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esseri umani. E’ un commercio umano perché antepone la giustizia alla
redditività, i diritti agli indici di crescita, la relazione alla produttività. Non è
beneficenza, né tanto meno carità. E’ giustizia commerciale e solidarietà
concreta.
Questo tipo di commercio, riconosciuto dalla Comunità Europea come il miglior
metodo di sviluppo per i paesi poveri, rappresenta una forma di scambio con
realtà produttive dei paesi del “Terzo Mondo”, sostanzialmente finalizzata al
superamento del sistema economico “coloniale”.
Il commercio equo-solidale, nato per battersi contro le ingiustizie e le iniquità del
sistema economico mondiale, vuole costruire un’alternativa concreta per tanti
piccoli produttori del Sud e per altrettanti consumatori del Nord, offrendo a
questi ultimi la possibilità di dare un senso ad un gesto quotidiano
apparentemente poco importante, ma dalle implicazioni profonde: la spesa. Si è
abituati a fare la spesa valutando solo alcuni fattori, come il prezzo, la qualità,
l’immagine. Questo non basta più: le scelte di consumo sono da porre in diretta
relazione con i problemi sia del Nord che del Sud del Mondo. Sfruttamento,
povertà, inquinamento ed altre problematiche ancora, continuano ad esistere
anche perché qualcuno conta sul fatto che i consumatori non ne tengono conto
quando fanno la spesa. Il commercio equo offre, dunque, la possibilità di
confrontarsi con i problemi del commercio internazionale e con quelli altrettanto
pressanti dei piccoli produttori del Sud, e contemporaneamente offre prodotti di
cui garantisce l’eticità. Molti di questi prodotti vengono da popolazioni indios o
autoctone, che trovano così anche il modo di conservare la loro cultura ed i loro
costumi, diventando autosufficienti.
Caffè, cacao, tè spezie, zucchero, miele, biscotti, frutta secca, riso, legumi fra i
prodotti alimentari; gioielli, bigiotteria, tessuti, abbigliamento, borse,
oggettivistica in vetro, in ceramica ed in legno, cesti, giocattoli nel campo
dell’artigianato: ecco qualche esempio di ciò che, entrando in una delle Botteghe
del Mondo (e da qualche anno anche nei supermercati), si può acquistare, sicuri
della scelta consapevole, responsabile e solidale.
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In questo testo cercherò di presentare il commercio equo nei suoi vari aspetti,
concentrandomi particolarmente sul suo sviluppo all’interno della distribuzione
specializzata prima ed all’interno della Grande Distribuzione poi, illustrando le
strategie di marketing rilevate nelle mie ricerche, rilevazioni ed interviste.
In particolare, nel primo capitolo descriverò il commercio equo-solidale nelle sue
linee generali, nella sua evoluzione storica, nei suoi obiettivi, principi e
significati, illustrando in ultima istanza i principali organismi che lo
compongono.
Nella seconda parte analizzerò il mercato equo nei paesi europei, descrivendo
prima la situazione generale e concentrarmi poi su quella esistente in Italia, nel
Regno Unito, ed in Olanda. Prenderò in considerazione, per questa analisi, i
numeri del commercio alternativo, gli organismi che lo gestiscono, i marchi di
garanzia che operano nei vari paesi, le quote di mercato detenute dai prodotti, gli
importatori e i produttori.
Nel terzo capitolo studierò la filiera del commercio equo, partendo dai produttori
e dagli esportatori del Sud del Mondo per arrivare agli importatori, ai marchi di
garanzia, ai prodotti, al prezzo, ai consumatori ed ai distributori.
Nel quarto, che costituisce il cuore della mia relazione, mi concentrerò sulla
distribuzione del commercio equo-solidale. Analizzerò, da un lato, le Botteghe
del Mondo (che rappresentano la distribuzione specializzata) e, dall’altro, la
Grande Distribuzione (i supermercati) ed in particolare i casi Coop ed Esselunga;
ne studierò l’esordio (nel commercio equo), i prodotti messi a disposizione della
clientela, il loro posizionamento sugli scaffali, il prezzo proposto ed il successo
ottenuto.
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Terminerò con un confronto fra le strategie commerciali adottate, cercando di
evidenziarne diversità e similitudini.
Concluderò con un’analisi finale, nella quale tenterò di delineare anche le
prospettive per il futuro.
La scelta dell’argomento proposto in questa tesi è dettato dal tentativo di
conciliare il corso di laurea che mi accingo a concludere, Politica ed Economia
per la Cooperazione allo Sviluppo, e la specializzazione in cui mi appresto ad
entrare, Trade Marketing e strategie commerciali.
Ho intrecciato, a questo proposito, le tematiche del “commercio equo-solidale”,
valida forma di sviluppo dei PVS, con le strategie di marketing attuate dalla
Grande Distribuzione, e marginalmente anche da quella specializzata, per questo
tipo di commercio.
