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CAPITOLO SECONDO
Sociologia della disabilità
L’unico handicap nella vita
è avere
un atteggiamento negativo
Scott Hamilton
2 Gli studi culturali e la disabilità
Gli studi culturali discostano dai binari semplicistici adottando una versione del
modello sociale come un modello non solo economico, politico, sociale, ma anche
psicologico, discorsivo e culturale. Essi sono fortemente influenzati dagli autori
post-strutturalisti e post-moderni come Michel Foucault, Judith Butler, Gilles
Deleuze, Félix Guattari, e sono un ottimo esempio di quella che è stata definita la
svolta culturale (Shakespeare, 2017). L’aspetto peculiare delle loro analisi è che
non esplorano solo le relazioni sociali materiali, ma anche l’immaginario
culturale, svolgendo un ruolo considerevole nello studio della disabilità
attraverso strumenti diversi come il cinema o nei romanzi classici della narrativa
occidentale.
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In tempi recenti gli studiosi inglesi hanno rielaborato il filone Nord Americano, a
cui si ispirano e hanno fondato il Journal of Literary and Cultural Disability, un
impegno che dimostra che la disabilità non significa solo soffrire di una
condizione medica, ma la stessa si carica di significato, simbolismo. La ragione per
la quale che Lennard Davis (Davis, 2002) riporta l’attenzione sui discorsi e sui
testi che riguardano la sua definizione. Una dimensione importante dell’analisi
culturale è mostrare gli atteggiamenti del corpo non disabile e la nozione di corpo
abile, poiché si tratta di capire il perché avviene l’esclusione dei disabili e non solo
il come. Secondo alcuni autori come Dan Goodley, il disabile aggiunge stranezza e
deformità al suo corpo, fornendo una metaforica stampella che sostiene la cultura
abile, emanando fascino culturale ma anche rifiuto. Diversamente Fiona Kumari
Campbell esplora quello che lei definisce abilismo: un insieme di processi e
pratiche che producono un particolare tipo di personalità e corpo, indicato come
perfetto e umano. Sostenere che un corpo è abile è difficile perché i corpi umani
sono inaffidabili, si ammalano e si stancano, perdono la loro funzionalità
soprattutto quando invecchiano. Lo studioso Lennard Davis sviluppa l’idea che
tutti siamo menomati, essendo la menomazione la regola e non l’eccezione,
trovando in questo concetto il modo per superare la post-modernità. Dan Goodley
e altri autori degli studi culturali, sembra che siano più interessati a testi e discorsi
che non alle vite ordinarie delle persone disabili. Un esempio di ciò che si dice
sono gli studi sulla disabilità nel Nord America, dove le discipline umanistiche
lasciano poco spazio al lavoro sociologico, poiché quasi tutti gli autori degli studi
culturali si occupano di studi umanistici. L’assenza di una dimensione empirica
non impedisce agli studiosi di elaborare delle analisi che rimangono tuttavia a un
livello generale. Fiona Kumari Campbell ad esempio, esamina leggi, sentenze e
casi giudiziari, ma non offre un’analisi approfondita dei testi legali per
comprovare ciò che afferma. Rob McRuer studia film e fenomeni culturali, ma le
occasionali testimonianze in prima persona sono insufficienti per legittimare le
sue asserzioni di ampia portata.
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Il pensiero di Helen Meekosha e Russell Shuttleworth, due autori che si occupano
di disabilità e si ispirano a Horkheimer, sono un esempio di come la teoria critica
essenzialmente non sia supportata da dati empirici: le loro affermazioni senza
dati empirici non sono in grado di essere confermate, poiché senza questo
confronto è complicato verificare l’effettiva efficacia delle asserzioni teoriche. Gli
studi culturali sulla disabilità si preoccupano essenzialmente di parlare a un
pubblico accademico, facendo riflettere sul fatto di volersi intagliare una
disciplina che affianchi gli studi di genere. Essi costituiscono un corpus teorico
interessante, e svolgono un lavoro prezioso per quanto riguarda la descrizione
delle rappresentazioni culturali della disabilità.
