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Introduzione
Questa tesi ha per argomento il valore della libertà di stampa e l’esercizio
della stessa in relazione al fondamentalismo islamico che si è diffuso in Gran
Bretagna soprattutto negli ultimi venti anni. Un percorso diviso in una fase iniziale
(1988-2005) e una fase attuale (2005-2010): in esame non solo la tutela delle
minoranze che sembra ledere le libertà individuali, ma soprattutto le minacce di
attacchi violenti che provocano il fenomeno dell’autocensura.
Nel primo capitolo vengono tracciati i temi base, quali la censura, la libertà
di stampa e il terrorismo islamico, per comprendere più correttamente l’evolvere
degli eventi successivi. La censura è conosciuta fin dall’antichità, ed è un mezzo
che i centri del potere possono utilizzare per evitare dissidenze, per poter disporre
delle proprie facoltà senza limiti, invadendo le libertà dell’individuo. Invece, la
libertà di espressione è un diritto ottenuto attraverso l’impegno di uomini come, ad
esempio, John Milton ed il suo contributo Areopagitica (1644), che vede lo sviluppo
di concetti quali la difesa alla libertà di stampa e lo scambio libero di idee. Un lungo
cammino che conduce alla istituzione in Gran Bretagna dei diritti fondamentali dei
cittadini, avvalorati inoltre dalle dichiarazioni internazionali che sostengono la
protezione degli individui e delle loro attività.
Il British Nationality Act (1948) segna invece l’inizio dell’esperienza
multietnica inglese, tuttavia l’evoluzione della società trova difficoltà nel realizzare
la coesione per la presenza di numerose comunità straniere migrate nel paese;
così il governo britannico statuisce la tutela delle minoranze, ponendo divieti di odio
razziale attraverso la legiferazione. Anche l’impegno internazionale è molto forte su
questo piano, ma non senza controversie: ad esempio la Convention for the
Elimination of Racial Discriminations (1969) ha suscitato l’opposizione da parte
degli Stati ratificanti per quanto concerne l’articolo 4, teso ad eliminare tutti i tipi di
discriminazione e che, si ritiene, finisce per danneggiare la libertà di espressione.
Nonostante gli sforzi istituzionali l’unione multietnica è difficile da raggiungere.
Il secondo capitolo è focalizzato sul primo esempio concreto di spaccatura
tra i valori liberali e le ritorsioni terroristiche che emerge con il libro di Salman
Rushdie, The Satanic Verses (1988). Un romanzo avvincente che tra le varie
vicende narra alcuni episodi riconducibili ai versi coranici e alle tematiche ad esso
collegate. Questo provoca una fatwa emanata dall’Ayatollah Khomeini, leader
islamico iraniano che condanna Rushdie per l’offesa arrecata con la presunta
blasfemia del libro. La pubblicazione del romanzo è nel pieno diritto alla libertà di
stampa inglese, anche se in molti Paesi è censurato; i leader musulmani
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denunciano il sopruso ricevuto, le minacce trovano prova nell’attacco
dell’ambasciata inglese a Teheran, e nonostante l’autore si scusi pubblicamente
più volte con le comunità musulmane, si ripetono atti dinamitardi in alcune librerie
londinesi, e sanguinari a danno dei traduttori.
Viene denunciato il conflitto tra gli articoli 19 e 20 della Universal
Declaration of Human Rights (1948), rispettivamente libertà di espressione e tutela
delle minoranze, nonostante la dichiarazione stessa ne sottolinei nell’articolo 29 il
riconoscimento di limitazioni solo per garantire il rispetto dei diritti stessi. Anche se
la legislazione è chiara, in Gran Bretagna c’è ancora una legge che limita la libertà
di stampa in relazione al credo, ma invocata dai musulmani nel caso Rushdie,
questa si riscopre inoltre viziata di discriminazione: è la Blasphemy Law, che vieta
ogni tipo di espressione contro Dio, la Bibbia e la religione cristiana. Il dibattito
culturale continua con il dilemma tra censura e razzismo: infatti in Gran Bretagna
sono in vigore leggi anti-terroristiche che eludono gli accordi internazionali, in un
contesto pubblico che raramente reagisce, segnali questi che denotano la difficoltà
ancora presente nelle società attuali di assimilare i valori democratici.
