5
Welfare-Unità Politiche per la Salute” e “Innovazione Sociale e
Valutazione Piano di Zona”, è emerso che il Profilo di Comunità
può essere letto come strumento di valutazione del Piano di Zona.
Questo strumento innovativo ha nel suo contenuto, proprio i
principi legati alla valutazione, la consapevolezza dell’impossibilità
di una lettura vera per tutti del territorio, ma ha in sé, l’ottica
integrata tra i vari servizi e tra i servizi e la cittadinanza. Solo in
questo modo si può avere il quadro il più possibile esaustivo e
vicino alla realtà vera. Infatti, solo il lavoro di squadra e la lettura
da parte dei servizi, assieme alla cittadinanza, ci può permettere di
avere ripercussioni che stanno alla base del miglioramento continuo
e dell’orientamento al cittadino.
Per concludere vorrei ringraziare mia madre e mio padre per la loro
capacità di essermi vicini anche se sono lontani. Mia suocera
Rosanna, perché senza il suo aiuto fisico e morale non sarei mai
riuscita a laurearmi, mio marito e mio figlio per la loro
comprensione e presenza continua, mio fratello per essere continua
fonte di stimoli. In fine ringrazio le Dott.sse Giacomoni e Ferrari
per la loro conoscenza del quale mi hanno resa partecipe e per
avermi fatto sentire sempre una loro collega e il Comune di Forlì
(nelle persone dell’Assessora alle politiche di Welfare Bertozzi e la
dirigente Dott.ssa Ibba) per avermi accettata all’interno
dell’Amministrazione, facendomi sentire una risorsa per l’Ente e
per la Comunità.
6
7
CAPITOLO I LA VALUTAZIONE
1.1 LA NASCITA DELLA VALUTAZIONE.
Negli ultimi anni si è manifestata anche in Italia una crescente
attenzione nei confronti della valutazione. Il processo di
avvicinamento di studiosi afferenti a discipline diverse ad un tema
multidisciplinare
1
qual è la valutazione è passato attraverso
numerosi convegni e pubblicazioni. Queste hanno favorito la
divulgazione di tematiche proprie della valutazione, senza però
giungere ad una vera e propria diffusione di conoscenze comuni o,
quanto meno, ad un linguaggio condiviso.
2
Tale lacuna sembra colmata, da alcuni volumi recentemente
pubblicati da autori che hanno percepito l’assenza, o comunque una
carenza, di una base di appoggio concettuale e terminologico, tra
questi è bene ricordare la costituzione dell’Associazione Italiana di
Valutazione, un’associazione culturale non profit, nata con lo scopo
di promuovere e sviluppare la “cultura della valutazione”, che
pubblica periodicamente una rivista dal titolo: “Rassegna Italiana di
Valutazione”. L’obiettivo che ci si pone è quello di adottare
strategie di ricerca che condividono la caratteristica di affrontare la
1
Si utilizza il termine multidisciplinare nell’accezione proposta da A. Bruschi
(“Metodologie delle scienze sociali”, Mondadori 1999, pp. 159-160), secondo il
quale l’interdisciplinarietà implica una trasformazione delle diverse discipline,
un loro “prodotto”, tale da generare una nuova teoria, mentre con
multidisciplinarietà si designa il ricorso a teorie di discipline diverse, ma non per
fonderle in teorie più generali, bensì per descrivere e spiegare meglio eventi
specifici
2
Saiani P., “Triangolazione e privato sociale; strategie per la ricerca
valutativa”, ed: Bonanno Acireale 2004 p. 7
8
complessità sociale senza nasconderla dietro facili schemismi o
rapide scorciatoie concettuali.
Saporiti, nel suo testo “La ricerca valutativa: riflessioni per una
cultura della valutazione” del 2001, confronta la valutazione al
comunismo in questo modo: “Uno spettro s’aggira per l’Europa- lo
spettro del Comunismo, così, scrivevano cinquanta anni fa Karl
Marx e Friedrich Engels nel Manifesto del Partito Comunista. [….]
parafrasando quel famoso incipit si potrebbe affermare che anche
oggi uno spettro si aggira per l’Italia, lo spettro della valutazione.
