5
Infatti, nell’interpretazione del presente lavoro, Leopardi e Nietzsche sono due
“scandagliatori della vita”, due “psicologi dell’esistenza”, cioè pongono alla base di ogni
loro conoscenza o idea il penetrare a fondo nell’esistenza umana, nella quale trovano quale
sostrato, quale essenza più vera, il profondo dolore, il Σ ∆ Τ Η Λ α Θ quale unico vero elemento
consustanziale all’essere uomo. Il riconoscere questa verità è l’incipit di ogni successivo
proseguire in ogni direzione umana, il fardello o il bottino di ogni viandante della vita; ma,
nello stesso tempo, potrebbe portare alla fine di ogni agire umano : così come Edipo si cava
gli occhi dopo aver scoperto la sua orrenda verità, allo stesso modo il comprendere che
l’esistenza umana non ha alcun significato, che “tutto è nulla” e che il dolore è parte
essenziale ed ineliminabile della struttura della vita, può portare al cosiddetto “nichilismo
passivo”, alla nolontà più assoluta, al disperare di tutto ed alla kierkegaardiana “malattia
mortale” della disperazione .
Leopardi e Nietzsche, una volta compresa la triste ma autentica nuda essenza dell’esistenza,
proseguono verso il cammino di un’accettazione della vita nella sua intera totalità, arrivando
ad intendere la vita come casualità - perché per caso si nasce, per caso si nasce proprio qui e
per puro caso viviamo - che va non solo accettata, ma amata in ogni sua sfaccettatura.
L’eterno divenire o “il brutto poter/ che ascoso a comun danno impera” sono solo diversi
nomi da dare al dolore, quello stesso dolore consustanziale alla vita che, nella nostra
interpretazione, è la base di partenza della concezione teoretico-filosofica di Leopardi e
Nietzsche. Tuttavia, i due profondi pensatori ameranno a tal punto questa esistenza da
trovarle mille modi per renderla e vederla più bella e piacevole : il ridere, la danza, la
poesia, ecc., cioè le maschere e le illusioni, altri nomi ed altre sfaccettature per dare al corso
della vita seguente al riconoscimento della nuda verità un’accezione positivo-creazionistica.
Leopardi, il poeta che rasenta pericolosamente il ciglio del “niente” e del dolore, accostato a
Nietzsche, il profeta della risata, della danza tragica, del “SI” alla vita e dell’aforisma
pungente ? Si, nel presente lavoro, i due pensatori saranno accostati ed accomunati in tutta
loro opera creativa-ontologica, interpretati come egualmente riformatori, creatori, ribelli,
anticonformisti e propositivi; viceversa, la vecchia ed errata interpretazione che leggeva i
due pensatori in chiave nichilistica e rinunciataria, sarà allontanata e considerata come la
visuale fuorviante da superare e cancellare
2
. Leopardi e Nietzsche, nelle pagine future,
cammineranno fianco a fianco in direzione della negazione di tutto ciò che è negazione della
2
cfr. C. BERARDI, “Ottimismo leopardiano”, Venezia, Scarabellin, 1930; pag. 34 : “E’ lecito […] riaccostare Leopardi
a Buddha ? Meglio allearlo con Nietzsche, considerarlo un precursore dei seguaci della morale volontaristica”;
6
vita : tuttavia, sottolineeremo l’importanza dell’influenza dell’opera leopardiana sul
pensiero del giovane Nietzsche, accentuando la capacità leopardiana di ispirare il genio
creativo nietzscheano e l’intero pensiero tragico
3
. In questo modo, è nostra intenzione
riuscire a segnalare la capacità artistica geniale dei nostri due autori, soprattutto di porsi
come antitesi necessarie al dilagante conformismo a loro coevo
4
.
Leopardi accanto a Nietzsche, dunque : la poesia accanto all’aforisma, l’ironia vicino al riso
più tragico, la felicità a fianco della gioia : i due “geni creativi”, quindi, viaggiano in un
sentiero ideale parallelo, costellato di profondo dolore ineliminabile e di necessario divenire
casuale, ma che approderà all’isola della felicità predominante sulla rassegnazione più
disperata. Proprio questo dolore consustanziale all’essere uomo sarà l’arma usata dai due
pensatori per combattere la disperazione e la vittoria del nihil
5
. Dolore e gioia, vita e caso,
ordine e creazione s’intrecciano nell’abile mosaico leopardiano e nietzscheano, creando un
morbido tessuto di profonda supremazia sulla rassegnazione nichilistica, aprendo la strada
alla demistificazione ed alla gioia, all’orgoglio ed alla creazione, alla lotta ed alla vita
6
.
