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progresso scientifico e tecnologico, sono sicuramente alcune delle
tematiche che più hanno influenzato la narrativa distopica.
Questa tesi ha per oggetto le antiutopie ed i totalitarismi immaginati
dal cinema, un arte che ha saputo influenzare ed “incarnare” forse più
di ogni altra l’immaginario di un secolo. La “settima arte” ha
moltiplicato costantemente nel corso del Novecento l’immagine del
“disastro” e dell’apocalisse sociale, elaborando vari tipi di distopie.
Anche se nel testo ci potranno essere talvolta riferimenti a varie forme
di antiutopia (come quelle legate a catastrofi ambientali) o riferimenti
ad esperienze storiche di tipo “totalitario” realmente verificatesi,
questa tesi si limiterà sostanzialmente ad analizzare unicamente le
distopie di carattere politico e sociale, e le forme di governo ed
oppressione totalitaria, immaginate dal cinema.
Nel secondo capitolo si tenterà di tracciare una breve storia del
pensiero utopico e del passaggio che nel corso della fine
dell’Ottocento, porterà in ambito narrativo all’affermazione della
distopia come genere letterario, analizzandone succintamente le
connessioni con la fantascienza ed il cinema.
Il terzo capitolo avrà per oggetto la filmografia di tematica
antiutopica, che va sostanzialmente dagli anni 20’ fino agli anni 60’.
Anche se, come vedremo, non si potrà parlare di antiutopie, salvo che
per alcuni casi (tra i quali spiccano film come “Metropolis” di Lang o
“La vita futura - Things to come” di William Cameron Menzies)
scopriremo come molte delle produzioni cinematografiche e delle
figure evocate siano ricche di elementi definiti comunemente
“distopici”.
Il quarto capitolo si concentrerà poi, sulle antiutopie degli anni 60’ e
70’, evidenziando tematiche comuni a molti film considerati, come la
tensione verso una forte omologazione sociale ed elementi peculiari,
5
come la comparsa di antiutopie, che hanno per oggetto uno sviluppo
storico di carattere regressivo.
Il quinto capitolo infine avrà per oggetto le produzioni
cinematografiche degli ultimi venticinque anni, in cui vedremo la
nascita di antiutopie basate unicamente sul concetto di “irrealtà” o di
realtà virtuale, di rappresentazioni distopiche basate sul crimine, sull’
l’ibridazione uomo-macchina e di distopie sorte su processi di
erosione dell’autorità statale.
Nall’ambito dell’ultimo capitolo, si proverà infine, a ricostruire
l’evoluzione della tematica, nell’ambito del saggio considerato.
Nella ricerca verranno utilizzati più volte i termini : Antiutopia,
Distopia o Utopia Negativa, come sinonimi di un genere ampiamente
definito nell’ambito della narrativa, spesso confinante ed interrelato
con la produzione fantascientifica; ben sapendo che le distopie pur
non avendo nessun riferimento diretto con esperienze o manifestazioni
storiche concrete, hanno tuttavia sempre aiutato a riflettere sul
presente, grazie ad uno strumento privilegiato della creazione artistica:
quello della metafora.
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2 - LA FUGA DA UTOPIA
2.1 Sulle tracce di Utopia
Sono passati quasi cinquecento anni dalla pubblicazione dell’opera più
celebre del diplomatico inglese Thomas More, “De optimo republicae
statu deque nova insula Utopia”, ed ancora non riusciamo a “liberarci”
di un termine . La parola “utopia” infatti, non solo ha resistito nel
tempo, ma ha anche accresciuto diacronicamente la sua area
grammatico-concettuale, basti solamente pensare alla comparsa
dell’aggettivo “utopico”, dell’avverbio “utopicamente”, del sostantivo
“utopista” ecc.
Utopico, ovvero legato in qualche modo ad Utopia, quindi secondo
l’uso corrente del termine a qualcosa di irrealizzabile: è veramente
questo il suo reale significato?
La natura etimologica del termine ha da sempre presentato in realtà
numerosi problemi per filologi e studiosi, che si sono concentrati sulla
natura del suffisso di Utopia, ovvero sulla lettera U, che derivando dal
greco può assumere o valore di negazione, o funzione di contrazione
(del suffisso “eu”), raggiungendo così significati molto diversi, e
donando un senso assai differente all’opera del pensatore inglese.
