Primo capitolo
Il quadro storico della televione
spagnola e della regione andalusa
In questa tesi tratterò della trasmissione dell’identità
andalusa tramite la televisione autonoma. Per fare questo è
necessario contestualizzare l’argomento della tesi illustrando
innanzitutto la storia della televisione in Spagna. Il primo
paragrafo di questo capitolo tratterà appunto di questo e di
come sia cambiata col passar degli anni.
Nel secondo paragrafo invece cercherò di spiegare in
che modo si sia costruita la comunità autonoma di
Andalusia, ripercorrendo storicamente le sue origini, la
nascita del sentimento autonomista e delineando in generale
i caratteri giuridici.
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Storia d ella tel evisione spagnola
La televisione, ha un ruolo fondamentale nella
costruzione dell’identità. Come afferma Vereni (Vereni:
2008) nel suo ultimo libro, la televisione, come strumento
ancora fondamentale dei mezzi di comunicazione di massa,
costituisce un capitale mediatico che, affiancandosi al
capitale economico e culturale del modello bourdiano
(Bourdieu: 1978), finisce per avere un importantissimo
ruolo per la costruzione delle identità, sia individuali, sia
collettive. Ormai non possiamo più ignorare il valore della
televisione, perché forma le persone quasi allo stesso modo
di un buon libro e dell’insegnamento dei genitori.
Negli ultimi anni tuttavia in tutta Europa la
televisione ha subito un processo di privatizzazione ma resta
fondamentale valutare il peso del pubblico nella produzione
televisiva nazionale. La Spagna si inserisce appieno nel
panorama europeo, anche per quanto riguarda il profondo e
pericoloso intreccio tra politica e comunicazione, o meglio
tra politica e programmazione televisiva.
Come suggerisce Enrique Bustamante (2007), si
potrebbe dividere la storia della televisione spagnola in
cinque tappe fondamentali, rispettive ai governi in cui si è
sviluppata: il periodo franchista, la transazione democratica,
il periodo socialista, i governi popolari e sotto Zapatero.
Percorrendo dagli albori la televisione spagnola si può
capire in che modo la politica e la televisione siano sempre
stati connessi e come la programmazione di un’emittente
non è solamente scelta in base al piacere dei telespettatori.
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Cominciamo dal periodo franchista dicendo che sotto
la dittatura del Generale Francisco Franco la televisione di
Stato spagnola, così come gran parte dei media, è stata la
rappresentazione diretta del sistema politico. Sin dalla sua
nascita, la televisione di Stato si è rifiutata di assolvere al
suo principale dovere di essere al servizio pubblico,
mostrandosi per quarant’anni incapace di scrollarsi di dosso
il peso della politica. Enrique Bustamante descrive a pieno
l’enorme distanza del modello TVE da quello europeo di
televisione di servizio pubblico:
[…] controllata da governi che si avvicenderanno nel
corso della dittatura, come non avvenne in nessun altro paese
europeo da parte di un singolo partito di governo, rigidamente
centralizzata e priva di qualsivoglia legittimità (pur detenendo
il monopolio dell’offerta) la TVE creò un tipo di rapporto con
il pubblico e, ovviamente, con la politica, che continuò a
pesare negativamente sulla società spagnola (Bustamante:
1988, p.327).
La televisione spagnola inaugurò le prime
trasmissioni regolari dagli studi del Paseo de la Habana il 28
ottobre 1956. Allora il nuovo mezzo contava meno di
cinquanta lavoratori, tra dipendenti e collaboratori. Anche se
in ritardo rispetto alle altre realtà nazionali, ci fu il lancio
della Primera Cadena, ovvero il primo canale televisivo.