Leggere Leopardi e Nietzsche, dicevamo, è come irrompere in un universo bellissimo e
pericoloso, infinito e sorprendente, pieno di possibilità enigmatiche. Chiunque abbia avuto a
che fare con l’arte creativa dei due autori si è imbattuto in qualcosa di splendidamente
pericoloso e contagioso, ineffabile ed ipnotico, perché con Leopardi e Nietzsche ci troviamo
di fronte ad autori anticonformisti
7
ed anacronistici, originali ed asistematici
8
. Vedremo nei
capitoli successivi questo loro anacronismo al secolo XIX (confrontare il paragrafo II.1.) e
come la loro capacità geniale abbia indotto la loro arte a “smascheratrice” degli inganni
3
cfr. G. GABETTI, “Nietzsche e Leopardi”, in “Il convegno”, Anno IV, num. 10, Ottobre 1923, pagg. 441-461; Anno
IV, numeri 11-12, Novembre-Dicembre 1923, pagg. 513-531; Anno V, numeri 1-2, Gennaio-Febbraio 1924, pagg. 5-
30; a pag. 441 : “Leopardi è stato per Nietzsche uno di questi educatori : un momento in qualche modo necessario nella
formazione della sua personalità spirituale”;
4
cfr. V. CARDARELLI, “Le opere e i giorni”, in “Opere”, Milano, Arnoldo Mondadori, 1981, pagg. 311-317; pagg.
311-312 : “Leopardi […] tanto moderno che da allora in poi tutta la morale e la filologia di Nietzsche non sono, a parer
nostro, che poche briciole cadute dalla mensa di Leopardi”;
5
cfr. S. NATOLI e A. PRETE, “Dialogo su Leopardi. Natura, poesia, filosofia”, Milano, Bruno Mondadori, 1998, pag.
87 : “Il dolore tormenta gli uomini, ma li motiva. Il dolore è uno stimolante alla vita. A dirlo – e molto tempo prima di
Nietzsche – è Leopardi”;
6
cfr. C. FERRUCCI, “Un’estetica radicale : Leopardi”, Roma, Lithos, 1999, pag. 37 : “Il fatto è che appunto in
Leopardi parla un "maledetto", diabolico demistificatore di molte apparenti certezze, degno per questo rispetto di stare
alla pari con i maestri del sospetto Nietzsche e Freud”;
7
cfr. E. FINK, “La filosofia di Nietzsche”, Venezia, Marsilio, 1973; trad. it. di P. R. Traverso; pagg. 14-15 : “Nietzsche
è un pericolo per chiunque abbia dei rapporti con lui. […] Nietzsche è il filosofo che mette in dubbio tutta la storia della
filosofia occidentale”;
8
cfr. C. FERRUCCI, “L’estetica integrale di G. Leopardi”, in AA. VV., “Ripensando Leopardi”, Roma, Studium, 2001;
pagg. 139-153, pag. 139 : “Che Leopardi non sia un filosofo nel senso più tradizionale e ancora […] abituale della
parola, non sia cioè un pensatore sistematico, autore di un corpus organico di scritti speculativi, è cosa che sarebbe
difficile mettere in dubbio”;
7
umani
9
(II.2). Questo loro geniale riuscire a porsi al di fuori della consuetudine normativa
della loro epoca culturale, ha dato adito facilmente a fraintendimenti ed errate
interpretazioni, spesso opere di forzature o fuorvianti letture parziali. La più classica – che
sarà oggetto di smentita nel paragrafo IV.1. – è l’errata lettura pregiudiziale dell’opera
leopardiana come frutto della sua infelicità morale, derivante dal suo stato fisico. Errata,
pregiudiziale, fuorviante e parziale, questa lettura nichilista dell’opera leopardiana è stata
ampiamente smentita dalla critica del XX secolo
10
, ma verrà, comunque, ribadita nelle
pagine successive. Ugualmente, ribadiremo le molteplici parziali interpretazioni dell’opera
nietzscheana come tendente ed anelante ad ideali politici estremistici.
D’altro canto, il destino di chi nasce e diventa un “genio creativo”, un freier Geist, non può
essere altro che quello di trovarsi estemporaneo rispetto alla cultura dominante del tempo a
lui coevo, di essere incompreso o, peggio, ancora, frainteso. Soprattutto chi, come Nietzsche
e Leopardi, “è il tipo di quel che si direbbe "cor inquietum", spirito irrequieto”
11
, il sentirsi
demistificatore sconsolato, creativo incompreso, energia propositiva inattuale, rappresenta
la tragica ingiusta normalità.
