2
Le mura anche definite “della paura”, poiché fatte edificare rapidamente da Aureliano nel 271
per l‟improvviso arrivo dei barbari, andarono a cingere una Roma priva di qualsiasi opera difensiva,
data l‟obsolescenza del precedente recinto serviano.
La loro unicità era data dal fatto che all‟interno dell‟impero le città fortificate erano molto rare;
inoltre il grado tecnico raggiunto grazie agli Aureliani (coloro che contribuirono appunto
all‟edificazione della cinta), venne equiparato solo nel V secolo dalla fortificazione di
Costantinopoli.
Nate quindi con un ruolo strettamente militare, queste hanno cambiato aspetto nel corso del
tempo in base alle esigenze difensive e di attacco nei riguardi di quei popoli che cercarono di
conquistare Roma, adeguandosi alle più moderne tecniche dell‟architettura militare in vigore nei
vari secoli.
Cambiarono di conseguenza anche i “proprietari” che le ristrutturarono, modificarono e le
restaurarono per consentire il proseguimento della loro primaria funzione. Con alti e bassi quindi il
recinto continu ad avere una sua importanza militare.
Il primo grande cambiamento, subito dopo la prima edificazione, fu la sopraelevazione di
Onorio (401-403) che rispecchia in parte l‟aspetto attuale delle mura soprattutto dal punto di vista
dell‟altezza, che venne raddoppiata rispetto all‟originale. Naturalmente il lavoro di Onorio non fu
solo quello di aumentarne la verticalità ma anche quello di restaurarne il circuito e le porte.
Con il passare del tempo le mura continuarono ad avere lo scopo difensivo di sempre, ma con
l‟arrivo dei Longobardi avvenne una nuova svolta: il Papato per la prima volta cominciò ad
occuparsi del loro restauro. Quella che si realizzò fu un‟innovazione storica ma soprattutto di tipo
tecnico che port la Chiesa a commissionare vari interventi costruttivi o semplicemente di ripristino
di alcuni tratti della cinta (riconoscibili grazie agli stemmi dei pontefici).
Nel periodo che va dall‟X all‟XI secolo il normale nesso logico che portava a collegare il
concetto di mura con quello di struttura difensiva cade per effetto del processo di militarizzazione
dello spazio urbano, tanto che si pu parlare di un processo di spersonalizzazione delle mura. Si
assiste infatti ad una loro temporanea perdita di funzione, poichØ sempre pi frequentemente i
conflitti avvenivano all‟interno della città. Le mura furono quindi sostituite da un altro elemento
difensivo come le torri, simbolo del potere delle famiglie romane ed allestite solo ed esclusivamente
per interesse privato.
Nell‟arco di tempo in cui il Papato mantenne la potestà sul circuito vi fu una breve sospensione
che port il Senato medievale ad occuparsi de lla sua manutenzione ed avvenne quindi un passaggio
di “proprietà” con cui lo stesso Senato ottenne la gestione di molti beni della Chiesa, tra cui appunto
le mura.
3
L‟evolversi dell‟arte militare rinascimentale e il conseguente progresso delle nuove armi
neurobalistiche, portarono la cinta ad assumere una nuova veste caratterizzata da elementi strutturali
difensivi come i pi significativi bastioni.
A realizzare questi interventi furono chiamati illustri personaggi che, su commissione dei vari
pontefici che si susseguirono nel corso dei secoli come responsabili della loro manutenzione,
attuarono vaste trasformazioni anche sulle porte, traducendole in veri e propri accessi monumentali.
Gli interventi non finirono per? qui, non ci fu infatti capo della Chies a che non apport?
abbellimenti o restauri dell‟antica cinta sottraendola in parte alle incurie del tempo dando seguito ad
un processo già realizzato al tempo di papa Niccol V, quando uno spirito umanista, caratterizzato
da un vero e proprio culto dell‟antico, diede il via al primo restauro moderno di tale complesso.
È per al tempo di Roma Capitale che ci fu il vero e pi significativo cambio di funzione delle
mura: dall‟originale destinazione militare queste passarono ad essere considerate monumento
archeologico, anche se non completamente perchØ non era ancora presente, nella mentalità di allora,
uno spirito di conservazione e valorizzazione del monumento in quanto tale.
Il passaggio di consegna nella giurisdizione delle mura, fino ad allora di pertinenza imperiale,
pontificia e comunale port in questo periodo, e pi nello specifico a partire dal 1870, ad una
alternanza di interventi strutturali e periodi di stasi dovuti a lunghe controversie e confusioni sulle
effettive competenze fra Comune, Intendenza di Finanzia e Ministero delle Finanze.
