser
4
trattò in
diverse opere. Per ideologia qui si intende la
modalità in cui le persone vivono attivamente il loro
ruolo nella sfera sociale, creando un rapporto
immaginario con le reali condizioni dell’esistenza.
L’ideologia è, quindi, fondamentale per costruire la
propria identità e soggettività; è anche intesa come
l’insieme dei discorsi e delle immagini che
costituiscono la conoscenza delle persone, il loro
senso comune. Althusser parla di interpellanza,
intendendo che la funzione delle ideologie è quella
di costruire gli individui in quanto soggetti.
L’individuo, quindi, definisce la sua identità
4
Althusser L., Balibar E. (1965), Lire le Capital, Paris (tr. it.
1971, Leggere il capitale, Milano).
13
attraverso la posizione datagli dal sistema di
riferimento (ad esempio come membro di una
subcultura specifica), è un costrutto dell’ideologia.
Gli apparati ideologici dello stato poi, come
l’istruzione, la religione, i media, riproducono nelle
loro pratiche non violente questi rapporti
immaginari degli individui rispetto alla loro reale
esistenza, facendo di loro i soggetti dell’ideologia. Il
soggetto, quindi, è inteso come la posizione grazie
alla quale veniamo inscritti all’interno della catena
di significati, che è diverso dall’individuo storico. In
tal senso le tecniche tipiche del romanzo realista
dell’Ottocento sono viste come esempio di
interpellanza ideologica del lettore: il romanzo
realista non si basa sull’invenzione, ma pone se
stesso e l’universo che rappresenta come non
problematico e trasparente. Così, potenzialmente,
ogni individuo può accostarsi a quell’universo nello
stesso modo, perché il realismo letterario interpella
i suoi lettori come soggetti razionali.
L’ideologia, quindi, costruisce una sorta di ritratto
immaginario della vita sociale, all’interno della
quale i soggetti sono rappresentati come totalmente
liberi. L’ideologia aiuta le persone a dare senso al
mondo, in essa queste si vedono forti e
indipendenti, per questo motivo la accolgono
facilmente, senza resistenze.
Anche il concetto di egemonia descrive i soggetti
come inseriti in un contesto di idee dominanti che
permeano la società: secondo Antonio Gramsci
5
,
5
Gramsci A. (1971), Quaderni dal carcere, edizione critica
dell’Istituto Gramsci a c. di V. Gerratana, Torino.
14
infatti, l’assetto vigente di potere è rappresentato
come naturale, sensato e pacifico, quindi,
l’egemonia non si basa su un indottrinamento
violento, ma si dispiega con la complicità degli
oppressi. Nelle società contemporanee non è lo
Stato ad esercitare coercizione per imporre
l’ideologia dominante, al contrario è la società civile
a perpetuarla con le sue istituzioni, i sistemi
educativi, la famiglia, la chiesa, i mass media e la
cultura popolare. Il consenso, quindi, si forma
attraverso un processo continuativo, è frutto di un
costante patteggiamento che dà spazio anche a
elementi della cultura dei sottomessi.
La cultura popolare viene così a configurarsi come
un campo di battaglia nel quale i punti di vista
dominanti negoziano continuamente con gruppi,
classi e valori tra loro in opposizione. È però
importante specificare che per egemonia non si
intende una forma di dominio immutabile, data una
volta per tutte, l’egemonia viene, infatti,
continuamente rinnovata e ricreata.
L’idea di egemonia come terreno di scontro
richiama il concetto di potere di Foucault
6
, che
contestualizza le azioni umane all’interno di una
rete di poteri sovvertibili e modificabili dalle azioni
stesse. Il discorso è in questo senso il luogo
dell’articolazione produttiva del potere e del sapere:
è un insieme di performance verbali caratterizzate
da particolari modalità di esistenza. Analizzando i
discorsi, quindi, si possono rendere evidenti le
6
Foucault M. (1970), L’ordre du discours, Paris, tr. it. 1972,
L’ordine del discorso, Torino.
15
posizioni ideologiche dei singoli, sempre inserite in
un contesto sociale, mostrando come l’uso del
linguaggio si interseca con il potere. Il preminente
ruolo assunto dal discorso è motivato dal fatto che
le persone identificano ciò che fanno attraverso la
descrizione che ne danno, quindi, ogni azione che
sia pur minimamente significativa viene recepita
come un certo tipo di azione attraverso le
descrizioni che ne danno i soggetti.
