5
INTRODUZIONE
Il lavoro che segue ha l’obiettivo di trattare ed approfondire la disciplina
delle mansioni, con particolare riferimento alla mobilità endoaziendale del
lavoratore.
Pertanto, gli aspetti analizzati coincidono con la mobilità orizzontale e la
mobilità verticale verso il basso, ponendo l’accento sull’evoluzione storica di
una disciplina centrale nel mondo del lavoro, ossia quella delle mansioni del
prestatore.
Innanzitutto, occorre specificare l’oggetto del contratto di lavoro, che
consiste nella prestazione cui è tenuto il lavoratore ed individuato nelle
mansioni che lo stesso deve svolgere per ottenere la controprestazione
datoriale, coincidente con la retribuzione dovuta.
Per fare ciò, è necessario definire specificamente le nozioni di mansione,
qualifica e categoria, affinché possa essere determinato quanto dovuto dal
lavoratore in ragione del contratto di lavoro di cui è parte.
Grazie alla definizione dell’oggetto del contratto diviene, pertanto, possibile
individuare quali siano i compiti il cui svolgimento è richiesto dal datore di
lavoro in ossequio allo specifico rapporto di lavoro.
Il fine ultimo del primo capitolo della trattazione che segue coincide con la
comprensione di quanto sia dovuto dal lavoratore, fungendo, tale oggetto del
contratto di lavoro, come base per poter analizzare la disciplina del mutamento
delle mansioni.
Una volta determinato l’oggetto della prestazione lavorativa, la quale assume
rilievo come necessario punto di partenza, diviene possibile individuare ed
analizzare specificamente le vicende modificative, cosicché il riferimento
diviene l’art. 2103 c.c., a partire dalla versione del 1942 fino ad arrivare alla
disposizione attualmente in vigore, a seguito della riforma del 2015.
Perciò, per effettuare tale analisi occorre, in prima battuta, comprendere la
disciplina del mutamento delle mansioni vigente nella versione originaria del
codice civile, ossia a partire dal 1942.
6
L’art. 2103 c.c. presentava, nella vecchia formulazione, una particolare
problematica, legata alla legittima modificabilità delle mansioni di adibizione
del lavoratore, poiché questa era consentita con il consenso del prestatore di
lavoro stesso
1
.
Pertanto, solo dopo aver svolto un’attenta disamina delle problematiche
collegate a tale consenso tacito del lavoratore, può passarsi all’analisi dell’art.
2103 c.c. modificato a seguito dell’adozione dell’art. 13 St. Lav., ossia alla
disciplina delle mansioni successiva alla l. n. 300/1970.
Nella disposizione rimasta in vigore dal 1970 fino alla riforma del 2015,
l’oggetto principale di studio coincide con il concetto di equivalenza, posto dal
legislatore statutario come limite al mutamento orizzontale delle mansioni.
Per rispondere alle questioni relative alla disciplina delle mansioni nella
versione originaria del 2103 c.c., lo Statuto dei Lavoratori è intervenuto, in
un’ottica di tutela della professionalità, per arginare la prassi di
demansionamenti posti in essere con il consenso tacito del lavoratore,
disponendo il divieto di demansionamento e legittimando la mera mobilità
orizzontale endoaziendale, limitata dal requisito dell’equivalenza delle
mansioni.
Proprio per tale motivo l’equivalenza è divenuta, a partire dal 1970, il
concetto centrale della disciplina delle mansioni e, conseguentemente, l’analisi
della versione statutaria dell’art. 2103 c.c. si concentra sulle due tesi dottrinal-
giurisprudenziali fondamentali, ossia la tesi volta ad incentrare il mutamento
delle mansioni su una nozione di equivalenza statica, contrapposta alla teoria
che privilegia la concezione dinamica.
All’inizio degli anni ’90, ma già precedentemente, si è però verificato un
cambiamento radicale nel tessuto produttivo-organizzativo italiano, definito di
passaggio dalla fabbrica fordista al modello postfordista.
Il mondo del lavoro ha iniziato, pertanto, e in particolare dal lato datoriale, a
richiedere in maniera pressante una maggiore flessibilità, necessaria per
adeguare le imprese italiane alla globalizzazione ed informatizzazione dei
mercati.
