PREMESSA
Quando ho cominciato ad accostarmi all’oggetto di questa tesi non ero
ancora del tutto consapevole di quale complesso intreccio di norme, sostanziali e
processuali, avrei dovuto affrontare.
Invero, il titolo che ho scelto non vuole fare diretto riferimento al vecchio
dilemma – che non ho la pretesa di risolvere – se la falsa testimonianza sia delitto di
falso contro la prova o reato contro il corretto funzionamento della Giustizia.
Piuttosto, vorrei suggerire che la «tutela penale della prova testimoniale» è un quid
pluris rispetto al delitto di falsa testimonianza. Certo, tra le fattispecie di reato
questa è senz’altro la più significativa e, infatti, ho rivolto solo uno sguardo fugace
al rifiuto di uffici legalmente dovuti – rispetto al quale la giurisprudenza è
praticamente inesistente – e all’intralcio alla giustizia (ex subornazione). Ma
dall’art. 372 c. p. si dipartono numerose ramificazioni che si estendono nel Codice
penale (v. gli artt. 375, 376, 384, 384 bis c. p.) e non solo.
Questa grande attenzione del legislatore verso la tutela della prova
testimoniale (mai scemata e, piuttosto, cresciuta negli ultimi anni) evidentemente
dipende non solo dal fatto che la testimonianza, diversamente per esempio dalla
perizia o dall’interpretazione, è uno strumento di prova insurrogabile, ma anche
dalla necessità di fornire all’interprete gli strumenti per il difficile bilanciamento fra
interessi contrapposti. È chiaro, infatti, che la ricerca della verità non può non
essere limitata dalla tutela di interessi costituzionalmente rilevanti, come il diritto di
difesa – di cui il nemo tenetur se detegere è una delle principali forme di
manifestazione – e i vincoli familiari.
Nel suo libro (Diritto penale italiano, 2
a
ed., Cedam, Padova, 2009, 19), il
Prof. Vinciguerra parla dell’«intima connessione fra diritto penale sostanziale e
diritto penale processuale» che «dovrebbe far riflettere sulla necessità di non tener
troppo separate le due discipline, com’è accaduto da noi negli ultimi anni».
Considerazioni analoghe faceva con noi studenti, durante le sue lezioni di procedura
penale, il compianto Prof. Vittorio Grevi.
Ora, quanto appena detto vale evidentemente a fortiori quando si parla di
tutela della prova testimoniale. Non a caso, uno dei punti principali della riforma
del c. d. giusto processo è stato l’introduzione della testimonianza assistita, per la
III
cui efficacia è stato necessario estendere l’ambito di applicabilità dell’art. 372 c. p.
con la conseguenza, poi, di dover ampliare altresì le tutele di cui all’art. 384 c. p.
Certo, in proposito sorge spontaneo il dubbio se possano bastare degli
«aggiustamenti» per porre in sintonia una disciplina penale sostanziale nata nel
1930 con una disciplina processuale molto più recente.
Queste considerazioni non valgono solo per il processo penale. Senza voler
addentrarsi anche nelle questioni legate al processo amministrativo – perché
davvero sarebbero necessarie conoscenze interdisciplinari che non mi illudo di
possedere e, del resto, sui legami tra falsa testimonianza e processo amministrativo
in generale la dottrina rimane silente –, si pensi agli interrogativi che ha già
suscitato la recentissima riforma del processo civile con l’introduzione della
testimonianza scritta. Quali ripercussioni, in pratica, essa avrà in materia di falsa
testimonianza? Ancora non è dato saperlo, ma potrebbero senz’altro esservi
interessanti sviluppi nei prossimi anni.
Un tema attuale, che meriterebbe approfondimento, in un’ottica più
criminologica, sarebbe anche quello della psicologia della testimonianza, ma non
essendo questa la sede vi ho dedicato solo un cenno.
In conclusione, vorrei far presente che, data la «tecnicità» dell’argomento,
ho optato per un’esposizione semplice e, forse, un poco didascalica, aspirando
essenzialmente a delineare un quadro il più chiaro possibile del diritto positivo.
Senza indulgere in insane mescolanze fra diritto penale e morale, mi
concedo una sola divagazione per dire che tengo particolarmente all’argomento di
questa tesi anche per il significato «metagiuridico» che attribuisco al «valore» della
verità. La verità costa fatica, ma la verità è anche una forza incommensurabile.
IV
CAPITOLO I
IL DELITTO DI FALSA TESTIMONIANZA
Art. 372 c. p.
