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Evidenzieremo anche l’importanza dell’atto stesso del narrare e il potere
che i media come mittenti hanno in questo campo, influenzando l’interpretazione
della realtà dei suoi fruitori.
Il secondo capitolo introduce gli effetti, sia a livello micro che a livello
macro, che la comunicazione di massa (soffermandoci in particolare sulla
televisione) ha sulla società contemporanea. Vedremo come i lettori, il cui ruolo
da passivo e massificato è diventato e differenziato e attivo, interpretano questi
testi mediali, partendo da uno specifico universo socio-culturale.
Osserveremo come la televisione, con tutti i suoi generi e programmi, sia
una potente creatrice di rappresentazioni convenzionali e stereotipate e come
queste figure riescano a diventare parte del senso comune. La televisione
diventerà così una delle maggiori fonti da cui attingere per costruire la nostra
personalità.
Se l’imperativo primo della tv è tener agganciato lo spettatore, ribadiremo
che, se le storie entrano nella nostra mente è solo grazie ad una serie di dispositivi
che gli autori dei vari programmi utilizzano, rendendo il racconto persuasivo,
commovente e coinvolgente. Per capire fino in fondo l’efficacia persuasiva di
queste narrazioni approfondiremo anche alcune dinamiche psicologiche, come il
partecipatory responses, il day-dreaming e i meccanismi di identificazione e
proiezione.
Infine affronteremo la nuova realtà neotelevisiva, passando in rassegna i
generi che hanno avuto successo negli anni ottanta-novanta, fino ad arrivare
all’attuale “sovragenere” dei reality show.
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Vedremo come il reality mette in piazza una biografia dell’uomo
“qualunque”, creando così delle storie in cui il pubblico crede e in cui si
identifica. Scopriremo come questa identificazione avviene soprattutto grazie
all’effetto di realtà e di vissuto a cui la televisione si appella, facendo ricorso ad
una serie di meccanismi come la diretta, il montaggio delle scene, la colonna
sonora che accompagna i vari filmati, ecc..
Nella parte finale del secondo capitolo toccheremo il discorso
dell’autoreferenzialità televisiva, ossia di una tv che non nasconde l’artificialità
dei suoi programmi, ma che fa leva su una continua contrapposizione tra realtà e
finzione, tra ciò che è mediaticamente costruito e ciò che non lo è, giocando
sull’ambiguità dei protagonisti, per attirare e mantenere l’attenzione del pubblico.
Il terzo capitolo ha come obbiettivo quello di analizzare un insieme di
storie proposte da “La Fattoria”, reality show che ha come protagonisti dei Vip,
che accettano di passare “dalle stelle alle stalle” e di vivere per 70 giorni in una
fazenda dispersa tra le radure brasiliane.
Descriveremo com’è fatta “La Fattoria” e quali sono le regole del gioco,
per poi passare ad analizzare la sua struttura, evidenziando la presenza di due
dimensioni rilevanti come il tempo (quindi la suddivisione della messa in onda del
programma in highlights, ossia la striscia quotidiana trasmessa tutti i giorni, e
l’appuntamento settimanale con il prime-time) e lo spazio (il passaggio dallo
studio alla fattoria), senza dimenticarci dell’importanza della diretta, che consente
di ovviare alla distanza che si crea raccontando le storie, ossia comprimendo gli
eventi in una temporalità definita e limitata, con una fine ed un inizio. Infatti, la
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tv, a differenza del cinema può fare questo tramite la diretta, che ci fa vedere la
spontaneità dei personaggi e ci fa credere in una realtà tutta televisiva.