”Eutopia” ha infatti il significato di “ottimo luogo”, qualora si voglia
invece considerare il suffisso come negazione, alla parola seguirebbe
il termine “Otopia” che ha il significato di “nessun luogo”.
In realtà, la maggior parte delle interpretazioni convergono
sull’accettazione di entrambi i significati, a conferma di ciò si
evidenzia soprattutto: la scelta di More di scrivere in dottissimo latino
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(a differenza di altre opere di altri utopisti che come scopriremo
preferirono ad esempio l’uso del volgare per permettere la
comprensione degli scritti a fasce più numerose di lettori), la vita dello
scrittore (a lungo uomo politico di rilievo, diplomatico e
successivamente cancelliere della corona inglese, pienamente
consapevole dei limiti di un progetto di palingenesi politico-sociale),
la struttura stessa dell’opera. Ed è proprio dall’opera a mio avviso, che
si deve partire, per comprendere appieno il significato di “Utopia” e
capire meglio un filone letterario che ha influenzato diffusamente la
storia del pensiero occidentale, anche perché il libro di More acquisirà
nel tempo quasi un valore di “canone” per tutto il genere di opere
legate a progetti utopici.
L’opera, è il risultato di una conversazione fra l’autore, un ospite e il
navigatore Raffaele Itlodeo, personaggio di fantasia, presentato come
marinaio e compagno di viaggio di Amerigo Vespucci, ed è divisa in
due libri.
Il primo è una lunga requisitoria contro i “mali” e le ingiustizie che
opprimevano l’Inghilterra del tempo, prima fra tutte la pratica di
condannare il furto con la pena di morte, diffusasi sotto il regno di
Enrico VIII ed il meccanismo della requisizioni delle terre comuni
(enclosures) destinate al pascolo e all’agricoltura che stavano creando
una grande massa di poveri, a vantaggio dell’arricchimento di pochi.
Dopo aver esaminato i possibili rimedi a questa condizione, viene
proposta una soluzione “rivoluzionaria” in grado di risolvere la quasi
totalità dei problemi evidenziati. Questa pratica è già realtà in un’isola
attraversata da Itlodeo : l’isola di Utopia.
Il secondo libro contiene la minuziosa descrizione dell’isola, delle sue
strutture politiche, delle sue leggi, dei suoi abitanti. Lo schema
diventerà tipico di questo tipo di narrazione: “L’utopista mette a nudo
8
gli pseudo-valori su cui l’ordine sociale che ha di mira si fonda e ne
esplora gli aspetti perversi che ricadono sui consociati; egli oppone
quindi, a questi pseudo-valori i valori da lui ritenuti giusti; massimizza
tendenzialmente il contenuto di ciascuno di questi; analizza ed
esibisce gli effetti benefici che dalla loro realizzazione ricadono sui
consociati” [Andreatta 1999:23].
La pratica più rivoluzionaria di Utopia è senza dubbio quella del
comunismo : “in appositi edifici ogni famiglia reca i suoi
prodotti…ogni capo famiglia preleva da essi qualsiasi cosa di cui lui e
i suoi famigliari hanno bisogno”[More cit. Andreatta 1999:26]
L’assetto comunista della società è garantito prevalentemente dalla
generalizzazione del lavoro, obbligatorio per chiunque, ma con durata
massima di sei ore. Ciò costituisce una pratica rivoluzionaria in
quanto, come osservato da Ritter apre la strada alla progettazione di
una società completamente diversa a quelle che si sono susseguite nel
corso della storia. Il comunismo, provvede nella società Moreana
altresì a preservare l’uomo dalla superbia, riportandolo ad uno stato di
primordiale innocenza, quasi di pre-peccato originale in senso
cristiano e al fine del suo mantenimento la società predispone una
rigida disciplina. A ciò provvede il nucleo fondamentale della società,
ovvero la famiglia monogamica disciplinata per far apprendere ai figli
il dovere dell’obbedienza. La famiglia è il vero e proprio “nucleo di
produzione” della società utopiana, così “preziosa” per il tessuto
sociale, che è prevista l’assegnazione della condanna dei lavori
forzati a vita in caso di adulterio e di pena di morte in caso di
reiterazione del reato, ed è predisposto una sorta di organismo sovra-
famigliare composto da trenta famiglie chiamato Sifograntia, che ha
un alto valore pedagogico e morale. Al completamento
dell’educazione del cittadino contribuisce l’istruzione, gratuita per
9
tutti, e il credo religioso, tollerato in tutte le sue varianti,eccetto che
nella “deriva dell’ateismo”. L’ateo è infatti, afflitto in Utopia da
“generale discredito” ed escluso da ogni carica pubblica. I sacerdoti
sono altresì importanti in quanto censori dei costumi, evidenziando
così lo stretto legame corrente nell’isola fra politica e religione, ed in
ultima analisi fra politica e morale. Proprio per questo l’ordinamento
politico non è né troppo esteso, né troppo complesso, in quanto una
sorta di sovra-moralità permea ogni individuo, moralità acquisita
durante la crescita individuale a prezzo di una dura disciplina ed
educazione.
