5
personale che reale dirette ad imporre delle limitazioni alla libertà personali e
patrimoniali.
1.2 Le misure cautelari personali tra il principio di legalità e riserva di
giurisdizione
Uno dei principi cardine del nostro ordinamento giuridico, attinente al diritto penale
in generale ed in particolare a quello processuale è da individuarsi in quello
contenuto nell'art. 27 della Costituzione, secondo comma, ai sensi del quale
“l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. La norma
citata, sancendo che l'imputato non è considerato colpevole prima dell'emanazione
della sentenza definitiva di condanna, recepisce un principio cui è riconosciuta una
valenza di carattere assoluto in quanto formulato, più incisivamente in termini di
presunzione di innocenza, da molteplici strumenti giuridici internazionali tra i quali,
ad esempio, la Convenzione europea per i diritti dell'uomo cui aderisce anche il
nostro Paese.
Da ciò si evince come la scelta del nostro ordinamento, di prevedere l'adozione di
provvedimenti cautelari di tipo personale, prima che sia intervenuta una sentenza di
condanna definitiva, rappresenti una più che meditata eccezione. Alla luce del fatto
che la loro applicabilità, sia di norma subordinata ad una rigorosa disciplina
finalizzata a conciliare la libertà dell'individuo, con le contrapposte esigenze, di
carattere generale, attinenti al regolare svolgimento del processo nella prospettiva
dell'accertamento, della avvenuta commissione del reato e della identificazione del
suo autore, tant’è che non è da escludere che l’eventuale processo possa anche
concludersi con una sentenza di assoluzione.
Le disposizioni generali sulle misure cautelari personali, previste all’inizio del libro
quarto del codice, attuano e, in larga misura, rafforzano i principi costituzionali della
riserva di legge e di giurisdizione. Infatti il codice di procedura penale sancisce
all’art. 272 che “le libertà della persona possono essere limitate con misure cautelari
soltanto a norma delle disposizioni del presente titolo”.
Tale principio cosi enucleato introduce il principio secondo il quale la restrizione dei
diritti fondamentali della persona possono avere come fondamento esclusivamente
la legge. Tale corollario viene rafforzato dall’art. 13 comma 2 della Costituzione che
da sicuramente una robustezza normativa al principio secondo il quale le limitazioni
alla libertà sono delle “anormalità” statuite espressamente dalla legge. Da ciò si
deduce che spetta, esclusivamente alla discrezionalità del legislatore determinare,
6
nel rispetto del principio della riserva di legge stabilito dalla Carta Costituzionale, i
casi in cui il giudice può disporre restrizioni della libertà personale.
Secondo l’assunto dell’art. 279 c.p.p. che incardina il principio della riserva di
giurisdizione, all’applicazione, alla modifica o alla revoca relativa alle misure
cautelari, provvede il giudice che procede.
La conferma che quanto sopra osservato sia riferibile anche al nostro ordinamento è
fornita dalla predetta norma sancita dall'art. 13 della Costituzione medesima il quale
stabilisce l'inviolabilità della libertà personale, atteso che i successivi commi
individuano nell'Autorità giudiziaria l'organo deputato a disporre i provvedimenti
restrittivi della libertà personale nei soli casi e modi previsti dalla legge; nonché
detentrice del potere di convalidare quelli provvisori adottati, nei casi eccezionali di
necessità ed urgenza tassativamente indicati dalla legge, dall'Autorità di pubblica
sicurezza.
Nel medesimo contesto, il riferimento alla riserva di legge concernente la durata
massima della carcerazione preventiva determina la chiusura del sistema che rende
possibile, sul piano giuridico, la conciliazione delle opposte esigenze che non
appare invece ipotizzabile sotto un profilo puramente logico. E forse è proprio la
necessità di addivenire a simile conciliazione che ha indotto il legislatore costituente
ad orientare il sistema al principio della presunzione di non colpevolezza piuttosto
che a quello di innocenza.
Le misure cautelari hanno varie caratteristiche che le differenziano dagli altri
provvedimenti che possono essere emanati dal giudice penale. Indubbiamente
comunque scaturiscono da una situazione di urgenza quando un ritardato intervento
rende probabile il verificarsi di uno dei fatti temuti. A tal proposito, da tempo, la
cultura giuridica ha elaborato un principio che mette un segno sul punto di equilibrio
tra le pretese di garanzia. È il principio, in pratica, del minimo sacrificio, ove per tale
statuizione, s'intende, la minore privazione delle libertà dell'individuo rapportata alla
natura e all'intensità degli interventi misure cautelari che devono giustificarla (Mario
Chiavari, Garanzie individuali ed efficienze del processo, Cassazione Penale, 1998).
1.3 Le condizioni generali di applicabilità e le esigenze cautelari
Il nostro ordinamento pone come condizioni generali di applicabilità delle misure
cautelari personali la presenza di gravi indizi di colpevolezza, una determinata
gravità del delitto addebitato all’imputato, e la punibilità in concreto del delitto.
Le condizioni generali richieste per l’applicabilità delle misure cautelari personali,
quindi, sono il fumus commissi delicti, ovvero la sussistenza di una notevole base
7
probatoria definita in termini di gravi indizi di colpevolezza, e il periculum libertatis
ovvero il “bisogno cautelare” cioè impedire che nel tempo richiesto per il giudizio
l’indagato/imputato lasciato libero, possa pregiudicare l’esigenze connesse
all’accertamento ritenute meritevoli di protezione.