Se il soggetto viene inteso come costruzione
discorsiva, come posizione iscritta all’interno di una
catena di significati sociali, il concetto di identità,
oltre alle sue relazioni con i processi dell’inconscio,
assume un’importanza centrale nel dibattito
culturale, soprattutto all’interno della ricerca
femminista di formazione psicoanalitica.
Verso la fine del Novecento il concetto di identità
ha, infatti, assunto un ruolo centrale sia in campo
politico che nei media, nell’uso comune e in ambito
scientifico. Tale interesse si incentra su alcune
categorie sociali come l’etnicità, la razza, la
religione, il gender, la sessualità, che sostanziano
l’identità come il tratto comune tra la percezione
soggettiva del mondo e il contesto storico, sociale e
culturale in cui questa si forma.
«Le identità vengono prodotte, consumate e
regolate, all’interno e per mezzo della cultura,
creando i significati attraverso sistemi simbolici di
rappresentazione»
7
: le identità, quindi, costruiscono
7
Woodward K. (a cura di) 1997, Concepts of Identity and
Difference, in Id (a cura di), Identity and Difference,London,
Thousand Oaks CA, new Delhy, pp. 7-50.
16
il senso delle nostre esperienze attraverso la
distinzione tra identità e differenza. Le
rappresentazioni avvengono sempre all’interno di
rapporti di potere, che stabiliscono chi detiene il
potere, per determinati motivi, e chi ne rimane
escluso.
Secondo Stuart Hall
8
sono due i modelli di identità
riscontrabili: il primo è tradizionale, essenzialista,
nel senso che presume l’esistenza di un nucleo
essenziale d’identità, che mediante una struttura di
esperienze comuni definisce un gruppo, il quale
basa il suo senso di appartenenza proprio su
questa condivisione. Il secondo, l’approccio
discorsivo, vede l’identità come una costruzione mai
conclusa. Questo processo continuo dipende molto
dal contesto specifico, presupponendo, quindi,
un’identità situata e di tipo strategico. In questo
senso non esiste un’appartenenza naturale, una
vera essenza identitaria.
Soprattutto nell’età tardo-moderna, le identità sono
molteplici, frammentarie e soggette a continui
mutamenti. Si formano all’interno di discorsi che ne
determinano anche la costruzione, quindi, si
formano tramite forme di discorso che producono
sapere e senso, stabilendo così le condizioni del
lecito e del non lecito, di quello che può essere e di
quello che non può essere. Le identità prendono
vita all’interno dei rapporti di potere e dei sistemi di
classificazione che creano la differenza e
8
Hall S. (1990), Cultural Identity and Diaspora, in Rutherford
J. (a cura di), Identity, Community, Culture, Difference,London,
pp. 222-37.
17
l’esclusione, senza le quali sarebbe impossibile
parlare di identità, che si costituisce, infatti,
sempre tramite il diverso, cioè il rapporto con
l’altro.
Molto importante in questo ambito risulta il legame
tra la realtà sociale e la realtà psichica: l’identità si
sostanzia sia sul piano psichico che su quello delle
pratiche discorsive all’interno dell’ambito sociale.
Gli aspetti riguardanti la formazione del soggetto
vengono trattati con maggiore chiarezza rifacendosi
all’ambito della psicoanalisi. Jacques Lacan
9
, in tale
contesto, applica il modello linguistico
strutturalista di Ferdinand de Saussure
considerando la strutturazione e il funzionamento
dell’inconscio come simile a quello della lingua e dei
sistemi simbolici. La lingua dell’inconscio, quindi,
come qualsiasi lingua, è un prodotto culturale, si
forma dalla percezione e dalla lingua degli altri.
L’idea di una soggettività unitaria e stabile viene in
questo modo messa in discussione, sottolineando
come all’interno di ogni contesto culturale e di ogni
sistema rappresentativo possano palesarsi
soggettività molteplici, che si costituiscono
attraverso identificazioni sia consce che inconsce.
Proprio nell’ambito di interesse dell’identità sono
nati, intorno ai primi anni Settanta, negli Stati
Uniti soprattutto, dei movimenti sociali incentrati
su una particolare condizione di identità,
minacciata, perché minoritaria e sottomessa
9
Lacan J. (1966), Ècrits, Paris, Seuil, Vol. II, tr. it. (1974),
Scritti, Einaudi, Torino.