Non è difficile rintracciare da queste poche indicazioni elementi che
verranno definiti e saranno tipici dell’antiutopia nel corso del
Novecento, primo fra tutti, la grande spinta verso l’omologazione
sociale e la repressione dell’individualità, rintracciabile in molte parti
dell’opera .
Occorre però anche cercare di contestualizzare il carattere della
composizione di More, cercando di collocarla nel contesto storico
dell’Inghilterra del Cinquecento, valutando le novità essenziali che
l’autore cerca di apportare con il suo “scarto utopico”, prima fra tutte
quella del comunismo, dal quale sarebbe scaturita l’estinzione della
povertà ed una maggiore giustizia sociale, in grado di garantire
indirettamente una certa stabilità politica e sociale.
L’opera di More non è né la prima, né l’unica utopia presente nella
storia del pensiero occidentale, quasi a dimostrazione del bisogno
umano di prefigurare scenari diversi e società “perfette” o “migliori”
soprattutto se paragonate con un presente opprimente o considerato
altamente ingiusto. Esistono, secondo Colombo, varie fasi del
pensiero utopico, la sua evoluzione coincide con i mutamenti epocali
del pensiero occidentale; dalla fase mitica, legata al mito della civiltà
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dell’oro e alla concezione circolare della temporalità tipica del mondo
greco, si passa ad una fase storica, legata alla linearità della storia
tipica del pensiero giudaico-cristiano e alla visione della salvezza, fino
ad una fase liberazionista, o laica, che ha il suo punto di partenza nella
rivoluzione inglese. Il contesto storico è essenziale anche per la
collocazione e l’elaborazione di programmi utopici, non è un caso
infatti che l’opera di More sia generata proprio durante il periodo delle
grandi esplorazioni geografiche e che molti progetti utopici dello
stesso periodo, primo fra tutti “La città del sole” di Campanella, siano
collocati in fase di concreta attuazione in località geograficamente
remote.
Il primo progetto definito come “modernamente” utopico è senz’altro
“La repubblica” di Platone, che funse da modello per lo stesso More e
rappresentò un modello imprescindibile per molti utopisti degli anni
successivi.
Il punto che caratterizza maggiormente la celebre opera del filosofo
greco, è senz’altro l’abbattimento del confine tra sfera pubblica e sfera
privata (fra casa e polis), avversato duramente da Aristotele e l’avvio
di un più deciso controllo dello stato sui cittadini. L’opera, scritta
dopo la sconfitta di Atene nella guerra del Peloponneso è
parallelamente una riflessione sulla società ideale e sui mali che
affliggono la società Ateniese. Alla base del disegno politico vero e
proprio vi è una separazione netta fra due componenti della polis : i
governanti e i governati. I governanti, definiti guardiani, devono venir
scelti tra un numero ristretto di filosofi, i quali devono vivere secondo
criteri rigidamente comunisti: comunione dei beni, annullamento
dell’istituzione matrimoniale con unioni sessuali vincolate a rigidi
principi eugenetici, educazione generalizzata ed obbligatoria per tutti,
ripartita fra musica e ginnastica. Anche all’interno stesso dei guardiani
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c’è una netta distinzione fra quelli preposti più propriamente ai
compiti di governo (filosofi) e quelli preposti alla difesa della Polis.
Sono questi reggenti ad avere il compito di guidare lo stato; sono i
produttori, la cosiddetta “gente comune” a portare avanti le attività
produttive. I cittadini lasciano quindi completamente nelle mani dei
reggenti l’esercizio delle attività di governo. Tutte le attività della
Repubblica sono volte a garantire ordine sociale, dal momento che è
identificata nel turbinio delle passioni umane la suprema minaccia alla
stabilità, ed è in questo quadro che rientra l’accettazione dell’arte solo
se ancorata a rigorosi modelli etici, e solo se può fungere da modello
pedagogico per la cittadinanza. L’importanza della Repubblica
consiste nel collocare per la prima volta l’utopia, non in un passato
mitico (l’età dell’oro), ma nel futuro, riconnettendosi così alla visione
lineare-escatologica cristiana.