1
Pertanto, i limiti del 2103 c.c. andavano riferiti soltanto al mutamento unilaterale delle
mansioni, non trovando applicazione rispetto al mutamento consensuale, con un consenso
che, peraltro, veniva fatto seguire dalla mera acquiescenza tacita del lavoratore.
7
Le strutture rigide dell’impianto statutario erano, perciò, divenute inadatte,
determinando lo sviluppo di interventi giurisprudenziali e legislativi speciali
volti a consentire deroghe al divieto di demansionamento dell’art. 2103.2 c.c., il
quale era stato fissato nel 1970 come inderogabile
2
.
Il legislatore del 2015 non fa altro che prendere atto di tali necessità di
flexibility per tradurle in una modifica, forse eccessivamente radicale, dell’art.
2103 c.c. .
Il Jobs-Act immette, infatti, nel mercato del lavoro, dosi abbondanti di
flessibilità, sotto il profilo della flessibilità in uscita, in entrata ed interna, con
quest’ultima che per la prima volta diviene oggetto di uno specifico intervento
del legislatore proprio a seguito della riforma.
Occorrerà, perciò, analizzare i singoli commi del nuovo art. 2103 c.c.,
mettendo in risalto i dubbi di eccesso di delega
3
sollevati da vari autori e
volgendo lo sguardo al rapporto tra la disciplina statutaria e quella attuale.
Particolare attenzione dovrà essere rivolta all’analisi dell’obbligo formativo,
introdotto per la prima volta, espressamente, dal legislatore del Jobs-Act,
poiché imbastisce dei nodi molto difficili da sciogliere.
L’art. 2103.3 c.c. ha, infatti, previsto un obbligo di formazione, da adempiere
“ove necessario”, ossia nei casi in cui il bagaglio di conoscenze ed esperienze
pregresse del lavoratore non sia sufficiente per l’espletamento di una mansione
cui venga successivamente adibito.
Con riferimento all’obbligo di formazione, diviene necessario mettere in
risalto le problematiche, da un lato, e gli spunti positivi di riflessione, dall’altro,
in relazione alla formazione del lavoratore, entrata a far parte espressamente
della disciplina delle mansioni, come novità, dalla riforma del Jobs-Act.
Alla disciplina in vigore dal 2015 sono però ricollegate difficoltà applicative,
per cui va posto l’accento sulle differenze con la disciplina statutaria,
focalizzando l’attenzione sull’eliminazione del limite dell’equivalenza,
2
È in tale periodo, pertanto, che si sviluppano la c.d. giurisprudenza del male minore e le
leggi speciali per consentire il demansionamento in particolari condizioni di interesse del
lavoratore.
3
Il rapporto tra la l. delega n. 183/2014 e il d.lgs. n. 81/2015 sono stati oggetto di un acceso
dibattito.
8
abbandonato per fare spazio alla c.d. riconducibilità al livello di inquadramento
delle mansioni di assunzione.
Viene esaltato, con la riforma del 2015, il ruolo della contrattazione
collettiva, realizzandosi un vero e proprio cambio di protagonista
4
, sia per
quanto riguarda la mobilità orizzontale che per quanto riguarda la mobilità c.d.
verticale verso il basso.
Tale seconda tipologia di mobilità rappresenta una ulteriore novità rispetto
alla disciplina del ’70, poiché viene reso legittimo il demansionamento del
lavoratore qualora siano rispettati i limiti posti dai commi 2 e 4 del nuovo art.
2103 c.c. .
Pertanto, se prima del Jobs-Act la mobilità orizzontale incontrava il limite
dell’equivalenza, formale e sostanziale, ed ora trova solo il limite della
riconducibilià “allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime
[mansioni] effettivamente svolte”
5
, il passo avanti con riferimento alla mobilità
verticale verso il basso è ancora più ampio.
Difatti, con la novella del 2015, è venuto meno il divieto di
demansionamento che era fissato nell’art. 2103.2 c.c., per lasciare il posto ad
una disciplina delle mansioni tale da specificare i casi in cui il
demansionamento è legittimo.