Ma il senso di questo incipit è ben diverso dal precedente. Mentre
per Marx ed Engels il comunismo era uno spauracchio che incuteva
spavento e richiedeva la più ferma opposizione della borghesia, la
valutazione è un qualcosa d’auspicato, invocato, atteso e ormai
anche imposto da chiunque e in ogni dove”
3
. In molti servizi,
compresi quelli di pubblica utilità, si registra una letteratura e una
pratica anche molto sofisticata della valutazione. Ormai, la
valutazione sembrerebbe una componente stabile ed essenziale
delle attività di studio e di ricerca, della programmazione delle
politiche pubbliche, dei processi decisionali e degli interventi
sociali; nel settore pubblico, così come nel privato sociale e nella
sfera del privato tout court.
3
Saporiti A. “La ricerca valutativa: riflessioni per una cultura della
valutazione”, ed: Rubbettino Catanzaro 2001 pp. 9-10
9
E’ quindi possibile affermare che “Non si può non valutare”,
utilizzando metaforicamente il celebre assunto di Watzlawick
4
sull’impossibilità di eludere qualche forma di comunicazione, si
sostiene come non si possa mai essere esenti dal misurarci con
qualche tipo di valutazione
5
. Le azioni legate al valutare si sono
moltiplicate a dismisura nella nostra società, a partire già dagli anni
Ottanta del secolo scorso, tanto da non poterci esimere dal prendere
in carico il problema del suo peso e del suo impatto sui fatti
sociali. Qualunque politica, azione o ricerca sociale, comporta una
qualche forma di valutazione, racchiude il germe di un’analisi
ulteriore, che ne misuri e ne comprenda gli obiettivi, il senso, il
valore. Ogni azione di politica sociale si intreccia con specifici
approcci valutativi, che ne indicano il senso e il valore.
Bisogna però ricordare che intraprendere un percorso di
valutazione non è affatto semplice, e non solo a causa dei molti
approcci teorici, dai molti strumenti a disposizione ma anche
dall’indeterminatezza dell’argomento. La valutazione quindi
spaventa, e da molti operatori è vista come un vero e proprio “lupo
cattivo” da evitare
6
; ma in questo timore si ravvisano anche retaggi
provenienti dal mondo anglosassone. La necessità di valutare i
programmi sociali nacque infatti negli Stati Uniti d’America, in
quanto una cospicua parte dei finanziamenti proveniva -proviene-
4
Watzlawick P. “Pragmatica della comunicazione umana : studio dei modelli
interattivi, delle patologie e dei paradossi”, ed: Astrolabio, Roma 1971
5
Colasanto M. “La valutazione: ambiti e approcci”, in Studi di Sociologia n°3
del 2005 p. 207
6
Berti P. “La valutazione partecipata: cittadini e operatori valutano i progetti
del Piano per la salute di Cesena”, ed: Il Ponte Vecchio Cesena 2006 p. 39
10
dal settore privato, che aveva il bisogno di capire se i soldi fossero
spesi bene oppure no. Si affermava la necessità così della
valutazione “sommativa” (summative), attraverso la quale si
decideva se proseguire il programma rifinanziandolo, oppure
modificarlo, oppure interromperlo. A questo tipo di valutazione, se
ne contrapponeva un’altra, definita “costruttiva” (formative),
effettuata al fine di capire cosa può essere migliorato nel progetto.
La differenza è sostanziale, e determinata buona parte
dell’atteggiamento con cui gli operatori percepiscono la
valutazione
7
, di cui si parlerà in un paragrafo successivo.