L’evento però non fu così seguito della stampa come si
credeva, alcuni motivavano questo disinteresse con la
portata limitata della nuova tecnologia: il segnale infatti
arrivava entro settanta chilometri da Madrid, con un bacino
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di utenza di seicento apparecchi televisivi. Inoltre, la grave
crisi economica e politica che avrebbe alzato il costo della
vita tra il 1955 e il 1959, la mobilitazione studentesca e
operaia a Madrid, a Barcellona e nelle Asturie che avrebbe
provocato la chiusura temporanea dell’Università
Complutense e la sospensione della libertà di espressione
affermata sulla carta dagli articoli 14 – 18 del Fuero de los
Españoles, avevano catturato così tanto l’interesse della
stampa, al punto che furono tralasciati i festeggiamenti per
la nuova TVE. Fondata dunque come organo
dell’amministrazione centrale dello Stato risultava priva di
una personalità giuridica e soggetta al diritto
amministrativo. Due anni dopo, nel 1958, si costituì la
Dirección General de Radiodifusión y Televisión, che aveva
in compito di controllare direttamente la realizzazione delle
trasmissioni televisive e lo sviluppo tecnico della televisione
nazionale. Il regime sceglieva i dirigenti e il personale
tramite criteri severi, costruendo politicamente la struttura
della TVE. Nel 1957 comparvero i primi annunci
pubblicitari, che crebbero due anni dopo, nel 1959, quando
il segnale cominciò ad estendersi prima a Barcellona e poi al
resto della Spagna grazie ad una rete di trasmettitori e
ripetitori, finanziati dai Comuni e dalle Province interessate.
Già da quegli anni è possibile notare quanto la TVE fosse
considerata come qualsiasi altra attività commerciale: partita
dalle città per raggiungere le campagne. Durante quei due
anni la programmazione passò dalle tre ore al giorno fino
alle cinque ore nel 1959, ma per tutto il periodo del regime
franchista il numero delle ore restò invariato.
Negli anni tra il 1962 e il 1969 ci fu la nomina di
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Manuel Fraga Iribarne a capo del Ministerio de Información
y Turismo (MIT), cui seguirà quella di Roque Pro Alonso a
capo della Dirección General de Radiodifusión y Televisión.
Venne varato un Piano Nazionale della Televisione insieme
al Primero Plan de Desarrollo, grazie al quale nel 1964
furono inaugurati i nuovi studi di Prado del Rey. Nel marzo
dello stesso anno ci fu la commemorazione dei XXV Años
de Paz, ossia i venticinque anni dopo la guerra civile, in cui
Franco decise di pubblicizzare le sue attività con una
gigantesca campagna di propaganda gestita del Ministro per
l’Informazione e il Turismo Manuel Fraga Iberne. Questo è
uno degli esempi, susseguitesi negli anni della dittatura, di
come la televisione ubbidisse ai dettami della politica. Con
il passare degli anni la televisione franchista divenne sempre
più il principale strumento di comunicazione di massa.
Sempre nel 1964, il regime promosse la campagna dei
“teleclub” che divennero oggetto di un provvedimento da
parte del Ministerio de Información y Turismo. Nati come
rete di aggregazione e di comunicazione sociale,
consistevano in spazi dotati di televisione e altri dispositivi
audiovisivi, fruibili dal pubblico. Venivano finanziati dallo
Stato e dai Comuni ed erano gestiti da monitores ufficiali
che venivano educati fortemente dal regime. Nell’ottobre
del 1965 la TVE divenne a colori, ma neppure questa novità
seppe modificare il giudizio negativo che aveva l’opinione
pubblica riguardo la televisione. Il motivo andava cercato
nello scetticismo di concepire la TVE come «strumento al
servizio della crescita culturale dei cittadini, dal momento
che l’informazione trasmessa quotidianamente non era altro
che uno strumento ideologico al servizio del Gobierno del
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generale Franco» (Bustamante: 2007, p.49). Fino a quel
momento la televisione aveva dato un’immagine di se stessa
non propriamente conforme a quello di televisione pubblica
e il ruolo fondamentale che ricopriva la pubblicità non
lasciava presagire segni di miglioramento. Tra il 1958 e il
1963 infatti, ogni anno lo Stato bandiva gare d’appalto per la
vendita di spazi pubblicitari della TVE, comprate da agenzie
pubblicitarie che rivendevano a loro volta gli spazi al
dettaglio ai singoli inserzionisti. Nel 1961 si pose fine alle
gare d’appalto costituendo una società concessionaria, la
Gerencia de Publicidad, che gestiva, e gestisce ancora oggi,
la vendita degli spazi pubblicitari. In questo modo, dalla
metà degli anni Sessanta la TVE grazie alla pubblicità
divenne redditizia, tanto che con quegli introiti coprì il
decifit delle spese di gestione della Radio Nacional de
España e dei servizi centrali della Dirección General de
Radiodifusión. La pubblicità rappresentò la risorsa
principale di finanziamento, tanto che nel 1963 arrivò ad
assicurare una copertura del 91,39 per cento su un totale di
526,95 milioni di pesetas. Nel 1966 la TVE vide la nascita
della Segunda Cadena, il secondo canale televisivo, che
offriva una programmazione limitata a tre ore al giorno, che
avrebbe trattato temi più delicati rispetto al primo canale.