Come un abito molto stretto le mura, considerate per alcuni versi d‟intralcio all‟estensione della
città, vennero anche distrutte per far posto a nuovi edifici e strade, trasformando una città che per
secoli visse all‟interno del circuito e da questo cercò sempre difesa, riparo e protezione.
Si potrebbe parlare di una vera e propria “rivoluzione copernicana” che ha inciso non solo
sull‟urbanistica ma anche sulla cultura dell‟epoca.
I vasti interventi voluti dal nuovo Governo Piemontese, necessari a modernizzare la nuova
capitale d‟Italia, portarono infatti non solo ad operare sulle diverse direttici e quindi, come detto, a
far integrare le mura con il nuovo tessuto urbano, ma modificarono anche il modo di percepire
l‟oggetto “monumento”.
Man mano infatti che si inizi a capire la vera importanza di questa architettura, aument?
l‟interesse nei suoi confronti ed iniziarono fortunatamente i primi veri interventi conservativi e di
salvaguardia che assicurarono ancora di pi il proseguimento della sua lunga vita.
Nonostante questo spirito conservativo abbia portato oggi a rivalutare le mura aureliane, anche
attraverso l‟apertura, presso porta San Sebastiano, del museo delle mura e nonostante queste
costituiscano uno dei pi g randi reperti archeologici dell‟antichità romana, la loro valorizzazione
4
non sembra essere quella che queste meriterebbero, forse perchØ ancora si preferisce indirizzare
l‟attenzione su altri più famosi e, forse, più “fruttuosi” monumenti.
Le mura infatti come evidenzia Cozza (1983) sono viste ancora come […] un‟anziana signora
cui si deve rispetto per le rughe e le macchie sulla pelle ma il cui male profondo, ormai in uno
stadio avanzato, non si sospetta nemmeno […].
Nel quadro della valorizzazione del patrimonio storico e dell‟immagine di Roma appare dunque
prioritario occuparsi in modo efficace della loro “salute” e quindi di ridurre al minimo lo stato di
degrado di alcuni tratti in modo tale che questo monumento riacquisti la dignità e la valorizzazione
che sicuramente gli spetta.
La seconda parte della tesi ? incentrata invece sulle fonti e sulla storia degli studi che risultano
alquanto scarne, indice della scarsa attenzione e considerazione verso le mura. Naturalmente si
considera scarno l‟apporto degli studi solamente in relazione al valore archeologico e storico di un
cos? importante monumento che non ha ricevuto la giusta attenzione.
Solo nell‟Ottocento Antonio Nibby ha dato il via ad un lavoro di analisi più o meno scientifica sulle
mura aureliane, accorgendosi anch‟egli che […] solo le mura della Città Eterna, o per dimenticanza,
o perché reputate men degne, restarono fino ad ora neglette […]. Questa frase può essere
considerata riassuntiva della situazione dello stato degli studi riguardanti le mura aureliane.
Vi sono fortunatamente delle eccezioni che per si contano sulla punta delle dita.
La prima, che risale alla prima metà degli anni ‟30, è rappresentata da Ian Archibald Richmond
che affrontò un lavoro sull‟evoluzione della struttura architettonica delle mura dal tempo di
Aureliano fino all‟arrivo di Narsete nel 552. Ricerca dettagliata anche se incentrata solo sulle fasi
iniziali del circuito e che pu essere vista come un ottimo punto di partenza per lo studio delle
mura.
La seconda riguarda Lucos Cozza che ha svolto e svolge tutt‟ora, un minuzioso lavoro di ricerca
sui vari tratti delle mura analizzandole scientificamente attraverso fonti e documenti iconografici.
Lavoro certamente pi completo e approfondito di quello di Richmond, dal mo mento che il recinto
viene analiticamente indagato in tutte le sue fasi di vita e quindi lo si pu reputare come un vero e
proprio caposaldo.
La terza ? rappresentata da Robert Coates Stephens che nei suoi studi incentrati
sull‟altomedioevo, ha saputo per primo riconoscere le vere fasi altomedievali della struttura
difensiva che fino ad allora venivano interpretate, erroneamente, come restauri di Belisario.
Un altro importante lavoro ? quello recente di Rossana Mancini, che ha affrontato uno studio
attento dello sviluppo storico-archeologico dell‟intero complesso delle mura aureliane con
5
l‟aggiunta di un‟ “atlante cronologico” grafico che permette di leggere, anche se in modo generale,
gli interventi sulle mura.