Falsa testimonianza
Chiunque, deponendo come testimone innanzi all’Autorità giudiziaria,
afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa
intorno ai fatti sui quali è interrogato, è punito con la reclusione da due
a sei anni.
1. Cenni storici
Anzitutto, va segnalata, nella configurazione che storicamente ha assunto il
delitto di falsa testimonianza, l’impronta derivante dall’essere stato considerato
come diretta ribellione ad un comando imposto dalla divinità. Infatti, la falsa
testimonianza compare già nel Pentateuco in un catalogo di illeciti cui è assegnato
una sorta di primato di gravità per diretto comando divino, accanto all’omicidio, al
furto, all’adulterio
1
e un forte legame con i precetti religiosi accompagnerà l’istituto
1 1
L a Bibbia, testo integrale, CEI, 1995, Esodo, 20, 1: «Dio allora pronunziò queste
parole: ... 16 “non pronunziare falsa testimonianza contro il tuo prossimo”»; l’ingiunzione è ripresa
poco oltre con significative aggiunte: Es., 23: «1. Non spargerai false dicerie; non presterai mano al
colpevole per essere testimone in favore di un’ingiustizia. 2 Non seguirai la maggioranza per agire
male e non deporrai in un processo per deviare verso la maggioranza, per falsare la giustizia».
della testimonianza praticamente fino ai nostri giorni (nella prima legge processuale
penale dello Stato italiano era previsto che il presidente o il pretore ammonisse il
teste «sull’importanza morale di un tal atto, sul vincolo religioso che i credenti
contraggono dinanzi a Dio, e sulle pene ...»
2
, formula poi ripresa nelle codificazioni
successive finché non si ritenne che il richiamo alla divinità fosse incompatibile con
la libertà dei non credenti
3
).
La falsa testimonianza era repressa già nel diritto romano, nelle XII Tavole.
In seguito, il fatto venne incluso nell’ampia nozione dei delitti di falso e punito in
base alla lex Cornelia de falsis, insieme con la subornazione, con la corruzione del
giudice ecc.
Nel diritto intermedio, barbarico e statutario, si riscontra una notevole
severità nei confronti dei falsi testimoni, sia per l’atrocità delle pene, sia per
l’ampiezza del novero dei fatti rilevanti penalmente. Ad esempio, era punito anche
il falso testis inutilis, nonché chi aveva deposto nulliter, quia offendit aures judicis.
Dopo l’anno Mille, per questo delitto esisteva una grande varietà di pene: il taglio
della mano, del naso o della lingua, la marchiatura e persino la morte, cui si
aggiungeva l’infamia. Alcune leggi tenevano conto dell’oggetto della falsa
deposizione e, in generale, distinguevano se la falsa testimonianza fosse stata resa
in un giudizio criminale o civile. Nel primo caso era applicato il taglione, punendo
il colpevole con la stessa pena prevista per l’imputato del processo principale; nel
secondo caso era stabilita una pena uniforme.
Venendo ad epoche più recenti, il codice penale francese del 1810 collocava
la falsa testimonianza tra i delitti contro le persone, prevedendo, agli artt. 361 ss.,
2 2
Art. 299 c. p. p. 26 novembre 1865.
3
Corte Cost., 8 ottobre 1996, n. 334.
discipline differenti a seconda che la deposizione fosse stata resa in un processo
civile o penale e, nel caso si fosse trattato di un processo penale, distingueva
ulteriormente a seconda che la testimonianza fosse stata resa in un processo
concernente una contravvenzione, un delitto o un crimine
4
. In generale si nota una
simmetria tra il trattamento sanzionatorio del falso testimone e quello del
condannato nel processo principale.
Nell’Italia preunitaria, il Codice delle Due Sicilie del 1819 non definiva la
falsa testimonianza che però disciplinava negli artt. 188 ss. Gli artt. 188, 189, 190
prevedevano le pene per la falsa testimonianza in materia criminale, in materia
correzionale o di polizia e in materia civile. L’art. 191 prevedeva un’aggravante per
il caso in cui il falso testimone in materia correzionale, di polizia o civile avesse
ricevuto denaro, una ricompensa o una promessa qualunque. L’art. 193 si occupava
della ritrattazione prima della decisione. In base all’art. 195 le pene erano diminuite
di un grado se il falso testimone non avesse prestato giuramento.