Gli attentati del 7 luglio 2005 sono una realtà altrettanto difficile da
comprendere. Essi sono rievocati nel terzo capitolo attraverso i titoli delle testate
giornalistiche inglesi: la divulgazione dell’attacco attuato da figli di immigrati
musulmani, vede protagoniste solo le immagini a descrivere il terrore piombato
nella capitale. La compostezza anglosassone governa la rabbia, anche se la
possibilità che questi episodi si verifichino nuovamente porta l’adozione di misure di
sicurezza, tra cui l’autocensura. Questa è contestata dal giornale liberale danese
Jyllands-Posten, che in difesa della libertà di stampa pubblica 12 vignette
raffiguranti Maometto. Scoppia il caso internazionale, si susseguono manifestazioni
violente nei confronti dell’Occidente, sollecitate da leader musulmani in tutto il
Medio Oriente, in Africa Settentrionale e in alcune zone dell’Asia, nonché a
Copenhagen e a Londra stessa. Quest’ultima, conscia del pericolo, durante gli
ultimi anni ha scelto sempre più l’autocensura nelle opere letterarie, artistiche e
teatrali, limitando le proprie libertà di espressione per non incorrere in reazioni
islamiche violente.
Il quarto capitolo presenta altri casi di censura e autocensura nel mondo
causati dal terrorismo religioso musulmano, e gli effetti che ne sono scaturiti. In
conclusione del lavoro un cenno sull’ateismo in diffusione e visibilità crescente in
Gran Bretagna, come cardine per trovare un nuovo dialogo che superi i dogmi
religiosi.
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1. Censura e libertà di espressione
1.1 La censura
L’etimologia della parola ‘censura’ risale all’ufficio del censorium dell’antica
Roma, il cui compito era quello di controllare la condotta dei cittadini e la gestione
della morale pubblica.1 Durante i secoli, la chiesa cattolica ha ripetutamente
censurato in etica, morale, arte e costumi: se i canoni imposti non venivano
rispettati, la disobbedienza comportava le pene imposte dal Pontefice, e se questa
veniva giudicata eretica, cioè contro la Bibbia o contro il Papa, la punizione
risultava essere la pena di morte. L’Index librorum prohibitorum (1558) era appunto
una lista dei libri proibiti che, secondo le disposizioni di Papa Paolo IV (1476-1559),
distraevano dalla devozione a Dio. Questo rappresenta l’inizio della censura
dell’autorità cattolica. Nonostante ciò, la chiesa ha sempre sostenuto l’arte, ma gli
artisti erano soggetti alla supervisione ecclesiastica, libera di poter manipolare
l’opera prima di dare la dignità di stampa, conosciuta come imprimatur. Non c’è
bisogno di sottolineare come molti dei libri proibiti sono stati riscoperti come grandi
opere, e come gli artisti condannati a fuggire o perire hanno oggi il più alto rispetto
intellettuale. L’Index è stato abolito solo con la conclusione del Concilio Vaticano II
(1962-1965).2 Ciò suggerisce che la chiesa cattolica ha sempre tenuto vivo
l’esercizio della censura.
Purtroppo non è stato solo il clero a praticare questo controllo, e per questo
si registrano vari tipi di censure oltre quella religiosa: ad esempio censura politica e
militare, per non compromettere la sicurezza e l’istituzione militare; morale ed
estetica, inerente il senso del pudore e per questo differente nelle varie società.
Napoleone Bonaparte affermava: “I fear three newspapers more than a hundred
thousand bayonets.”3 Un piccolo esempio, questo, per descrivere il bisogno da
parte del potere di controllare le informazioni.
Esercitare la censura è prima di tutto una questione di ordine, tesa ad
evitare dissidenze destabilizzanti. La motivazione è apprezzabile, ma non
sufficiente. Anche perché ciò è tramutato da dittatori e tiranni in controllo
dell’informazione. I centri del potere, non lasciando trapelare le loro azioni, non
1
La censura romana è esistita per 421 anni (443-22 a.C.), le sue funzioni erano divise in tre
classi, tutte strettamente collegate l’una con l’altra: il Censimento o registro dei cittadini e dei
loro beni, il Regimen morum o tenuta della morale pubblica, e il controllo delle finanze dello
Stato.
2
< http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_pro_14071997_it.html >
3
“Temo tre giornali più di centomila baionette.” (Traduzione mia).
Si veda < http://www.famousquotesandauthors.com/search.html >
4
possono essere oggetto di critica: inoltre, la popolazione ignara è più facile da
gestire. Il perpetuarsi di questo strapotere realizza una conformità ideologica
nazionale, che non permette più di avere libere idee e libere espressioni. La
censura è diffusa nella stampa e nei mezzi di comunicazione di massa, ma anche il
singolo individuo può essere controllato o censurato.
Infine, un altro grande censore è la persona stessa che non riesce a
superare la paura di ciò che pensano gli altri, la paura di perdere il posto di lavoro o
il prestigio sociale. La censura volontaria dipende dalla sensibilità dello scrivente e
dalla percezione che si ha del tema in questione sia da parte dell’autore che del
fruitore. L’auto-censura, o censura involontaria, oggi è un fenomeno in crescita
soprattutto per via del fondamentalismo islamico: il soggetto qui censura se stesso
e le proprie opinioni per paura di attività esterne che cercano di influenzarlo tramite
minacce e ritorsioni.