Il terzo capitolo, che costituisce il “focus” del presente lavoro, ha riguardato esclusivamente il
settore da porta San Sebastiano fino alla posterula Ardeatina.
Come esplicitato nel titolo, l‟attenzione primaria vuole essere rivolta alle tecniche costruttive
murarie messe in atto dalle varie maestranze dei cantieri costruttivi e di restauro che si sono
succeduti nel corso del tempo e che hanno così contribuito a creare l‟ossatura di questo manufatto
architettonico.
Il lavoro sul campo ? stato impostato attenendosi ad uno dei maggiori conoscitori dell e mura
aureliane: Lucos Cozza, in questa ottica, si ? deciso di partire da porta San Sebastiano percorrendo i
camminamenti e le torri fino a raggiungere la posterula Ardeatina. Naturalmente l‟analisi
fisionomica ? stata attuata solo sul fronte esterno perc h? questo ?, rispetto alla sua controparte,
quello maggiormente coinvolto e compromesso da attacchi di varia natura ed inoltre per la sua
inaccessibilità in quanto proprietà privata.
Si ? cercato quindi di estrapolare dai dati raccolti una stratigrafia del la vita delle mura e di
analizzare attraverso la compilazione di schede US i diversi brani murari, individuati con
l‟osservazione diretta del monumento architettonico.
Le caratteristiche dei vari campioni murari sono state sinteticamente raccolte nelle schede
predisposte a raccogliere i dati e le descrizioni della singola muratura. Tale operazione ? servita per
determinare quale tecnica costruttiva ? stata impiegata nelle singole torri e camminamenti,
rilevando quindi il processo formativo del complesso.
Per ci che riguarda la compilazione delle schede US, il lavoro ? stato impostato in modo tale
che, queste ultime sono state redatte esaminando l‟intero brano murario, prima in maniera
macroscopica e poi, se possibile, cio? soltanto laddove la cortina era fisicamente accessibile, in
maniera pi dettagliata, rilevando e compilando i vari lemmi delle US, relativamente a variabili
quali: dimensione, qualità della malta, etc.
Per agevolare la consultazione delle 195 schede US prodotte, queste sono state raggruppate
nell‟Appendice 1. Inoltre nell‟Appendice 2 sono state raccolte le piante del tratto ( in scala 1:2000,
1:500 e 1:100), realizzate dallo Studio Di Grazia negli anni 1983 e 1987, su commissione del
Comune di Roma.
6
Capitolo I
STORIA, TECNICHE E RESTAURI DEL CIRCUITO DI AURELIANO
1.1 L’artefice delle mura: Aureliano
Aureliano (Lucius Domitius Aurelianus 270-275) si rivestì di porpora imperiale nell‟anno 270
per acclamazione da parte delle truppe pannoniche.
La decisione di costruire una nuova cinta di mura, per proteggere Roma dall‟arrivo dei barbari,
fu dettata da vari fattori tra cui: l‟espansione della città, per cui le mura di Servio Tullio erano ormai
diventate insufficienti a contenerla e la debolezza militare dell‟impero che non era più in grado di
proteggere i suoi confini, mutando cos? la strategia offensiva romana in strategia difensiva.
Il pericolo era talmente grave ed imminente che alla morte di Aureliano nel 275, le mura erano
già quasi del tutto completate.
All‟interno dell‟impero erano rare le città fortificate, ma gradatamente, subito dopo la morte
dell‟imperatore, le città si cinsero di mura oppure ripristinarono quelle cadute; tra le prime città
ricordiamo: Autun e Dijon in Gallia, Nicea in Asia Minore, Aquileia e Verona in Italia1.
La prima testimonianza sulla costruzione delle mura è rappresentata dall‟Historia Augusta di
Flavio Vopisco, biografo imperiale di Aureliano, il cui testo così recita: “ […] poco dopo,
Aureliano, rendendosi conto che poteva sempre ripetersi quello che era successo ai tempi di
Gallieno, d‟accordo con il Senato fece ampliare la cerchia delle mura di Roma […] ”2.
Sappiamo infatti che all‟epoca dell‟imperatore Gallieno (260-268), alcune trib? germaniche,
Alemanni e Goti, riuscirono a penetrare in Italia, arrivando fino all‟Appennino e costringendo
l‟imperatore a ricorrere alla costruzione di un nuovo sistema di fortificazione.
Altra fonte ? rappresentata dallo storico Zosimo che, nel 412, scrisse che la cinta fu in seguito
portata a termine dall‟imperatore Probo (276-282), sostenendo anche che: “ […] Roma allora fu per
la prima volta cinta di mura per l‟innanzi essendone priva […] ”3.