2.1 Un problema sociologico
La letteratura internazionale prodotta dalle scienze sociali sulla disabilità negli
ultimi decenni si è ampliata considerevolmente, nonostante le venga ancora
mossa la critica di non prestare le dovute attenzioni alle condizioni di vita delle
persone disabili (Ferrarotti, 1991). In Italia non emergono contributi di carattere
sociologico ad eccezione di pochi manuali soprattutto a livello universitario, che
fanno dei riferimenti al saggio di Goffman sullo stigma (Goffman, 1963). Anche
nella sociologia della salute la disabilità risulta non essere un tema in primo piano,
termini come handicap e disabilità non figurano neanche nei dizionari di
sociologia, tranne uno dove compare il termine svantaggio (Demarchi, Ellena,
Cattarinussi, 1987). Pur non mancando spunti riguardo al tema della visibilità
della disabilità come problema sociale, la sociologia ha per lungo tempo
trascurato, se non ignorato questo tema nonostante le molteplici sollecitazioni.
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Gli studiosi Altman e Barnartt nel progetto editoriale chiamato Reserch in Social
Science and Disability (rivista), propongono vari temi di ricerca come il ruolo che
rivestono i movimenti costituiti da persone disabili nel modificare il quadro
istituzionale dei diritti civili e sociali, esprimendo forme partecipative di tipo
nuovo, volte a influenzare le decisioni politiche. L’identità sociale delle persone
disabili e le differenze di significato, di trattamento, di esperienza della disabilità
nelle diverse culture sono gli argomenti principalmente trattati. Poco studiati
invece sono i ruoli familiari durante il ciclo di vita della famiglia, quando uno dei
componenti è una persona disabile, malgrado essi siano molto importanti non
solo in termini di bisogni sociali ma anche per i processi di socializzazione che
hanno luogo nella famiglia. Desta interesse il campo dei servizi sanitari e sociali,
per quanto riguarda l’attenzione che pongono e le pratiche che attivano nei
confronti delle persone disabili. Come si può notare la disabilità non riguarda una
specifica branca della sociologia ma quella più generale, che comprende molte
sfaccettature la quale ha prestato poca attenzione.
2.2 L’approccio struttural-funzionalista
Uno dei primi sociologi che concettualizzò la disabilità in termini sociologici fu
l’americano Talcott Parsons, definendo la malattia uno stato di alterazione
normale dell’individuo umano, in quanto comprende lo stato dell’organismo
come sistema biologico e i suoi adattamenti personali e sociali. In questo modo
Parsons lega il concetto di malattia alla funzionalità biologica corporea, in
relazione al contesto sociale e ambientale, articolandola in tre dimensioni: la
prima dimensione (disease) è quella biologica che riguarda il corpo, che viene
descritta in base alle categorie mediche.
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La seconda dimensione (illnes) riguarda la percezione che ha il soggetto in seguito
alle modifiche sul proprio organismo, e delle conseguenze che potrebbero esserci
sulle proprie funzioni sociali. La terza dimensione (sickness) si riferisce al
mancato assolvimento delle attività che l’individuo ha all’interno della società.