Anche se non è la sola opera politica di Platone, la Repubblica
rappresenta, secondo Berti, senz’altro una parte importante della sua
concezione politica. “Un capolavoro perenne di Platone è
indubbiamente la sua concezione politica, anche se essa contiene gli
aspetti più aberranti del suo pensiero, quali l’abolizione della famiglia,
un rigido classismo, un esasperato dirigismo e soprattutto l’illusione
della scientificità della politica” [Severino 1981:12].
Saranno proprio questi aspetti sopra citati che faranno tacciare il
progetto insito nella Repubblica di totalitarismo : “Nonostante queste
autorevoli affermazioni ritengo che il progetto politico di Platone
lungi da essere normalmente superiore al totalitarismo sia
fondamentalmente identico ad esso” [Lunati cit. Popper 1997: 108].
Per Popper, la società aperta è pienamente consapevole della propria
imperfezione e per questo è stimolata (al contrario di quella utopica)
al confronto con altre forme di organizzazione sociale.
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Da Platone a More intercorrono quasi duemila anni, ma in questo
enorme iato l’utopia non scompare dalla storia del pensiero
occidentale, ma bensì diventa trascendente e tende a identificarsi con
il paradiso terrestre.
E’ nel rinascimento che il genere utopico ritroverà ed acquisirà il suo
massimo slancio, in concomitanza con la ritrovata visione
antropocentrica dell’universo e della storia. L’utopia assumerà in
questo periodo varie forme, fra le quali è doveroso ricordare accanto a
quella di More, l’utopia protestante di Johann Eberlin, frate
francescano e seguace di Lutero, autore degli “Statuti di Wolfaria”,
scritti in forma libellistica in tedesco volgare, quasi ad enfatizzarne
l’intrinseca relizzabilità. L’utopia troverà poi spazio anche in periodo
di aperta controriforma, soprattutto nell’opera di Tommaso
Campanella, ovvero nella “Città del sole”(1602), scritto anch’esso in
volgare, e nell’opera del pesarese Ludovico Agostini di cui è invece
doveroso citare “La Repubblica immaginaria”(1591).
Le accuse di Popper, rimangono però generalizzabili alla maggior
parte di questi progetti utopici. Pur riconoscendo la contingenza
storica in cui molte opere utopiche hanno avuto luce (senza la quale si
rischierebbe di cadere nell’anacronismo), non si può non notare
(come vedremo dettagliatamente in seguito) una sottile linea di
continuità che lega le formulazioni utopiche a quelle definite
propriamente distopiche. Tutta la letteratura utopica sembra infatti
dominata da un ossessione costante verso la simmetria e l’ordine
sociale, quasi ad escludere la possibilità di un cambiamento o di un
evoluzione del processo storico. Il punto di perfezione raggiunto è
così alto, da non contemplare qualsiasi spinta al mutamento, il
raggiungimento dell’utopia costituisce quasi un punto finale
dell’evoluzione della civiltà, da conservare ad ogni costo. Il costo più
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alto per la conservazione del progetto è soprattutto la soppressione
dell’individualità, e delle peculiarità individuali dei cittadini. Vi è un
sostanziale abbattimento della sfera privata a vantaggio della sfera
pubblica, in quasi ogni utopia, sfera pubblica che spesso diventa
“cannibale”, illimitata e non plasmabile dagli individui, come quella
di un moderno regime totalitario. Sembra quasi che i cittadini di
utopia siano elementi intercambiabili di un equazione ideologica
eterna ed immutabile, equazione che sembra sottolineare quasi la
superfluità intrinseca degli esseri umani veri e propri ; lo stesso senso
di superfluità descritto da Hannah Arendt nel descrivere le
caratteristiche dello stato totalitario e della sua istituzione più
tragicamente caratterizzante, il campo di concentramento : “Un'unica
cosa sembra certa : possiamo dire che il male radicale è comparso nel
contesto di un sistema in cui tutti gli uomini sono diventati
egualmente superflui” [Arendt trad it. 2002:629].
