Capitolo primo – I cambiamenti nella pubblicità con il web 2.0
1. Premessa È ormai un'opinione diffusa che la pubblicità stia morendo, anche se in realtà sarebbe più
corretto dire che siamo arrivati alla fine della pubblicità come l'abbiamo sempre conosciuta 1
.
Uno studio effettuato da IBM proprio su questo argomento prevede che i prossimi cinque anni
cambieranno l'industria dell' advertising più di quanto i precedenti cinquant'anni abbiano fatto.
Non c'è dubbio che il futuro della pubblicità sarà radicalmente diverso dal suo passato. Nel
futuro paradigma non conta quante persone hanno visto o ascoltato il messaggio pubblicitario,
ma conta se il target presta attenzione e risponde. Secondo il guru del management Philip
Kotler 2
le aziende hanno bisogno di dialogare con il cliente attraverso le nuove tecnologie,
facendolo partecipare all'evoluzione del brand e costruendo con lui un rapporto di fiducia a
lungo termine. Questo può avvenire solamente tenendo presenti tre elementi fondamentali
per il nuovo modo di fare advertising : innovazione, co-creazione e condivisione.
Il modello classico detto interrupt and repeat non è più efficace al giorno d'oggi. La
comunicazione attraverso canali monodirezionali e di massa non riesce più a coinvolgere il
consumatore e a influenzare le sue scelte, per questo c'è bisogno di innovazione.
Come ha teorizzato Giuliano Noci 3
durante il convegno “La pubblicità è servita” svoltosi a
Milano il 17 giugno 2009, stiamo vivendo una sorta di mediamorfosi che corrisponde a un
ammutinamento dei media tradizionali in favore dei nuovi canali ( internet a banda larga, video-
on-demand , telefoni mobili) sui quali i consumatori passano sempre più tempo. Il fattore
positivo di questi canali per i consumatori riguarda la loro interattività a cui consegue la
possibilità di controllo del messaggio: il consumatore può scegliere quando, dove e come
ascoltare il messaggio.
Il consumatore è perciò diventato “multicanale” e quindi molto più difficile da raggiungere. La
pubblicità ha quindi bisogno di trasformarsi in formati innovativi e utilizzare nuovi canali, in
modo da offrire valori più intrinseci ai consumatori e catturare una parte importante
dell'attenzione frammentata dell'audience.
1 Berman,S.J., Battino,B., Shipnuck,L, Neus,A. (2007) - The end of advertising as we know it, IBM Global Services, NY
2 Philip Kotler, S.C. Johnson & Son Distinguished Professor of International Marketing, Kellogg School of
Management.
3 Giuliano Noci è un professore o rdinario di marketing al Politecnico di Milano.
2
2. Co-creazione Da sempre la creatività del consumatore è stata ignorata nel mondo della produzione, dato che
tutto il processo creativo e di innovazione è sempre stato delegato all'impresa. Essa però ha un
grande potenziale e la cooperazione creativa tra azienda e consumatore può dare un reale
vantaggio competitivo all'impresa stessa.
Nella fase iniziale di Internet, il cosiddetto web 1.0, il navigatore era sostanzialmente passivo e
aveva la possibilità di fare surfing tra contenuti prodotti da altri e non poteva crearne di propri.
La fase successiva, il web 2.0, è caratterizzata da un alto livello di interazione sito-utente e
permette al navigatore di generare propri contributi, i cosiddetti user generated contents
(UGC), condividerli e discuterne con gli altri utenti. La condivisione e la partecipazione sono
fondamentali in questa fase. Questa nuova era fornisce applicativi che permettono di sfruttare
le potenzialità della rete per far partecipare attivamente gli utenti connessi alla creazione di
contenuti o collaborando alla loro costruzione.
Come lo stesso Kotler afferma, il marketing oggi è più conversazione che promozione;
un'azienda deve essere capace di aprirsi verso l'esterno e sfruttare l'occasione di co-creare
insieme al consumatore. Solo in questo modo è possibile ottenere beni e prodotti realmente
rispondenti alle esigenze dell'utenza. Il consumatore non è più passivo e manipolato dalle
aziende attraverso la pubblicità, ma si sta trasformando in un prosumer 4
unendo in sé il ruolo di
produttore e consumatore.
Perché il messaggio pubblicitario funzioni è necessario che le aziende generino attenzione
instaurando un circolo virtuoso di coinvolgimento, condivisione e azione. La catena del valore
dei contenuti cambia nel momento in cui il consumatore inizia a svolgere il ruolo di distributore
di contenuti. Non esiste più un rapporto gerarchico e asimmetrico tra produttore e
consumatore, e per sfruttare le potenzialità della co-creazione un'azienda deve essere in grado
di comunicare con i suoi consumatori che ormai si trovano a un livello di parità. Viene a crearsi
quindi una relazione tra peers che avviene in rete attraverso i social media (community, social
network, forum, blog, podcast, youtube, flickr, ecc.). Allo stesso tempo le aziende cercano di
influenzare le decisioni di acquisto e di creare una comunità legata al proprio settore di
business per mezzo di un collegamento spontaneo, facendo in modo che i consumatori stessi
partecipino al brand builiding.
