6
Agilulfo è il mitico cavaliere inesistente, geniale creazione
di Italo Calvino, nella divertita rilettura dei poemi cavalle-
reschi medioevali, il guerriero fatto di sola corazza, l’arma-
tura bianca che risuona di una voce metallica che non ap-
partiene a nessuno, ma che si batte con ardore. Lo spet-
tacolo che si pone agli occhi del telespettatore sintonizzato
sulle frequenze (ammesso che riesca a trovarle…) de La7 è
vagamente evocativo del misterioso paladino che non esi-
ste, pur essendo da tutti visibile. Come quella voce metalli-
ca, la voce de La7 risuona da alcuni mesi nelle case degli
italiani, gli schermi, come quell’armatura, rilucono di tutti i
colori della tv, ma la sensazione diffusa è che questa
corazza celi un’impalpabilità, l’assenza di un corpo. E non
si può fare a meno di rimanere stupefatti, nel contemplare
questo spettacolo.
La centralità del mezzo televisivo in Italia è fuori discus-
sione. Non sarebbe nemmeno necessaria una sua dimostra-
zione scientifica, ma si potrebbe tranquillamente accettare
come postulato. Tuttavia, richiamiamo qui due fattori:
1. Il tempo di consumo medio giornaliero della
televisione è superiore alle tre ore, tra i più elevati in
Europa e nel mondo, mentre si calcola che ogni giorno
circa l’86% della popolazione italiana entra in contatto, per
almeno un minuto, col mezzo televisivo.
2. Più della metà delle risorse pubblicitarie nel nostro
7
paese si concentrano sul mezzo televisivo, creando non
pochi problemi finanziari agli altri media (soprattutto la
stampa), e facendo del comparto televisivo l’unico in grado
di reggere il confronto cogli altri Paesi sviluppati, in un
quadro pubblicitario che, invece, complessivamente,
rispetto ad essi ha dimensioni ridotte.
A questi fattori se ne possono aggiungere altri2, come la
grande diffusione della stampa specializzata, e, di contro,
lo spazio crescente dedicato dalla stampa tradizionale alla
tv, il fatto che tuttora per una parte non indifferente
dell’opinione pubblica, il mezzo televisivo sia l’unico
mezzo a disposizione, i continui, stretti e talvolta perversi
legami della televisione con la politica, dal controllo
governativo attraverso l’IRI, a quello parlamentare, e la
conseguente lottizzazione, alla discesa in campo, e
all’ascesa fino alla Presidenza del Consiglio, del capo del
principale gruppo televisivo privato.
«Non c’è episodio o scelta nella nostra vita quotidiana e
del nostro sistema sociale che non passi attraverso la tv.
Non c’è estetica o etica, ideologia o politica, passione o
conflitto, che non agiscano televisivamente.»3. Così
2
cfr. F. De Vescovi. Il mercato della televisione, Bologna, Il Mulino,
1997
3
A. Abruzzese, Lo splendore della tv. Origini, destino e linguaggio
audiovisivo, Milano, Editori Associati, 2000, pag.17 (ed. or. 1995,
Costa&Nolan)
8
Abruzzese esordisce parlando dello Splendore della tv,
spingendoci alla riflessione sulla centralità del mezzo, del
suo linguaggio (di quello audiovisivo in genere), sulla sua
qualità che abita ormai gli italiani, «finendo per dominarli
come una potenza straniera»4, in una realtà dove si
spezzano le mediazioni tradizionali tra realtà e finzione, tra
costruzione sociale e messa in scena simbolica, tra realtà e
superstizione. C’è stata un’ “americanizzazione dell’imma-
ginario”, che le culture tradizionali non hanno saputo com-
prendere, perché scontano i loro pregiudizi sulla cultura di
massa. Non c’è dubbio che queste affermazioni si addicono
poco alla televisione dei primi vent’anni, per non dire che
con essa non hanno nulla a che fare, e che debbano essere
ricondotte al momento in cui a metà degli anni ’70 cade il
monopolio televisivo e nasce l’emittenza privata.