Il giudice, invero, deve fare una valutazione sulla gravità indiziaria, anche se
presuntiva, dato che viene condotta allo stato degli atti, e quindi su indizi, e non su
prove, e che tale giudizio, si evidenzia, è indirizzato verso la tendenziale
sommarietà dell'accertamento.
In merito alla gravità del delitto gli artt. 280 e 287 c.p.p. dispongono altresì che le
misure cautelari non possono essere applicate per le contravvenzioni, nel qual caso
possono irrogarsi misure cautelari reali. In particolare, l’art. 280 impedisce che
possano applicarsi misure cautelari al di sotto di una soglia minima di gravità del
delitto addebitato; tale soglia fa riferimento alla pena detentiva stabilita nel massimo
per il delitto.
Il delitto addebitato al soggetto sottoposto ad una misura cautelare, occorre tuttavia
che sia punibile in concreto. Il codice di procedura penale, in sintonia con il principio
generale di proporzionalità, stabilisce uno sbarramento alla possibilità di
applicazione delle misure stesse quando vengano a mancare gli elementi per la
punibilità. Ai sensi del secondo comma dell’art. 273 c.p.p. “nessuna misura può
essere applicata se risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di una causa di
giustificazione o di non punibilità o se sussiste una causa di estinzione del reato
ovvero una causa di estinzione della pena che si ritiene possa essere irrogata”.
Tale assunto va recepito nel senso che devono concretamente sussistere i
presupposti per l'applicazione della causa estintiva, così da rendere sproporzionata
la stessa misura. Il che, del resto, emerge dallo stesso articolo che fa riferimento
alla pena che si ritiene possa essere irrogata. A tal fine rileva anche la possibilità
della concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, perché,
una volta che il giudice abbia determinato in concreto la pena presuntivamente
irrogabile, dovrà pure verificare se risultano in concreto i presupposti oggettivi e
soggettivi per la concessione del beneficio, pervenendo a quella valutazione
prognostica favorevole che rende sproporzionata la misura cautelare.
Le misure cautelari sono disposte, quindi, quando sussistono specifiche ed
inderogabili esigenze attinenti alle indagini tant’è che è nulla l'ordinanza di custodia
cautelare la quale non abbia osservato l'obbligo motivazionale di esporre le
specifiche esigenze cautelari e, di conseguenza, le concrete e specifiche ragioni per
le quali le medesime esigenze non possono essere soddisfatte con altre misure
8
meno gravi di quella della custodia cautelare in carcere (Corte di Cassazione, sez.
V, 4 agosto 1998, n. 4942).
La pubblica accusa, nel presentare, quindi, al giudice, la richiesta motivata di
disporre una misura cautelare deve fornire innanzitutto gli elementi di prova che
dimostrino in concreto non solo l’esistenza di tutte le condizioni necessarie per
applicare la misura richiesta, ma deve anche dimostrare anche che esistono almeno
una delle esigenze cautelari sancite dall’art. 274 c.p.p., ovvero il pericolo di fuga, di
inquinamento delle prove e infine della reiterazione di determinati reati. Ai fini della
configurazione del presupposto del pericolo di fuga, è indispensabile che gli
elementi fondanti debbano essere specifici, e cioè direttamente riferiti alla persona
sottoposta al fermo, e soprattutto concreti, ossia connotanti un pericolo reale,
effettivo, non immaginario e non meramente congetturale in ordine alla rilevante
probabilità che l'indagato si dia alla fuga, sicché lo stesso non può essere ipotizzato,
nè ritenuto sulla sorta del solo titolo di reato in ordine al quale si indaga, nè della
relativa pena edittale (Uff. Indagini preliminari Bari, 14 dicembre 2004).
Mentre in relazione al pericolo di inquinamento probatorio, questi va valutato con
riferimento sia alle prove da acquisire, sia alle fonti di prova già individuate, e ciò in
considerazione della spiccata valenza endoprocessuale del dato riferito alle indagini
preliminari e alla sua ridotta utilizzabilità in dibattimento. Pertanto, al fine di
prevenire il persistente e concreto pericolo di inquinamento probatorio, a nulla rileva
il fatto che le indagini preliminari siano in stato avanzato, ovvero siano già concluse.
(Corte di Cassazione, sez. III, 24 novembre 1997, n. 4005).
Altresì a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 8 agosto 1995 n. 332 il
giudice al fine di valutare la sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274
lett. c) c.p.p. deve tenere conto sia delle specifiche modalità e circostanze del fatto,
sia della personalità dell’indagato incline a delinquere, oggettivamente valutata,
sulla base dei precedenti penali o di comportamenti concreti, sintomatici onde
pervenire con motivazione congrua e adeguata, alla formulazione di una prognosi
dell’indagato in funzione della salvaguardia della collettività, che deve tradursi nella
dichiarazione di una concreta possibilità che egli commetta alcuno dei delitti indicati
nella disposizione suddetta. Ciò trova la sua spiegazione nell’esigenza
espressamente prevista dalla norma, di una valutazione globale della gravità del
reato e della personalità di chi ne è accusato, sicchè il giudice deve effettuare una
specifica e distinta valutazione di entrambi i criteri direttivi indicati, dalla legge senza
potersi limitare ad un apprezzamento dell’uno o dell’altro elemento.
Conseguentemente non può trarsi il giudizio di pericolosità esclusivamente delle
modalità dei fatti criminosi (Corte di Cassazione, 16 aprile 1998, n. 6480).