4
perciò necessaria una valutazione dei lavoratori secondo quelle che so-
no le loro effettive capacità e non solo in base alla posizione occupata
all’interno della struttura organizzativa
4
.
Le risorse umane devono essere capaci di coprire ruoli sempre più
complessi, sviluppando le loro performance individuali. Il loro lavoro
non consiste più in una serie di compiti da eseguire, ma si trasforma in
una sorta di missione da compiere, dove le condizioni operative risulta-
no difficilmente descrivibili in procedure, e dove scelte e decisioni non
dipendono più strettamente dalla gerarchia.
In un tale contesto, la formazione del capitale umano non può ri-
dursi ad un semplice miglioramento dei metodi tradizionali di profes-
sionalizzazione. Non si tratta solo di ammodernare i metodi e le tecniche
già noti ma di porre un’enfasi nuova e differente sull’importanza che, in
una tale fase, hanno i processi mediante i quali la conoscenza può esse-
re creata, diffusa e condivisa.
E' ormai convinzione ricorrente, tra gli studiosi del settore, che ciò
che consentirà alle imprese di rendere le loro strutture sempre più snel-
le e flessibili sia proprio il fatto di dare centralità all’apprendimento,
puntando su meccanismi che consentano l’accumulazione della cono-
scenza.
Nel contesto che si viene così delineando, requisito fondamentale
diviene la capacità di imparare: imparare ad apprendere ed imparare ad
accettare il cambiamento. Capacità che devono essere possedute da tut-
te le persone, a partire da chi ricopre i ruoli di maggiore responsabilità
fino a chi è impegnato in attività operative.
L’apprendimento, infatti, diventa un fattore significativo di cam-
biamento se il management, prima di tutto, risulta fortemente impegna-
to e convinto della prospettiva economica che da tali mutamenti emerge.
Solo in questo modo può verificarsi che la visione degli attori strategici
si trasforma in strategia di azione e di conseguenza, l’organizzazione si
prepara a svilupparsi e si struttura per innovare
5
.
Le imprese dovranno imparare nel miglior modo possibile ad e-
splicitare le conoscenze tacite e ad interiorizzare le conoscenze esplicite
affinché la conoscenza divenga un fattore che permea l’intera organizza-
zione e ne accresce la competitività.
La crescente importanza assunta dalle competenze negli ultimi
anni, ha generato un moltiplicarsi di contributi tale da determinare un
quadro concettuale non del tutto chiaro. Analizzando gli apporti offerti
dalla letteratura possiamo individuare due diversi approcci alle compe-
tenze che, pur essendosi sviluppati autonomamente non devono essere
interpretati in modo contrapposto bensì complementare.
____________________________
4
Cfr.: F. Ratti, “Competenze” in Sviluppo & Organizzazione N.138, Luglio/Agosto 1993.
5
Cfr.:S. Sbrana, T. Torre, Conoscenza e gestione del capitale umano: la learning organization, op. cit.,
pag.18.
5
Un primo filone di studi adotta un approccio “relazionale–
strategico–sistemico”, ponendo l’accento sullo sviluppo delle “core com-
petences”. In tale approccio le competenze vengono analizzate secondo
una prospettiva quasi esclusivamente strategica, che bada alle cono-
scenze e alle capacità detenute dall’organizzazione e funzionali alla
competizione. Risulta quindi poco sensibile agli aspetti operativi di ge-
stione delle risorse umane.
Al contrario, il secondo approccio, che è di tipo “psicologico–
culturale–individuale”, si focalizza sul contributo che i singoli individui
possono dare allo sviluppo competitivo dell’organizzazione. Quindi una
competenza, nell’approccio psicologico, individua gli insiemi di modelli
di comportamento che gli individui devono esplicitare nel lavoro per
raggiungere risultati efficaci
6
.
Si rileva quindi una sorta di dicotomia tra dimensione individuale
e dimensione organizzativa della conoscenza. Al riguardo, assumono no-
tevole importanza gli studi condotti da Nonaka. Egli afferma che seppu-
re l’organizzazione svolge una funzione di creatrice di conoscenza, essa
non può farlo senza il fondamentale contributo dei singoli individui che
la compongono e allo stesso tempo non potrà svilupparsi un processo di
gestione delle risorse umane fondato sul metodo delle competenze senza
un adeguato sviluppo delle stesse a livello organizzativo
7
.
La conclusione a cui egli arriva è che il processo di sviluppo della
conoscenza abbia un andamento a spirale: esso ha origine a livello di
singolo individuo, si sposta a livello di gruppo, per arrivare, infine, a
pervadere l’intera organizzazione. Risulta quindi di fondamentale impor-
tanza trovare un collegamento forte tra organizzazione e persone e tra
competenze organizzative e competenze individuali.