I radicali musulmani usano la violenza contro la divulgazione di contenuti a
loro sensibili: la persona può sentirsi costretta a rinunciare alla libertà di stampa, al
fine di preservare la libertà di muoversi senza rischi nella società, essere libero da
violenza e da minacce, e in ultima analisi, per preservare la libertà per la propria
vita e la sicurezza dell’ambiente a lui circostante.
La cultura musulmana è sempre più presente nelle nostre vite e nel modo
di pensare. Con il tempo termini arabi si sono insediati nel nostro vocabolario, e i
kebab nel nostro menù alimentare. Purtroppo però, anche gli innumerevoli attentati,
e la paura che questi si ripetano, sono molto presenti nelle nostre menti, incutendo
in noi terrore.
1.2 Libertà di stampa in Gran Bretagna
‘Libertà’ proviene dal latino liber e designa in senso generale il requisito
dell’uomo libero, in contrapposizione a chi non può dirsi tale. Le sue origini sono
molto antiche, e la sua realizzazione molto lenta. Si è sviluppata secondo profili
diversi: filosofico, giuridico, storico, politico e sociale.
La libertà di espressione è uno strumento necessario all’uomo per
realizzare la sua condizione di uomo libero. Con libertà di stampa ci riferiamo al
diritto che ogni individuo ha di comunicare per iscritto i propri sentimenti e le proprie
opinioni; la possibilità di dare notizie, di divulgare dei fatti, di esprimere pensieri ed
impressioni. Descrivere il proprio punto di vista, senza restrizioni, se non le
accortezze necessarie al rispetto per il prossimo. Le libertà personali e il rispetto
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del prossimo sono separate da una linea molto sottile, e il mio intento in questo
lavoro è quello di provare a tracciarne il profilo.
La ricerca del diritto alla libertà di stampa sul suolo inglese mi porta a
scoprire Areopagitica4 di John Milton, una lettera indirizzata al Parlamento di
Inghilterra datata 1644, con la quale Milton chiede l’abolizione del ‘sistema delle
licenze’, sistema che impone la superiorità del re alle critiche pubbliche, proibendo
affermazioni critiche al governo. Ogni pubblicazione deve essere provvista del
sigillo reale che ne autorizza la circolazione: in tal modo nulla può essere
pubblicato senza il consenso della Corte inglese. Schierandosi contro gli usi del
tempo, l’Areopagitica auspica che i libri non siano censurati prima della loro
pubblicazione. Dopo di essa libri diffamanti e blasfemi possono essere soppressi in
accordo con la legge, e i loro autori puniti.5 Milton scrive anche della necessità di
un istituto per la libertà, chiedendo la totale soppressione della censura
(governativa nonché cattolica). In un inno all’esaltazione dello scambio di idee,
Milton apre la sua lettera con questo oggetto: “This is true Liberty when free born
men, having to advise the public may speak free, which he who can, and will,
deserv's high praise, who neither can nor will, may hold his peace; what can be
juster in a State than this?” E ancora: "debtors and delinquents may walk abroad
without a keeper, but unoffensive books must not stir forth without a visible jaylor in
their title."6 Questa frase non ebbe molta risonanza in quel periodo, ma poi diventa
la più eloquente difesa alla libertà di stampa. Milton è sicuro della capacità
dell’uomo di usare la ragione nel saper distinguere il giusto dallo sbagliato, il buono
dal cattivo. Con la ragione l’individuo ha illimitato accesso alle idee, capaci di
rendere l’uomo in ‘una libertà e un libero incontro’.
Dagli scritti di Milton si sviluppa il concetto di spazio aperto alle idee,
ovvero l’intuizione che quando le persone si scontrano, le une con le altre, i giusti
argomenti prevarranno. Grazie a questi contributi si comprende che solo con lo
scambio della conoscenza si può ottenere una società liberale e democratica.
4
Con questo titolo Milton allude a Areopagiticus (350 a.C.) di Isocrate in Atene. Questa
opera proponeva complete riforme politiche menzionando specificatamente la degradazione
dei giudici della Corte dell’Areopagus, la più alta corte nell’antica Grecia. Milton usa i classici
come simbolo a paragone dell’indebolimento dei parlamentari Inglesi.
5
< http://www.dartmouth.edu/~milton/reading_room/contents/index.shtml >
6
Ibidem. “La vera libertà è quando gli uomini nascono liberi, con la possibilità pubblica di
parlare liberamente, con la quale chi può, e potrà, avrà grande elogio, chi non potrà, non
troverà mai pace; cosa può essere più giusto di questo in uno Stato?” e “debitori e
delinquenti possono camminare liberi senza confini, ma un inoffensivo libro non deve girare
senza un visibile sigillo sul suo titolo” (Traduzione mia).