Il dolore, dunque, è al centro della trattazione parallela e vicina tra Leopardi e Nietzsche :
quel consustanziale ed ineliminabile stato di perenne infelicità ed insoddisfazione che
accompagna l’essere uomo. Ma questo Σ ∆ Τ Η Λ α Θ che accompagna il divenire dell’uomo
diviene, nella nostra interpretazione, il dato che, una volta accettato pienamente, crea la
spinta all’azione etica, alla creazione propositiva, ad una visuale di momentanea felicità. Il
dolore stesso, la forza annientante dello spirito umano, si “trasmuta”, nell’opera di Leopardi
e Nietzsche, come il dato necessario dell’essenza umana, il pilastro che, una volta accolto
pienamente dentro di sé, distingue l’uomo più forte, coraggioso e, per questo, felice, da
quello vacuo, disperato, indolente. Il dolore, quindi : non negato o temuto, né allontanato,
bensì accettato come essenza più vera e piena dell’uomo. Acquisito questo “salto mortale”,
l’uomo cancella il Nichts che il dolore comporta, cambiandolo con un pieno “Si” alla vita, al
divenire ed a tutte le sue sfaccettature più casuali, recondite ed inspiegabili. Quello stesso
dolore che, centro della trattazione delle opere leopardiane e nietzscheane, è stato
9
cfr. E. SEVERINO, “Cosa arcana e stupenda. L’Occidente e Leopardi”, Milano, Rizzoli, 1997; pag. 64 : “Nel pensiero
di Leopardi la distruzione degli immutabili, degli eterni e degli assoluti dell’Occidente si presenta per la prima volta, e
con una radicalità che raramente verrà mantenuta nello sviluppo della filosofia contemporanea.”;
10
cfr., come unico esempio, C. BERARDI, “Ottimismo leopardiano”, op. cit., pag. 200 : “Urge sostituire al vecchio,
falso, ahimè troppo diffuso giudizio, per non dir pregiudizio : – il Leopardi è il poeta angosciosamente pessimista ! –
quest’altro : il Leopardi è il poeta si, del dolore […], ma del dolore che trova oblio e conforto vivissimi nel sentire
fortemente il buono e il bello”,
11
Ibdem, pag. 19;
8
considerato la componente nichilistica del loro pensare – quello stesso dolore, compreso
come essenza universale dell’essere uomo
12
, diviene il dato che cambia l’uomo “malato”
della vita, in quello straripante di gioia e di felicità, di energia e di creatività. Non solo
Nietzsche sa incarnarsi in un nuovo Dioniso, accogliendo tutti i dolori del mondo e
cambiandolo in gioia tragica, anche Leopardi sa fare lo stesso, trasformando la sofferenza
in illusione vaga, in profondo riso o in vibranti versi
13
.
Dunque, “entrambi, Nietzsche e Leopardi, hanno a loro modo superato il pessimismo
14
”,
con le illusioni, le maschere, l’arte, con mille forme, Bilde, con mille parole per arrivare al
“Ja sagen zum Leben”, al dire “Si” incondizionato alla vita, alla straziante gioia infinita di
abbracciare la vita anche nel dolore estremo.
Quindi la sofferenza, il dolore del Dioniso fatto a pezzi, “il fondo oscuro e doloroso della
vita, in una specie di classicismo dionisiaco
15
”, è l’essere dell’esistenza, il punto più vero e
profondo dell’essere uomo; è quel soffrire che è espresso con insuperabile maestria dal
monologo del protagonista di “Memorie dal sottosuolo” di Dostoevskij :
“La sofferenza è dubbio, negazione[…]; alla vera sofferenza, cioè alla distruzione e al caos,
l’uomo non rinuncia mai. La sofferenza è l’unica fonte di consapevolezza […] che […] è la
più grande disgrazia per l’uomo […] ma che l’uomo ama e non la scambierebbe con nessun
genere di soddisfazione
16
”.
12
cfr. ANTONIO NEGRI, “Lenta ginestra. Saggio sull’ontologia di Leopardi”, Milano, SugarCo, 1987; pag. 301 :
“Considerano la malinconia del Leopardi una malattia […]. E invece no : quel dolore ci coinvolge tutti, quel dolore è
quasi una profezia e quell’ironia, quel sarcasmo, rivelano un’afflizione profonda […]. Il Leopardi ci è vicino, in questo
suo presago soffrire.”,
13
cfr. C. FERRUCCI, “Un’estetica radicale : Leopardi”, op. cit., pag. 80 : “[Leopardi] è anch’egli un Dioniso redivivo,
dice anch’egli "si alla vita" pur abbracciandone tutto il male, il dolore, la tragicità”,
14
W. OTTO, in F. W. NIETZSCHE, “Intorno a Leopardi”, Genova, Il Melangolo, 1992, a cura di C. GALIMBERTI,
pag. 156;
15
G. SCALIA, “Pensatori risoluti” in F. W. NIETZSCHE, “Intorno a Leopardi”, op. cit., pag. 192;
16
F. DOSTOEVSKIJ, “Memorie dal sottosuolo”, Milano, BUR, 1995, trad. it. di M. Martinelli; pag. 52;
9
I: Il “rapporto” artistico Nietzsche-Leopardi
I.1. Leopardi ed il giovane Nietzsche
L’interesse culturale per il rapporto critico-filosofico tra Giacomo Leopardi e Friedrich
Nietzsche ha raggiunto oggi picchi di notevole livello e variegate interpretazioni, dando vita
ad un àmbito filosofico molto discusso e studiato. Di notevole interesse storico-filosofico,
infatti, risulta essere l’analisi dei passi di Nietzsche nei quali si parla, esplicitamente o
meno, di Giacomo Leopardi, il poeta Italiano con il quale il filosofo tedesco ha avuto un
rapporto culturale molto controverso e serrato. Controverso è stato, il rapporto, perché nel
Nietzsche degli anni di Basilea si trova una marcata ammirazione e ripresa della figura
culturale del poeta recanatese, con citazioni di alcuni passi dei Canti o di temi cari al poeta,
mentre da “Umano, troppo umano” in poi, coincidendo con il cambiamento di vedute
nietzscheano ,si prende atto del radicale mutamento di vedute della figura leopardiana.
Serrato, inoltre, è stato il rapporto perché, nonostante i cambiamenti d’interpretazione, il
riferimento al pensiero ed alla figura di Leopardi permane, dagli scritti giovanili, fino alle
ultime opere del filologo tedesco.
