2
esercitato sui nostri due scrittori. Questi, infatti, hanno deciso,
ognuno a suo modo e con motivazioni diverse, di far rivivere,
grazie alla magia letteraria, il personaggio e la sua corte.
Carpentier, addirittura, inserisce questo episodio in un
mosaico grandioso che vuole rappresentare tutta la storia della
liberazione di Haiti dal colonialismo e dallo schiavismo, la sua
Indipendenza e ciò che ad essa fa seguito fino all’anno 1820
circa.
Il tentativo di rendere visibile a tutti i lettori l’immagine
che l’autore ha dell’isola di Haiti e della sua storia come simbolo
dell’intero continente latino-americano è accompagnato e
sostenuto dall’elaborazione delle tesi sul Realismo Magico di cui
si è già parlato nel capitolo precedente e che sono contenute nel
testo intitolato De lo Real Maravilloso americano.
La tragedia di Césaire, al contrario, fu scritta ben tredici
anni dopo il romanzo e, come preciseremo, possiede finalità
completamente diverse. Essa, infatti, è stata considerata come un
“ponte tra Haiti e l’Africa”, come sostiene un autorevole studioso
di nome Clément M’bom in un articolo intitolato “La tragédie du
Roi Christophe” ou le pont entre Haïti et l’Afrique
1
, per diversi
motivi tra cui la somiglianza del re Christophe con i dittatori che
man mano si stavano impadronendo del potere in Africa
all’epoca in cui la pièce fu scritta e rappresentata.
Nonostante le intenzioni stesse dell’autore avvallino questa
lettura, la Tragédie, se messa a confronto con il romanzo di
Carpentier, rivela diversi altri significati. Uno di questi potrebbe
essere quello di costituire essa stessa una rappresentazione della
1
Cfr: Clément M’bom, « La tragédie du Roi Christophe » ou le pont entre Haïti et l’Afrique, in "Œuvres et Critiques :
revue internationale de la reception critique des œuvres littéraires de langue française", N.19(2), 1994, pp.313-335.
3
realtà magica e meravigliosa del mondo latino-americano, visto
che, secondo quanto afferma Carpentier, “la historia de América
toda”
2
è “una crónica de lo real maravilloso”
3
.
Prima di dare inizio al lavoro di analisi e confronto,
occorre fare una piccola precisazione metodologica. Lo studio
della pièce è stato condotto secondo un punto di vista
strettamente narrativo non per una mancanza di rispetto nei
confronti della natura teatrale dell’opera, bensì per il fatto che, in
vista di un confronto con un’altra opera che invece appartiene al
genere narrativo, si è ritenuto fuori luogo dedicarsi all’analisi
delle numerose reappresentazioni di cui La tragédie du Roi
Christophe è stata oggetto.
Essa, infatti, fu rappresentata in molti teatri del mondo,
oltre che a Parigi, tra cui anche quello della città di Dakar, in
Senegal. In Italia, la Tragédie fu rappresentata al Teatro La
Fenice di Venezia in occasione della Mostra Biennale dell’anno
1964. La compagnia che la mise in scena era di Salisburgo e la
regia fu curata da Jean-Marie Serreau. Dopo essere a lungo stata
rappresentata all’Odéon di Parigi, la tragedia è finalmente entrata
a far parte del repertorio della Comédie-Française nell’anno
1991.
2
De lo real maravilloso, p.118.
3
Ibid.
4
1.III UNA CARATTERISTICA COMUNE: IL RAPPORTO STRAVOLTO
CON LA REALTÀ.
Nonostante i differenti significati politici che assumono le
due figure di Henri Christophe, ciò che accomuna
indiscutibilmente i due personaggi letterari è il fatto che entrambi
vengono descritti in continua ed incessante attività. Sia nella
tragedia, sia nel romanzo, re Henri è sempre raffigurato nell’atto
di compiere un gesto, dare un ordine, spostarsi da un luogo ad un
altro, fornendo un’impressione di instancabile movimento. Come
si è già rilevato, la figua dell’”homo faber”, del padre, del
creatore, dell’edificatore e del plasmatore di uomini e di spazi è
quella che meglio corrisponde a questo sovrano.
L’indaffararsi senza sosta di Christophe ed il suo legame
con la figura creatrice, paterna o divina, rimandano senz’alcun
dubbio alla volontà del sovrano di trasformare il mondo e la
realtà, conformandoli a quelli che egli immagina nella sua mente
ricca fino all’eccesso di progetti e disegni per il futuro.