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CAPITOLO 1
IL COMMERCIO EQUO - SOLIDALE
1.1 Definizione
Il Commercio Equo e Solidale viene definito dalla Carta Europea come un
approccio alternativo al commercio convenzionale. Esso promuove giustizia
sociale ed economica, sviluppo sostenibile, rispetto per le persone e per
l’ambiente attraverso il commercio, la crescita della consapevolezza dei
consumatori, l’educazione, l’informazione e l’azione politica.
Il suo scopo è riequilibrare i rapporti con i Paesi economicamente meno
sviluppati, migliorando l’accesso al mercato e le condizioni di vita dei produttori
svantaggiati, attraverso una più equa distribuzione dei guadagni.
Il Commercio Equo e Solidale è una relazione paritaria fra tutti i soggetti
coinvolti nella catena di commercializzazione: produttori, lavoratori, Botteghe
del Mondo, importatori e consumatori.
Le istituzioni del commercio equo e solidale internazionale (riunite in “F.I.N.E.”:
FLO, ente di certificazione, IFAT, associazione mondiale organizzazioni del
Commercio equo- solidale; NEWS!, rete delle Botteghe del Mondo europee;
EFTA, coordinamento di dodici importatori europei) si stanno confrontando per
dare una nuova e comune definizione di Fair Trade, che favorisca una percezione
omogenea del movimento, il rapporto con consumatori e operatori, il confronto
con le istituzioni. Da tempo esisteva una definizione condivisa (sopra riportata),
che è anche quella recepita nella Carta dei Criteri del commercio equo e solidale
italiana. Su iniziativa di FLO, ed in accordo con alcuni importatori, si è avviata
una nuova fase di discussione per modificare la definizione acquisita e giungere
ad una nuova, ritenuta migliore. In tale contesto la conferenza di IFAT, tenutasi
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ad Arusha (Tanzania 10 - 15 giugno 2001) ha messo in discussione e poi in
votazione la nuova definizione:
“Il Commercio Equo è una partnership commerciale, basata sul dialogo, la
trasparenza e il rispetto, che promuove una maggior equità nel commercio
internazionale.
Esso contribuisce allo sviluppo sostenibile offrendo ai produttori marginalizzati
del Sud del mondo migliori condizioni e assicurazioni sulle regole. Gli attori del
Commercio Equo e i consumatori sono attivamente impegnati nel supportare i
produttori, far crescere la consapevolezza ed in campagne di opinione per
cambiare le regole e la pratica del commercio internazionale convenzionale”.
(http://digilander.iol.it/cees)
Il principio di fondo del Commercio Equo e Solidale è quello di garantire un
compenso equo e servizi socio-sanitari ai piccoli produttori, svantaggiati
economicamente, dell’America Latina, dell’Africa, dell’Asia e dei Paesi dell’Est.
Le organizzazioni del Commercio Equo e Solidale comprano direttamente i
prodotti delle cooperative senza nessuna speculazione ed intermediazione. Tutti i
prodotti del Commercio Equo e Solidale sono corredati da una scheda tecnica
che ne spiega le caratteristiche e illustra tutti i passaggi economici intervenuti
con il relativo aggravio di costo: in tal modo i consumatori finali possono
conoscere, in piena trasparenza, le spese che hanno determinato il prezzo di
vendita. Il prezzo di acquisto viene concordato con i produttori, assicura loro un
giusto guadagno e comprende un contributo per sostenere progetti locali di
sviluppo sociale e sanitario.
Il Commercio Equo e Solidale stimola progetti di sviluppo auto-gestiti e crea
nuovi posti di lavoro nei luoghi di origine. L’uso delle materie prime e le
tecniche di produzione tengono conto della salvaguardia dell'ambiente e della
salute di produttori e consumatori.
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Attualmente le cifre del Commercio Equo- Solidale sono le seguenti:
- 60 paesi coinvolti: 15 paesi del Nord del mondo e 45 del Sud (da dove vengono
i prodotti)
- 100 organizzazioni coinvolte
- 3000 botteghe di commercio equo
- 50.000 volontari (tra cui anche dipendenti)
- 800.000 famiglie che producono per il commercio equo- solidale.
- 5.000.000 di persone che producono per il commercio equo- solidale.
- 400 milioni di € di vendita al dettaglio
(I dati numerici sono tratti da “Fair Trade in Europe 2001”, Jean-
Marie Krier, 2001, disponibile, nella versione inglese, in
http://www.eftafairtrade.org/)
Bisogna segnalare, inoltre, che il Commercio equo- solidale non è una pura
forma di cooperazione e non è basata sull’elemosina o sulla beneficenza: non a
caso uno degli slogan del movimento è “Not aid but fair trade” (non aiuto ma
commercio equo). Quello equo- solidale è un vero e proprio commercio, i cui
attori sono di natura commerciale e rispettano delle regole ben definite. Essi,
però, hanno un valore aggiunto, che li differenzia dagli attori tradizionali:
cercano di sviluppare una relazione paritaria tra i soggetti impegnati e
corrispondono un giusto prezzo ai produttori dei paesi del Sud del mondo, grazie
al quale è possibile migliorare le loro condizioni lavorative e di vita in generale.