La fatidica data con la quale si comincia a segnalare il rapporto Nietzsche-Leopardi è il
giugno 1922, mese nel quale la rivista italiana “La ronda”
17
pubblica alcuni frammenti
leopardiani del filosofo tedesco, tradotti da Marcello Cora (l’ungherese Mòr Korach). I passi
tradotti e pubblicati per la prima volta sono quelli nei quali Nietzsche fa riferimento al poeta
di Recanati, dando il via, così, all’analisi del rapporto tra i due pensatori attraverso lo studio
dei frammenti aforistici del filosofo-filologo tedesco. Passaggio fondamentale dello studio
del rapporto tra i due pensatori è il 1923, anno nel quale Gabetti pubblica nell’uscita numero
10 de “Il convegno”
18
un ricco ed organico studio sulla diffusione di Leopardi in Germania
prima di Nietzsche, sull’avvicinarsi di quest’ultimo a Leopardi, e sulle loro affinità di
pensiero, di stile e di vita.
17
“Nietzsche e Leopardi. Da carte edite ed inedite di Nietzsche”, ora in “La ronda, 1919-23”, Torino, E.R.I., 1969;
pagg. 527-529;
18
G. GABETTI, “Nietzsche e Leopardi”, in “Il Convegno”, op. cit.;;
10
Con questo fondamentale scritto di Gabetti, la strada all’analisi critica del rapporto
Leopardi-Nietzsche è aperta : ne sono sintomatiche testimonianze alcuni saggi di importanti
studiosi, negli anni successivi 1923, come il famoso saggio “Nietzsche e Leopardi”
19
di
Walter Otto.
Intenzione di questo capitolo sarà quello di analizzare la posizione di forte stima del giovane
Nietzsche per la poetica leopardiana, evidenziandone i passi in cui il riferimento è esplicito
ed anche quelli dove il riferimento è sotteso. Viceversa, nel capitolo successivo sarà nostra
intenzione rilevare il cambiamento della posizione critica di Nietzsche su Leopardi,
rimarcando come sia facile notare ,dal 1876 in poi, data di uscita di “Umano troppo umano”,
che i riferimenti alla persona ed all’opera leopardiana si tingono di crudi attributi negativi,
in un radicale mutamento di prospettiva.
Premessa necessaria da fare, anche a parziale scusante di Nietzsche, è quella di sottolineare
quali opere di Leopardi il filosofo tedesco avesse letto. Sappiamo con sicurezza che
Nietzsche aveva letto con molta attenzione i Canti
20
,verso i quali nutriva grande affetto e
dei quali aveva pensato di farne una traduzione in tedesco. Egli affermò, inoltre, di
conoscere le Operette morali grazie a un amico, - Gersdorff, già ammiratore leopardiano,
così come Rhode e Hans von Bülow - che gliene aveva letti e tradotti alcuni passi. Nel 1878
ricevette in dono da Maria Baumgarten le opere di Leopardi tradotte da Paul Heyse.
Sappiamo, però, con altrettanta sicurezza che Nietzsche non poteva aver letto il Discorso di
un Italiano intorno alla poesia romantica, pubblicato solo nel 1906, né l’importantissimo
Zibaldone di pensieri, pubblicato, com’è noto, tra il 1898 e il 1900 con il titolo di Pensieri
di varia filosofia e di bella letteratura (Firenze, Le Monnier) , grazie all’impegno di
Carducci. Quest’ultimo dato è fondamentale per rilevare la limitatezza della conoscenza che
Nietzsche poteva avere dell’opera-pensiero leopardiana, perché nello smisurato contenitore
di temi eterogenei che è lo Zibaldone di pensieri è facile individuare i passi decisivi per
un’analisi propositiva del pensiero del poeta recanatese, così da distogliere il lettore o il
critico da una semplicistica interpretazione nichilista di Leopardi.
La visione positiva dell’opera e della figura leopardiana risulta fin troppo palese in diverse
delle prime opere di Nietzsche. Ralph-Rainer Wuthenow, per esempio, rileva una fortissima
affinità tra il dialogo sullo stato del mondo dopo l’autoestinzione del genere umano che
19
W. F. OTTO, “Leopardi und Nietzsche”, ora in “Intorno a Leopardi”, trad. it. di Gio. Batta Bucciol, op. cit.;
20
Nietzsche aveva letto i Canti nella traduzione tedesca, a cura di R. Hameling, Gedichte von Giacomo Leopardi
verdeutscht, Hildburghausen, 1866;
11
Leopardi fa svolgere nel Dialogo di un Folletto e di uno Gnomo e alcuni passi del saggio
giovanile di Nietzsche Verità e menzogna in senso extramorale
21
.
Tuttavia, il punto cruciale dell’interpretazione nietzscheana dell’opera leopardiana è il velo
di Maya attraverso il quale il tedesco filtra la sua conoscenza del pensiero di Leopardi :
Schopenhauer. Leopardi e Schopenhauer risultano in tutta l’opera nietzscheana sinonimi,
uguali e paritetici rappresentanti di una comune sorte pessimistico-nichilista, tragicamente
greca, dapprima, quindi modernamente nefasta. L’interpretazione bivalente che Nietzsche
dà, durante la sua vita, del pensiero di Schopenhauer, è perfettamente parallela a quella che
propone dell’altro simbolo del pessimismo, Giacomo Leopardi, il cui accostamento risulta
autorizzato dall’ammirazione del filosofo tedesco per il poeta italiano. Con il rifiuto del
pessimismo “romantico”, egli li accomunerà anche nella condanna.