Le esperienze applicative di questi modelli emergenti nella gestio-
ne delle risorse umane sono ancora poco diffuse e hanno riguardato fi-
nora, quasi esclusivamente, settori cosiddetti “tech – based” o “science –
based”. Anche per quanto riguarda i ruoli va rilevato che le poche appli-
cazioni riscontrate hanno interessato in prevalenza managers e alti li-
velli impiegatizi. Infine va detto che non tutte le politiche del personale
sono state svolte secondo questi nuovi modelli nelle imprese interessa-
te
8
.
Forse è ancora troppo presto per poter giudicare appieno le con-
seguenze di un tale fenomeno, ma non si può certamente negare che ci
si trovi di fronte ad un tentativo decisivo di ripensare le politiche di ge-
stione delle risorse umane, allo scopo di raggiungere livelli di competiti-
vità adeguati ai contesti organizzativi emergenti.
____________________________
6
Cfr.: G. De Feo, “Le competenze delle risorse umane e quelle organizzative”, in Sviluppo & Organizzazione
N.157, Settembre/Ottobre 1996.
7
Cfr.: I. Nonaka, “ Come un’organizzazione crea conoscenza” in Economia & Management N.3, 1994.
8
Cfr.: A. Camuffo, “Competenze: la gestione delle risorse umane tra conoscenza individuale e conoscenza
organizzativa”, in Economia & Management N.2, 1996.
6
Questo lavoro si concentra sulla conoscenza e sulla rilevanza del
fattore umano quale primario detentore di tale risorsa.
Nel primo capitolo si mira a mettere in rilievo la centralità assunta
dal capitale umano all’interno dell’impresa partendo dalla individuazio-
ne dei punti di rottura rispetto alla tradizione fordista. In tale sistema,
infatti, il lavoratore aveva scarsa importanza e si riduceva a mero esecu-
tore di compiti routinari. Venivano inoltre trascurate le specificità insite
nei contesti a favore della costruzione di un modello universale utilizza-
bile in qualunque situazione.
L’inadeguatezza di un tale approccio è configurabile anche alla lu-
ce dei mutamenti avvenuti nella formulazione della strategia. Le impre-
se non possono più rivolgersi solo all’analisi delle loro relazioni con
l’ambiente esterno, ma devono essere in grado di sviluppare, prima di
tutto, le loro risorse interne accrescendo le competenze individuali e,
conseguentemente, le loro core competences.
Essendo le competenze un fattore strettamente legato
all’individuo, ci si dovrà concentrare sulle modalità che ne consentono
l’esplicitazione e la codificazione. A tal proposito è stato riproposto lo
studio condotto da Nonaka che descrive in quattro fasi il modo in cui la
conoscenza tacita posseduta dai singoli può essere resa esplicita e con-
divisibile divenendo patrimonio dell’intera organizzazione e consentendo
in tal modo il divenire di una knowledge based organization.
Nel secondo capitolo ci si è concentrati maggiormente sulla fun-
zione di gestione del personale, andando a vedere come può essere svi-
luppato un modello di gestione delle risorse umane secondo il metodo
delle competenze. Tale metodo fa emergere una nuova figura nel merca-
to del lavoro: il knowledge worker, che va ad assumere la posizione oc-
cupata dall’operaio di massa agli inizi del Novecento.
Tale nuova figura richiede un ripensamento delle politiche di valu-
tazione e delle forme retributive, poiché risulterebbe controproducente
applicare i tradizionali metodi, basati strettamente sulla posizione rico-
perta, nel momento in cui si vogliono incentivare i lavoratori a sviluppa-
re livelli crescenti di conoscenze e competenze. Il knowledge worker, in-
fatti, dovrà essere adeguatamente stimolato affinché ponga in essere
comportamenti di successo ed i metodi di remunerazione dovranno ba-
sarsi proprio sullo sviluppo delle sue capacità.
Nel terzo capitolo il lavoro viene concluso con la ricerca di una
forma organizzativa che consenta l’accrescimento continuo delle compe-
tenze. Tale attitudine è rinvenibile nella Learning Organization in quan-
to organizzazione capace di favorire l’apprendimento continuo. Appren-
dimento che dovrà essere attentamente studiato nei suoi aspetti indivi-
duali e organizzativi.
7
Da ciò consegue che dovranno essere rivisti anche i tradizionali
sistemi di formazione affinché il “saper fare” venga unito al “saper esse-
re” realizzando un adeguato contemperamento tra aspetti tecnici e a-
spetti culturali e relazionali.