Parsons individua dunque con le tre dimensioni il ruolo del malato (sick role), la
“malattia” non è solo un pericolo esterno da cui il sistema sociale deve guardarsi,
ma è parte integrante di esso stesso. In quest’ottica la malattia rappresenta una
forma di devianza in quanto fonte di perturbazione dell’ordine sociale, avendo un
specifico ruolo: il sick role, per Parsons il malato è dunque un deviante anche se
inconsapevole e involontario. Le maggiori critiche a questa posizione sono state
mosse a Parsons proprio da due parsonsiani: Twaddle e Hesslerc, contestavano i
seguenti tre punti, 1° l’eccessivo riduzionismo teorico che non teneva conto né
delle forme patologiche, né delle differenze fra gruppi etnici, 2° un’esagerata
centralità del medico e delle sue decisioni professionali, 3° l’attenzione solo per
certe malattie, quelle acute. Donati distingueva in due periodi il pensiero di
Parsons in merito alla malattia, il nel primo periodo il malato è considerato un
particolare tipo di deviante, non innovatore e non un ribelle, ma una persona che
si ritira dalla competizione, un rinunciatario. Nel secondo periodo ci si focalizza
sul ruolo che l’individuo ha nella società. Una visione opposta a quella
parsonsiana è quella di Eliot Freidson , il quale evidenzia la dominanza egemonica
sulla salute e sulla malattia (Freidson, 2002). Secondo la sua analisi, la missione
del medico è quella di dare un significato morale alle condizioni fisiche che i
pazienti definiscono come indesiderabili, ruolo rivestito nell’attualità dal medico
di medicina generale. Per Ferrucci la disabilità intesa come malattia e il ruolo che
ha (sick role) non è generalizzabile, perché le caratteristiche differiscono da altri
tipi di malattia come per esempio quelle croniche, infatti identifica solo un
idealtipo di malattia (Ferrucci, 2004). Il limite di Parsons sta proprio nel non
riconoscere l’assistenza medica come l’unica strategia di intervento per
rimuovere qualunque forma debilitante.
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2.3 L’approccio conflittualista
Uno dei maggiori teorici della corrente conflittualista, che intende la società come
un sistema conflittuale tra forze economiche e sociali è Karl Marx
2
. Nonostante
non abbia mai trattato esplicitamente il tema della salute, nella sua opera essa è
una caratteristica intrinseca del vivere comune in quanto si basa sulla condizione
di vita degli operai, uno dei fondamenti del suo pensiero. Secondo Marx, nella
società capitalistica non è l’operaio che utilizza i mezzi di produzione ma il
contrario, invece che essere consumati da lui come elementi materiali sono loro
che consumano lui. Estendendo la sua analisi al contesto della disabilità, si
possono intravedere due aspetti della disabilità:
1°) il capitalismo genera un sistema disabilitante perché limita l’individuo da
alcune sue funzioni;
2°) il dualismo disabilità/normalità rappresenta la dicotomia che vi è tra
borghesia (classe dominante) e proletariato. La malattia e i fattori disabilitanti
diventano delle barriere insormontabili per l’individuo, il suo status di non-forza
lavoro lo esclude dal sistema produttivo. Il sistema capitalistico si fonda sulla
produzione, il profitto, la concorrenza e non può permettersi di essere inefficiente
e inefficace. La disabilità dunque è interpretata come un ostacolo al processo
lavorativo. I conflittualisti (coloro che in conseguenza a un conflitto d'interesse
scoppiato tra due componenti della società, vengono di volta in volta a trovarsi in
conflitto per un motivo ben preciso.) sostengono, anche con sistemi e strutture
volti al recupero dei disabili, le logiche produttive considerando i medici come il
controllo sociale della classe borghese, e i malati e disabili come consumatori di
servizi e non cittadini aventi diritti e doveri.
2
Karl Marx nacque il 5 maggio del 1818 a Treviri (Germania), padre della teoria del conflitto.
La sua idea era quella di una società dove i gruppi combattono per il potere. Il potere è il nucleo
delle relazioni sociali, dove la conflittualità sociale è causata dall’insufficienza dei beni necessari
alla sopravvivenza di ognuno: il potere, la ricchezza, il prestigio sono le cause principali della
conflittualità sociale https://it.wikipedia.org/wiki/Karl_Marx
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Soltanto con l’era post-industriale grazie all’introduzione delle tecnologie, il
disabile ha maggiore libertà di espressione, coesione ed emancipazione. Per
Abberly la disabilità rappresenta una forma di oppressione, intesa come
l’esistenza di relazioni sociali gerarchiche limitate da un fattore biologico oltre che
sociale, a differenza delle diseguaglianze di genere e di razza. Per questo motivo
Abberly afferma che questa oppressione sociale non può prescindere dal
considerare questo aspetto, considerando i disabili allo stesso modo delle
minoranze etniche di genere poichè presentano le stesse caratteristiche. Ed è per
queste ragioni sociali che Pfeiffer ritiene che la disabilità, sia più un problema di
dimensione politica che di gestione clinica (Pfeiffer, 2001).