“Schopenhauer fra i Tedeschi. Che significato ha la sua apparizione
proprio qui ? Che cosa può significare la gioventù in un paese dove la
filosofia va in rovina ? Che senso ha la filosofia fra i tedeschi ?
Avrebbe potuto benissimo essere nato in Italia, vedi Leopardi”
22
Eccoli qui, Schopenhauer e Leopardi, felicemente accostati nella loro comune opposizione
alla volgarità tedesca, in un passo del “giovane” Nietzsche, un Nietzsche che ancora
conferiva attributi positivi alla figura leopardiana.
Ugualmente accostati, dicevamo, saranno il poeta italiano ed il filosofo de “Il mondo come
volontà e rappresentazione” anche nel Nietzsche più maturo, in una visuale radicalmente
opposta. E quanto fosse radicale il cambiamento di prospettiva lo si può palesare in un
frammento di qualche anno dopo :
“…Mi viene da ridere, quando ascolto gli elenchi di sofferenze e
miserie, con cui il pessimismo cerca di dimostrare la sua legittimità –
Amleto e Schopenhauer e Voltaire e Leopardi e Byron.”
23
Sarà compito del prossimo capitolo analizzare il rapporto Nietzsche-Leopardi dal punto di
vista dell’aspra critica al poeta.
In questo passo appena citato risulta importante, inoltre, a nostro avviso, l’accostamento non
casuale di Leopardi con Byron. Nietzsche, infatti, è influenzato negli anni giovanili del liceo
21
R.R. WUTHENOW, “Illusione e dignità”, in “Leopardi, arte e verità”, a cura di C. FERRUCCI, Roma, Bonacci ,
1990; pag. 129;
22
F. W. NIETZSCHE “Frammenti postumi 1869-1874”, Primavera-estate 1874; (III 3, parte II, 35 [8]) ;
23
F. W: NIETZSCHE, “Frammenti postumi 1881-1882”, “Frammenti scritti su una copia dei Saggi di Emerson” (V 2,
467-468) ;corsivi miei ;
12
di Pforta e nelle riunioni del circolo culturale “Germania” da Lord Byron e dal suo Manfredi
, da cui si distaccherà, allo stesso modo, nel proseguo della sua vita. Questo accostamento
Leopardi-Byron è sicuramente lusinghiero per il poeta italiano, in quanto a Nietzsche
“Byron appare privo di ogni fede in Dio, ha disprezzo del mondo ed una divina
consapevolezza di sé”
24
E’ necessario, ancora, sottolineare come la visuale della figura
leopardiana di Nietzsche, filtrata nella filosofia di Schopenhauer, sia stata fuorviante per una
corretta interpretazione della poetica filosofica del recanatese, danneggiando fatalmente un
giudizio più veritiero e coerente della sua opera.
Schopenhauer aveva letto Leopardi e lo apprezzava ,rilevando notevoli affinità tra di loro -
elogiando Leopardi come suo successore nel capitolo 46 del “Mondo come volontà e
rappresentazione”- ; il critico Francesco De Sanctis, nel suo saggio “Schopenhauer e
Leopardi”, aveva avvicinato per primo le due figure, umane e filosofiche, contribuendo a
quell’accostamento tra i due che riceverà vasta eco in tutta Europa. Proprio in questa ottica
il giovane Nietzsche legge Leopardi, come naturale proseguimento dell’entusiasmo con cui
legge “Il mondo come volontà e rappresentazione”.
Alla luce di tutto ciò, si può affermare che Nietzsche non poteva interpretare altrimenti
l’opera di Leopardi - ricordiamo nuovamente che Nietzsche non poteva aver letto lo
Zibaldone -, se non in una stretta affinità con il filosofo a cui dedicherà la III Inattuale,
“Schopenhauer come educatore”.
La profonda differenza tra la nolontà schopenhaueriana e l’accettazione in toto
dell’esistenza leopardiana : è questa la distanza abissale e sostanziale in base alla quale
Leopardi non può essere avvicinato a Schopenhauer. E’ quanto affermano molti eminenti
interpreti del pensiero leopardiano, come W. F. Otto nel famoso saggio citato
25
o Emanuele
Severino, in alcune pagine del suo “Il nulla e la poesia”
26
.
24
C. GENTILI, “Nietzsche”, Bologna, Il Mulino, 2001; pag. 45;
25
W. F. OTTO, “Leopardi e Nietzsche”, op. cit.; pag. 161; corsivi miei; “…In Schopenhauer si cela, dietro la dialettica
più acuta, un profondo rancore, anzi un segreto spirito vendicativo contro tutto ciò che esiste, che trova unicamente
appagamento nella sentenza secondo la quale il fondamento d’ogni essere è […] volontà universale, eternamente
infelice e generatrice d’infelicità, che l’uomo superiore può combattere solo con la negazione e la rinuncia.