Quindi si deve intendere che la città, essendosi allargata anche oltre le mura di Servio Tullio, era
da considerare priva di difesa.
1
Cassanelli, Delfini, Fonti 1989, p. 51
2
Hist. Aug., Aurel., 21, 9.
3
Zosimo, I cap. XLIX.
7
1.1.1 La fase di progettazione al tempo di Aureliano
Strategia militare, risorse finanziarie e velocità nell‟esecuzione: questi furono i tre principi che
Aureliano segu? nella costruzione del tracciato (anno 271 4).
Tracciato che andrà quasi a coincidere con la cinta daziaria di età flavia e con il pomerio. Tale
confine religioso venne ampliato da Aureliano dopo le vittorie su Palmira ed i Germani, secondo la
tradizione romana che consentiva un allargamento del pomerio solo dopo aver ampliato i confini
dell‟impero5.
L‟imperatore, visti i non facili rapporti con il Senato dopo i provvedimenti presi in campo
monetario6 ed al fine di evitare di chiedere l‟approvazione dello stesso all‟utilizzo di denaro
pubblico necessario alle espropriazioni, decise di costruire prevalentemente su aree del demanio
imperiale7 ed in questo spazio intrapomeriale edificò circa un terzo dell‟intera cinta8. Per quanto
concerne le aree espropriate, Lanciani calcol una superficie approssimativa di 357.912 mq 9.
Non essendo strategicamente corretto, in caso di assedio, lasciare al nemico la disponibilità di
edifici nei pressi delle mura, si scelse di inglobare tutte le costruzioni a ridosso della cinta10; scelta
fatta anche per contenere i costi di realizzazione.
Furono incorporati il Castro Pretorio, il Mausoleo di Caio Cestio, l‟anfiteatro Castrense, del
quale vennero tamponate le arcate, ed il Mausoleo di Adriano che, da questo momento in poi,
cambiarono la loro destinazione d‟uso.
Allo stesso modo vennero annessi al perimetro gli acquedotti (Claudio – Anio Novus – Marcia –
Tepula – Julia)11 ed il Tevere che costituiva di per sØ un eccellente sistema difensivo e, in caso di
assedio, un‟ottima fonte di rifornimento idrico. Si è calcolato che circa un decimo delle mura siano
state costruite, a protezione degli abitati posti su entrambe le rive del Tevere, utilizzando edifici o
strutture preesistenti12.
Lanciani riporta un singolare esempio circa la fretta nella costruzione del circuito: negli anni
1882 e 1884 nella cortina nei pressi di porta San Lorenzo, per l‟apertura di Viale del Camposanto,
4
Pisani Sartorio 1996, p. 290.
5
Pisani Sartorio 1996, p. 293.
6
Aureliano fece battere una moneta di valore intrinseco superiore alla precedente, ma di uguale valore nominale
ed inoltre, emettendo nuovi radiati sul mercato, sperò di ridurre i prezzi, ma malgrado questo, l‟inflazione non fu
superata.
7
Cambedda, Ceccherelli 1990, p. 9.
8
Cassanelli, Delfini, Fonti 1989, p.36.
9
Lanciani 1892, pp. 88 – 89.
10
Richmond 1930, p. 11.
11
Pisani Sartorio 1996, p. 294.
12
Coarelli 2006, p. 21.
8
venne alla luce un tratto di parete (28 metri) appartenete ad un ninfeo o giardino con ancora annesse
le statue originali, protette solo da terra pigiata13.
Le mura aureliane non circoscrivono appieno le quattordici regioni augustee, in quanto la prima,
la quinta, la sesta, la settima e la quattordicesima14 risultano tagliate in due dal tracciato e la cinta
non segue neanche l‟andamento del fiume che viene ad essere oltrepassato in due punti: Gianicolo e
Mausoleo di Adriano15.
La forma del circuito murario risulta inoltre vincolata dalla rete stradale esistente e pertanto non
segue un clichØ geometrico predisposto, come accade invece per Digione (la seconda città cinta da
Aureliano); in realtà, osservando una pianta di Roma ? visibile una forma geometrica di stella a
sette punte16.
Le quattro grandi porte: Flaminia-Appia e Ostiense-Portuense, avrebbero dovuto rappresentare le
quattro direttrici dello spazio che Roma non aveva mai avuto: il cardo ed il decumano.
Un‟interpretazione simbolica della cinta ci viene proposta da Fagiolo e da Madonna, i quali
vedono nel recinto di Aureliano la fusione di due figure: la stella a sette punte e l‟aquila. La prima
rientrerebbe nell‟ideologia di Roma come “Città del Sole” e nella personificazione dell‟imperatore
nel “Sol Invictus” (Aureliano aveva edificato il tempio del Sol Invictus Dominus Imperii Romani);
mente la seconda era una tipica effige imperiale17.