In tutte le descrizione di società utopiche inoltre , i soggetti sembrano
individui completamente atomizzati, le cui relazioni sono
costantemente mediate dell’onnipresenza dello stato. Persino le
strutture narrative di Utopia trasmettono un senso si stasi ed
immobilità : “Utopia, il nucleo inesorabilmente statico del romanzo è
una sorta di tableau vivant da contemplare, anche se a livello
didascalico siamo informati della sua continua dinamicità e progresso”
[Guardamagna 1980:27].
Il regno di Utopia si presenta così come il regno dell’apollineo, della
perfezione formale, luogo guidato da una razionalità superiore, ma dal
quale sono prevalentemente esclusi, oltre ai vizi, anche le passioni e le
imperfezioni umane, quasi a privare l’ambiente di qualsivoglia forma
di sgradita imprevedibilità.
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Non bisogna però d’altro canto dimenticare che i progetti utopici,
fungono spesso da soli paradigmi verso il cambiamento, essendo
spesso concepiti come “idealtipi” di società perfette, utilizzati per
alimentare la tensione sociale verso una forma di “giustizia”, e che
spesso molti utopisti, se non la maggior parte, erano scettici sulla
realizzabilità delle società descritte nelle loro opere. E’ interessante
allora sottolineare la tesi di Marcuse, che vede nei progetti utopici
sempre l’ombra di una contraddizione, che parte dalle ambiguità insite
nella stessa etimologia del termine e la risposta (indiretta) di
Andreatta : “ L’utopista sposa invece la contraddizione, quando
indipendentemente dall’ampiezza del divario che egli interpone tra
pseudo-valori e valori giusti, tra ordine sociale condannato e ordine
sociale celebrato, e indipendentemente dal grado di inattualità della
sua proposta, egli coltiva per sé e trasmette ai lettori il convincimento
fermo che il suo disegno, proprio in quanto rovescia ab imis l’ordine
sociale presente, con ciò stesso realizzi l’ordine perfetto. Se il
rivolgimento delle cose è alla portata dell’uomo, nondimeno il
rivolgimento delle cose alle quali l’uomo si affida non conduce mai al
possesso della perfezione. Perciò quando l’utopista promette l’ordine
perfetto, promette l’impossibile; e quando in vista dell’ordine perfetto,
chiama l’uomo all’azione lo induce alla contraddizione: l’azione
attivata in vista di quel fine avrà sempre, necessariamente, degli effetti
lontani dal fine suo proprio, che pure le era stato promesso come
attingibile”[Andreatta 1999:24].
L’utopia continuerà a germogliare a lungo nella storia del pensiero,
incitando dunque l’uomo indirettamente all’azione, richiamando
l’attenzione sui mali e sugli orrori del presente e si intreccerà sempre
più inscindibilmente con l’evoluzione della società.
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2.2 Tecnologia, tecnocrazia e pensiero utopico
Se la maggior parte delle utopie rinascimentali (almeno le più famose,
ovvero quelle di Thomas More e Tommaso Campanella) erano ideali
repubbliche cristiane, in cui la scienza trovava posto senza contraddire
la religione mentre il benessere veniva raggiunto tramite la limitazione
del benessere dei piaceri materiali, è nel Seicento, l’epoca che vedrà
l’affermazione della scienza sperimentale e il sorgere della
Rivoluzione Inglese, che l’Utopia cambierà decisamente
caratterizzazione.