Nella vita quotidiana continuamente raccogliamo informazioni, le
colleghiamo fra loro, le elaboriamo, formuliamo sulla base dei
nostri criteri valoriali dei giudizi che ci consentono di prendere
delle decisioni e assumere dei comportamenti. Si valuta quindi per
conoscere cosa si sta facendo in merito ad una certa questione e
cosa ne risulta, per farci quindi una nostra opinione in merito e, se
abbiamo l’opportunità e l’interesse, agire, intervenire. Valutare è
quindi una operazione ricorrente della nostra vita quotidiana, per lo
più tacita, non tematizzata né esplicitata neppure a noi stessi. Tale
prassi è funzionale ed economica, ma non sempre opportuna,
perché qualche volta può giocare brutti scherzi. Alla buona salute
individuale e dei gruppi sociali giova infatti talvolta prendere
coscienza, esplicitare e, nel caso, comunicare l’ “operazione
valutazione”. Questo, in particolare, quando la valutazione si
7
Berti P. “La valutazione partecipata: cittadini e operatori valutano i progetti
del Piano per la salute di Cesena”, ed: Il Ponte Vecchio Cesena 2006 p. 40
11
esercita su un oggetto di rilievo, o su questioni emergenti, nuove, o
quando essa stessa è innovativa e introduce a comportamenti non in
linea con opinioni e pratiche precedenti e ricorrenti. Questo vale
anche per le Istituzioni Pubbliche, soprattutto quando operano in
contesti o su campi tematici complessi e dinamici, che le spingono
a innovare e programmare. È allora forte l’esigenza di sapere cosa
effettivamente accade, con che risultati e conseguenze, di farsi un
giudizio in merito per prendere le decisioni che paiono più
opportune per migliorare, per rivedere e correggere, per qualificare
per selezionare azioni e attori, per sanzionare, se è il caso. Quando
si tratta di istituzioni democratiche elettive, o quando il campo di
azione considerato è popolato da molti attori e relativi interessi,
l’esigenza che la valutazione sia trasparente, esplicita anche
partecipata è più forte
8
. La valutazione è quindi componente logica
e ricorrente di politiche e di interventi che, come anche quelli
sociali, presentano caratteristiche di complessità e pluralità di
attori. In questi anni si parla sempre più frequentemente di
valutazione e la si prescrive anche in atti legislativi. Anche perché
quello che nel passato avveniva secondo modalità spontanee e
occasionali, oggi può essere effettuato utilizzando metodologie
elaborate e strumentazioni specifiche, frutto di ricerche ed
esperienze che soccorrono a migliorare nel merito e nel
riconoscimento sociale l’utilità della valutazione. Da qui la
tendenza ad assumerla come dimensione necessaria della
8
De Ambrogio U. “Valutare gli interventi e le politiche sociali”, ed: Carocci
Faber Roma 2003 p.13
12
definizione e della implementazione delle politiche, dei sistemi di
servizi, di specifici interventi. Soprattutto quando tali azioni
vengono ad assumere carattere programmatorio, con il relativo
tipico percorso ciclico: analisi, decisione, azione, valutazione.
Accanto a questi fattori, ve ne sono altri che in questi anni hanno
con essi concorso all’assunzione e diffusione della valutazione
specificatamente, anche se non esclusivamente, nel campo delle
politiche e degli interventi sociali, a diversi livelli istituzionali e
gestionali. Creando una domanda che ha alimentato la crescita di
un’offerta, di centri cioè “produttori” di valutazione o di
formazione alla valutazione, nelle sue diverse declinazioni, che a
loro volta, ovviamente, tendono ad indurre un’ulteriore espansione
della domanda in termini non sempre giustificati.
Ciò che è omai certo è che la valutazione sta entrando sempre più
frequentemente nella letteratura scientifica e l’attenzione posta a
questo argomento è riconducibile ad un insieme di elementi:
ξ crisi del welfare state;
ξ crisi dei modelli organizzativi burocratici, centrati sul
controllo delle prestazioni;
ξ crisi delle ideologie professionali che hanno caratterizzato il
confronto interno ad alcune professionalità sociali
9
.
Ciò che invece risulta difficile, oggi, è una analisi della valutazione
in quanto, mentre agli inizi degli anni ’50, quando inizia
l’esperienza condensata nel Compendio (presso l’Istituto Mobiliare
9
Bertin G. “Valutazione e sapere sociologico. Metodi e tecniche di gestione dei
processi decisionali” ed: F. Angeli Milano 1996, p. 13
13
Italiano), si poteva scorrere facilmente tutta la letteratura sulla
valutazione. Oggi, anche il più modesto motore di ricerca presenta
sullo schermo del computer una bibliografia sterminata. Nel fiume
di argomenti trattati si trovano anche parecchi conflitti dottrinali e
differenze di vedute sulla stessa figura del valutatore. Si vedano le
dispute tra i sostenitori della theory-driven evaluation (valutazione
in base ad un modello teorico) e quelli del value free evaluation
(valutazione senza criteri di valore prestabiliti)
10
. Quel che conta è
che la valutazione professionale si diffonda.
10
Masoni V. “La pratica della valutazione: per chi analizza alternative di
processo operativo, investimento, organizzazione, portafoglio progetti, prodotto,
policy e per chi deve decidere”, ed: Franco Angeli Milano 2002 p. 12
14
1.2 LA VALUTAZIONE COME VALORE E I VALORI
NELLA VALUTAZIONE. L’OGETTIVITA’ RELATIVA.