Tale ricchezza è vista da Césaire come una volontà
positiva, ordinata secondo un senso profondo, che si ricollega
agli stessi ideali dell’autore, mentre per Carpentier si tratta di un
eccesso barocco, caotico e privo di senso. L’autore cubano,
infatti, mette in evidenza l’eccesso dei progetti di Christophe, la
loro assurdità e irrealizzabilità, attribuendo alla figura del
sovrano una totale mancanza di contatto con la realtà che,
anziché rappresentare un modo intuitivo e vincente di incidere
sul mondo e sugli avvenimenti, non fa che creare sofferenza e
rabbia.
5
Quella che per Césaire è una volontà sovrumana di
plasmare il mondo secondo un ordine che si richiama ai valori
positivi della dignità del popolo nero, un desiderio di trasformare
la realtà e di realizzare i sogni che gli haitiani avevano inseguito
attraverso le guerre e le rivolte da poco concluse, per Carpentier
è solo un folle distacco dal mondo reale, una sorta di malattia
mentale che si rende palese con la perdita della ragione di cui il
sovrano è vittima a partire dell’apparizione dello spettro di
Corneille Brelle.
Ciò che resta del regno di Henri I
er
è il suo esempio
negativo e le vestigia della sua folle volontà edificatrice costituite
dalle rovine del palazzo di Sans-Souci e soprattutto della
Citadelle. Poichè queste tracce sono elementi essenziali
dell’ispirazione dello scrittore cubano nonché punti di partenza
dell’elaborazione della teoria del reale meraviglioso
latinoamericano, sembra che Carpentier consideri Henri
Christophe e la sua storia un esempio di come la magia che
invade la realtà dell’America Latina possa produrre delle
conseguenze terribili.
Da ciò, si potrebbe dedurre che, nell’amalgama magico-
realistico del romanzo, l’autore abbia voluto raffigurare in questa
terza parte una sorta di magia nera e malefica che avvelena la
vita dei popoli latinoamericani, una specie di lato oscuro,
probabilmente nell’intento di dare un quadro verosimile e
veridico di tale realtà e di evitare che le sue teorie sconfinassero
in un esotismo facile, in una magia da cartolina.
Il meraviglioso di cui egli parla non è, quindi, da intendersi
come qualcosa che ha a che vedere con le favole o con i miracoli
e non deve quindi finire per costituire un’attrattiva turistica, ma
6
deve essere inteso interamente come uno sconvolgimento totale
della realtà di cui l’uomo riesce difficilmente a non essere
vittima. È forse questo il motivo per cui Carpentier trasforma il
re Christophe in un piccolo monarca pazzo il cui regno procura
solo sofferenze al suo popolo.
Entrambe le figure letterarie di Henri I
er
vivono in un
mondo irreale e costellato di visioni, accompagnato da una
religione che essi rifiutano, ma i cui poteri magici essi non
riescono ad estirpare né dagli animi dei loro sudditi né tantomeno
da se stessi. Il loro è un rapporto stravolto con la realtà, ma nella
tragedia ciò si risolve in una serie di scene surreali, le
“microscene” di cui si è parlato nella prima parte, nel capitolo
sullo spazio, che commentano l’azione.
L’aspetto irreale della corte di Christophe fa pensare ad
una messa in scena nella messa in scena, ad un re che si finge tale
e suggerisce le riflessioni sull’identità dell’individuo che sono
state condotte nella prima parte al capitolo relativo ai personaggi
(cap.IV, par.3). Infine, Césaire da vita ad un sovrano la cui mente
è costantemente rivolta verso il futuro, impegnata in un’attività
progettuale senza sosta, un sovrano totalmente dedito alla sua
eroica missione civilizzatrice.
Per tutte queste ragioni, il fatto che il sovrano cesairiano
viva in una realtà altra rispetto a quella dei suoi sudditi è foriero
di conseguenze positive, costituisce un elemento funzionale
all’espressione del pensiero dell’autore nonché all’attribuzione di
un’importante funzione didattica alla Tragédie.
Le popolazioni che abitano le isole caraibiche, infatti,
come anche gran parte di quelle africane, ragionano secondo
schemi e criteri improntati alla magia e, come si è visto per il
7
romanzo di Carpentier, il Gran Allá è per loro un luogo parallelo
al mondo reale con il quale quest’ultimo è in continua
comunicazione.