8
CAPITOLO PRIMO
LA CENTRALITA’ DEL CAPITALE UMANO
NELL’IMPRESA POST-FORDISTA
1.1) L’abbandono del fordismo
Prima di affrontare l’argomento prescelto, mi è sembrato corretto
aprire il lavoro riprendendo quelli che sono stati i tratti caratterizzanti
del fordismo, in modo da mettere meglio in luce i cambiamenti che si
sono verificati e i fattori che stanno assumendo sempre più importanza
nei nuovi scenari competitivi che si vanno delineando.
1.1.1) Il superamento dell’one best way fordista
Dobbiamo prima di tutto considerare il superamento del fordismo
con particolare riguardo ai suoi aspetti socio-tecnici e socio-economici.
La “de-contestualizzazione” fordista era il metodo attraverso il quale ve-
niva superata la complessità dei contesti in cui operava l’impresa. Veni-
vano, in tal modo, annullate le particolarità dei modelli socio - culturali
di riferimento in virtù della costruzione di un modello “universale” a cui
l’impresa si adeguava per avere successo. Questa era la cosiddetta one
best way.
Praticamente, si cercava di ricondurre la realtà all’interno di
schemi logici che riflettessero il modello che l’impresa aveva del mondo
e che fossero da essa governabili tramite strumenti e concettualizzazioni
stabiliti a priori, senza preoccuparsi di dover cogliere le specificità insite
nei diversi contesti, sia dal lato della domanda che dal lato dell’offerta.
Dal lato dell’offerta, la conseguenza inevitabile di un tale approc-
cio non poteva che essere quella della parcellizzazione del lavoro. Nel
momento in cui la realtà operativa dell’impresa veniva ricondotta a mo-
delli predefiniti, anche le attività lavorative e, più in generale, i compor-
tamenti dei lavoratori, dovevano essere ricondotti a modelli predetermi-
nati
1
.
Il funzionamento dell’impresa doveva svilupparsi all’interno di un
percorso stabilito a priori e ciò non poteva avvenire se non “comprimen-
do” le soggettività sia interne che esterne all’impresa stessa. Le mansio-
ni lavorative, sia che si trattasse di semplici operai che di impiegati o
manager, dovevano essere eseguite secondo le condizioni astrattamente
stabilite dal modello. Facendo ciò, le occasioni di crescita competitiva
dell’impresa stavano nella capacità di codificare sempre più le mansioni,
per renderle coerenti con lo “stereotipo comportamentale” di riferimento.
____________________________
1
Cfr.: M. Sbrana, T. Torre, Conoscenza e gestione del capitale umano: la learning organization, op. cit., pag.
30.
9
In un tale contesto, l’apprendimento individuale aveva scarsa, se
non addirittura nessuna, importanza e all’uomo era richiesto, essen-
zialmente, di apprendere quella che era la sua mansione specialistica.
Chiaramente, tanto più le mansioni potevano essere parcellizzate, tanto
minore era l’impegno richiesto sul fronte dell’apprendimento.
A tutto ciò va aggiunta un’ulteriore considerazione. Infatti, più i
modelli comportamentali diventavano codificabili in maniera precisa e
puntuale, più si accresceva il processo di meccanizzazione. E’ proprio
per questo motivo che le conoscenze si accumularono più nelle macchi-
ne che negli uomini, portando ad una situazione in cui i beni strumen-
tali ed il capitale fisico diventavano quasi perfetti sostituti del capitale
umano. Questo era reso possibile dal fatto che le imprese avessero biso-
gno di strumenti che incorporassero le conoscenze per riprodurre com-
portamenti e risultati predefiniti e non di discrezionalità e flessibilità
nell’azione, che possono ottenersi solo tramite il contributo del capitale
umano. Il vantaggio competitivo, infatti, si fondava essenzialmente sul
conseguimento di economie di scala nella produzione.
Quindi, la forza competitiva delle imprese derivava dalla loro ca-
pacità di raggiungere grandi dimensioni da cui derivassero dei benefici
di costo. In un tale approccio, il concetto d’apprendimento era quello del
“learning by doing” cioè, strettamente legato all’esperienza cumulata
nell’utilizzo di determinati sistemi tecnici o nel perseguimento di deter-
minate attività. Si trattava di un concetto di apprendimento che era
sempre strettamente legato e non distinguibile dai beni strumentali e
dall’utilizzo sistematico del capitale fisico.
Il cambiamento che si sta verificando, deriva dalla possibilità, of-
ferta dalle tecnologie attuali, di separare sempre più le conoscenze dal
capitale fisico. Ciò ha portato le imprese a realizzare crescenti investi-
menti in attività e processi dedicati specificamente all’apprendimento
dei lavoratori, a prescindere da quelli che sono gli investimenti effettuati
in beni strumentali
2
.