Nel presentare gli elementi che distinguono la valutazione da altri
tipi di analisi, Nicoletta Stame ne sottolinea brevemente anche la
dimensione etico-normativa
11
. In effetti, al di là di ogni valenza
implicita nell’etimologia del verbo “valutare”, il riferimento ai
valori è senza dubbio una degli elementi costitutivi della
valutazione, e questo per numerose ragioni. Per illustrare
quest’aspetto fondamentale della valutazione in modo semplice,
conviene distinguere le fonti dei valori nella valutazione in fonti
interne ed esterne alla sua logica
12
. Cominciamo dalle fonti esterne.
Innanzitutto la valutazione è di per sé un valore. Non solo e non
tanto perché è essa stessa conoscenza (lo stesso potrebbe dirsi per
ogni altro sapere) bensì perché nasce da un apprezzamento positivo
del suo ruolo e delle sue funzioni sociali. A ben vedere, all’origine
dell’idea della valutazione c’è la convinzione che tra conoscenza e
azione umana sussista un nesso ben preciso, di tipo quasi logico, la
convinzione, in altre parole, che per agire razionalmente in vista di
uno scopo sia necessario conoscere. Nel caso specifico, tale
convinzione si traduce nel riconoscimento di una esigenza
conoscitiva da parte della comunità, finalizzata ad un uso razionale
delle risorse già investite in attività di carattere sociale per il
benessere della popolazione. In breve, l’impresa della valutazione,
11
Stame N. “L’esperienza della valutazione”, ed: Seam Roma 1998
12
Saporiti A. “La ricerca valutativa: riflessioni per una cultura della
valutazione”, ed Rubbettino Catanzaro 2001 p. 43
15
consiste nel porre i metodi e le tecniche della scienza sociale a
servizio dell’uso razionale delle risorse e del miglioramento delle
politiche di benessere sociale
13
. Questa definizione esprime un
valore di fondo della società: la conoscenza non soltanto come
valore in sé, ma anche come strumento di un agire razionale,
ovviamente non ristretto alla valutazione. Un secondo e più
specifico motivo che rende conto della presenza della dimensione
etica nella ricerca valutativa e più in generale nella valutazione
riguarda le funzioni stesse della valutazione. È intuibile che fare
valutazione non è una questione che riguarda esclusivamente la
volontà, gli interessi o il piacere dello studioso o del ricercatore e
basta. Al contrario, dato il suo oggetto più “canonico” -le politiche
pubbliche e non- essa richiede necessariamente l’iniziativa e la
partecipazione attiva di un “committente”- lo Stato, soggetti privati,
ecc.,- il quale promuove, predispone, finanzia, ne sceglie i
destinatari, controlla e spesso conduce direttamente l’intervento per
poi chiederne, per così dire, il conto. In questo processo si possono
individuare due possibili tipi di funzioni della valutazione. Una
funzione che possiamo definire “manifesta”, nel senso che è
dichiarata ed è nota a tutti gli attori che prendono parte al processo
di valutazione -da chi la richiede a chi la effettua fino a chi è
destinatario dell’azione da valutare- e che consiste, appunto, nel
determinare in un qualche modo il merito dell’azione intrapresa dal
committente. La seconda, invece è funzione, per così dire, latente
13
Simon H.S., Yuchtmman E., “Evaluating the Welfare State”, ed: Accademic
Press, Orlando 1983 p. 361
16
in una duplice valenza: nel senso che, pur intenzionale, non è
dichiarata, e/o nel senso che viene percepita in modo diverso da
quella manifesta, soprattutto da parte dei destinatari dell’intervento.