Fino a quel momento una televisione statica, controllata,
rigida e in bianco e nero aveva offerto al suo pubblico una
finestra sul mondo, animata da un intento pedagogico, ma
aveva finito per farsi superare da una società in fermento,
che parlava ormai nuovi linguaggi, cominciava ad avere
altri stili di vita rispetto a quelli che la tv continuava a
mostrare. La rottura del monopolio Rai ha i colori i suoni
le immagini delle televisioni straniere e delle emittenti
locali, che seducono facilmente il telespettatore. La tv
moltiplica se stessa decomponendo la realtà e ricostruendo
4
Ibid. pag. 32
9
una “quasi realtà”, che «ha i caratteri e le sembianze di
quella vera anche se è del tutto artificiale»5. Ma il magma
fuoriuscito dall’esplosione del monopolio fa in fretta a
rapprendersi, e ben presto dalla stagione dei così detti
“centofiori” emergerà, quasi darwinianamente un solo
soggetto, il più forte, il gruppo Fininvest. Il monopolio
diventa semplicemente duopolio, definitivamente
legittimato dalla legge 223/90, la legge Mammì.
La creazione di un nuovo polo televisivo deve fare i conti
con questo. Certamente, le difficoltà sono innanzitutto di
natura economica. Le altissime barriere all’ingresso nel
mercato rappresentate dagli ingenti costi sono un ostacolo
quasi proibitivo. Creare un terzo polo televisivo, in chiaro e
via etere, in un sistema saturato da questo tipo di offerta,
significa investimenti di almeno alcune centinaia di
miliardi di lire nel mercato pubblicitario, cosa che non tutti
si possono permettere; e anche una volta trovati i soldi,
difficilmente i ricavi saranno proporzionali agli investi-
menti. Ma le difficoltà sono anche di altra natura. Il duo-
polio Rai-Mediaset non è soltanto una realtà consolidata da
un punto di vista economico, ma lo è soprattutto presso gli
spettatori, che si sono, nella loro stragrande maggioranza,
ormai abituati all’idea che questa sia la televisione, che
5
M. Livolsi La realtà televisiva Come la tv ha cambiato gli italiani.
Roma. Laterza, 1998
10
identificano coi primi sei tasti del telecomando, e che tutto
il resto non sia altro che una mera cornice.
Chiunque voglia dare vita ad un terzo polo deve, allora, an-
che tenere presente che si è di fronte ad un sistema blocca-
to non solo nei suoi aspetti economici, ma anche fossilizza-
tosi nelle coscienze dei telespettatori, con una fidelizza zio-
ne verso certi simboli. Non solo dunque centralità del mez-
zo televisivo, ma anche, e soprattutto, centralità di questo
tipo di televisione e del suo linguaggio, sovrapposizione
costante di realtà e finzione, di vero e falso.
Nonostante queste difficoltà, nel corso del 2001 abbiamo
assistito al tentativo, non il primo, chissà se l’ultimo, di
armare un terzo polo televisivo. Telemontecarlo (da ora
TMC) è stata comprata nell’agosto 2000 dal gruppo Seat
Pagine Gialle, a sua volta controllato da Telecom Italia,
per dare vita ad un nuovo progetto: La7, che ha cominciato
le proprie trasmissioni il 24 giugno 2001. Due mesi più
tardi, però, i nuovi dirigenti di Telecom Italia hanno optato
per un netto ridimensionamento degli investimenti nel
progetto, che di fatto non è partito mai.
L’obiettivo del presente lavoro è quello di ripercorrere ed
analizzare le tappe di questo progetto, dalla sua nascita fino
alla sua morte.