[…]Com’è diverso Leopardi ! Tutto il suo essere è riconducibile al mondo classico e quindi anche il suo pessimismo,
per la semplicità e la chiarezza di visioni e parole; non si avverte mai in lui un’accusa contro qualcosa di feroce e
mostruoso, né abissi crudeltà, desiderio di distruzione o di autodilaniamento.”
26
E. SEVERINO, “Il nulla e la poesia”, Milano, Rizzoli, 1990; pag. 345; corsivi dell’autore; “… Leopardi non può
essere avvicinato a Schopenhauer. La filosofia di Schopenhauer è ancora una teologia negativa. La negazione della
volontà di vivere, in lui, conduce dinanzi al “Nulla”; ma questo “Nulla” […] non è il nihil negativum , il nulla assoluto,
ma è il Nulla “relativo”, cioè relativamente al punto di vista della volontà di vivere. […] Per Schopenhauer la colpa di
Adamo è di aver voluto vivere. […] Leopardi, invece, volta per primo le spalle ad ogni prospettiva mistico-teologico-
metafisica. Tutto è nulla; tutto ciò che esiste è nihil negativum perché è un effimero emergere dalla assoluta negatività
del nulla. […] La colpa di Adamo è di aver voluto conoscere”.
13
Prima del poeta, dello scrittore e dell’uomo, Nietzsche ha ammirato il Leopardi filologo.
Non a caso, Nietzsche ha apprezzato anche il Leopardi filologo, sia perché era Nietzsche
stesso filologo classico, sia perché la fama di Leopardi grande filologo era sopraggiunta in
Germania prima di quella di grande poeta, e con una vasta eco.
Esempi di questa grande ammirazione per il Leopardi filologo sono diverse lettere tra il
1869 ed il 1879 con Heinrich Koselitz (l’amico artista che prenderà il nome d’arte di Peter
Gast ), con Hans von Bulow (il primo marito di Cosima Wagner), e con Erwin Rhode.
Nietzsche, vedremo, legge Leopardi come l’ultimo filologo-poeta; ma com’era arrivata
all’orecchio del professore prussiano la voce della bravura di questo poeta-filologo italiano?
Molti personaggi della cultura europea si erano già prodigati nella diffusione dell’opera del
leopardi filologo : i prussiani Bunsen e Niebuhr, per esempio, o gli svizzeri De Sinner e
August von Platen. Con De Sinner Leopardi intraprese un rapporto epistolare molto
interessante - in una lettera del 1832, Leopardi racconta il suo malumore per chi interpreta il
suo pessimismo come correlato ai suoi malesseri fisici - ; con Niebuhr, invece, ci fu un
rapporto di stima reciproca, quando Giacomo venne a Roma, nel 1823, e l’allora
ambasciatore di Prussia presso la Santa Sede provò a fargli assegnare una cattedra
universitaria.
Grande diffusione in Germania ebbero le Opere di Leopardi, curate, nel 1845, da Antonio
Ranieri, quasi quanto successo riscossero gli Scritti filologici, curati da Pietro Giordani e
Pietro Pellegrini.
Prima traccia che a noi è rimasta della sconfinata ammirazione verso l’opera del Leopardi
filologo è un frammento del 1875 :
“Voglio ora indagare la formazione del filologo, ed affermo :
[…] su 100 filologi, io ritengo che 99 non dovrebbero essere tali.
[…]Leopardi è l’ideale moderno di filologo; i filologi tedeschi non
sanno fare nulla”
27
E, tanto per ribadire la differenza tra i filologi tedeschi e Leopardi, Nietzsche afferma :
“Esisterebbe ancora la filologia come scienza, se i suoi servitori non
fossero educatori stipendiati ? In Italia ve ne erano. Chi può mettere,
per esempio, un Tedesco accanto a Leopardi ?”
28
27
F. W. NIETZSCHE, “Frammenti postumi. 1875-1876”; ( IV 1; 3 [20] e 3 [23]) ; corsivi dell’autore;
28
Ibidem, (IV 1; 5 [56]);
14
Dello stesso periodo è anche la definizione di Leopardi come grande - ed ultimo - esempio
dei filologi-poeti :
“La fine dei filologi-poeti è dovuta in buona parte alla loro
depravazione personale. La loro stirpe ricresce più tardi : Goethe e
Leopardi, ad esempio, sono fenomeni di questo genere
29
.
Goethe e Leopardi ci appaiono come gli ultimi grandi epigoni dei
filologi-poeti italiani…”
30
Leopardi, quindi, appartiene all’eredità, insieme con Goethe ,dei filologi-poeti, per cui la
filologia non è una disciplina specialistica e istituzionale, bensì interiore, un colloquio con i
classici, con lo spirito dei “grandi morti”. Leopardi sperimenta, per questo anacronista
innovatore, per intero il valore della tradizione classica, e dunque della vera filologia, come
nodo attuale di stile, bellezza, sapere, grandezza d’animo ed esortazione virtuosa.
Al progetto di una nuova, “vera”, filologia, Nietzsche aveva pensato di dedicare una quinta
“Inattuale”, “Wir, Philologen”, da cui però desistette .
Prima ancora che come filologo, il “giovane” Nietzsche considerava Leopardi come
archetipo umano a lui dolorosamente vicino, cioè lo ammirava come eroe dolente della
sensibilità romantica.