Le forme che può assumere questa funzione latente sono
sostanzialmente due, e in buona parte contrapposte: quella del
controllo sociale e quella di un contributo alla crescita della
coscienza sociale in generale e della partecipazione al processo di
democratizzazione della società. Però uno dei rischi che corre il
ricorso sistematico e rigoroso alla pratica della valutazione
dell’azione è quello di essere concepita e/o intesa come una forma
di controllo sui comportamenti e sulle attività dei cittadini
14
. Che la
valutazione assuma una funzione di controllo sociale è più
probabile accada nel caso di quella che a volte viene chiamata
management-oriented evaluation, ovvero una valutazione
fortemente orientata da esigenze gestionali e amministrative e che
tende a porre in secondo piano la considerazione degli scopi delle
attività oggetto di indagine valutativa. Questa forma di valutazione,
per lo più centrata sulla misurazione dell’efficienza dei processi
lavorativi e della produttività, e in genere sotto il diretto controllo
di una autorità centrale, è tipica di vasti settori della Pubblica
Amministrazione, che se ne serve per razionalizzare la spesa
pubblica, ma anche di tutte quelle istituzioni e organizzazioni
nazionali e internazionali che finanziano programmi e progetti di
intervento sociale (ONU, Banca Mondiale, OCSE, CEE,
14
Saporiti A. “La ricerca valutativa: riflessioni per una cultura della
valutazione”, ed Rubbettino Catanzaro 2001 p. 46
17
fondazioni, ecc.) e, quindi, che sono soprattutto interessate al
calcolo economico dei programmi finanziati
15
. Tuttavia, una
concezione per così dire “repressiva” della valutazione può anche
scaturire dalla percezione che ne hanno i soggetti cui è diretta
l’azione da valutare. Si prendano ad esempio tutti quegli interventi
annunciati, e magari non attuati, per ridurre le così dette “stragi del
sabato sera”; oppure quelli pensati a contrastare certi tipi di
prostituzione. In entrambi i casi, i destinatari diretti di tali
interventi –giovani, ragazze e ragazzi-, ma anche coloro che
indirettamente ne verrebbero coinvolti –ad esempio, i gestori delle
discoteche, e per quanto assurdo sia i “clienti” delle prostitute-
possono essere richiesti comportamenti e modi di essere che agli
stessi appaiono come una limitazione del proprio stile di vita, come
una limitazione della sfera delle libertà individuali. Senza
esprimere alcun giudizio di carattere etico sui fenomeni appena
citati, è possibile affermare che non c’è nulla di cui stupirsi se si
pensa che le politiche sociali sono nate come forma di controllo per
le classi subordinate, come opportunità e necessità di includere
nella società civile una parte emarginata e potenzialmente
pericolosa della popolazione. E tuttavia, questa valenza negativa
della presenza dell’etica della valutazione è solo l’estremità di un
continum che all’altro capo ne esclude del tutto la funzione di
“controllo” come ragione d’essere. E quindi la valutazione può
assumere una valenza estremamente positiva, sia dal punto di vista
15
Tarozzi A. “Sviluppo e impatto sociale. Valutazione di un progetto Cefa in
Tanzania”, ed: Missionaria Italiana, Bologna 1992 p. 29
18
sociale, sia da quello dei singoli individui o dei gruppi che ne sono
coinvolti. C. H. Weiss nel suo scritto “Policy evaluation as societal
learning” (La politica della valutazione come apprendimento
sociale)
16
, afferma che la valutazione può essere intesa anche come
una sorta di apprendimento sociale che procede secondo un
processo, per così dire, “evolutivo” per tentativi ed errori -un
processo in cui l’insorgenza o il riconoscimento dell’esistenza di un
problema sociale genera possibili soluzioni che alla prova dei fatti
possono risultare risolutive, e allora entrano a far parte della cultura
della comunità, oppure fallimentari, venendo in tal caso a costruire
quella imprescindibile esperienza per l’elaborazione di altri e
diversi percorsi di azione. Ancora Weiss sottolinea che: “Quando,
(attraverso la valutazione) emergono nuovi concetti e nuove
testimonianze empiriche, il loro effetto graduale e cumulativo può
essere, da un lato, quello di cambiare le convenzioni cui si
conformano i decisori politici, dall’altro quello di ristrutturare gli
scopi e le priorità del mondo della politica concreta”
17
. Come
processo di apprendimento sociale generalizzato e come forma di
conoscenza in linea di principio trasparente e condivisa, la
valutazione viene così a svolgere anche un ruolo attivo nel processo
di democratizzazione sociale.
16
Weiss C.H. “Policy evaluation as societal learning, in H.S. Shimon-E.
Yuchtman, Evaluating the Welfare State”, ed: Academic Press, Orlando FL,
1983
17
Weiss C.H. “Reserch for policy’s sake: the enlightenment function of social
research” in Policy analysis n° 3 del 1977 p. 544