Per quanto riguarda l‟estensione delle mura, Aureliano, secondo Nibby18, avrebbe fatto erigere
un tracciato lungo cinquanta miglia, che equivarrebbero a settantaquattro chilometri circa, un
tracciato molto pi ampio rispetto a quello che oggi si calcola.
L‟ipotesi di Nibby si basa fondamentalmente sulla fonte Flavio Vopisco, che scriveva:
“[…] muros urbis Romae sic ampliavit, ut quinquaginta prope milia murorum eius ambitus
teneant […] ”19.
Successivamente Stefano Piale20, ristudiando il testo di Vopisco, ipotizz un errore dovuto alle
successive trascrizioni ed interpretò il “[…] quinquaginta prope milia […]” come “[…]
quinquaginta prope milia pedum […]”, cambiando notevolmente il senso della frase e quindi della
lunghezza del tratto in cinquantamila piedi. Calcolando che un piede equivale a 29, 64 centimetri, il
13
Lanciani 1892, pp. 104 – 105.
14
Pisani Sartorio 1996, p. 293.
15
Cozza 1965, p. 798.
16
Pisani Sartorio 1892, p. 293.
17
Fagiolo, Madonna 1972, p. 395.
18
Nibby 1820.
19
Hist. Aug., Aurel., cap. XXXIX.
20
Piale, 1833.
9
tratto andrebbe infatti a misurare 14, 8 chilometri, avvicinandosi ai 18, 837 chilometri effettivi,
proposti da Rodolfo Lanciani21.
Si scelse di realizzare una struttura non molto alta, circa ventisei piedi (da 7, 80 a 8 ed in alcuni
casi fino a 10 metri) ma di un certo spessore, dodici-quattordici piedi (da 3, 5 a 4 metri)22 in modo
da poter reggere l‟offensiva barbarica priva di macchine d‟assedio23.
1.1.2 Aureliano: la fase realizzativa
Con la morte del marito Odenato, Zenobia, divenuta reggente del regno di Palmira (Siria),
iniziò ad avere mire espansionistiche. Occupando l‟Egitto e proclamando la sua indipendenza da
Roma costrinse di fatto Aureliano ad intervenire, distogliendo (a metà del 271 o nel 272) un gran
numero di soldati romani intenti nella costruzione delle mura, per inviarli contro la regina d‟oriente,
sostituendoli di fatto con manodopera civile (come tra l‟altro attestato dal Chronographia del
cronista Giovanni Malalas24).
Richmond25 ci fornisce una conferma archeologica di ci, notando che si trat tava di
un‟architettura eseguita con cura ma sprovvista di una conoscenza dell‟arte militare, sopratutto nei
punti di contatto con gli altri edifici. Con uno speciale decreto imperiale, venne tra l‟altro conferito
il titolo di “Aureliani” a tutti coloro che avevano partecipato all‟impresa26.
La struttura utilizzata da Aureliano è il “muro a sacco” che come sappiamo è formato da due
paramenti esterni ed un nucleo centrale di cementa27 tufacei; per contenere e per dare maggiore
solidità e statica, quest‟ultimo ? unito alle cortine con un corso di mattoni bipedali 28; le cortine,
abbastanza regolari, sono di laterizi di riuso29 con giunti di malta biancastra e terrosa di spessore
variabile da 2 a 2, 5 centimetri ed un modulo di 28-31 centimetri30.
Altro accorgimento tipico di questa muratura ? quello di impiegare corsi di mattoni molto sottili
per sopperire alla perdita di orizzontalità dell‟apparecchio31 (Fig. 1).
21
Lanciani 1892, p. 88.
22
Richmond 1928, p. 47.
23
Pisani Sartorio 1996, p. 295.
24
G. Malalas, Chronogr. XII, V, 128 C.
25
Richmond 1930.
26
Cassanelli, Delfini, Fonti 1989, p. 54; Pisani Sartorio 1996, p. 297.
27
Cementa: frammenti di pietra o di altro materiale simile (terracotta, marmo) che compongono insieme alla
malta l‟opus caementicium. Da Lugli 1957, cap. I.
28
Bipedale: manufatto in terracotta usato nell‟edilizia antica; laterizio o mattone di 60 cm c.a.. Da Giuliani 2006.