Il Codice toscano del 1853 – codice che, come noto, «nel panorama delle
codificazioni penali preunitarie ... si colloca in una posizione anomala» perché «si
allontana marcatamente dall’influenza francese tanto forte nei codici italiani che
3 4
Code pénal 1810, art. 361: «Chiunque sarà colpevole di falsa testimonianza in materia
criminale, sia contro l’accusato, sia in suo favore, sarà punito con la pena dei lavori forzati a tempo
determinato. Se però l’accusato è stato condannato a una pena più severa dei lavori forzati a tempo
determinato, il falso testimone che ha deposto contro di lui subirà la stessa pena»;
art. 362: «Chiunque sarà colpevole di falsa testimonianza in materia correzionale o di
polizia, sia contro l’imputato, sia in suo favore, sarà punito con la reclusione»;
art. 363: «il colpevole di falsa testimonianza in materia civile, sarà punito con la pena
prevista all’articolo precedente»;
art. 364: «il falso testimone in materia correzionale, di polizia o civile, che avrà ricevuto del
denaro, una ricompensa qualsiasi o delle promesse, sarà punito con i lavori forzati a tempo
determinato. In tutti i casi, ciò che il testimone avrà ricevuto sarà confiscato»;
art. 365: «Il colpevole di subornazione di testimoni sarà condannato alla pena dei lavori
forzati a tempo determinato, se la falsa testimonianza che ne è stata oggetto comporta la pena della
reclusione; ai lavori forzati perpetui, quando la falsa testimonianza comporterà la pena dei lavori
forzati a tempo determinato, o quella della deportazione; e alla pena di morte, quando comporterà
quella dei lavori forzati perpetui o la pena capitale»;
art. 366: «colui al quale sarà stato deferito o riferito il giuramento in materia civile, e che
avrà fatto un falso giuramento, sarà punito con la degradazione civica».
l’avevano preceduto per aprirsi all’influenza tedesca»
5
– inseriva la falsa
testimonianza tra i «delitti contro la pubblica fede», agli artt. 271 ss.
6
Commetteva il delitto di falsa testimonianza chiunque, chiamato a «far fede
di un fatto» in un giudizio civile o criminale, scientemente deponeva il falso o
negava il vero (art. 271). La falsa testimonianza veniva trattata diversamente a
seconda che avesse potuto o meno influire sulla decisione della causa; ciascuna
delle due ipotesi era poi diversamente considerata a seconda che il reato fosse in
danno dell’incolpato o a suo favore. Nel primo caso era prevista, per la falsa
testimonianza rilevante ai fini della decisione, la pena della calunnia.
Il falso testimone era immune da pena se avrebbe potuto, deponendo il vero,
«suscitare una querela criminale contro di sè, o contro un suo consanguineo od
affine in linea retta fino a qualunque grado, od in linea collaterale dentro il secondo
4 5
VINCIGUERRA, Fonti culturali ed eredità del Codice penale toscano, Presentazione al
Codice penale pel Granducato di Toscana, ristampa anastatica, Cedam, Padova, 1995, CLIX.
6
Art. 271: «Chiunque, chiamato a far fede di un fatto in un giudizio civile o criminale,
scientemente depone il falso, o nega il vero, commette il delitto di falsa testimonianza»;
art. 272: «La falsa testimonianza in giudizio civile fa incorrere nella carcere da due a
diciotto mesi»;
art. 273: «§. 1. La falsa testimonianza in giudizio criminale, ognorachè abbia potuto influire
nella decision della causa, è colpita, se fu fatta a danno dell’incolpato, dalla pena della calunnia. E,
se fu fatta a favore di esso, si punisce a) con la casa di forza da tre a sette anni, quando il caso, di cui
si tratta, sia minacciato di morte, o di ergastolo; b) con la carcere da sei mesi a tre anni, quando il
caso di cui tratta, sia minacciato di casa di forza; e c) con la carcere da tre mesi a due anni, quando il
caso, di cui si tratta, sia minacciato di qualunque altra pena.
§. 2. Dove poi la falsa testimonianza non abbia potuto influire nella decision della causa, si
punisce con la carcere a) da tre mesi a due anni, se fu fatta a danno dell’incolpato; e b) da due a
diciotto mesi, se fu fatta a favore di esso»;
art. 274: Ǥ. 1. Chiunque, per mezzo di doni, di promesse, di minaccie, o in altro modo
qualunque, tenta d’indurre un testimone a deporre il falso, o a negare il vero in giudizio, è punito con
la carcere da un mese ad un anno.
§. 2. E se la falsa testimonianza ha avuto luogo; il subornatore è punito come coautore del
delitto.