Innanzi tutto cercheremo di vedere in che cosa consisteva,
11
osservando da vicino il piano editoriale originale. Ana liz-
ze remo, pertanto, la strategia di posizionamento sul merca-
to pubblicitario e degli ascolti. L’entità di questo tipo di in-
ve stimenti è molto significativa delle ambizioni di una rete,
cercheremo, quindi di capire quali erano gli obiettivi in ter-
mini di ascolti e in termini di raccolta pubblicitaria, a quale
tipo di target La7 intendeva rivolgersi e attraverso quale
tipo di offerta di contenuti. A questo scopo ci rifaremo più
volte, come termine di paragone all’esperienza di vent’anni
fa delle allora reti Fininvest, cercando di cogliere, mutatis
mutandis, le analogie e le differenze. Per approfondire il
nostro discorso, analizzeremo nel dettaglio due trasmis-
sioni, Fobie e Sfera, cercando di mostrare in che modo
concretamente La7 si rivolgesse al pubblico e cercando di
rintracciare gli elementi qualificanti del progetto editoriale.
Un ultimo aspetto preso in considerazione sarà la strategia
del lancio pubblicitario, il modo in cui La7 ha creato il
proprio logo e ha cercato di imporlo sul mercato.
In secondo luogo prenderemo in considerazione gli aspetti
giuridico-economici della vicenda, focalizzando la nostra
attenzione su due momenti distinti. Il primo riguarda le fasi
che hanno preceduto il lancio dell’emittente: l’operazione
dell’acquisto di TMC da parte di Seat è stata a lungo
oggetto di discussione da parte dell’Autorità per le
Garanzie nella Comunicazione (da ora AGCOM), che l’ha,
nel gennaio del 2001, osteggiata, dando un parere negativo,
12
e dell’Autorità per le Garanzie della concorrenza e del
mercato (comunemente definita Antitrust, da ora AGCM),
che, al contrario, si è espressa favorevolmente, ed è stata,
infine, resa possibile, qualche mese più tardi (giugno),
dalla sentenza del Consiglio di Stato, che ha confermato
quella del TAR del Lazio, e che ha dato via libera alle
trasmissioni. Il secondo riguarda l’avvicendamento ai
vertici di Telecom Italia, acquistata alla fine del luglio
2001 da Marco Tronchetti Provera e Gilberto Benetton:
questo cambio della guardia ha sancito il congelamento del
progetto iniziale ed il rapido declino della pur breve
esperienza della nuova emittente. Cercheremo pertanto di
comprendere quali ragioni abbiano spinto a questa
decisione e quali fossero le effettive possibilità di crescita e
di sviluppo de La7.
Infine cercheremo di dare un quadro più ampio della
situazione, contestualizzando la vicenda nel quadro italiano
ed europeo. Ci rifaremo, pertanto, ai precedenti tentativi di
creare un terzo polo televisivo nel nostro paese e
cercheremo di confrontare il caso de La7 con quello di
altre televisioni straniere, in particolare con l’emittente
francese M6.
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- PRIMA PARTE -
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1
DA TMC A LA7, NASCITA
DI UNA TV COMMERCIALE
IN ITALIA
1.1 La nascita de La7
Il cambio del marchio arriva attorno alle 22:30 del 24
giugno 2001, affidato alla signora Marta, 77 anni, di
Ravenna.6 E’, a suo modo, un momento storico, quasi
epocale: TMC cessa di esistere e al suo posto nasce La7.
«Non capita tutti i giorni di veder nascere una nuova rete
televisiva. Anzi per la verità l’ultima volta è successo tanto
tempo fa»7, commenta il giorno dopo Aldo Grasso sul
Corriere della sera, riferendosi ad Italia1 (di Rusconi),
Retequattro (di Mondadori) ed Euro Tv (di Callisto Tanzi).
Sono passati vent’anni. TMC, invece, esisteva addirittura
da quasi cinquanta, era nata nel 1954 come televisione di
stato del piccolo Principato di Monaco, ma per gli italiani
era divenuta significativa solo vent’anni più tardi, quando
6
Questa signora, collegata dal salotto di casa sua in diretta durante la
Prima Serata de La7, assieme a tutta la sua famiglia, per rappresentare
lo spettatore medio che guarda la tv, premendo il settimo tasto del
telecomando, ha simbolicamente dato il via alle trasmissioni de La7. In
puro stile Fabio Fazio.