Il legislatore del 2015 ha, perciò, esteso i casi di demansionamento legittimo
introdotti dalla recente riforma, cosicché diviene necessario mettere in risalto i
tratti definibili come negativi e le conseguenze positive, confrontando tesi
dottrinali ed interpretazioni giurisprudenziali tutt’altro che univoche.
La recente riforma ha anche introdotto un nuovo comma 6, il quale ha avuto
un impatto molto forte nel mondo del lavoro, poiché ha legittimato la
conclusione di accordi di demansionamento, esaltando, con un tuffo nel
passato, il consenso del lavoratore come mezzo idoneo per determinare la
4
Per la definizione del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, come “strapieno di deleghe alla contrattazione
collettiva”, GAETA L., “La terza dimensione del diritto”: legge e contratto collettivo nel Novecento italiano,
in AA. VV., Legge e contrattazione collettiva nel diritto del lavoro post-statutario. Atti delle giornate di
studio di diritto del lavoro, Milano, Giuffrè, 2016, spec. p. 63.
5
Così l’art. 2103.1 c.c. nella versione attuale, con riferimento alla mobilità orizzontale.
9
correttezza di un demansionamento, senza preoccupazioni di sorta in relazione
al disequilibrio tra le parti del contratto di lavoro
6
.
Un breve cenno meritano, inoltre, la garanzia retributiva fissata al comma 5 e
le ipotesi di nullità residua dei patti contrari fissate al comma 9.
Una volta conclusa la disamina della riforma del 2015 in materia di
mutamento delle mansioni, sotto il profilo della mobilità orizzontale e della
mobilità verticale verso il basso, l’attenzione si sposta sulle conseguenze di tale
novella sul licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
La legittimità di tale licenziamento, infatti, è subordinata al rispetto del c.d.
obbligo di repêchage, di origine giurisprudenziale, un obbligo sfuggente e dai
contorni non ben definiti, che il legislatore non ha colto l’occasione di
disciplinare espressamente proprio con tale riforma.
Pertanto, in riferimento all’obbligo di repêchage, è opportuno individuare le
specifiche conseguenze date dalla modifica della disciplina del mutamento
delle mansioni che, in prima battuta, sembrerebbe estendere un obbligo così
concepito a seguito dell’ampliamento delle mansioni il cui svolgimento può
essere richiesto dal datore di lavoro.
La questione del repêchage è complessa e di difficile soluzione, cosicché molti
autori richiedono un precipuo intervento del legislatore, per definire i contorni
di una figura giurisprudenziale complicata da afferrare, ma altrettanto
importante nelle relazioni tra lavoratori e datori di lavoro.
Dopo aver chiarito la portata della riforma e individuati i confini di
legittimità del mutamento delle mansioni del lavoratore, l’analisi si sposta sulle
tutele poste a favore del lavoratore nei casi di modifica delle mansioni in
violazione della disciplina codicistica, indicando quali siano le effettive tutele
cui potrà ricorrere il prestatore di lavoro.
L’accento si pone sulla problematica collegata all’incoercibilità di un obbligo
di facere in capo al datore di lavoro, che si verifica nel caso in cui quest’ultimo
venga condannato a reintegrare il lavoratore nelle mansioni precedenti, a
seguito, ad esempio, di un demanasionamento illegittimo.
6
La tutela della parte debole del contratto di lavoro, ossia del lavoratore, è il substrato sul
quale è edificato il diritto del lavoro stesso e nella trattazione vengono messe in risalto le
preoccupazioni per disposizioni poco attente a proteggere il prestatore.
10
La conseguenza di tale non coercibilità consiste nel fatto che il lavoratore,
piuttosto che ottenere una sentenza non attuabile, sarà portato ad agire, al
momento della cessazione del rapporto di lavoro, per il risarcimento del
danno.
La questione rilevante, pertanto, a seguito di tali premesse, si pone su cosa
sia risarcibile e cosa non lo sia, al fine di tentare di sciogliere i nodi collegati
all’onere della prova di un eventuale danno da demansionamento illegittimo,
dopo aver espressamente chiarito il superamento della risarcibilità del danno in
re ipsa
7
.