§. 3. Ciò che fu dato o promesso, o il prezzo di ciò che fu dato o promesso al testimone,
perché deponesse il falso o negasse il vero, si confisca».
art. 275: Ǥ. 1. Il testimone falso va immune da ogni pena, se avrebbe potuto, essendo
verace, suscitare una querela criminale contro di sè, o contro un suo consanguineo od affine in linea
retta fino a qualunque grado, od in linea collaterale dentro il secondo grado civile inclusivo, o contro
il suo coniuge.
§. 2. Va immune da ogni pena ancora colui, che, mentre non doveva, secondo le leggi,
essere interrogato come testimone, ha deposto il falso o negato il vero in giudizio».
art. 276: «Rimane parimente impunito chi spontaneamente ritratta lo spergiuro o la falsa
testimonianza, prima di ritirarsi dal cospetto dell’autorità, davanti alla quale ha mentito»;
Art. 277: «I periti, che oralmente, o per mezzo di scritti ratificati, hanno scientemente dato
in giudizio informazioni o pareri mendaci, sono giudicati secondo le regole, che governano la falsa
testimonianza».
grado civile inclusivo, o contro il suo coniuge»; era immune da pena anche colui il
quale, mentre non doveva, secondo le leggi, essere interrogato come testimone,
aveva deposto il falso o negato il vero in giudizio (art. 275). Restava impunito
anche chi spontaneamente ritrattava lo spergiuro o la falsa testimonianza «prima di
ritirarsi dal cospetto dell’autorità, davanti la quale ha mentito» (art. 276). I periti
che, oralmente o per mezzo di scritti ratificati, avessero scientemente dato in
giudizio informazioni o pareri mendaci, erano giudicati secondo le norme che
disciplinavano la falsa testimonianza (art. 277).
Come noto, dopo l’unificazione il Codice penale toscano coesistette con il
Codice penale sardo-italiano del 1859 che disciplinava la falsa testimonianza agli
artt. 364 ss., punendo più mitemente la reticenza
7
.
Il Codice penale del 1889 riprendeva la disciplina di cui al Codice toscano e
al Codice sardo-italiano del 1859. L’art. 214 c. p. del 1889, al comma 1°, puniva
con la reclusione da uno a trenta mesi e con l’interdizione temporanea dai pubblici
uffici «chiunque, deponendo come testimone innanzi all’Autorità giudiziaria,
afferma il falso, o nega il vero, o tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti
sui quali è interrogato». Lo stesso art. 214 prevedeva ai commi successivi alcune
circostanze aggravanti («se il fatto sia commesso a danno di un imputato, o nel
dibattimento in un processo per delitto»; «se il fatto abbia per effetto una sentenza
di condanna a pena superiore alla reclusione» – in quest’ultimo caso la reclusione
5 7
I periti che, scientemente, avessero attestato fatti falsi o false circostanze in giudizio,
ovvero dolosamente vi avessero portato giudizi falsi, erano puniti colle pene stabilite per i colpevoli
di falsa testimonianza (art. 367). Se il testimone o il perito ritrattava la falsa testimonianza o perizia
o palesava il vero in giudizio prima che contro di lui fosse instaurato un procedimento penale o, in
assenza di procedimento, prima della sentenza relativa alla causa in cui si fosse reso colpevole di
falsità o di reticenza, la pena cui avrebbe dovuto soggiacere era diminuita da uno a tre gradi. Nei
giudizi penali, il colpevole di falsa testimonianza o perizia o di reticenza, non soggiaceva a pena,
sempreché nella discussione orale avesse ritrattato o avesse palesato il vero prima che fosse
dichiarato chiuso il dibattimento (art. 372). Se il testimone o il perito era sentito senza giuramento, le
pene erano diminuite di un grado; in questi casi si poteva procedere solo dopo che fosse terminato il
processo in cui il testimone o il perito si era reso colpevole di falsità (art. 373).
poteva arrivare fino ai 20 anni) e una circostanza attenuante («se la testimonianza
sia fatta senza giuramento»).
Gli artt. 215 e 216 disciplinavano dettagliatamente l’esenzione e
diminuzione di pena per i casi in cui la falsa testimonianza fosse stata resa in
situazioni di incompatibilità rispetto all’ufficio di testimone o vi fosse stata una
ritrattazione
8
.
La configurazione del reato di falsa testimonianza nel Codice Rocco sarà poi
sostanzialmente conforme a quella del Codice Zanardelli
9
.