Ne è testimonianza un’opera di Nietzsche nella quale l’influenza leopardiana traspare in
ogni singola parola. Due anni dopo l’uscita della rivoluzionaria “La nascita della tragedia”,
1872, il professor Nietzsche pubblica la seconda “Inattuale”, Sull’utilità e il danno della
storia per la vita. Lo scritto polemico risulta essere palesemente ispirato da Leopardi, o
forse proprio a lui potrebbe essere dedicato, in quanto diversi dei temi fondamentali
leopardiani sono espressamente qui ripresi.
Ci sembra molto più semplice mettere a confronto il testo della Seconda inattuale con alcuni
versi dei Canti, che elencare semplicemente le diverse convergenze.
Il testo nietzscheano comincia così :
“Osserva il gregge che ti pascola innanzi : esso non sa cosa sia ieri,
cosa oggi, salta intorno, mangia, riposa, digerisce, torna a saltare, e
così dall’alba al tramonto e di giorno in giorno, legato brevemente con
il suo piacere e dolore, attaccato cioè al piuolo dell’istante, e perciò né
triste né tediato. Il veder ciò fa male all’uomo, poiché al confronto
dell’animale egli si vanta della sua umanità e tuttavia guarda con
29
Ibidem, (IV 1; 5 [17]) ;
30
F. W. NIETZSCHE, “Richard Wagner a Bayreuth”, (IV 1; 74) ;
15
invidia alla felicità di quello – giacché questo soltanto egli vuole,
vivere come l’animale né tediato né fra dolori, e lo vuole però invano,
perché non lo vuole come l’animale”
31
Come non possono venire subito in mente alcuni versi del Canto notturno di un pastore
errante dell’Asia ? Il passo sopra citato sembra la palese parafrasi dei versi 105-119 :
“O greggia mia che posi, oh te beata,
che la miseria tua, credo, non sai !
Quanta invidia ti porto !
Non sol perché d’affanno
Quasi libera vai ;
ch’ogni stento, ogni danno,
ogni estremo timor subito scordi ;
ma più che giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all’ombra, sovra l’erbe,
tu se’ queta e contenta ;
e gran parte dell’anno
senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l’erbe, all’ombra,
e un fastidio m’ingombra
la mente, ed uno spron quasi mi punge.”
32
L’invidia dell’uomo, animal capace di annoiarsi, per l’animale, incapace di annoiarsi, viene
presa da Nietzsche come simbolo della capacità di saper obliare il passato; il gregge, che
“non sa cosa sia ieri, cosa sia oggi”, per entrambi è l’esempio della felicità più beata, della
spensieratezza legata alla capacità di dimenticare ciò che è stato
33
.
Il periodo successivo a quello appena citato sembra essere ancora la parafrasi di altri versi
del Canto notturno :
“L’uomo chiese una volta all’animale : perché non mi parli della tua
felicità e soltanto mi guardi ?”
34
La somiglianza con i seguenti versi sembra davvero esser troppa per poter sembrare casuale:
“Quel che tu goda o quanto,
non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
o greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei :
31
F. W. NIETZSCHE, “Sull’utilità e il danno per la storia”, (III 1, 262);
32
G. LEOPARDI, “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”; vv. 105-119;
33
cfr., inoltre, F. W. NIETZSCHE, “Frammenti postumi. 1869-1874”, (III, 3; 29 [98]);
34
F. W. NIETZSCHE, “Sull’utilità e il danno per la storia”, (III 1, 262);
16
dimmi : perché giacendo
a bell’agio, ozioso,
s’appaga ogni animale;
me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale ?”
35
Non può essere casuale la somiglianza estrema tra i due passi. A dimostrarci lo stretto
legame che lega il giovane Nietzsche a Leopardi, ci sono altre affinità tematiche facilmente
riscontrabili nei passi successivi della Seconda inattuale. Quando Nietzsche dice, subito
dopo :
“Ma egli [il pastore] si meravigliò anche di se stesso, per il fatto di
non poter imparare a dimenticare e di essere continuamente legato al
passato : per quanto lontano, per quanto rapidamente egli corra, corre
con lui la catena”
sembra ricordare dei versi della poesia leopardiana forse più legata al ricordo del passato, Le
ricordanze, del 1829 :
“Dolce per sé, ma con dolore sottentra
il pensier del presente, un van desio
del passato, ancor tristo, e il dire : io fui”
36
E di leopardiana assonanza è anche il passo di poco seguente le suddette citazioni, nel quale
viene ripreso come topos della felicità il fanciullo, che, insieme all’animale ed al selvaggio,
diviene la metafora della possibilità della spensieratezza nel Leopardi più giovane :
“…il bambino che non ha ancora nessun passato da rinnegare e che
giuoca in beatissima cecità fra le siepi del passato e del futuro”
Oppure sembra molto vicina ad alcuni stupendi versi de “Alla luna” :
“o mia diletta luna. E pur mi giova
la ricordanza, e il noverar l’etate
del mio dolore. Oh come grato occorre
nel tempo giovanil, quando ancor lungo
la speme e breve ha la memoria il corso”
37
nei quali il rimembrar dell’età “quando ancor lungo/la speme e breve ha la memoria il
corso” ha addirittura una valenza positiva, poiché si ritorna, seppur momentaneamente, alla
perduta fanciullezza – età beata proprio perché non si hanno troppe cose dolorose da
ricordare.