Da ultimo, l’attenzione si sposta sull’analisi della situazione attuale,
successiva alla riforma del 2015, con riferimento, in particolare, al mancato
adempimento, da parte della contrattazione collettiva, del compito di adeguare
i contratti collettivi per rispondere alle esigenze dettate dalla nuova disciplina.
È chiaro che la partita si gioca sul ruolo centrale attribuito all’autonomia
collettiva, alla quale è demandata l’adozione di specifici contratti che
individuino scale classificatorie elaborate in modo tale da consentire la tutela
della professionalità del lavoratore, non più circondato dalle rigide garanzie
statutarie e che chiede protezione a gran voce.
In conseguenza di ciò, se l’autonomia collettiva non risponderà a tale
richiesta d’aiuto, sarà il giudice a dover intervenire per tutelare la dignità del
lavoratore, sotto il profilo della sua professionalità, determinando un ritorno
dell’interpretazione giudiziale che la novella del 2015 aveva inteso
marginalizzare per esigenze di oggettività e certezza.
7
Assume rilievo, per il superamento della risarcibilità del danno in re ipsa, la sentenza n. 6572
del 2006 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, analizzata a fondo nel lavoro che
segue (v. infra, 3.5 e 3.5.1).
11
CAPITOLO I
MANSIONI, QUALIFICHE E CATEGORIE
1.1 Mansioni come oggetto del contratto di lavoro.
Per la trattazione e l’approfondimento della disciplina delle mansioni del
lavoratore, con particolare riferimento alla mobilità orizzontale e verticale
verso il basso, assume rilievo primario la definizione dell’oggetto del rapporto
di lavoro, coincidente con quanto il prestatore è tenuto a svolgere in ossequio
al contratto stesso.
Nel rapporto di lavoro coesistono due obbligazioni, di lavoro e la
prestazione retributiva, oltre ad altri obblighi e doveri, caratterizzati da
reciprocità e connessi alle due obbligazioni fondamentali.
Il primo aspetto da considerare è rappresentato, per ciò che riguarda la
disciplina relativa alla modifica delle mansioni del lavoratore, dall’oggetto
dell’obbligazione a carico del prestatore di lavoro, seguito poi da ulteriori
elementi che caratterizzano la figura del lavoratore, quindi obbedienza,
diligenza, fedeltà, luogo e durata della prestazione.
Ciò detto, la definizione dell’oggetto del rapporto di lavoro passa attraverso
la specificazione dei compiti che il lavoratore stesso è tenuto a porre in essere,
con l’attenzione che si focalizza, pertanto, su termini chiave quali mansioni,
qualifiche e categorie.
Sul versante datoriale quello che occorre analizzare, in riferimento alla
disciplina delle mansioni, coincide invece con la disamina del potere direttivo e
di controllo, ed in particolare dello ius variandi
8
.
Le caratteristiche fondamentali dell’obbligazione lavorativa, infine, sono tre e
consistono nel tipo di attività che il lavoratore è tenuto a svolgere in ossequio
all’oggetto del contratto di lavoro, nella durata, che si misura in tempo e orario
di lavoro, e nel luogo di esecuzione della prestazione di lavoro, ma è la prima
ad assumere un ruolo centrale in riferimento alla disciplina del mutamento
delle mansioni, in quanto, soltanto dopo aver definito il tipo di attività che il
8
Cfr. CARINCI F., DE LUCA TAMAJO R., TOSI P., TREU T., Il rapporto di lavoro
subordinato, Vicenza, UTET, 2019, pp. 201-203.
12
lavoratore è tenuto a svolgere, si può passare alla definizione del perimetro di
legittimità del mutamento delle mansioni.
Secondo un consolidato orientamento
9
, con il termine mansioni viene
indicato, tanto nel testo originario dell’art. 2103 cc., quanto nelle versioni
successive dello stesso
10
, “il contenuto dell’obbligazione oggetto del contratto di lavoro
subordinato, cioè il tipo di attività lavorativa convenuta”
11
.