2. Il soggetto attivo
Sebbene l’art. 372 c. p. esordisca con il termine «chiunque», la falsa
testimonianza è generalmente ritenuta un reato proprio
10
, in quanto è subito
specificato che può essere commessa solo da chi depone come testimone innanzi
all’Autorità giudiziaria.
6 8
Art. 215: «Va esente da pena per il fatto preveduto nell’articolo precedente:
1.° chi, manifestando il vero, esporrebbe inevitabilmente sè medesimo od un prossimo
congiunto a grave nocumento nella libertà o nell’onore;
2.° chi, per le proprie qualità personali da lui dichiarate al giudice, non avrebbe dovuto
essere assunto come testimone, o avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal
deporre.
La pena è soltanto diminuita dalla metà ai due terzi, se la falsa deposizione esponga un’altra
persona a procedimento penale od a condanna».
Art. 216: «Va esente da pena, per il fatto preveduto nell’art. 214, chi, avendo deposto in un
procedimento penale, ritratti il falso e manifesti il vero prima che l’istruzione sia chiusa con sentenza
od ordinanza di non farsi luogo a procedimento, ovvero prima che il dibattimento sia chiuso, o prima
che la causa sia rinviata ad altra udienza a cagione della falsa testimonianza.
Se la ritrattazione sia fatta in tempo successivo, o se concerne una falsa deposizione in
causa civile, la pena è diminuita da un terzo alla metà, purché la ritrattazione avvenga prima che
nella causa in cui fu deposto il falso sia pronunziato il verdetto dei giurati, nei giudizii della corte
d’assise; o la sentenza, negli altri giudizi.
Se dalla falsa deposizione derivi l’arresto di qualche persona o altro grave nocumento alla
medesima, la pena non è diminuita che di un terzo nel caso della prima parte, e di un sesto nel caso
del primo capoverso del presente articolo».
9
S u l l a s t o r i a d e l l a f a l s a t e s t i m o n i a n z a , v . JANNITTI-PIROMALLO, Delitti contro
l’amministrazione della giustizia, Milano, 1939, 192. In generale, sulla testimonianza, v.
LOSCHIA VO, Figure di testimoni e modelli processuali tra antichità e primo medioevo, Giuffrè,
Milano, 2004.
10
V ., tra gli altri, FIANDACA, MUSCO, Diritto penale, Parte speciale, I, 4
a
ed., Bologna,
2007, 375.
Per una puntuale individuazione del «testimone» (che, in quanto tale, è
pubblico ufficiale)
11
, occorre fare riferimento alle norme che, di volta in volta,
disciplinano i differenti tipi di processo. Tuttavia, in dottrina e in giurisprudenza
non sono mancati gli sforzi volti a delineare una nozione generale di testimone.
Così, per esempio, si è deciso che «ai fini del reato di falsa testimonianza, testimone
deve intendersi quel soggetto terzo rispetto alle parti del giudizio che, ammesso a
rendere dichiarazioni di scienza su quanto a sua conoscenza in ordine ai fatti
rilevanti ai fini del decidere, viene chiamato a deporre avanti al giudice e, in ambito
processuale, nel contraddittorio delle parti, avvertito delle responsabilità penali cui
va incontro per le dichiarazioni non corrispondenti a quanto a sua conoscenza,
depone rispondendo alle domande a lui rivolte sui fatti intorno ai quali è chiamato a
fare dichiarazioni di scienza»
12
.
In ogni modo, la nozione di testimone utilizzata dalla giurisprudenza ai fini
dell’applicazione dell’art. 372 c. p. è piuttosto indipendente dagli aspetti meramente
formalistici delle varie discipline processuali. Così, per esempio, è stato deciso che
«le dichiarazioni assunte dal giudice nel procedimento cautelare civile, ai sensi
dell'art. 669 sexies c. p. c., hanno natura di testimonianza e, pertanto, la loro
eventuale falsità integra gli estremi del reato di falsa testimonianza previsto dall'art.
372 c. p., pur quando non siano state osservate le formalità dettate dagli artt. 244,
251 e 252 c. p. c. per l'assunzione della prova testimoniale, con riguardo,
7 11
Trattasi dell’elemento specifico che differenzia il reato in questione dalla falsità
ideologica commessa dal privato in atto pubblico.