29
Vennero usati materiali di riuso sia per la loro disponibilità, sia perchØ a Roma, in epoca aureliana, non si
hanno tracce di impianti o fornaci. I laterizi hanno un altezza media di 3, 5 cm, il colore ? rosso chiaro e assumono
diverse forme, possono essere triangolari trapezoidali ed irregolari. Da Steinby, 1986, pp. 99-164.
30
Pisani Sartorio 1996, p. 295.
31
Mancini 2001, p. 25.
10
Fig. 1 - Corsi di mattoni sottili nella muratura di Aureliano nel tratto Tevere-porta Pinciana (da Mancini 2001).
Su questa struttura si inserivano, ad una distanza di cento piedi, delle torri rettangolari e tra una
torre e l‟altra un cammino di ronda scoperto, il cui accesso era reso possibile solo dall‟interno delle
torri stesse, tramite delle scale.
La larghezza del cammino di ronda oscilla tra i dodici e i quattordici piedi (3, 50 – 4 metri ca.), il
parapetto ? alto circa un metro ed ? caratterizzato da merli, demoliti, o in seguito alla
sopraelevazione del muro, o per la costruzione della galleria all‟epoca di Onorio. Questi ultimi
hanno un‟altezza media di 60 centimetri e una larghezza di 45 centimetri con una distanza di 3
metri, da centro a centro32; alcune loro tracce sono visibili in alcuni punti del circuito (Fig. 2).
Fig. 2 – Tracce dei merli della struttura Aureliana nel tratto porta Appia-porta Ostiense (da C. Marino).
Dall‟ambiente all‟interno delle torri, il cui pavimento è alla stessa quota del cammino di ronda, si
accedeva alla terrazza merlata, tramite una scala.
In questo ambiente, sul lato esterno, erano presenti quattro finestre ballistarie (due sul fronte ed
una su ciascun lato); mentre, sul lato interno, una finestra fungeva da fonte di illuminazione, tutte
32
Montesanti 2007.
11
costituite da una ghiera di bipedali e spesso rifinite con un estradosso di mattoni, come nel caso di
una torre vicino porta Pinciana (Fig. 3).
Fig. 3 – Ghiera di bipedali presente in una torre nel tratto Tevere-porta Pinciana (da C. Marino).
Del pavimento della stanza, se ne ha traccia in alcuni resti visibili all‟uscita della terza torre
(Torre L3) del camminamento, connessa con il Museo delle Mura di porta San Sebastiano33.
Un‟anticipazione aureliana delle gallerie onoriane, la Mancini la rileva nel settore a nord di porta
Metronia34; mentre Richmond35 la osserva ad ovest del palazzo del Laterano e ad est di porta
Pinciana, qui il fronte interno della cinta ? costituito da una base con una bassa galleria con volta a
botte e sopra il cammino di ronda.
Le torri ed i paramenti della muratura aureliana, non presentano fori passatori o fori da ponte,
(dove le traverse si inserivano per l‟intero spessore del muro), per cui da ciò si deduce che venivano
utilizzati ponti mobili su cavalletti, ossia impalcature esterne poste lungo il perimetro della cinta. A
tal proposito lo stesso Richmond36 ha ipotizzato un‟impalcatura a doppio ponteggio simile a quella
rappresentata nella scena di costruzione nell‟Ipogeo di Trebio Giusto37 (Fig. 4).
33
Cambedda, Ceccherelli 1990, p. 64.
34
Mancini 2001, p. 23.
35
Richmond 1930, pp. 65 – 66.
36
Richmond 1930, p. 60.
37
Rea 2004.
12
Fig. 4 – Scena di costruzione con utilizzo di doppio ponteggio - dall‟Ipogeo di Trebio Giusto (da Bisconti 2000).
Secondo l‟organizzazione propria dell‟architettura militare, l‟intero lavoro venne diviso in
cantieri, che si distanziavano di quindici – venti piedi romani; l‟allacciamento con il muro a sacco
del cantiere successivo, avveniva per tutta l‟altezza del muro, mediante un giunto di forma
dentellata, ammorsato con le strutture adiacenti (uno degli accorgimenti tecnici caratteristici nella
muratura aureliana).
Nel percorrere i diciannove chilometri della cinta, si pu, con questi dati, capire i brani murari ed
i lavori eseguiti al tempo di Aureliano; ne ? una prova evidente la presenza dei merli che
asseriscono senza dubbio quale sia il limite tra Aureliano e le costruzioni successive.
Nelle mura aureliane si aprivano quattordici porte e numerose posterule (o posterle)38, sia
pedonali che non, che permettevano il transito di persone e mezzi, dalla città al suburbio e
viceversa.