2.4 L’approccio interazionista
Nell’interazionismo simbolico la malattia e la disabilità vengono considerate
oggetto d’interesse, per via dell’intrinseco carattere culturale e normativo che
possiedono. Hanno un ruolo centrale gli studi effettuati sullo stigma e le istituzioni
totali di Erving Goffman, volti ad isolare qualsiasi forma di devianza sociale. Lo
stigma è un particolare tipo di rapporto tra l’attributo e lo stereotipo che produce
discredito nell’attore sociale (malato e/o disabile), per Erving Goffman ne
esistono tre tipi: il primo riguarda le deformazioni fisiche, il secondo riguarda
certi aspetti del carattere che vengono percepiti come mancanza di volontà come
le passioni sfrenate, le credenze malefiche o dogmatiche, la disonestà. Il terzo tipo
riguarda gli stigmi tribali (della razza, della nazione, della religione) che possono
essere trasmessi di generazione in generazione. Nell’ottica goffmaniana la
disabilità assume un’identità sociale condizionata dai rapporti tra i soggetti e la
comunità.
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I rapporti face to face hanno una notevole influenza nei rapporti sociali per lo
sviluppo performativo dell’individuo, la società non valuta e giudica la sua
capacità, ma lo include ed esclude in base a preconcetti e pregiudizi
condizionandone fortemente l’agire sociale. Nel suo saggio Asylums, Goffman
tratta anche le questioni riguardanti le istituzioni totali, ossia quelle istituzioni che
mettono a nudo l’identità dell’attore rivestendolo di una nuova identità
istituzionalizzata, creando un percorso di vita caratterizzato da regole e stili di
vita che prescindono dalla realtà sociale. Il limite dell’approccio interazionista è
quello di rilegare la disabilità ad un’ottica microsociologica prescindendo
dall’influenza macrosociale, e quello che accettando il proprio status lo
stigmatizzato sarebbe considerato un normalizzato nonostante le evidenti
diversità. Ma la critica più dura che Goffman fece riguardava l’atteggiamento
ipocrita che i normodotati avevano nei confronti degli stigmatizzati.
2.5 L’approccio connessionista e il quadrilatero di Ardigò
Il modello connessionista rappresenta il collante tra la dimensione micro (lo
studio delle dinamiche micro-relazionali) e la dimensione macro (macro-
istituzioni) non escludendo la dimensione meso (realtà di medie dimensioni).
Soltanto con queste prerogative si può studiare in modo completo il fenomeno
della disabilità e più in generale la salute globale dell’individuo. Il lavoro compiuto
da Ardigò (Ardigò, 1997), la strutturazione di modelli che sviluppano linee
teoriche per studiare i sistemi sociosanitari e la salute come fenomeno sociale,
soddisfa appieno queste prerogative sfruttando la natura interrelazionale di
diversi fattori che sono: il patrimonio genetico umano; l’impatto ecologico-
ambientale; gli stili di vita delle persone.
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Il quadrilatero è composto da quattro elementi interconnessi tra loro:
la natura esterna: l’ambiente fisico e l’habitat degli insediamenti umani vengono
assunti come natura esterna, considerata dal sociologo contemporaneo un
ambiente rispetto al sistema sociale;
il sistema sociale: che organizza la vita delle popolazioni in un dato territorio, nel
tempo;
la persona come soggetto: nella duplice forma dell’io (Ego) e del se (Social Self);
la natura interna: dove il corpo umano degli individui viene considerato sia come
base biologica a partire dal patrimonio genetico, sia come entità psico-somatica.