La solidità di tale orientamento, quanto alla definizione del termine
mansione, si estende peraltro oltre il c.c., fino al linguaggio del legislatore e alla
prassi nei contratti.
Il complesso di compiti cui è tenuto il lavoratore in relazione a quanto
contenuto nel contratto di lavoro è dunque identificato con il termine
mansioni
12
, cui non a caso ci si riferisce al plurale, e che indicano il “complesso
unitario ed organico di singole unità di facere (es. singola operazione dell’attività di
saldatura) che, per un verso, il lavoratore/debitore è tenuto ad eseguire nell’organizzazione
produttiva nella quale si trova inserito e che, per altro verso, il datore/creditore può
legittimamente esigere”
13
.
A ben vedere, quindi, le mansioni possono essere definite come criterio
principale per determinare qualitativamente la prestazione lavorativa
14
, in
modo tale che possano assumere rilievo per definire il valore della prestazione
di lavoro esigibile in concreto da parte del datore di lavoro/creditore della
prestazione lavorativa.
9
Si vedano, a titolo chiarificatorio, GARGIULO U., Lo ius variandi nel “nuovo” art. 2103 cod.
civ., RGL, 2015, fasc. 149, p. 2 e FALSONE M., Ius variandi e ruolo della contrattazione collettiva,
CSDLE It., n. 308/2016, p. 2.
10
Si veda in particolare la versione dell’art. 2103 c.c. così come modificato dall’art. 13 della l.
20 maggio 1970, n. 300, e la versione, attualmente in vigore, dell’art. 2103 c.c. così come
modificato dall’art. 3 del d.lgs. 15 maggio 2015, n. 81.
11
BROLLO M., La mobilità interna del lavoratore mutamento di mansioni e trasferimento, diretto da
SCHLESINGER P., Milano, Giuffrè, 1997, spec. p. 4.
12
L’individuazione delle mansioni come tipo di attività convenuta, invero come compiti in
cui si sostanzia l’attività dovuta dal lavoratore in forza del contratto di lavoro, era già vista in
tal senso nello studio di Gino Giugni del 1963. Per questo è possibile affermare che tale
orientamento è definibile come ben più che consolidato.
13
BROLLO M. e VENDRAMIN M., Le mansioni del lavoratore: inquadramento e ius variandi, in
M. MARTONE (a cura di), Contratto di lavoro e organizzazione, in Trattato di diritto del lavoro
diretto da M. PERSIANI e F. CARINCI, Padova, Cedam, 2012, vol. IV, 1, spec. p. 514.
14
Cfr. LISO F., La mobilità del lavoratore in azienda: il quadro legale, Milano, Franco Angeli, 1982,
p. 9.
13
Sono a questo punto evidenti i richiami all’art. 36 Cost. sotto il profilo del
principio di corrispettività.
1.2 Qualifiche come raggruppamenti di mansioni.
Relativamente alle mansioni, vengono stabilite anche qualifiche e categorie,
come da art. 96 disp. att. c.c.
15
, e l’individuazione delle mansioni rispecchia più
o meno direttamente l’organizzazione del lavoro che è presente all’interno
dell’impresa od unità produttiva.
Quindi assume rilievo il raggruppamento delle diverse mansioni e posizioni
di lavoro sulla base di criteri di omogeneità professionale e a tali
raggruppamenti corrisponde un diverso trattamento, che viene graduato sulla
base dell’importanza e del rilievo delle mansioni dentro l’organizzazione
dell’azienda.
Difatti il lavoratore viene assunto normalmente per un complesso di
mansioni individuate dalle parti e non invece per un’unica attività e tale
complesso di mansioni viene fissato dalle parti in sede individuale o
collettiva
16
.
Dunque è in relazione alle mansioni di assunzione che viene stabilita la
qualifica del prestatore di lavoro (ex art. 96 disp. att. c.c.), e in ossequio
all’interpretazione classica, privilegiabile, la qualifica opera con funzione di
individuazione della posizione del lavoratore e per determinare il trattamento
economico applicabile al lavoratore stesso.