1.1.2) L’importanza assunta dal fattore umano
Da tali mutamenti è discesa la necessità di trovare nuovi modelli
organizzativi che sviluppassero l’efficienza dei processi di apprendimen-
to. Le soluzioni organizzative che le imprese potranno adottare a tal
punto saranno dotate di maggiore individualità in quanto stabilite in
seguito ad una attenta analisi delle loro competenze, delle risorse speci-
fiche e delle peculiarità del loro ambiente socio-culturale. La stessa os-
servazione può essere fatta con riguardo alla scelta della strategia da
seguire.
____________________________
2
Cfr.: M. Sbrana, T. Torre (a cura di), Conoscenza e gestione del capitale umano: la learning organization,
op. cit., pagg. 30 e segg.
10
In questa evoluzione, il capitale umano ha assunto una diversa
importanza e la cosiddetta “economia delle risorse umane” è emersa
come un aspetto chiave dello sviluppo aziendale. La vera e propria “rivo-
luzione” è quella che ha riguardato i livelli più bassi della gerarchia or-
ganizzativa. Infatti, nel fordismo, le competenze erano incorporate nelle
macchine e non era perciò necessario che esse venissero accumulate
dai lavoratori. Ad essi era richiesto essenzialmente un controllo routina-
rio e standardizzato delle stesse.
Nel momento in cui le competenze si vanno progressivamente
scorporando dalle macchine, è il fattore umano a dover accumulare
sempre più competenze e capacità decisionali indipendenti dal capitale
fisico. L’attività lavorativa acquisisce un contenuto altamente discrezio-
nale che si sviluppa attraverso la capacità degli individui di acquisire,
governare e applicare il patrimonio di conoscenze. Il segreto per lo svi-
luppo competitivo risulta sempre più insito nel capitale umano.
Per questo motivo si assiste ad una crescita notevole degli inve-
stimenti in processi di apprendimento ed in modelli organizzativi orien-
tati in tal senso, in modo da creare una dimensione strategica che per-
mei l’intera organizzazione, rivolgendosi soprattutto a quelle aree in cui
l’apprendimento dei lavoratori non è così ovvio (come potrebbe invece
essere per aree quali quella della Ricerca & Sviluppo, che, per definizio-
ne, sono costituite da persone dedite all’apprendimento) e dove risulta,
di conseguenza, di più difficile realizzazione
3
.
1.1.3) Il nuovo ruolo del top - management
Fino ad oggi, l’apprendimento è stato considerato sotto aspetti di
carattere socio-psicologico (considerando i modi attraverso i quali inco-
raggiare l’apprendimento delle persone) o strettamente organizzativo
(stabilendo quali siano le strutture organizzative e le procedure che fa-
voriscono l’apprendimento). Ciò non è più possibile, perché
l’apprendimento deve essere collocato all’interno di un processo di tra-
sformazione che riguarda la totalità dell’impresa.
Queste modifiche vanno ad incidere notevolmente anche sul ruolo
del management che vede modificarsi la sua tradizionale funzione di in-
dirizzo, coordinamento e controllo basato su criteri gerarchici e di cen-
tralizzazione a livello decisionale. La burocratizzazione, infatti, era det-
tata da un’organizzazione che si basava su procedure astratte e predefi-
nite dove il modo più efficace di operare derivava da una attenta pianifi-
cazione a priori che, come già detto, prescindeva dai contesti di radica-
mento.
Dobbiamo comprendere bene come lo scenario di riferimento sia
mutato e come la separazione delle conoscenze dalle macchine costitui-
____________________________
3
Cfr.: M. Sbrana, T. Torre (a cura di), Conoscenza e gestione del capitale umano: la learning organization,
op. cit., pagg. 32 e segg.
11
sca un potenziale che le imprese dovranno sfruttare nel miglior modo
possibile, in quanto fattore generico utilizzabile in modo diverso in si-
tuazioni e contesti differenti.
Il valore d’uso, maggiore o minore, che tali conoscenze acquisi-
ranno dipenderà dalle capacità del capitale umano nel progettarne
l’applicazione.
E’ a questo punto che si sviluppa il ruolo nuovo del top - mana-
gement, non necessario nell’impresa fordista, dove le conoscenze erano
fortemente centralizzate e non vi era assolutamente il rischio di una loro
dispersione nei contesti applicativi. Tale nuovo ruolo è quello di
sviluppare un percorso strategico che, tramite lo sviluppo delle com-
petenze distintive dell’impresa, orienti tutte le attività della stessa se-
condo una prospettiva tale da consentirle il conseguimento di vantaggi
competitivi durevoli
4
.