18
socialmente, come, ad esempio, i movimenti
antirazzisti e quelli femministi in lotta contro la
discriminazione omosessuale. Questi gruppi sociali
sostanziano il loro essere proprio attraverso la
differenziazione inter-gruppo e l’enfatizzazione delle
somiglianze dei membri appartenenti ad uno stesso
gruppo: due logiche contrapposte che in realtà si
autoalimentano a vicenda.
È un meccanismo comune quello di definire e
comunicare la propria identità, la propria
specificità, grazie alla contrapposizione con l’altro: è
anche nella differenza e nel confine della propria
soggettività che si costruisce un’immagine di se
stessi alla quale aderire e nella quale riconoscersi.
Può, però, essere deleterio dare vita a rigide
opposizioni che categorizzano, ad esempio, alcune
minoranze sessuali come “prive di potere”,
contrapposte a maggioranze che detengono il
potere, questo perché è riduttivo pensare che le
minoranze siano totalmente escluse dai meccanismi
del potere e della decisione, e che tutti gli individui
possano riconoscersi pienamente in definizioni
bimodali e prive di sfumature.
Lawrence Grossberg
10
, a tal proposito, nota quanto
i modelli binari di opposizione tra oppressori e
oppressi, come quelli applicati per i concetti di
identità e differenza, si siano dimostrati inefficaci
nel chiarire le dinamiche del potere. Secondo
10
Grossberg L. (1996), Identity and Cultural Studies. Is That
All There Is?, in Hall S., DuGay P. (a cura di), Questions of
Cultural Identity, London, Thousand Oaks CA, New Delhi, pp.
80-107.
19
l’autore risulta decisamente inadatta la definizione
della differenza come contrapposizione binaria
assoluta, perché non in grado di approfondire la
diversità, che è un prodotto del particolare
momento storico che si sviluppa all’interno di
specifiche strutture di potere. Una definizione della
differenza così concepita creerebbe sistemi binari
come differenze costitutive, all’interno delle quali
l’altro è definito per contrapposizione a quello che
non è, cioè dal suo opposto. Rientra in questo
ambito discorsivo la teoria dell’orientalismo di
Edward Said
11
, secondo la quale “l’Oriente” non
sarebbe il nome di una specifica e determinata
entità geografico-culturale, quanto uno strumento
utilizzato dalle culture europee per poter costruire
la propria identità di Occidente e per ingabbiare le
culture orientali in formule stereotipe e
generalizzanti. Le rappresentazioni dell’Oriente
come esotico o minaccioso sono, quindi, una
creazione occidentale e determinano la formazione
di altrettante idee preconcette sulla cultura che le
ha prodotte. In questo ambito il potere sta sia nel
creare un oggetto, una rappresentazione, cioè
l’Oriente, sia nel fatto che in questo modo il mondo
arabo viene ridotto all’insieme di pochi caratteri
superficiali, poco significativi per una reale
conoscenza.
Grossberg, per ovviare a tali problematiche,
propone una teoria dell’«alterità» che non si basi su
contrapposizioni negative che si escludano a
11
Said E. (1978), Orientalism, London, trad. it. (1991),
Orientalismo, Torino.
20
vicenda, ma che operi in termini di effettività e
appartenenza. Lo studioso definisce, così, la
soggettività come una posizione nello spazio, il
concetto di diaspora come possibilità
d’identificazione con il luogo e sentimenti di
appartenenza a contesti storico-spaziali.
1.2 Ricerca femminista, Gender Studies e
sessualità
Storicamente si possono riscontrare due fasi del
movimento femminista: la prima durante la
seconda metà del XIX secolo, quando prese vita un
movimento liberale, politicamente corretto,
finalizzato ad una piena partecipazione politica da
parte delle donne. L’obiettivo era l’ottenimento di
diritti un tempo riservati esclusivamente agli
uomini, come, ad esempio, il diritto di voto,
l’accesso alle cariche pubbliche e un accesso
paritario all’istruzione. La seconda fase del
movimento femminista prende avvio a partire dagli
anni Sessanta del XX secolo e tenta di inserire nella
pratica quotidiana i diritti acquisiti dalla prima
ondata del movimento. I rapporti di potere che
sostanziano le differenze sessuali, infatti, si
riverberano in vari modi all’interno della vita
sociale, delineando, ad esempio, un decisivo
svantaggio nel mondo lavorativo, nelle opportunità
concernenti il campo dell’istruzione e dei rapporti
familiari.
Si tratta di istanze tese a rendere manifeste e
oggetto di potenziale cambiamento delle pratiche