Può essere quindi definita la qualifica come una sintesi delle molteplicità di
mansioni attribuite al lavoratore o, con una fortunata definizione di Gino
Giugni, una “variante semantica”
17
delle mansioni stesse.
In breve, la qualifica come variante semantica, sinteticamente, raggruppa,
utilizzando un unico nome (ad esempio un saldatore), un insieme di compiti
omogeneo che individua e caratterizza una certa figura professionale.
15
L’art. 96 disp. att. c.c. recita al co. 1 “l’imprenditore deve far conoscere al prestatore di lavoro, al
momento dell’assunzione, la categoria e la qualifica che gli sono assegnate in relazione alle mansioni per cui è
stato assunto (2103 c.c.)”.
16
Cfr. CARINCI F., DE LUCA TAMAJO R., TOSI P., TREU T., Il rapporto di lavoro…, op.
cit., p. 202.
17
GIUGNI G., Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, Napoli, Jovene, 1963, spec. pp. 7 e 32.
14
Di norma, l’oggetto nel contratto di lavoro non viene specificato, bensì viene
definito soltanto in maniera generica, riferendosi ad una qualifica cui è
accompagnata altresì l’individuazione del livello di inquadramento contrattuale.
Tuttavia la qualifica consiste in realtà in un mero segno linguistico che
identifica l’oggetto del contratto, ma che non indica con precisione sufficiente
ciò che il lavoratore dovrà concretamente effettuare nello svolgimento della
prestazione lavorativa e la specificazione di tale prestazione da svolgere in
concreto sarà determinata sulla base anche del tipo di organizzazione in cui è
inserito effettivamente il lavoratore
18
.
È quindi la posizione professionale che il lavoratore assume all’interno di
una specifica organizzazione di lavoro che permette di comprendere e
chiarificare cosa sia concretamente tenuto a svolgere un lavoratore all’interno
dell’organizzazione stessa
19
.
Secondo una diversa accezione il termine qualifica opera invece come
sinonimo del termine categoria, come insieme di posizioni cui è riservato lo
stesso trattamento (ossia le c.d. categorie contrattuali) e tale accezione è
influenzata dalla contaminazione del linguaggio giuridico a causa dei termini
utilizzati nei negozi.
Da tale contaminazione non è esente né la giurisprudenza né tantomeno il
legislatore
20
.
Per superare tale ambiguità, sembra corretto individuare il concetto di
qualifica come il complesso di regole comuni, ossia il “trattamento giuridico che è
riservato al raggruppamento di mansioni che, a loro volta, costituiscono il presupposto della
stessa”
21
.
L’individuazione concreta delle mansioni da svolgere da parte del lavoratore
riflette peraltro la realtà organizzativa aziendale, dunque una forte divisione del
lavoro determinerà una parcellizzazione e scomposizione dell’insieme di
compiti attribuiti al lavoratore, mentre una diversa divisione del lavoro può
18
Cfr. ROMEI, La modifica unilaterale delle mansioni, RIDL, 2018, fasc. 2, pp. 240-241.
19
Ibidem.
20
Per la giurisprudenza ad esempio Cass., 21 gennaio 1984, n. 530, in FI, 1984, I, c. 2564; per
il legislatore ad esempio l’art. 3, l. n. 190 del 13 maggio 1985 circa l’attribuzione della
“qualifica di quadro”.
21
BROLLO M., La mobilità interna del lavoratore mutamento di mansioni…, diretto da
SCHLESINGER P., op. cit., spec. p. 5.
15
comportare una ricomposizione o allargamento delle mansioni il cui
svolgimento è richiesto al lavoratore.
Riprendendo la definizione di qualifica come “variante semantica”
22
del
complesso di mansioni, ciò che ne deriva è che la qualifica assume rilievo in
una dimensione c.d. oggettiva, come insieme di capacità e tecniche (rectius:
professionalità) svolte effettivamente o comunque esercitabili in via potenziale,
secondo l’accordo negoziale intercorrente tra le parti.
In tal modo la qualifica assume rilievo identificando figure professionali
esistenti di fatto sul mercato del lavoro e recepiti in sede di contrattazione
collettiva.