Il management diventa il gestore e coordinatore delle informazioni
e delle conoscenze provenienti dai contesti operativi, oltre che il creatore
di conoscenze generiche, indispensabili per lo sviluppo delle stesse
all’interno di tutta l’organizzazione. Quindi, sarebbe sbagliato pensare
che il decentramento decisionale e il diverso ruolo che il capitale umano
sta assumendo, portino a processi di auto-organizzazione in cui il ruolo
dell’alta direzione diventa marginale e poco importante. Al contrario, va
precisato che, l’auto–organizzazione non è assolutamente un processo
spontaneo che si sviluppa come conseguenza della libertà data ai sog-
getti di esprimersi all’interno dell’organizzazione. Esso deve essere ade-
guatamente progettato e coordinato affinché si creino le giuste condi-
zioni per il dispiegarsi delle attività. Tale ruolo fondamentale deve essere
svolto dal top–management “che deve progettare, coordinare e, se ne-
cessario, anche forzare l’auto–organizzazione”
5
.
Sarebbe perciò sbagliato affermare che l’importanza del manage-
ment si sia ridotta nella nuova economia delle risorse umane, anzi, esso
acquisisce un ruolo importante nella formulazione del sistema di incen-
tivi, che era assente nell’economia fordista.
____________________________
4
Cfr.: M. Sbrana, T. Torre (a cura di), Conoscenza e gestione del capitale umano: la learning organization,
op. cit., pagg. 35 e segg..
5
Cfr.: M. Sbrana, T. Torre (a cura di), Conoscenza e gestione del capitale umano: la learning organization,
op. cit., pag.37.
12
1.2) Le competenze come nuova leva strategica
L’approccio basato sulle competenze presenta, tra gli altri, anche
il vantaggio di legarsi positivamente con i mutamenti che si sono regi-
strati nelle impostazioni strategiche rispetto al passato. Sino a poco
tempo fa la formulazione della strategia si riduceva alla ricerca della mi-
gliore combinazione possibile tra le risorse e le capacità interne
all’azienda e quelle che erano le minacce/opportunità offerte dall’am-
biente.
Se negli anni Ottanta l’analisi strategica si focalizzava essenzial-
mente sul legame tra strategia e ambiente esterno oggi ciò non è più ve-
ro perché è stata notevolmente rivalutata l’importanza delle risorse in-
terne all’azienda come fattore fondamentale della strategia
6
. Si assiste
quindi al consolidamento di una nuova prospettiva strategica in cui as-
sumono sempre più importanza le competenze distintive dell’organiz-
zazione a discapito di quelle che erano le tradizionali leve della competi-
zione.
L’approccio basato sulle competenze risulta in grado di cogliere i
cambiamenti avvenuti, in quanto individua nelle risorse e nelle capacità
organizzative la fonte del vantaggio competitivo
7
. Infatti, in contesti in-
stabili e incerti, una strategia basata su quello che si è in grado di fare
risulterà sicuramente più duratura di una strategia che sia rivolta e-
sclusivamente all’individuazione delle opportunità di mercato da sfrut-
tare
8
.
Da quanto detto finora, deriva che il nuovo problema strategico
per le imprese sarà quello di sviluppare una migliore e maggiore effi-
cienza nell’accumulazione, combinazione e utilizzo delle sue risorse. Si
tratta di sviluppare capacità organizzative che risultino difficilmente i-
mitabili dai concorrenti e, nel momento in cui queste non fossero più
identificabili come uniche, devono aversi altrettante forti capacità per
svilupparne di nuove.
Questa competizione può essere definita “knowledge based” poi-
ché ogni posizione di vantaggio nasce dallo sviluppo, da parte
dell’impresa, di nuove conoscenze, utili per rispondere alle esigenze del
mercato meglio dei concorrenti. Tale vantaggio potrà essere mantenuto
solo se si eviterà di trascurare la vulnerabilità che queste conoscenze
presentano rispetto alla creazione di nuove conoscenze da parte di altre
imprese che dovessero risultare più efficaci rispetto alla medesima si-
tuazione.
Se consideriamo il fatto che nella maggior parte dei mercati la
globalizzazione e l’aumento costante del ritmo del progresso tecnologico
____________________________
6
Cfr.: R. M. Grant, (1991), contenuto nell’articolo “Competenze: la gestione delle risorse umane tra cono-
scenza individuale e conoscenza organizzativa”, di A. Camuffo, in Economia e Management N.2, 1996.
7
Cfr.: Lado e Wilson, (1994), contenuto nell’articolo “Competenze: la gestione delle risorse umane tra cono-
scenza individuale e conoscenza organizzativa”, di A. Camuffo, op. cit.
8
Cfr.: A. Camuffo, “Competenze: la gestione delle risorse umane tra conoscenza individuale e conoscenza
organizzativa”, op. cit.
13
hanno creato situazioni competitive tanto dinamiche da rendere discu-
tibile in ogni momento qualunque posizione di vantaggio, capiamo subi-
to come risulti inconcepibile una strategia statica. Inoltre, essendo la
conoscenza un fattore intrinsecamente dinamico il suo valore declina
nel tempo e deve essere continuamente rigenerato ed accresciuto trami-
te l’apprendimento.