Qualche anno più tardi, nel 1973 nacque la Radio
Televisión Española (RTVE), integrazione delle reti
emittenti appartenenti a Radio Nacional de España e
Televisión Española. Se pur si illudeva di essere un ente
statale autonomo, avrebbe continuato a dipendere
direttamente dallo Stato come prima, tanto che il Direttore
Generale continuava ad essere a capo della Dirección
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General de Radiodifusión y Televisión in seno al medesimo
Ministerio de Información y Turismo. In quegli anni infatti,
la nomina del Direttore Generale costituiva una sorta di
tappa nella scalata all’interno dell’organico politico
dell’Amministrazione. Molti fra i politici (come Adolfo
Suárez, Jesús Sancho Rof ed altri) che si avvicendarono alla
Dirección General de Radiodifusión y Televisión e alle
direzioni tecniche ed editoriali delle filiali della radio e della
televisione spagnola finirono infatti per entrare nella lista
dei ministri duranti gli anni finali del franchismo e in quelli
del periodo di transizione. Appare quindi evidente che
durante la dittatura franchista la radiotelevisione spagnola
non poté godere di alcuna autonomia, dipendendo
completamente dallo Stato, anzi, essendo proprio uno degli
strumenti dello Stato stesso.
Entriamo così nella transazione democratica che
vede il breve periodo di governo Carlos Arias Navarro.
Dopo di lui, nel 1976 il Re nominò Adolfo Suarez Capo
dello Stato. In questa nuova fase, la televisione non attenuò
il suo carattere autoritario, intensificò invece i suoi interessi
economici con gli inserzionisti pubblicitari e politici. Il
processo di democratizzazione politica è stato infatti per la
RTVE quasi un processo verso la privatizzazione ed il
susseguirsi di numerosi direttori non ha giovato inoltre alla
sua gestione.
Nel 1977, in virtù di un Real Decreto, la RTVE
divenne un organismo autonomo operante nell’ambito del
Ministerio de Cultura. In seguito ai Patti della Moncloa
venne istituito il Consejo Rector Provisional de RTVE che
aveva il compito di controllare il bilancio, la vigilanza ed il
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rispetto dell’obiettività dell’informazione. Nonostante il
Consejo, le accuse di manipolazione mosse al governo non
si arrestarono. Così come erano acerbe durante la dittatura
franchista, restarono acerbe durante la transizione,
soprattutto dopo la realizzazione che l’assetto giuridico
ereditato da Franco venne mantenuto in vigore per diversi
anni prima di venire abrogato. Dal 1976 cominciarono a
susseguirsi le nomine dei direttori, evidenziando come la
politica di gestione dell’ente fosse ancora in alto mare.