Resta peraltro sullo sfondo, nel nostro ordinamento, la qualifica intesa in
senso c.d. soggettivo, che rinvia alle competenze e skills che ha acquisito il
lavoratore dopo aver svolto corsi di studio, attività formative ovvero a seguito
di precedenti ruoli ricoperti dal lavoratore stesso.
Tale qualifica soggettiva assume rilievo nell’ordinamento peraltro soltanto
come criterio interpretativo al sussistere di incertezze applicative, o meglio
assumeva rilievo prima della riforma del Jobs-Act del biennio 2014-2015, grazie
alla quale è stata superata una visione attenta anche a tutelare la professionalità
acquisita del lavoratore, per passare ad una tutela il più possibile oggettiva in
relazione a mansioni, qualifiche e categorie nel rapporto di lavoro
23
.
La contrattazione collettiva, quando fissa i diversi inquadramenti
professionali ed il trattamento giuridico corrispondente, utilizza la medesima
qualifica per individuare mansioni omogenee, e in concreto l’autonomia
collettiva basa l’inquadramento su declaratorie (che descrivono le
caratteristiche comuni sotto il profilo qualitativo, ad esempio grado di
autonomia, responsabilità e difficoltà di svolgimento) e profili professionali
22
V. Nota 17.
23
Uno degli obiettivi principali della riforma 2014-2015 è proprio quello di realizzare una
maggiore certezza nelle relazioni tra lavoratore e datore di lavoro sotto il profilo delle
mansioni, ed un primo passo per realizzarle è stato proprio quello di superare una
concezione soggettiva delle qualifiche, o meglio superare la concezione della professionalità
acquisita; si vedano AVONDOLA A., La riforma dell’art. 2103 c.c. dopo il Jobs Act, ADL, 2018,
fasc. 4-5, pp. 375-376 e FERLUGA L., Le modifiche unilaterali in pejus della disciplina delle
mansioni, ADL, 2017, fasc. 1, pp. 27-28.
16
(individuano specificamente il contenuto professionale delle posizioni di
lavoro stesse)
24
.
A scanso di equivoci, è necessario specificare che molte volte viene
utilizzata, tanto nel linguaggio giuridico corrente, tanto da legislatore e giudice,
il termine qualifica per indicare una categoria legale (dirigenti, quadri, impiegati
e operai), ovvero viene utilizzato il termine “categorie”, ma anche “livelli”,
“aree” o “profili professionali”, per individuare delle classificazioni all’interno
(un esempio può essere quello di un operaio di 1° o 2° livello).
1.3 Le varie categorie di lavoratori.
I lavoratori subordinati, secondo l’art. 2095 c.c., si dividono in quattro
diverse categorie, ossia “dirigenti, quadri, impiegati ed operai”, pertanto è necessario
individuare le modalità attraverso le quali distinguere ognuna di esse.
Il fondamento normativo della distinzione tra operai ed impiegati è da
ricercare nel R.D.L. n. 1825 del 13 novembre 1924 (“legge sull’impiego
privato”).
Proprio l’art. 1 di tale legge enuncia i criteri distintivi tra le due diverse
categorie, indicando la “professionalità” e “non manualità” della prestazione
come necessari per la categoria di impiegato, ma tali due criteri sono stati
descritti come eccessivamente rigorosi ed è dunque stato valorizzato piuttosto
il criterio della “collaborazione impiegatizia”
25
.
Con la formula largamente accolta anche a seguito del c.c. del 1942, per
collaborazione impiegatizia si intende la particolare funzione degli impiegati di
operare in collaborazione con l’imprenditore, svolgendo attività lavorative sue
proprie e agendo in sostituzione di quest’ultimo.
24
Cfr. BROLLO M. e VENDRAMIN M., Le mansioni del lavoratore: inquadramento…, in M.
MARTONE (a cura di), Contratto di lavoro e organizzazione, in Trattato di diritto del lavoro diretto
da M. PERSIANI e F. CARINCI, op. cit., pp. 513-603.
25
Cfr. CARINCI F., DE LUCA TAMAJO R., TOSI P., TREU T., Il rapporto…, op. cit., pp.
204-205.