1.2 Cenni storici
Alla fine degli anni ’50 l’ Europa aveva ormai completato l’opera di
ricostruzione e viveva una fase di euforia legata alla vistosa crescita economica,
al netto miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori ed all’arrivo sul
mercato dei nuovi beni di consumo - dalla TV a tutta un gamma di
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elettrodomestici - che cambiavano velocemente abitudini e stili di vita. Ma, in
quello stesso periodo, l’opinione pubblica europea veniva per la prima volta a
conoscere il dramma della fame e della miseria che colpivano le popolazioni del
Sud del mondo sia attraverso l’opera di grandi intellettuali che attraverso i primi
reportage sui mass media. Nelle coscienze più sensibili l’impatto con questo
mondo affamato appariva insopportabile e spingeva alla ricerca di soluzioni
credibili.
Nel 1959 a Kerkrade, una piccola città ubicata nell’estremo Sud dell’Olanda (nei
pressi del confine con la Germania), nasceva una fondazione chiamata “S.O.S.
Wereldhandel” (oggi Fair Trade Organisation) promossa da un gruppo di giovani
del Partito Cattolico olandese. Il mondo degli emarginati, sfruttati, impoveriti
lanciava un S.O.S. che veniva raccolto da questo piccolo gruppo di giovani dotati
solo di tanta buona volontà.
La prima iniziativa di questa associazione fu quella di lanciare una campagna per
la raccolta di latte in polvere a favore delle popolazioni povere della Sicilia; era
stato un italiano, Danilo Dolci, attraverso una paziente ed intelligente opera di
sensibilizzazione, a far conoscere nel nord-Europa la Sicilia al di là del mito e dei
luoghi comuni: la fame dei contadini senza terra, il dramma dell’emigrazione che
decapitava imprese e capacità di iniziativa locale, il fallimento di una Riforma
Agraria che era servita essenzialmente alla crescita del ceto politico che poi
avrebbe governato l’isola fino ai nostri giorni.
Ben presto questi giovani olandesi scoprirono che l’aiuto non cambia i rapporti
iniqui, non incide sulle cause della miseria: la questione di fondo era modificare
il sistema capitalistico e sostenere quelle forze del Terzo Mondo che si battevano
per l’indipendenza reale dei loro paesi.
Il movimento per un Commercio Equo e Solidale prende avvio proprio con la
nascita di S.O.S Wereldhandel che, nel 1964 fa proprio lo slogan “trade not aid”
(commercio non aiuti) della prima conferenza UNCTAD (United Nation
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Commission for Trade and Development), e si attiva per poter trovare sbocchi
commerciali per i prodotti dei piccoli produttori con cui è in contatto.
Alcuni anni dopo, nel 1967, la Fondazione diviene pioniera nell’importazione e
nella vendita di beni realizzati da gruppi di produttori in vari PVS costituendo il
primo esempio di Alternative Trade Organizzations (ATOs).
Nel 1969 da questa esperienza nasce, nella piccola città olandese di Breukelen, la
prima Bottega del Mondo che vendeva beni prodotti nel Sud del mondo. Inizia
un periodo di rapida crescita per il movimento. I militanti di S.O.S Wereldhandel
aprono punti di vendita in tutte le città dove sono presenti, dando vita alla rete
Botteghe Terzo Mondo, che in appena due anni raggiungeranno il numero di 120
punti vendita.
L’idea delle Botteghe del Mondo prende rapidamente piede anche in Germania,
Svizzera, Austria, Francia, Svezia, Gran Bretagna e Belgio. I risultati ottenuti in
termini di vendite sono così positivi che SOS Wereldhandel è presto in grado di
creare sue “filiali” in questi paesi. Successivamente esse diverranno
organizzazioni nazionali autonome, che continueranno l’opera di diffusione dei
principi del movimento sia in Europa che nel resto del Mondo e a far pressione
sulle istituzioni nazionali e sovranazionali affinché vengano riconosciute le loro
istanze.
Nel 1994 gli sforzi del movimento sono stati legittimati dal Parlamento europeo
con l’approvazione all’unanimità della denominata “Risoluzione Langer” , che
riconosce nelle relazioni commerciali inique il fattore determinante dello
squilibrio strutturale tra il Nord e il Sud economico del pianeta, e inserisce
organicamente nella sua politica di cooperazione e sviluppo il “fair trade”.
In seguito l’europarlamento è tornato a più riprese ad occuparsi di commercio
equo, come nel 1998 integrando ed ampliando i contenuti della precedente
risoluzione. Numerosi paesi europei hanno recepito nei loro ordinamenti le linee
guida di questo lavoro, inserendo i principi dell’economia solidale tra gli
strumenti di sviluppo dei paesi svantaggiati.
(http://guide.supereva.it/commercio_equo_e_solidale/)