7
A. Grasso, La notte del settimo nano, Il corriere della sera, 25/6/01
16
il suo segnale cominciò ad essere captato anche da noi, e
l’emittente istallò i suoi impianti di ripetizione sul nostro
territorio. Assieme alle altre televisioni straniere che
trasmettono in lingua italiana (Capodistria, TSI) TMC,
legittimata dall’intervento della Corte Costituzionale del
’74 e solo successivamente dalla legge 103/75 di riforma
della Rai, si affermò facilmente, offrendo una programma-
zione diversa dalla Rai di allora, e per giunta a colori,
potendo anche usufruire della diretta, cosa che alle tv pri-
vate verrà negata fino al ’91 .
Nel corso del tempo, TMC perse la sua connotazione
“estera” e diventò a tutti gli effetti una TV italiana, ben
radicata nell’immaginario collettivo, e altrettanto stabil-
mente sintonizzata sui tasti dei telecomandi (nonostante i
problemi di ricezione), al punto da ricevere una delle do-
dici, ambitissime frequenze in cui la legge Mammì ripartì
l’etere nell’agosto del 1990. Nel frattempo l’emittente era
stata comprata dal gruppo brasiliano di Rede Globo, che la
gestì con intelligenza, sperando di replicare il successo
ottenuto in patria; ben presto, però, i nuovi proprietari si
accorsero di quanto fosse difficile gestire una televisione in
Italia, il cui mercato televisivo era già condizionato dal
duopolio, stando, inoltre, all’altro capo del mondo. Il
gruppo sudamericano decise allora per la vendita alla
Montedison di Raul Gardini, che venne però travolta dallo
scandalo di mani pulite, con il tragico epilogo del suicidio
dello stesso Gardini.
17
TMC venne infine acquistata da Vittorio Cecchi Gori, che
aveva l’ambizione di creare, con l’acquisto di Videomusic
un vero polo televisivo, che puntava a consolidarsi sui film
- la Cecchi Gori Comunication disponeva di un vastissimo
magazzino - e sullo sport, potendo contare su un’ottima re-
dazione sportiva, e sull’immagine di Cecchi Gori stesso co-
me uomo di calcio (celebri la battaglia sui diritti del calcio
in chiaro, strappati, solo per qualche ora alla Rai e la tra-
smis sione della partita Italia-Inghilterra, tuttora l’evento
più visto di sempre dell’emittente). La gestione non esem-
plare del gruppo, il continuo indebitamento, la decisione di
puntare su generi i cui mercati erano ormai condizionati
dall’ingresso delle pay-tv sono state le ragioni del fal-
limento di un progetto, incapace, comunque, sia di creare
audience, sia di lasciare il segno a livello di contenuti, così
come aveva fatto, ad esempio, il gruppo di Rede Globo.
Torneremo, tuttavia, nell’ultima parte del nostro lavoro, a
trattare più da vicino questi argomenti, per ora è sufficiente
notare come, seppur attraverso questi passaggi, la rete
avesse mantenuto una propria identità, che andava ben al di
là del semplice nome. Questi cambiamenti, cioè, avevano
riguardato molto più gli assetti proprietari che non il
prodotto televisivo finale, fruito dal telespettatore. Pur
nell’avvicendarsi di palinsesti diversi tra loro, esisteva un
filo conduttore che legava le esperienze di Rede Globo,
Montedison e Cecchi Gori. Al contrario, il progetto de La7
18
rappresenta qualcosa di radicalmente diverso, e per questo
il gesto della signora Marta, si può definire come qualcosa
di storico. Gli intenti di Lorenzo Pelliccioli, amministratore
delegato di Seat Pagine Gialle e di Roberto Colaninno,
amministratore delegato di Telecom Italia, che rilevano la
proprietà di TMC e TMC2 da Cecchi Gori nel 2000, e di
Roberto Giovalli, direttore di rete, sono qualcosa di più del
semplice tentativo di risollevare le sorti di una rete in crisi
ed un progetto ben più concreto e credibile di creare il
terzo polo rispetto quello tentato dal produttore fiorentino.
Il solco che si vuole tracciare è questa volta molto netto.