Sono ormai in tanti a riconoscere che “il lavoratore della cono-
scenza” costituisca il bene più prezioso per affrontare gli scenari eco-
nomici attuali e degli anni a venire.
1.3) Filone razionalistico e filone psicologico nell’ap-
proccio alle competenze
Agli inizi del decennio appena trascorso si sono sviluppati, in con-
temporanea ma lungo percorsi differenti, due diversi filoni nello studio
delle competenze. Il primo filone, di tipo razionale/strategico/sistemico,
si è focalizzato sulle competenze organizzative o “core competences” a-
ziendali, mentre il secondo, di tipo psicologico/culturale/individuale, ha
posto l’accento sullo sviluppo delle competenze individuali
9
.
L’approccio razionalistico risulta strettamente legato all’evoluzione
che il contesto concorrenziale ha avuto tra gli anni Ottanta e gli anni
Novanta e che ha portato al consolidamento di una nuova prospettiva
strategica. Dei mutamenti che si sono verificati nell’analisi strategica
abbiamo già parlato nel paragrafo precedente, ma dobbiamo tornare
sull’argomento perché è proprio lungo l’asse dell’evoluzione del rapporto
tra risorse e strategia che si sviluppa l’approccio razionalistico all’analisi
delle competenze.
Gli autori appartenenti a tale filone ritengono che il management,
allo scopo di accrescere la competitività dell’azienda, debba garantire lo
sviluppo di competenze e capacità distintive dell’organizzazione azienda-
le.
Tale approccio risulta criticabile poiché si limita ad individuare le
conoscenze tramite l’analisi dei fattori critici di successo aziendali e,
conseguentemente, il modo in cui queste si traducono in competenze
distintive dell’azienda. Manca del tutto uno sviluppo dei processi e delle
metodologie che consentano di applicare un tale approccio nella gestio-
ne delle risorse umane.
Gli autori appartenenti al filone psicologico, invece, cercano di
spiegare lo sviluppo di un approccio basato sulle competenze, all’interno
dei modelli di gestione aziendale, fondandolo su ragioni essenzialmente
“umanistiche”. Infatti, mentre negli anni Sessanta, un ambiente relati-
vamente stabile, consentiva la gestione della forza lavoro secondo un
____________________________
9
Cfr.: G. De Feo, L. Lama (1994), contenuto in “Competenze: la gestione delle risorse umane tra conoscenza
individuale e conoscenza organizzativa” di A. Camuffo,op. cit.
14
rapporto formale tra l’impresa e i lavoratori, il complicarsi del contesto
ambientale che si è verificato nei decenni successivi, ha imposto una
considerazione sempre maggiore nei confronti delle differenze riscontra-
bili tra i singoli individui.
Si è reso necessario un arricchimento delle posizioni di lavoro in-
dividuali ed un accrescimento dell’autonomia concessa ai singoli, grazie
alla riduzione dei livelli di supervisione. I fautori dell’approccio psicolo-
gico ritengono che sia indispensabile sviluppare nelle persone cono-
scenze e competenze che le rendano capaci di affrontare le situazioni in
un contesto caratterizzato da una crescente ambiguità
10
.
E’ evidente come i due approcci adottino dei punti di vista com-
pletamente differenti. Il primo, adottando una prospettiva strategica, si
orienta verso la ricerca di schemi competitivi di successo che riguardino
l’azienda nella sua totalità e trascura lo sviluppo e la gestione delle
competenze dei singoli che stanno alla base delle competenze organizza-
tive. Il secondo, adottando una prospettiva psicologica, si concentra sul-
le competenze dei singoli individui e sulle modalità operative di gestione
delle risorse umane considerando la strategia come un dato.
Da tutto ciò emerge una dicotomia abbastanza forte tra dimensio-
ne individuale e organizzativa della conoscenza, che richiede un proces-
so di integrazione fra i due diversi momenti
11
. I contributi teorici in tal
senso non mancano, ma ciò che finora è venuto meno è il passaggio da
un approccio strumentale ad uno costitutivo nella concezione del rap-
porto tra strategia d’impresa e gestione delle risorse umane.
1.4) Conoscenze generali e contestuali: rapporto e
integrazione
Diversi autori si sono espressi riguardo all’interdipendenza che
sembrerebbe sussistere tra conoscenze codificate e conoscenze tacite.
Cioè tra un insieme di conoscenze che risulterebbero generali e de-
contestualizzate e quelle che invece risulterebbero più specifiche e stret-
tamente legate ai contesti di applicazione.