Suárez nominò dapprima Rafael Ansón alla Dirección
General de Radiodifusión y Televisión, seguito dal fratello
Luis María Ansón. I due fratelli guidarono la RTVE verso il
nuovo regime con competenza e professionalità. Nel 1977
venne nominato Fernando Arias Salgado alla Dirección
General della RTVE, erede di Gabriel Arias Salgado,
Ministro nazionalcattolico de Información y Turismo sotto
nel 1956 sotto Franco. Il suo mandato perdurò fino al 1981
anche se fu caratterizzato da accuse di corruzione e di
cattiva amministrazione della RTVE. Il 1976, dopo quattro
anni di tentativi fallimentari, vide il costituirsi delle prime
imprese private candidate a trasmettere. Nel 1979 lo Statuto
di Autonomia Catalogna attribuì alla Comunità Autonoma
competenze in materia di radio e di televisione. Fu il primo
passo verso un decentramento delle Comunità Autonome,
che chiedevano una televisione più rispettosa delle
peculiarità linguistiche e culturali catalane. In seguito, gli
anni Ottanta, furono caratterizzati dalla promulgazione della
prima legge democratica sulla radio e sulla televisione, che
trasformò la RTVE in soggetto autonomo. L’Estatuto de la
Radio y Televisión Española è stato il punto di partenza per
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la creazione di canali autonomi: prevedeva la concessione
per le Comunità Autonome della gestione di un canale
televisivo di proprietà dello Stato creato appositamente per
l’area di competenza di ciascuna Comunità Autonoma. Lo
Statuto portava inoltre notevoli novità in seno alla sua storia
giuridica. In primo luogo stabiliva che lo Stato avrebbe
dovuto gestire direttamente il “servizio essenziale della
televisione” e che avrebbe operato tramite tre Sociedades
Anónimas Estatales a capitale interamente pubblico: Radio
Cadena Españla (RCE), Radio Nacional Española (RNE) e
Televisión Española (TVE). In secondo luogo la RTVE
veniva organizzata intorno ad un Consiglio di
Amministrazione costituito da dodici membri, scelti in base
a meriti professionali, in carica per quattro anni ed eletti per
metà dal Congreso de los Diputados e per metà dal Senado,
con maggioranza per due terzi per entrambi. Inoltre il
Governo nominava direttamente il Direttore Generale per un
periodo di quattro anni. Infine, venivano istituiti un Consejo
Asesor per ognuna delle tre società anonime, un Censejo
Asesor territorial per ogni Comunità Autonoma e una
Commissione parlamentare costituita ad hoc in seno al
Congreso de los Deputados. Dopo Arias Salgado, con il
mandato più lungo, fu il momento di Fernando Castedo. Il
suo mandato durò undici mesi, le sue dimissioni avvennero
dopo il tracollo elettorale dell’UCD. Castedo passò la
direzione a Carlos Robles Piquer, con il quale la RTVE fece
un passo indietro verso la censura e la manipolazione. Nel
1982 fu Eugenio Nasarre a prendere le redini della
Dirección General della RTVE, ma anch’egli come gli
ultimi tre direttori non fece altro che dimostrare come
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l’attribuzione da parte del Governo della nomina del
Direttore Generale fosse stato un errore clamoroso. Se la
gestione dell’ente procedeva a singhiozzi, durante tutto il
periodo di transizione, gli introiti provenienti dalla
pubblicità continuavano ad aumentare confermando quanta
valenza avessero nelle risorse finanziarie della RTVE. La
televisione incrementava la propria quota sul totale del
mercato pubblicitario del sistema mediatico, incidendo
sempre di più sul PIL spagnolo. Ma nonostante il monopolio
dell’offerta, il numero degli spot ed il tempo dedicato alle
pubblicità non crebbero in proporzione all’aumento degli
introiti. La televisione continuò quindi ad essere un mezzo
di comunicazione di élite, come durante il franchismo, di cui
solo le grandi aziende avevano l’accesso. Possiamo
concludere citando le parole esaustive di Bustamante:
In definitiva, la transizione democratica spagnola
lasciò irrisolta una questione particolarmente seria, in
netto contrasto con quanto stava avvenendo nello
scenario europeo dell’epoca: sulla traccia di altri Paesi
mediterranei, si consolidò una cultura politica clientelare
alla base dell’organizzazione del servizio pubblico, senza
che, nel contempo, si sviluppassero politiche volte a
riformare il sistema per svincolarlo, almeno in parte, dal
potere esecutivo (Bustamante: 2007, p.110).
Il periodo socialista invece iniziò sotto il Governo di
Gonzáles alla guida del PSOE, denominato da alcuni autori
“partito dominante” in seguito alla ingente maggioranza con
cui vinse l’elezioni. Quegli anni sono segnati da una
profonda volontà di democratizzazione della RTVE, nonché
da un bisogno espresso di liberare l’informazione pubblica
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dalla macchina manipolatrice del Governo. In realtà i fatti
non hanno reso giustizia alle pretese del PSOE, il
“consolidamento della democrazia” (Tussel: 2005, p.481)
non portò quasi nessun cambiamento né al piano
organizzativo né a quello gestionale alla radiotelevisione
pubblica. Nonostante questo ci sono state importanti riforme
nel settore culturale e nel sistema delle comunicazioni.