L’opera che maggiormente costituirà una svolta per l’ideazione di
molti progetti utopici è sicuramente la “Nuova Atlantide” di Francis
Bacon. “Quando nella nuova Atlantide volle dare l’immagine di una
città ideale, rincorrendo al pretesto, già adoperato da Tommaso Moro
nell’Utopia, della descrizione di un’isola sconosciuta,non si fermò a
vagheggiare forme di vita sociali o politiche perfette, ma immaginò un
paradiso della tecnica dove fossero portati a compimento le invenzioni
e i ritrovati di tutto il mondo” [Abbagnano, Fornero 1996:189]. Ed è
in realtà proprio la tecnica, ed il pieno soddisfacimento dei bisogni
materiali prodotto da essa, che fa per la prima volta comparsa nel
“Regno di Utopia”. Per la prima volta la conoscenza viene identificata
come strumento di dominio sul mondo sensibile e guida dell’azione
umana, come Platone, anche Bacon immagina una civiltà ideale, persa
nel ventre degli oceani, ma non sono più i filosofi ad amministrare la
città, né tantomeno i sacerdoti (come in Campanella), ma una nuova
classe di dotti destinata a formarsi e svilupparsi con l’affermazione del
metodo scientifico e della scienza sperimentale : gli scienziati. La
“Nuova Atlantide” si presenta così come un gigantesco laboratorio
scientifico, nel quale gli scienziati possono modificare, alterare e
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riprodurre la realtà in quanto la conoscono secondo il suggello posto
in essa da Dio, inventando così molte cose che sembrano quasi
contraddire le naturali predisposizioni dell’uomo. Macchine volanti e
sommergibili infatti, sono solo alcune delle molte invenzioni create
dagli abitanti dell’isola, invenzioni che spingono l’uomo fin sopra al
cielo, e fin sotto alle oscurità marine. La comunità ideale di Bacon è la
prima ad essere fondata su una vera e propria idea di tecnocrazia, in
grado di assicurare un più ampio benessere per tutti, rendendo talaltro
insita l’idea che il raggiungimento della felicità sia centrato più sul
soddisfacimento delle pulsioni materiali, che su quelle idealistico-
spirituali.
Il pensiero utopico troverà largo spazio anche nell’Inghilterra della
Rivoluzione Inglese (in cui è doveroso citare “The law and freedom in
Platform” di Gerrard Winstanley) e nel Settecento in Francia, dove
l’assenza di libertà di pensiero sotto l’assolutismo, costrinse molti
intellettuali a spostare piani e speranze di riforma concreti nel campo
dell’utopia. Secondo molti storici, fu proprio in questo periodo che
nacque il primo grande tentativo di “concretizzazione” dell’utopia,
identificato con l’assolutismo illuminato, ovvero con il tentativo dei
“philosophes” di coinvolgere i sovrani assoluti nei loro progetti di
riforma dei modelli politici. Fra i testi utopici che hanno caratterizzato
questa stagione, dobbiamo ricordare (almeno per quanto riguarda il
panorama francese) : “L’an deux mille quatre cent quarante. Reve s’il
en fut jamais” di Mercier in cui il tempo si fa “generatore”di utopia, le
opere di Morelly, il quale sarà anche coinvolto nella famosa “congiura
degli uguali” mossa da Babeuf e Buonarroti, portatore di un’utopia
comunista che si rappresenti come una situazione “nella quale sia
impossibile che l’uomo sia depravato o cattivo” [Morelly cit.
Andreatta 1999:50], l’utopia anarchica definita “realizzabile” di uno
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stato di “costumi”, ovvero di uno stato nel quale è abolita ogni forma
di potere, e quindi di legge, realizzabile grazie all’identità dei modelli
culturali, che caratterizzano tutti gli uomini, del frate benedettino
Dechamps.
Ciò nonostante fu nell’Ottocento, che il pensiero utopico si riallacciò
più decisamente al mutamento delle condizioni storiche e più
precisamente al tema del progresso scientifico e tecnologico
inaugurato da Bacon. Il nuovo secolo inaugurò una tendenza
positivista che influenzò vari campi del sapere e della cultura.
Nel miglioramento e nel decisivo innalzamento della produttività e
nella moltiplicazione delle attività produttive, molti autori intravidero
un nuovo slancio per i progetti rigenerazione politico-sociale . La
civiltà delle macchine e una migliore distribuzione dei proventi di
questa civiltà, avrebbero: liberato gli uomini dal bisogno, accresciuto
il loro benessere materiale, liberato gli uomini progressivamente
dall’obbligo del lavoro. E’ interessante notare, come ricorda Raymond
Trossou, come il pensiero utopico vada spogliandosi in questo periodo
di ogni preoccupazione di carattere morale, in quanto la felicità viene
identificata pienamente con il benessere materiale. Non troviamo più
un ostilità verso i beni terreni ed una tensione al miglioramento:
mentale, fisico, morale e spirituale degli uomini, ma bensì una netta
esaltazione del “progresso” inteso in termini di accrescimento di
ricchezza e abbondanza beni di consumo.
Il punto di svolta è costituito sicuramente dall’opera “Voyage en
Icarie” di Cabet, pubblicata nel 1839, in cui le macchine assicurano
all’individuo la fruizione di maggior tempo libero, tempo che può
essere sfruttato nell’apprendimento, garantendo così una maggiore
uguaglianza.