Queste popolazioni, che sono il cosiddetto “lettore
implicito” ed il “lettore ideale”, anche se non sempre il “lettore
reale”, della tragedia, hanno sicuramente più possibilità di
intendere un messaggio espresso tenendo conto di queste loro
credenze, che non uno che ne risulti privo. La potenza del
messaggio dell’ideologo dell’anticolonialismo risiede proprio nel
fatto di essere riuscito a tradurre in letteratura ed in teatro l’anima
caraibica più profonda, nella quale alberga l’idea che la realtà sia
fondamentalmente ambigua, duplice, costituita da due sponde
che si riflettono l’una nell’altra. Tale realtà si trova, però, coesa
da un insieme di elementi di una sponda che si tramutano in
simboli e segni dell’esistenza dell’altra sponda, il mondo
spirituale dei loa o degli orishas cubani.
Agli occhi di Carpentier, invece, la mente del monarca,
anziché essere in continuo contatto con il futuro, la possibilità, il
sogno, versa nella follia e nel caos del non-senso ed in tal modo
l’autore cubano mostra come il potere possa pervertire l’animo di
chi lo detenga e lo eserciti, provocando la perdita di ogni contatto
con la realtà e divenendo un potere arbitrario, capriccioso e fine a
se stesso.
A questo proposito risulta interessante citare il parere di
uno dei pochi critici che, interessandosi alla presenza di Haiti
nella letteratura, ha condotto un brevissimo paragone tra le due
opere prese in esame in questa tesi: si tratta del tedesco Peter-
Eckhard Knabe, il quale, a differenza di quanto si è fatto
8
poc’anzi, ha rilevato la presenza nel romanzo cubano di tre
diversi piani su cui giocherebbe l’azione:
“la vérité des faits, le domaine fictif, comme par exemple Ti Noel,
qui constitue le porte-parole du narrateur, le tout étant immergé dans ce
que Alejo Carpentier défini […] comme el real maravilloso, le réel
merveilleux, un concept qui devient important pour la compréhension de
son oeuvre comme pour celle de toute la littérature d’Amérique Latine”
4
.
Il critico sostiene, quindi, che la sconfitta di Christophe sia
dovuta alla sua incapacità di conciliare i primi due livelli della
realtà, cioè quello dei fatti e quello della finzione, e di dare vita al
terzo livello, vale a dire il reale meraviglioso:
“Le roi noir n’a pas réussi à concilier les deux mondes
hétérogènes, ce qui donne à sa mort son caractère tragique”
5
.
Azzardando una sintesi, si può affermare che il racconto di
questo fallimento ha offerto, al contrario, la possibilità ai due
autori di dare vita a due mondi letterari che, pur essendo distinti,
condividono proprio la caratteristica di svolgersi su quel terzo
livello della realtà, il cui magico equilibrio il sovrano haitiano
non è riuscito a ricreare: il reale meraviglioso.
4
Peter-Eckhard Knabe, Haïti dans la littérature, in A.A.V.V., Littératures insulaires: Caraïbes et Mascareignes, Paris,
L’Harmattan, 1983, p.98.
5
Ibid.
9
1.IV CONCLUSIONI.
Dalle osservazioni sin qui condotte risulta evidente che per
l’autore della Martinica, Henri Christophe è un eroe tragico che,
rimasto solo con il suo grande progetto di civiltà e dignità,
manifesta la sua fedeltà alla missione che sente di avere anche
con il gesto estremo di togliersi la vita. Per il cubano Alejo
Carpentier, egli è un eroe negativo, dalla mente debole ed
ossessionata che si lascia pervertire dall’esercizio del potere.
Strettamente legati a queste due concezioni sono i simboli
che caratterizzano le due chiusure della parabola christophiana:
la tragedia termina con la descrizione dello stemma di Christophe
in cui si sovrappongono due immagini di rinascita e di vita
eterna, la classica Fenice ed i meno noti uccelli detti Mennonidi.
La Terza Parte del romanzo, al contrario, si chiude sull’immagine
della Citadelle vuota e muta che diviene il mausoleo del “primer
rey de Haití”, la cui avventura finisce così per soffocare nella
pietra rigida e sterile.
Nonostante tutte le differnze evidenziate sino a questo
punto, il personaggio di Henri Christophe è riuscito ad
affascinare profondamente entrambi gli autori, che lo hanno
elevato, sia in negativo sia in positivo, allo statuto di mito.
10
2.II IL TEATRO COME MOTIVO VEICOLARE DELLA QUESTIONE
DELL’IDENTITÀ.