Il raelity in questione, come ogni reality che si rispetti, deve avere al suo
interno delle figure stereotipate per assicurare la comprensione del testo e la
leggibilità da parte del telespettatore
Nel terzo capitolo infatti elencheremo la figure presenti nel programma,
passando dall’importanza del ruolo della conduttrice, essenziale in tutti i reality,
in quanto è la prima a creare, riassumere e a trasmettere al pubblico delle storie
sugli eventi che accadono nella fattoria, a quello dell’inviato, degli ospiti in studio
(divisi tra critici d’eccellenza e parenti dei concorrenti), fino ad arrivare ad un
pubblico, che potremmo definire generico, al quale viene offerta una possibilità
illimitata di osservazione, grazie alle protesi percettive come lo zoom video e
l’amplificazione sonora che gli autori mettono a disposizione dei telespettatori,
rendendoli omniscenti. Ciò significa che il pubblico a casa, sapendo ancora di più
dei personaggi, si immedesima in essi tramite il meccanismo dell’identificazione.
Dopo di che osserveremo tutti i partecipanti del reality show, e cercheremo
di riconoscere se ciascuno di loro rappresenta una figura convenzionalizzata, che
può servici come canovaccio per costruire la nostra identità.
Gli autori mostrano nei filmati dei concorrenti, che essendo persone in
carne ed ossa, facendo ad esempio errori grammaticali, o esprimendosi con un
determinato slang, sono molto vicini al pubblico; è per questo che è molto facile
immedesimarsi in questi stereotipi, che vivono delle storie le quali sembrano
appartenere alla nostra esperienza.
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Successivamente faremo un confronto tra format, e vedremo il reality
spopolare tra i palinsesti. Difatti quest’ultimo viene continuamente replicato
perché è un formato che può essere declinato senza limiti e moltiplicarsi con solo
piccole variazioni di facciata. Il fatto stesso di poter classificare i programmi in
generi, facilita sia gli spettatori nel lavoro di decodifica dei testi, sia gli autori a
rispettare alcune regole tipiche del format.
Riprenderemo il discorso del secondo capitolo, dove definivamo “La
Fattoria” un sovragenere realizzato a tavolino dagli autori del programma. Un
sovragenere in quanto contiene più elementi di differenti generi, come il game
show, il talk show e la soap opera, che andremmo ad analizzare e a riscontrare
uno ad uno. Affermeremo che non importa se i generi ibridi si assomigliano, ciò a
cui daremo rilievo è l’effetto complessivo della giustapposizione di un mix di
elementi che porta a risultati differenti.
“La Fattoria” è anche un prodotto intermediale, definita così per le sue
caratteristiche innovative che gli consentono di sfruttare la sinergia di mezzi
diversi (cioè di utilizzare contemporaneamente più media, come la tv, il cellulare,
internet, ecc..). Questo sarà considerato come una delle componenti che offre una
garanzia di successo per il programma.
L’altra componente è senza dubbio la caratteristica dell’interattività, ossia
una bidirezionalità, uno scambio continuo tra mittente e destinatario che dà allo
spettatore la possibilità di manipolare e scegliere i contenuti del programma.
In seguito entreremo nel merito della fase analitica di questa tesi, facendo
un panorama completo dell’offerta del reality preso in esame, evidenziando le
differenze e le analogie prima di tutto con la prima edizione dello stesso, poi con
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il reality più famoso in Italia e in Europa, il Grande Fratello, per poi arrivare a un
paragone (confrontando dove possibile anche attraverso dati auditel) tra “La
Fattoria” e i reality che gli facevano effettivamente concorrenza, vale a dire quelli
che andavano in onda contemporaneamente.
Per concludere, riassumeremo le caratteristiche salienti del reality show,
valutando l’importanza della sua sceneggiatura, in altre parole la fase in cui le
storie prendono forma, dove i racconti vengono spettacolarizzati come nelle soap.
Paragoneremo il reality ad un testo aperto, dal finale imprevisto, la cui scrittura
deve essere organizzata per essere resa comprensibile; ad esempio tramite
l’imposizione di alcune regole sulla vita in fazenda, oppure con il montaggio delle
immagini (che deve seguire degli schemi narrativi precisi).