Già nel 1962 Simon si pose il problema di stabilire se la cono-
scenza possa essere codificata e in quale misura ciò sia possibile. Svi-
luppando le intuizioni di Smith, Taylor e Babbage, egli sosteneva che
tutti i sistemi possono essere scomposti in sottosistemi sempre più pic-
coli fino ad arrivare ad un livello di sottosistemi che lui definiva “ele-
mentari”.
Questo principio venne applicato da Simon anche allo studio delle
conoscenze nelle organizzazioni, che quindi potrebbero essere scompo-
ste fino ad arrivare ad informazioni elementari, per poi venire ricompo-
____________________________
10
Cfr.: G. De Feo, “ Le competenze delle risorse umane e quelle organizzative”, op. cit.
11
Cfr.: A. Camuffo, “Competenze: la gestione delle risorse umane tra conoscenza individuale e conoscenza
organizzativa”, op. cit.
15
ste ed essere applicate alla risoluzione di problemi più complessi. Quin-
di, secondo Simon, informazioni e conoscenze possono essere codificate
dando origine a dei moduli cognitivi ricongiungibili tra loro in modi e
forme differenti.
Lo studio di Simon si concentrò prevalentemente sulla questione
della codificabilità delle conoscenze senza tenere conto di due limiti: il
primo è che la gran parte delle conoscenze prodotte da
un’organizzazione restano tacite e ciò impedirebbe la formazione di una
struttura completa di sistemi elementari di cui egli parla; la seconda è
legata al valore d’uso che le conoscenze hanno nel contesto in cui si svi-
luppano e che risulterebbe quasi sicuramente ridotto se queste venisse-
ro codificate. Il valore economico deriva quindi dall’accumulazione di
conoscenze contestuali e dalla giusta combinazione di queste con cono-
scenze più generali (codificate)
12
.
In tempi più recenti, lo sforzo degli studiosi si è concentrato sulla
possibilità di trovare il giusto connubio tra contestualizzazione e de-
contestualizzazione.
Von Hippel, in un articolo del 1994, cerca di risolvere la questione
suddividendo le conoscenze in base al grado di “vischiosità” che esse
presentano
13
. Alcune essendo molto “vischiose” risulterebbero difficil-
mente trasferibili ad un soggetto diverso da quello che le ha prodotte.
Egli ne risulterà quindi l’esclusivo utilizzatore. Al contrario, ci saranno
delle conoscenze assolutamente “non vischiose”, che circoleranno molto
facilmente fra i diversi soggetti.
Tra questi estremi si svilupperà una serie ininterrotta di cono-
scenze più o meno legate al soggetto “produttore” delle stesse. Lo sforzo
per la loro codificazione sarà tanto maggiore quanto più ci troveremo ad
avere a che fare con le conoscenze caratterizzate da “vischiosità”, affin-
ché le stesse possano essere trasformate in conoscenze e informazioni
utilizzabili indistintamente da qualunque soggetto nei diversi contesti di
riferimento.
Anche Beccatini e Rullani si inseriscono nel dibattito e propongo-
no un approccio che non si discosta di molto da quello di Von Hippel.
Questi autori suddividono le conoscenze in:
• codificate: per loro natura sono conoscenze generali e astratte,
scambiabili attraverso linguaggi codificati, in quanto colgono es-
senzialmente gli elementi “costanti” o perlomeno simili dei diversi
contesti;
• contestuali: specifiche dei contesti, vengono prodotte e utilizzate
solo all’interno degli stessi. Per tale motivo non risultano scam-
biabili attraverso linguaggi codificati ma solo attraverso la condi-
visione delle medesime esperienze.
____________________________
12
M. Sbrana, T. Torre, Conoscenza e gestione del capitale umano: la learning organization, op. cit., pag. 52.
13
Cfr.: Von Hippel (1994), contenuto in M. Sbrana, T. Torre, Conoscenza e gestione del capitale umano: la
learning organization, op. cit., pag. 52.
16
• de-contestualizzate: conoscenze contestuali che, almeno in parte,
sono state rese scambiabili, secondo dei linguaggi generali, trami-
te la codificazione.
La de-contestualizzazione proposta da Rullani e Beccatine è un
processo molto simile a quello proposto da Von Hippel, anche se poi loro
compiono un ulteriore passo avanti sostenendo che le conoscenze de-
contestualizzate vadano poi ricontestualizzate affinché si rendano visibi-
li i frutti ritraibili da un tale processo. Infatti, le conoscenze che sono
state estratte da contesti specifici, non potranno essere applicate a nuo-
ve e differenti situazioni senza la creazione di un’adeguata combinazio-
ne con le specificità del nuovo contesto di riferimento
14
.
Molto interessanti in proposito appaiono gli studi condotti da No-
naka, il quale, riprendendo la distinzione di Polanyi tra conoscenze taci-
te e codificate, suggerisce un possibile modello di knowledge creation
che, rispetto ai contributi precedenti, amplia i canali di trasferimento
della conoscenza. Possiamo considerare il lavoro di Nonaka come un
possibile approccio costitutivo alla concezione del rapporto tra strategia
e gestione delle risorse umane per il raggiungimento dell’integrazione
tra conoscenze individuali e conoscenze organizzative
15
.