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4 Neologismo portato per la prima volta in Italia da Giampaolo Fabris. Nasce dall'inglese unendo i termini
producer e consumer 5 Il brand building è la creazione di un marchio immediatamente riconoscibile dai consumatori e che fornisca
all'impresa una visibilità immediata all'interno della rete.
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Rispetto a un processo tradizionale di creazione di tipo top-down che parte dall'alto delle
azienda e arriva al basso a tutti i consumatori, si ha un ribaltamento passando a un processo
bottom-up che descrive la nuova direzione dei flussi di creazione. Le nuove modalità di
creazione dei prodotti partono dalla collaborazione con i consumatori ripercorrendo tutta la
filiera, sia per quanto riguarda progettazione e distribuzione, che marketing e comunicazione.
Lo studio di IBM
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precedentemente citato mostra quanto sia importante il fattore della
creatività nel cambiamento della pubblicità. Si hanno nuovi input creativi formati da diversi
soggetti, a partire dai consumatori fino ad arrivare a semi-professionisti e amatori, che creano i
propri UGC abbassando i costi della pubblicità. Una pubblicità creata dal consumatore non avrà
l'apparenza di qualcosa costruito dalle agenzie e verrà studiata insieme ai brand stessi. In
questo modo verrebbe evitato l'intermediario dell'agenzia, abbassando i costi di produzione a
prezzi ragionevoli e creando campagne di marketing strategiche e innovative che vanno al di là
dei formati tradizionali di pubblicità.
6 Berman,S.J., Battino,B., Shipnuck,L, Neus,A. (2007) - The end of advertising as we know it, IBM Global Services, NY
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3. Condivisione attraverso il crowdsourcing Il neologismo crowdsourcing è stato creato da Jeff Howe 7
dalla fusione dei termini crowd (folla)
e outsourcing (esternalizzazione). Si ha un outsourcing , un approvvigionamento dall'esterno,
che avviene sotto forma di una open call verso tutti gli utenti che sono interessati a un progetto
per i motivi più diversi. In sostanza, si tratta di un nuovo modello di business nel quale
un'azienda richiede lo sviluppo di un progetto, di un servizio o di un prodotto, non all'agente
normalmente designato a questo scopo, bensì a un insieme distribuito di persone non già
organizzate in un team e lo fa sfruttando gli strumenti web.
Il crowdsourcing pone le sue basi su un principio egualitario, ovvero che ogni individuo
possiede una conoscenza o un talento che un altro individuo può trovare prezioso.
Esternalizzare un problema verso una folla è come rivolgersi a un'intelligenza collettiva,
formata da tante piccole parti non omogenee, che proprio per la loro diversità sono in grado di
risolvere quel problema. L'intelligenza collettiva è considerata migliore di quella individuale o
comunque di quella di pochi.
Internet dà nuova importanza all'intelligenza collettiva perché ha la potenzialità di tessere una
massa di soggetti insieme in un organismo infinitamente potente. La tecnologia incoraggia i
livelli di collaborazione e gli scambi tra persone con ogni background immaginabile e
provenienti da ogni parte del mondo.
Questo innovativo modello di business si basa sul presupposto che tutti siano dei creatori e
promette di dare libero sfogo al potenziale latente di ogni individuo esplorando nuove vie di
espressione creativa. Si viene a creare una sorta di meritocrazia perfetta, dato che dietro lo
schermo del computer si celano le identità dei soggetti e resta solo la qualità del lavoro stesso.
Ovviamente le aziende che utilizzano il crowdsourcing non devono vedere l'intelligenza
collettiva come una forza lavoro al proprio servizio. Molto spesso questi progetti hanno una
ricompensa molto bassa o addirittura nulla, ma la folla lavora anche in assenza di una
ricompensa monetaria e lo fa per le motivazioni più disparate: per il desiderio di creare
qualcosa di cui la community benefici, per la gioia di praticare un lavoro in cui si eccelle, per il
piacere di coltivare i propri talenti o per trasmettere ciò che si è imparato ad altri. La vera
ricompensa per chi partecipa al crowdsourcing è la collaborazione e la condivisione.
7 Jeff Howe è uno scrittore e editore della rivista Wired . Ha coniato il termine crowdsourcing e pubblicato un libro
su questo fenomeno nel settembre 2008.
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