Innanzi tutto sono state varate leggi a sostegno del cinema,
c’è stata la regolamentazione sugli aiuti alla stampa, la
promozione della televisione regionale e il riordinamento
della legislazione sulla proprietà intellettuale. Per quanto
riguarda la RTVE, nel 1977, prima ancora che si conoscesse
il risultato delle elezioni, venne firmato dai rappresentanti
dei partiti di opposizione un documento congiunto con il
quale si vedeva necessaria la creazione di un organo
democratico di vigilanza sul sistema radiotelevisivo, che
avesse il compito di controllare la gestione dell’azienda e di
elaborare una proposta di Statuto. Nelle “proposte culturali
del PSOE” del 1978 si insisteva sul carattere pubblico della
RTVE, puntando a realizzare una televisione libera,
pluralista, democratica e decentrata. Con l’intenzione di
“eliminare la dipendenza della RTVE dal Governo”, i
socialisti affermavano:
[…] noi socialisti proponiamo una radio e una
televisione concepite come servizio pubblico, pluralista,
libero, democratico, decentrato, volto a diffondere la realtà
viva dei diversi popoli e nazionalità dello Stato; strumento,
insomma, di libertà e non di oppressione, di informazione e
non di inganno, di riflessione e non di coazione (Pérez
Ornia:1988, p.590).
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Il primo Direttore Generale socialista della RTVE fu
José María Calviño, che partì con un gran slancio ma
terminò la sua carriera sommerso dalle critiche della stampa
e dei partiti di opposizione. Nel giorno della sua nomina
aveva affermato: «la RTVE la deve smettere di essere al
centro delle notizie e diventare, al contrario, un mezzo che
veicoli informazioni puntuali, veritiere, obiettive e
2
attendibili». Nel settembre del 1983 si dimise il Direttore
della Televisión Española Antonio López e diversi
responsabili dei programmi informativi, seguiti dalle
dimissioni di molti dipendenti nel settore tecnico, della
programmazione e della produzione. Di conseguenza
Calviño venne sostituito da Pilar Miró. Durante il suo
mandato, la RTVE intraprese una politica di incremento del
distacco territoriale. Si raggiunse così un buon livello di
decentramento, cominciando a correggere il centralismo
della RTVE. Nel 1984 si inaugurarono nuovi centri
territoriali delle Isole Baleari, della Cantabria e di Madrid,
poi quello di La rioja. Nello stesso anno il Governo
socialista presentò in Parlamento una legge che
regolamentasse il Terzo Canale Televisivo. Nel primo
articolo di questa legge si autorizzava il Governo ad attivare
un terzo canale di televisione di titolarità statale e ad
assegnarlo, in un regime di concessione, nell’ambito
territoriale di ogni Comunità Autonoma. La maggior parte
degli altri articoli contenevano una lunga serie di limitazioni
per evitare la concorrenza con la TVE. Inoltre, dal 1986
2
Citazione tratta da Diario 16 del 10 dicembre 1982.
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venne avviato un secondo canale in alcune Comunità
Autonome.
L’incarico di Pilar Miró terminò in due anni, e al suo
posto il Governo nominò come Direttore Generale Luis
Solana ed anch’egli venne preso di mira dalla stampa e
dall’opposizione per mancanza di imparzialità
nell’informazione. Comunque, tra il 1983 e il 1985 ci furono
diverse proposte per modificare l’Estatudo de la Radio y la
Televisión del 1980, ma a causa di astensioni dei partiti alle
votazioni e di voltafaccia, nessuna di queste venne accettata.