1.5) Gli studi di Nonaka e la spirale della conoscenza
Nonaka nei suoi studi riguardanti la creazione di conoscenza
all’interno delle organizzazioni, parte dall’idea che la teoria economica
non abbia mai considerato la conoscenza come una risorsa che può es-
sere anche creata oltre che distribuita. Inoltre, secondo tale autore, è
stato trascurato il ruolo relazionale della conoscenza, che si genera oltre
che dall’apprendimento individuale, dall’interazione sociale delle orga-
nizzazioni
16
.
1.5.1) I limiti delle teorie economiche nello studio della
conoscenza
Tramite un breve excursus storico è possibile rilevare come dalle
principali teorie economiche siano risultate assenti delle valide teorizza-
zioni relative a come la conoscenza viene creata.
Già Marshall, a suo tempo, riconobbe l’importanza della produ-
zione di conoscenza all’interno dell’organizzazione, ma sebbene il suo
interesse fosse rivolto alla dinamica economica e non alla statica, si li-
mitò, così come tutti gli economisti neoclassici, all’utilizzo della cono-
____________________________
14
Cfr.: G. Beccatini, E. Rullani (1993), contenuto in M. Sbrana, T. Torre, Conoscenza e gestione del capitale
umano: la learning organization, op. cit., pag. 53.
15
Cfr.: E. Rullani, “Il valore della conoscenza”, in Economia e politica industriale N.82, 1994.
16
Cfr.: E. Rullani, “Il valore della conoscenza”, op. cit.
17
scenza esistente, che era rappresentata essenzialmente dalle informa-
zioni di prezzo.
In parole povere, l’economia neoclassica ignorava l’enorme am-
montare di conoscenze implicite ed esplicite che esulassero dalle infor-
mazioni di prezzo e lo stesso Marshall, pur partendo da buoni presup-
posti, finiva per disinteressarsi totalmente del processo mediante il qua-
le le conoscenze potevano essere create. Si dava praticamente per scon-
tato che la conoscenza necessaria all’impresa per lo svolgimento dei
processi produttivi provenisse dall’esterno, creando quindi una netta
separazione tra il momento della creazione e quello dell’utilizzo.
Parzialmente diversi furono i frutti degli studi condotti da Hayek e
Schumpeter, i quali riconobbero alla conoscenza una dimensione sog-
gettiva oltre che oggettiva e smisero, rispetto ai neoclassici, di conside-
rarla come un ammontare fisso, riconoscendone la sua variabilità in ba-
se al contesto e alle particolarità derivanti dalle circostanze spazio-
temporali.
Fu Hayek che, pionieristicamente, fece rilevare l’importanza della
conoscenza tacita ma non fu in grado di andare oltre in quanto non riu-
scì mai ad esplicitare il processo tramite il quale la stessa può essere
convertita in conoscenza esplicita e non si rese neppure conto
dell’importanza che un tale processo aveva.
Tuttavia anche nelle loro concettualizzazioni viene a mancare la
capacità di sviluppare una teoria dinamica della conoscenza che esplici-
ti il modo attraverso il quale quest’ultima può essere estrapolata da uno
specifico contesto per diventare conoscenza esplicita.
Questo limite è riscontrabile anche negli studi condotti da Penro-
se che concentra le sue ricerche sui processi interni di crescita delle a-
ziende. Secondo tale autrice, la forza dell’impresa non risiederebbe solo
nelle risorse fisiche e umane in loro considerate, bensì nell’interazione
tra le stesse, derivante dall’esperienza e dalle conoscenze che l’impresa
e i soggetti sono in grado di creare e di accumulare. Nonostante avesse
colto l’importanza dell’esperienza nell’accumulo della conoscenza, non
si preoccupò di comprendere a fondo i meccanismi ed i processi attra-
verso i quali la risorsa umana può contribuire allo sviluppo della stessa.
Questo aspetto venne approfondito, qualche decennio dopo, da
Nelson e Winter i quali vedono l’impresa come un deposito di conoscen-
ze, immagazzinate sotto forma di schemi di comportamento regolari e
prevedibili, definiti dagli autori come “routine”. La loro teoria valuta pe-
rò con scetticismo la possibilità di una radicale auto-evoluzione delle
conoscenze dell’impresa e bada soprattutto al miglioramento quantitati-
vo di quella già esistente
17
.
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17
Cfr.: I. Nonaka, H. Takeuchi, The knowledge creating company: creare le dinamiche dell’innovazione, op.
cit., pagg. 67-70.