35
G. LEOPARDI, “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”; vv. 124-132;
36
G. LEOPARDI, “Le ricordanze”; vv. 58-60;
37
G. LEOPARDI, “Alla luna”; vv. 10-14;
17
Ancora sul tema della temporalità, esteriore ed interiore, si mantiene lo stretto rapporto -
ancora solo sotteso - con la poetica leopardiana. Poche pagine dopo, sempre nella “Seconda
inattuale”, un passo ci lascia sorpresi per la sua vicinanza con uno leopardiano :
“Chi chiede ai suoi conoscenti se desiderino vivere di nuovo gli ultimi
dieci o venti anni, vedrà facilmente chi di loro sia predisposto a questo
punto di vista sovrastorico : essi risponderanno tutti "no"!, ma
motiveranno diversamente questo "no"!. Gli uni forse confidando :
"ma i prossimi venti anni saranno migliori"”
Confrontando il passo suddetto con un’operetta, ne risulta un’assonanza clamorosa :
“Passeggere : Non tornereste voi a viver cotesti vent’anni, e anche
tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste ?
Venditore : Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.
Passeggere : ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né
meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati ?
Venditore : Questo non vorrei.”
38
Il tema della temporalità, finalità di questa Inattuale, prende, quindi, come riferimento
implicito le opere di Leopardi, con il loro contenuto di memoria, di rimembranza e
dimenticanza, di passato e futuro.
Ma, fin qui covata dal discorso nietzscheano, la suggestione ed il riferimento leopardiano
esplode, infine, in una citazione del forse più nichilistico dei Canti, A se stesso , come
simbolo della nausea e della saggezza degli uomini sovrastorici :
“Non val cosa nessuna
i moti tuoi, né di sospiri è degna
la terra. Amaro e noia
la vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T’acqueta omai.”
39
Leopardi, per il giovane Nietzsche, inoltre, è uno di quei poeti che “hanno anche dei
pensieri”. In un passo del 1875, Nietzsche conferisce a Leopardi una personale definizione
- oltre a quella già di vista di “poeta-filologo” - di “poeta che ha anche dei pensieri”. Il
breve frammento, a nostro avviso merita una lettura attenta :
38
G. LEOPARDI, “Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggere”; in “Tutte le opere”, a cura di W. BINNI
ed E. GHIDETTI, Firenze, Sansoni, 1969, volume 1; pag. 180;
39
G. LEOPARDI, “A se stesso”, vv. 7-11; in F. W. NIETZSCHE, “Sull’utilità e il danno della storia per la vita”, (III 1,
264);
18
“Leggo che il più grande lirico tedesco dev’essere proprio Mörike !
Essere stupidi non è un delitto, dato che in questo caso non si sente, o
non si vuol sentire Goethe come il più grande lirico tedesco ? – Ma
che cosa mai deve saltare in mente, che concetto di lirica ! Sono
andato a riguardare questo Mörike, e […] l’ho trovato debolissimo e
non poetico.
[…] pensieri, d’altro canto, costui non ne ha affatto ;e io sopporto
soltanto più i poeti, che tra l’altro, hanno anche dei pensieri, come
Pindaro e Leopardi.”
40
I “pensieri” dei poeti autentici, come Leopardi e Goethe, quindi, sono contrapposti a ciò che
è definito musicale ma che non lo è -Mörike-, essendo, in realtà, tutt’altra cosa dalla vera
musicalità.
Leopardi è qui indicato come lirico esemplare accanto a Pindaro,
-un autore che anche Leopardi ammirò- poeta che si muove nella sfera del mito, e che è
lontanissimo dal formulare pensieri con un dato ordine sistematico. Sembra lecito supporre,
quindi, che i pensieri di cui Leopardi è fecondo proprietario, come Goethe e Pindaro, siano
“pensieri-visioni”, cioè pensieri che tendano a coincidere in discorsi poetici e ,
simultaneamente, musicali.
Viene immediatamente in mente l’affinità che ne La gaia scienza il filosofo tedesco riporta
tra Leopardi e Chopin, altro esempio di artista che “tra l’altro, ha anche pensieri”. Il
musicista della passione, dello stile, e dell’ordine musicale, il polacco Chopin, è avvicinato
al poeta che ha anche pensieri, allo scrittore capace di danzare sulle catene dello stile e della
poesia - capace di danzare come Zarathustra sopra ogni peso, come Dioniso su ogni dolore
-.
“ Libertà in catene – una libertà principesca. L’ultimo dei musicisti
moderni, che ha guardato e adorato la bellezza, come Leopardi, il polacco
Chopin, l’inimitabile […] : Chopin ebbe la stessa principesca nobiltà della
convenzione che Raffaello mostra nell’uso dei colori più tradizionali e
semplici.”
41
Leopardi -con Chopin, stavolta- prìncipi capaci di librarsi sulle catene della bellezza
stilistica, come l’apollineo Raffaello.
40
F. W. NIETZSCHE, “Frammenti postumi. 1875-1876”; (IV 1; 8 [2])
41
F. W. NIETZSCHE, “Umano, troppo umano”, (IV 3, 198);