Oltre ad essere il genere cui appartiene la Tragédie du Roi
Christophe, il teatro è un motivo unificatore delle due opere
prese in considerazione. Anche il romanzo di Carpentier, infatti,
è permeato da un’atmosfera teatrale non indifferente. Nella
seconda parte di questa tesi si è osservata la somiglianza dei
capitoli del romanzo con l’andamento delle scene teatrali, per la
loro singolare brevità e, nello stesso tempo, completezza. Il
critico Paul Verdevoye, tra l’altro, afferma:
“Carpentier a par ailleurs le goût du spectacle. Le Royaume de ce
monde, outre l’épigraphe tirée d’une comedia de Lope de Vega ou la
présence d’une actrice, trahit une évidente complaisance à la description
des costumes, des palais”
6
.
Il fatto che l’autore cubano si compiaccia particolarmente
nelle descrizioni è, come si è osservato riguardo lo stile del
romanzo, una caratteristica peculiare del suo modo di scrivere,
come risulta anche evidente dalla lettura di altre opere
dell’autore. Si è addirittura affermato che l’eccessiva ricchezza
delle descrizioni aggiunge una nota barocca ad uno stile già di
per sé carico di immagini e simboli.
Va inoltre sottolineato che l’ispirazione di Carpentier ha
preso spunto dalla visione delle rovine della Citadelle la Ferrière
e del palazzo di Sans-Souci, due luoghi che egli ha subito sentito
il bisogno di ricostruire e riprodurre, tramite il mezzo della
letteratura, così com’erano ai tempi in cui era vivo il monarca
che ne aveva voluta la costruzione. La terza parte del romanzo è,
6
Paul Verdevoye, op.cit., p.161.
11
infatti, una rappresentazione, al contempo verosimile ed
inverosimile, di come doveva essere il regno di Henri Christophe,
la sua corte, la vita del monarca, i suoi sudditi e tutto il resto.
Sembra, a questo punto, che lo stesso episodio della storia
reale si sia caratterizzato per una forte tendenza alla
teatralizzazione. Le prove di ciò potrebbero risiedere nel fatto
che ad esempio due opere che espongono tale episodio
manifestano con forza questa tendenza. Si è anche già rilevato
come la religione vodù sia fondata su riti di possessione in cui le
dinamiche teatrali regolano i rapporti tra iniziati, sacerdoti e
spiriti divini.
L’elemento teatrale più importante, tuttavia, che il regno di
Christophe presentò risiedette proprio nel fatto che il monarca
volle che Haiti fosse l’esatta copia di una nazione occidentale e
che ne riproducesse ad ogni costo le caratteristiche. Per questo,
creò dei nobili e dei dignitari, li vestì con abiti occidentali, che
peraltro erano da tempo passati di moda in Francia, ed impose
loro una religione estranea. Per costruire tutto questo, gli fu
necessario, inoltre, imporre il lavoro forzato ai propri sudditi
commettendo una serie infinita di ingiustizie nei confronti di
questi ultimi.
Nessuna nazione, però, dopo la Rivoluzione Francese,
avrebbe più potuto sostenersi su di un simile sistema
antilibertario e rigidamente gerarchizzato, come si vedrà anche in
Europa con il fallimento della Restaurazione, tanto meno una
nazione in cui esso non solo era completamente estraneo, ma vi
aveva anche giocato il ruolo di conquistatore violento.
La scelta di una monarchia all’occidentale fu per Henri una
sorta di tentativo di sostituirsi alla Francia che, fino
12
all’Indipendenza, aveva rivestito ad Haiti il ruolo paterno di
guida imposta e di esempio da imitare obbligatoriamente.
All’epoca della colonia, infatti, la produzione letteraria e
tutti gli altri aspetti della vita civile, dalla moda alla musica, dalle
buone maniere al pensiero politico, quanto più riproducevano i
modelli della madrepatria tanto più risultavano graditi e venivano
accettati nell’ambito delle classi privilegiate.
Persino le immagini esotizzanti e false che avevano gli
abitanti di Parigi dei paesi caraibici venivano accettate e
riutilizzate in quegli stessi luoghi.
Come si vede, il problema dell’imitazione di modelli
estranei era ed è di grande attualità nelle Antille e così pure ad
Haiti, dove la monarchia di Christophe diviene il simbolo di
questa realtà di alienazione prodotta dal sistema coloniale.
L’insicurezza relativa ad un’identità specifica del popolo
caraibico, infatti, si manifesta proprio nel momento in cui, finite
le guerre di liberazione dal paese colonizzatore e scomparsa la
presenza oppressiva di quest’ultimo, occorre ricostruire dei paesi
con tutte le loro strutture economiche, politiche e culturali.