Il cambio del nome, certo, di per sé non è sufficiente, ma è
già un segnale fortissimo: TMC era un marchio storico, ma
ormai logorato, che aveva saldato le esperienze sopra
ricordate, tutte fallimentari, per un verso o per l’altro, era
perdente, associato per sempre ad una televisione piccola e
condannata a restarlo. Il suo nome, svincolato ormai da
tempo da ogni legame col Principato, era comunque perce-
pito come qualcosa di diverso dagli altri, dai sei canali
principali, tutti connotati da numeri, simboli ed anche
colori ben precisi. Darsi il numero 7 aveva, allora, il chiaro
intento di porre l’emittente come ideale prosecuzione degli
altri sei canali, e in quanto tale di collocarsi idealmente
sullo stesso piano, come rete realmente concorrente.8 Il
8
Il numero 7 era in realtà già in uso nel marchio di Italia7, poi
Europa7, nonché di molte altre emittenti. Ma era un marchio non
19
nuovo marchio veniva così a contraddistinguere un proget-
to realmente nuovo ed altro, rispetto a quelli fino a quel
momento proposti, o forse, più semplicemente rappresen-
tava un progetto.
Il momento del passaggio di consegne tra TMC e La7 è
davvero lo spartiacque tra un prima e un dopo che si vuole
abbiano a che fare tra di loro il meno possibile. E’ l’anno
zero di una televisione che non ha passato. Perciò è lecito
parlare di nascita di una televisione in questo e non negli
altri casi, e perciò è opportuno riferirsi alla nascita dei
network privati nei primi anni Ottanta come termine di
paragone, quantunque proprio la lontananza nel tempo di
questo termine renda il paragone poco utilizzabile dal
punto di vista del contenuto. Allora i network privati si
imposero in un “far west” privo di regole, senza vincoli e
tetti pubblicitari, senza censure, ma soprattutto si imposero
facilmente all’attenzione offrendo al pubblico ciò che gli
era stato troppo a lungo negato: un’overdose di intratteni-
mento leggero, fiction, quiz. Allora c’erano praterie ine-
splorate (non a caso si parla di “far west”…), la televisione
durava sì e no mezza giornata, finiva a metà della sera, non
esisteva la seconda serata, c’era ancora moltissimo da fare
presente su tutto il territorio nazionale, e l’emittente, per altro a lungo
nell’orbita del gruppo Fininvest, non aveva né i mezzi né le
caratteristiche per competere con le altre. Ciononostante, Europa7 ha
diffidato La7 dall’utilizzo del marchio TG7, costringendola a
chiamarlo Tg-la7.
20
e da dire: in una società sempre più spinta in casa dal
riflusso degli anni Ottanta, lo slogan di Canale5 ai suoi
primordi «Corri a casa in tutta fretta, c’è un biscione che ti
aspetta, Canale5, ogni sera con te»9 era estremamente em-
blematico. Ed analogamente ampi erano gli spazi sul
mercato pubblicitario, dove la televisione attirava meno del
30% delle risorse, che erano complessivamente molto più
ridotte, e la possibilità di agire in assenza di una rego-
lamentazione degli spazi e dei tempi garantiva grandi
possibilità di crescita.
Ma c’era anche di più. Già nel 1986 Morcellini - subito
dopo il boom dei network commerciali - osservava come la
spiegazione di questo successo andasse al di là dell’esi-
genza da parte del pubblico di superare la «propensione
storica della tv in Italia, tipica del suo generoso disegno di-
rigistico, a dosare e distribuire, all’epoca del monopolio la
quota della finzione e dello spettacolo a favore degli altri
generi stimati più “significativi”»10, ma riguardasse la
ridefinizione del rapporto tra cittadini e istituzioni,
soprattutto tra cittadini e servizio pubblico radiotelevisivo:
«la scelta di privilegiare l’emittenza privata può aver
9
www.mediasteonline.com
10
M. Morcellini, La guerra dell’etere nel sistema misto. Scelte del
pubblico e strategie di palinsesto delle principali tv nazionali (1983-
1984) , in M. Morcellini (a cura di), Lo spettacolo del consumo .
Televisioni e cultura di massa nella legittimazione sociale, Milano,
Franco Angeli, 1986