Come in tutti i reality, anche le storie della Fattoria girano attorno
particolarmente ad alcuni temi centrali. Con ciò, non intendiamo dire che le storie
proposte dalla RT siano tutte uguali. Noteremo come i personaggi cambiano da
un reality all’altro, mentre sono le trame, o comunque gli scheletri delle storie,
ossia i racconti condensati in pochi elementi riconoscibili, ad essere affini.
Riconosceremo alcuni temi centrali nelle storie, che hanno molto poco di
veramente straordinario, e che sono per lo più vicende leggere e quotidiane, meno
varie ed eterogenee di ciò che si pensa. In particolare distingueremo tre tipi di
racconti; le storie d’amore (con il successo di Fazendiful), i litigi e le vicende di
vita quotidiana focalizzate su qualche personaggio specifico.
Analizzeremo uno per volta questi temi, riportando alcuni esempi.
Per finire, vedremo, grazie all’utilizzo dei forum e dei sondaggi presenti nel sito
del reality, quali sono le storie che sono piaciute di più al pubblico, di quali
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parlano maggiormente e come queste sono state interpretate, cercando di capire se
il pubblico accetta la versione che viene ritagliata e presentata dagli autori o se ci
sono delle discrepanze. Vedremo quali racconti e quali personaggi o figure si sono
salvati, rimanendo nell’immaginario della gente.
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Capitolo 1
La genesi delle storie
1.1 La vita umana: una biografia costruita narrativamente
Viviamo in un modo in cui le storie ci circondano, ci entrano nell’intimo, ci
divertono e ci fanno sognare.
Non esiste una storia totalmente uguale ad un’altra, perché sono strutture
flessibili e aperte, rielaborabili da chi le racconta e da chi le ascolta, in quanto
questo ultimo le interpreterà sulla base delle proprie conoscenze e dei propri
gusti.
Se volessimo dare una definizione di storia, potremmo dire che sono risorse
simboliche che la cultura raccoglie dalle menti degli esseri umani per custodirle e
metterle a disposizione di altre menti. La loro funzione è quella di aiutare il
nostro pensiero, favorendo la comprensione della realtà che ci sta attorno.
L’atto stesso del narrare è confusivo in quanto tende a unire conoscenze che
prima erano separate
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.
Quando diciamo che la nostra vita è una biografia costruita narrativamente,
intendiamo dire che il nostro Sé si definisce solo attraverso tanti avvenimenti
vissuti con molte persone, in determinati luoghi e situazioni. E’ infatti per mezzo
della storie e dei racconti che condividiamo con gli altri che riconosciamo le
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Melucci, 2000 dice “il narrare è un tentativo di unire ciò che è diviso e contemporaneamente di
piegare l’esperienza a quel particolare punto di vista che ogni attore rappresenta.
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nostre appartenenze ai gruppi sociali di cui facciamo parte, la famiglia, il gruppo
di amici, la coppia.
Mettere queste storie in comune è farsi compagni di viaggio. Quel viaggio è
l’esistenza, di cui si possono condividere i tratti, e raccontarsi quel che si è visto e
fatto.
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Ecco perché il nostro essere una famiglia, una coppia o una nazione passa
soprattutto attraverso le storie che condividiamo con chi ci sta vicino.
Tuttavia, nelle società avanzate, mettere le storie in comune si effettua
sempre meno tramite scambi comunicativi interpersonali diretti ma sempre di più
attraverso relazioni e narrazioni mediate. Sono infatti i media che, con la loro
straordinaria capacità narrativa, producono e disseminano infinite storie, spesso
affascinanti e coinvolgenti, fornendo così risorse per interpretare la realtà e
materiale simbolico per la costruzione della propria identità. Il risultato che ne
otterremo sarà un contributo decisivo per la costruzione sociale della coscienza,
dando vita ad un universo rappresentativo e narrativo della “quasi realtà”
mediatica con cui la nostra esperienza deve fare i conti.
2
Jedlosky, “Storie comuni e le narrazioni della vita quotidiana”, 2000