Lo Statuto restò così inalterato. Qualche anno più tardi, nel
1989, cominciarono a manifestarsi i primi scontri tra la
RTVE delle emittenti pubbliche e le Comunità Autonome,
manifestandosi in boicottaggi per impedire che quest’ultime
trasmettessero sul segnale di radiodiffusione statale. Dopo il
mandato di Solana, venne il momento di Jordi García
Candau nel 1990, colui che restò Direttore Generale più a
lungo dal regime franchista. Sotto il suo mandato ci furono
altri tentativi di riformare lo Statuto, tra cui il più importante
è stato il contributo dato da una Comisión Especial in seno
al Senato, che presentò le sue conclusioni sull’analisi delle
disfunzioni della televisione. Da una parte suggeriva di
concepire un nuovo Statuto per la RTVE in cui prevalessero
le funzioni sociali e in cui ci fosse un finanziamento volto a
diminuire progressivamente la partecipazione nel mercato
pubblicitario. Dall’altra richiedeva la nascita di un Consejo
Audiovisual che avesse il compito di “favorire
l’intermediazione tra le istituzioni politiche e il sistema
audiovisivo da un lato, e, dall’altro, tra quest’ultimo, la
19
3
società e i diritti dei cittadini”. Il Consejo avrebbe dovuto
essere eletto dal Parlamento a maggioranza di due terzi,
avrebbe dovuto assolvere alle funzioni di vigilanza e
controllo del rispetto della legislazione, di vigilanza sui
diritti fondamentali delle minoranze, di mediazione e
arbitrato e avrebbe dovuto rispondere alle richieste e
denuncie dei telespettatori. Parallelamente a questo
processo, durante gli anni Novanta, la programmazione
diventò il fulcro di una concorrenza commerciale sempre
più spietata, soprattutto dopo l’avvento della televisione
satellitare. Infatti nel 1987 il segnale di TVE Internacional
passò sul satellite, ma il successo reale della televisione
satellitare fu legata all’introduzione di nuovi vettori che
consentirono la ricezione dei segnali Direct-to-Home
(DTH), quindi direttamente nelle case dei telespettatori. Con
il lancio del sistema Hispasat, nel 1992, ebbe inizio la storia
della televisione satellitare spagnola. Nello stesso anno fu
approvata la Ley de Telecomunicaciones por Satélite che
concedeva un canale per ogni emittente analogica, e più
tardi, nel 1995, un nuovo testo giuridico proclamava
l’assoluta libertà delle trasmissioni via satellite,
considerandole al di fuori del concetto di servizio pubblico.
Negli anni Novanta dunque, la televisione commerciale fece
il suo ingresso nel panorama mediatico spagnolo. Questo
ingresso fu facilitato da una serie di manovre legislative. Nel
3
Citazione tratta dall’appendice V “Propuesta de la
Comisió especial sobre los contenidos televisivos para la
creación de un Consejo Superior de los Medios Audiovisuales”,
in Senado, Informe de la Comisión especial sobre los contenidos
televisivos, Madrid, Espejo de tinta, 2006, p.249.
20
1987 venne promulgata la Ley de Ordinación de las
Telecomunicaciones che, pur ribadendo che le
telecomunicazione erano “servizi essenziali di titolarità
statale” riservati al settore pubblica, prevedeva delle
eccezioni, tra le quali figuravano i “servizi di diffusione”
come la televisione che potevano essere sottoposti al regime
di “gestione indirette” tramite concessione. Di seguito, nel
1989 venne approvata in Parlamento la Ley de Televisión
Privada che nel preambolo si presentava come uno
strumento per “ampliare le possibilità di pluralismo
informativo”. Le società concessionarie dovevano essere
stabilite da Governo secondo criteri volti a garantire la
libertà di espressione e il pluralismo delle idee. Le tre
concessioni vennero dunque attribuite ad Antena 3 TV ,
Telecinco e Sogecable. Nel 1990 Antena 3 TV cominciò a
trasmettere i propri programmi, seguita da Telecino e da
Canal Plus España. A causa però di perdite economiche
costanti nel tempo, ci furono due cambiamenti: Gestevisión
Telecinco passò alla proprietà della Fininvest e della ONCE.
Nel caso Antenna 3 TV il controllo di maggioranza passò al
Grupo Zeta. Soltanto Canal Plus (Sogetel) mantenne un
azionario stabile. La situazione cambiò radicalmente quando
gli investimenti pubblicitari si arrestarono e cominciarono a
diminuire nel 1991. In seguito a questo crollo, Telecinco
cominciò a concedere grossi sconti sulle tariffe
pubblicitarie, contratti più flessibili e la possibilità di
negoziare direttamente per i grandi inserzionisti. Antena 3
TV fece lo stesso, e nel 1992 anche le televisioni
autonómicas furono costrette a ricorrere alle stesse modalità.
L’impatto sui conti della RTVE fu immediato e dannoso.
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