Ogni strada aveva, in base alle sua importanza, una porta con diverse architetture, come se
esistesse una gerarchia tra i percorsi viari e di conseguenza tra le porte.
Seguendo questa scala si possono distinguere quattro tipi architettonici39:
ξ Per le strade di grande importanza: porte con due fornici o archi gemelli con paramento in
travertino e due alte torri rotonde a fianco (Flaminia, Appia, Ostiense e Portuense).
ξ Per le vie che collegavano Roma con il resto della penisola: porte con un solo fornice,
attico in travertino e torri circolari (Nomentana, Salaria e Latina).
38
Posterlula: la tipologia base di queste porte minori prevede un‟unica apertura coperta da una piattabanda di
mattoni ed arco di scarico, alcune presentano stipiti in travertino che fungevano da piattabanda di scarico. Spesso
erano poste nelle rientranze delle mura a difesa naturale. Molte delle posterule venivano poco dopo murate per ovvi
motivi di sicurezza.
39
Cassanelli, Delfini, Fonti 1989, p. 40; Pisani Sartorio 1996, p. 297; Bizzotto 2001, pp.10 – 11.
13
ξ Per le arterie vitali nel passato ma che avevano perduto tale funzione in età imperiale:
porte con un solo arco protette da torri quadrangolari (Aurelia e Tiburtina).
ξ Per il passaggio di strade e viottoli di campagna: posterule con un arco di scarico e stipiti
in travertino (Ardeatina).
La tipologia di porta impiegata dai costruttori di Aureliano è la stessa dell‟età augustea, ereditata
a sua volta, dall‟architettura repubblicana dell‟Italia centrale del III secolo. Essa era costituita
generalmente da due torri poste a protezione di uno o due fornici, pi un cammin o di guardia per
l‟apertura e la chiusura della porta stessa.
Al momento dell‟apertura e della chiusura delle porte, le ante scorrevano verticalmente,
mediante l‟utilizzo di funi e carrucole, all‟interno di un incavo; tale sistema, detto a saracinesca e
conosciuto come “porta ad incastro” venne utilizzato anche nel VI secolo40.
Rossana Mancini41 elenca alcuni esempi di città romane che presentano questa tipologia di porte
augustee come: Augusta Preatoria (Aosta), Fanum Fortunae (Fano), Hispellum (Spello), Augusta
Taurinorum (Torino) e Nemausus (Nimes).
Molte torri, poste a scudo delle porte, poggiano su sepolcri o monumenti delle vie consolari,
come nel caso delle porte Flaminia, Salaria, Nomentana, Tiburtina e della posterula Ardeatina.
Molti di questi accessi alla città subirono dei mutamenti, alcuni nei materiali, altri nei nomi:
l‟Appia tramutata in porta San Sebastiano, l‟Ostiense in porta San Paolo e l‟Aurelia in porta San
Pancrazio, spesso in relazione alla vicinanza con importanti edifici come le basiliche extraurbane.
In un certo senso quindi si pu parlare di cristianizzazione delle porte.
1.2 Massenzio: il circuito in opera listata
La fortificazione dovette ben presto apparire insufficiente e si pens quindi di rinforzarla; il
primo restauro42 ? quel lo che viene menzionato nel Cronografo Romano43 del 354 dove si parla
dell‟imperatore Massenzio (306-312) che mise mano alle mura, innalzate dal suo predecessore,
realizzando un fossato44 (di cui gli studi archeologici non hanno trovato traccia) e restaurando
alcune torri e cortine.
40
Pisani Sartorio 1996, p.298; Cambedda, Ceccherelli 1990, p. 15.
41
Mancini 2001, p. 22.
42
Richmond 1930, p. 30.
43
Cronografo romano del 354: raccolta compiuta da Dionigi Filocalo, comprendente un calendario astrologico e
civile oltre a testi storico – cronologici.
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Cronografo anno 354 : “Maxentius…fossatum aperuit, sed non perfecit”.
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Tali cortine sono facilmente distinguibili essendo eseguite in opus listatum o vittatum45, cio?
filari alternati di mattoni e blocchetti di tufo (Fig. 5), mentre le parti strutturali (arcuazioni, pilastri,
sottarchi, finestre e porte) sono in cortina laterizia46 (sotto Massenzio lo sfruttamento di materiali di
riuso diventerà un sistema generalizzato).
Fig. 5 – Opus listatum o vittatum nel tratto porta Appia-porta Ostiense (da C. Marino).
A differenza della merlatura aureliana, questa ? alta 90 centimetri e larga 75 centimetri e la
distanza varia dai 75 centimetri di minima e un metro e mezzo di massima47.