In verità, non si tratta di una vera e propria mancanza
d’identità culturale nel popolo haitiano, il che non avrebbe senso
sostenere dopo aver conosciuto tanti aspetti di quella che è la
cultura haitiana grazie anche all’analisi letteraria condotta sin
qui. Questo popolo, più propriamente, manifesta una debole
coscienza collettiva e nazionale che fatica a liberarsi da
condizionamenti atavici. È evidente che tale coscienza collettiva
sta ancor oggi combattendo una lotta senza quartiere contro
vecchi e nuovi modelli imposti con la forza, tra cui, negli ultimi
anni, l’etichetta di paese sottosviluppato con cui le nazioni più
13
potenti usano definire la delicatissima situazione di Haiti e di
tutti gli altri stati che sono nelle sue stesse condizioni.
Dall’immagine di isola africana nel mar caraibico,
popolata da esseri d’intelligenza inferiore e dalle possibilità
limitate nonché infestata da riti selvaggi, a quella di paese
inevitabilmente arretrato perché dotato di scarsissimo sviluppo
economico, cioè di paese povero, la strada è breve anche se ci
sono voluti molti anni per percorrerla.
Purtroppo, anche se tra gli intellettuali il dibattito
sull’identità haitiana è vivo e acceso, negli altri strati della
società il popolo haitiano è ancora lungi da “naître à soi même”.
Per concludere il discorso sulla ricerca di un’identità
haitiana, è opportuno evidenziare come questo tema rivesta
grandissima importanza in entrambe le opere e le accomuni.
Nella tragedia, infatti, il passo che meglio esemplifica la presenza
e l’importanza di questo tema è quello che riporta la “Romance
d’Ourika” alla seconda scena dell’atto secondo, mentre,
all’interno della terza parte del romanzo, il capitolo II si conclude
con un quadretto dal significato piuttosto palese:
“En el atardecer el palacio parecía más rosado que antes. Junto a
un busto de Paulina Bonaparte, que había adornado antaño su casa del
Cabo, las princesitas Atenais y Amatista, vestidas de raso alamarado,
jugaban al volante. Un poco más lejos, el capellán de la reina –único de
semblante claro en el cuadro– leía las Vidas Paralelas de Plutarco al
príncipe heredero, bajo la mirada complacida de Henri Christophe, que
paseaba, seguido de sus ministros, por los jardines de la reina. De paso,
Su Majestad agarraba distraídamente una rosa blanca, recién abierta
sobre los bojes que perfilaban una corona y un ave fénix al pie de las
alegorías de mármol”
7
.
Il passo descrive, attraverso una ben nutrita serie di
elementi e simboli, fino a che punto il regno di Henri I
er
volle
7
Reino, p.91.
14
assomigliare a quello di un Re Sole o di altri grandi monarchi
europei. Persino la quotidiana vita famigliare è imperniata su di
uno stile completamente estraneo ed importato. I simboli di
questo stile di vita alienato sono innanzitutto la presenza del
busto di Paolina Bonaparte, nobildonna bianca nonché sorella
dell’Imperatore Napoleone, il gioco del volano cui si dedicano le
due principessine. Subito dopo troviamo il cappellano della
regina che, seguendo un metodo educativo tipicamente
rinascimentale, legge al principe ereditario un capolavoro della
letteratura storica dell’antica Grecia quale le Vite Parallele di
Plutarco, sin dal Cinquecento considerato una delle opere più
indicate per l’educazione dei governanti, i quali potevano trarre
profitto dalla dovizia degli esempi che in essa sono contenuti. Lo
stesso fiore che il re strappa per assaporarne il profumo, in questo
momento di quiete “all’occidentale”, è un simbolo di regalità
europea: si tratta infatti di una rosa, uno dei più graziosi fiori che
la terra del Vecchio Continente sia in grado di produrre, e
pergiunta bianca, colore topico della cultura cattolica, segno di
purezza, nonché colore della pelle dei colonizzatori. Per finire, la
presenza della figura dell’uccello mitico chiamato Fenice, oltre a
sottolineare ancora una volta l’utilizzo imitativo dei simboli
regali occidentali, costituisce uno dei tanti punti di contatto
dell’opera dello scrittore cubano con la tragedia di Césaire che,
come si è già osservato, colloca nello stemma del re haitiano
proprio uno di questi uccelli mitologici.
L’attribuzione di una stessa importanza a questo tema può
essere considerata come la metafora del fatto che il problema
dell’identità nazionale unifica ed avvicina tutti i paesi che
sorgono sulle isole caraibiche e non solo, chiarendo, tra l’altro, in
15
che modo sia stato possibile a due autori non haitiani scrivere dei
testi letterari che parlino di questo paese e lo facciano in maniera
così approfondita e partecipe.