Richmond48 sosteneva che Massenzio sopraelevò tutto l‟intero circuito, ma in realtà si occupò
solo di restaurare alcuni tratti della cinta, anche perchØ ? frequente vedere come la muratura di
Onorio poggia direttamente su quella di Aureliano, senza avere nel mezzo la fase di Massenzio.
Solo in alcuni tratti della cinta sono infatti riconoscibili tutte e tre le fasi: quello tra porta
Pinciana e porta Salaria e quello tra porta Appia ed i bastioni del Sangallo49.
L‟ipotesi di Richmond venne confutata da Colini50 che attribuì ad Onorio la fase dell‟intera
sopraelevazione del circuito. Successivamente, tale nuova proposta non ebbe sostenitori51, fino a ad
arrivare a Krautheimer52, Heres53 e Cozza54 i quali l‟appoggiarono pienamente.
La datazione di tali interventi ? compresa tra il 306 e il 312 secondo Todd, mentre per Lugli e
Cozza vennero eseguiti solo nell‟anno 31055.
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Opus vittatum, (o opera listata): all‟inizio del IV secolo viene introdotto questo nuovo tipo di paramento, la
tecnica, si prolunga fino al VII secolo, anche se con l‟utilizzo di materiale mediocre rispetto al IV – V secolo. Da
Cecchelli 2001.
46
Pisani Sartorio 1996, p. 295.
47
Montesanti 2007; Pisani Sartorio 1996, p. 296.
48
Richmond 1930.
49
Cozza 1987, p. 26.
50
Colini 1944, p. 110.
51
Johnson 1948, pp. 261-265; Todd 1978.
52
Krautheimer 1981.
53
Heres 1983.
54
Cozza 1987, p.26.
55
Pisani Sartorio 1996, p. 290.
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Il rafforzamento della cinta voluto da Massenzio derivava anche dalla paura che il suo
avversario, l‟imperatore Costantino (306-337), potesse entrare in città, timore che si tradusse in
realtà il 28 ottobre del 312 quando ci fu lo scontro tra i due a ponte Milvio.
Un enigma pu essere quello di capire il perchØ Massenzio abbia costruito il fossato e abbia fatto
delle migliorie al recinto se poi, all‟arrivo di Costantino, non lo attese difendendosi all‟interno della
città, ma si scontr fuori le mura.
Secondo Cozza, le cause del degrado che spinsero Massenzio a compiere questi lavori, furono
essenzialmente legati al tempo: un periodo di circa trenta anni, trascorso dall‟“ultima pietra” messa
in opera al tempo di Aureliano, pi precisamente da Probo (che nel 279 ultim i lavori).
La Mancini56 invece le attribuisce a dei difetti strutturali nei paramenti esterni, che portarono al
distacco dei rivestimenti dal nucleo. Disfunzionalità che si nota soprattutto nel tratto fra porta
Pinciana e porta Salaria, dove vennero ricostruite ben sette torri e tra porta Appia e porta Ostiense.
Nibby scrive che della storia della cinta (da Aureliano ad Onorio), non abbiamo alcun
documento per credere variate le mura57, ma naturalmente ci viene ad essere considerato errato
proprio alla luce del restauro massenziano.
1.3 Onorio: il primo grande intervento sulle mura
Agli inizi del IV secolo Onorio (395-423), imperatore dell‟Impero Romano d‟Occidente, su
suggerimento del suo Magister militum Stilicone (394-408) e sotto la cura del prefetto di Roma,
Flavio Macrobio Longiniano, inizi i lavori sul circuito murario 58. Questi consistevano in un
restauro delle mura in tutti i suoi componenti, cio? torri e porte comprese 59.
Tali interventi vengono ricordati in alcuni versi da Claudiano nell‟opera De sexto consulatu
Honorii Augusti60, ed anche da tre iscrizioni poste su porta Tiburtina, porta Prenestina/Labicana e
porta Portuense61.
Il motivo che spinse a realizzare tali modifiche fu la minaccia dei Visigoti che iniziarono ad
dirigersi verso la penisola.
56
Mancini 2001, p. 26.
57
Nibby 1820, cap.VI, p. 227.
58
Pisani Sartorio 1996, p. 291.
59
Il nome di Flavio Macrobio Longiniano compare sull‟iscrizione della porta Tiburtina come curatore del
restauro (C.I.L., 06, 01189).
60
Claudiano, De sexto consulatu Honorii Augusti, vv. 529-536.
61
C. I. L., 06, 1188, C. I. L. 06, 1189, C. I. L. 06, 1190.