12
Cass., Sez. VI, 25 maggio 2000, Bonifacio, in C.E.D. Cass., 220522. Sulla «terzietà»
quale caratteristica del testimone sono però sollevate obiezioni: si osserva, infatti, che nel processo
penale vi è la possibilità (v. art. 208 c. p. p.) per colui che si è costituito parte civile (ed è quindi
parte nel processo) di essere sentito come testimone (v. PIFFER, I delitti contro l’amministrazione
della giustizia, I, I delitti contro l’attività giudiziaria, Cedam, Padova, 2005, 422).
rispettivamente, alla deduzione di detta prova, al giuramento ed alla compiuta
identificazione del testimone»
13
.
Riguardo al processo penale, la Cassazione afferma che il reato di falsa
testimonianza «non è escluso dall’esistenza di nullità processuali», ma fa «salvo il
caso limite in cui le stesse facciano venire meno i presupposti del reato come ad
esempio la qualità di testimone»
14
.
Ci si chiede quindi se possa definirsi «testimonianza» la dichiarazione resa
in assenza dell’ammonizione prescritta dall’art. 497, comma 2° c. p. p.
15
Una dottrina risponde in senso affermativo, considerando che la nullità ex
art. 497 c. p. p. è una nullità relativa e che quello di cui alla norma citata è un mero
richiamo sulla serietà dell’ufficio di testimone per cui, se lo si ritenesse un elemento
integrativo della fattispecie di falsa testimonianza, si costruirebbe erroneamente
quest’ultima come un delitto ad antigiuridicità speciale
16
.
In giurisprudenza è stato deciso che «ai fini della configurabilità del reato di
cui all'art. 372 c. p. non rileva l'omesso avvertimento al teste sospettato di falsità ai
8 13
Cass., Sez. fer., 7 settembre 2001, C. A., in Cass. Pen., 2002, 3090. Analogamente, v.
Cass., Sez. II, 13 aprile 2010, n. 16733, in C.E.D. Cass., 247038: «Le dichiarazioni assunte dal
giudice in un procedimento cautelare civile hanno natura di testimonianza, sicché la loro falsità
integra il delitto di falsa testimonianza, nonostante la mancata osservanza degli adempimenti
preliminari di cui all’art. 251 c. p. c.».
14
Cass., Sez. VI, 30 gennaio 1995, Cabrisi, in Cass. Pen., 1996, 1794 (affermando siffatto
principio, la Cassazione ha deciso che correttamente i giudici di merito avessero ritenuto la
sussistenza del reato in questione nonostante la nullità della sentenza, emessa nel giudizio in cui era
stata resa la falsa testimonianza, per vizio attinente alla composizione del Collegio verificatosi
successivamente alla deposizione e cioè per partecipazione alla decisione di un giudice popolare
supplente, dopo che lo stesso era già stato licenziato).
15
Art. 497 c. p. p.: «2. Prima che l’esame abbia inizio, il presidente avverte il testimone
dell’obbligo di dire la verità. Salvo che si tratti di persona minore degli anni quattordici, il presidente
avverte altresì il testimone delle responsabilità previste dalla legge penale per i testimoni falsi o
reticenti e lo invita a rendere la seguente dichiarazione: “Consapevole della responsabilità morale e
giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere
nulla di quanto è a mia conoscenza”. Lo invita quindi a fornire le proprie generalità. 3. L’osservanza
della disposizione del comma 2 è prescritta a pena di nullità».
16
V. NANNUCCI, Falsa testimonianza (art. 372), in AA.V .V., Trattato di diritto penale, Parte
speciale, III, I delitti contro l’amministrazione della giustizia, I delitti contro il sentimento religioso
e la pietà dei defunti, I delitti contro l’ordine pubblico, Utet, Torino, 2008, 226.
sensi dell'art. 207 c. p. p.»
17
(l’art. 207 c. p. p. richiama l’art. 497, comma 2° c. p.
p.)
18
.
In dottrina, poi, si rileva che «nel nostro ordinamento penale la sussistenza
del delitto di falsa testimonianza non è subordinata alla prestazione del giuramento.
Tale prestazione non implica neppure una maggior pena, come avveniva nel codice
Zanardelli, il quale (art. 214 ult. comma) sanciva una diminuzione di pena nel caso
che la deposizione fosse resa senza giuramento. Ne è derivata nel cod. proc. pen.
Rocco – in contrasto con ciò che si verifica nella maggior parte delle legislazioni
moderne – la svalutazione di quell’atto solenne che è il giuramento»
19
.
Quanto all’incidenza dei vizi del verbale che documenta la testimonianza, si
sottolinea che il reato ex art. 372 c. p. sussiste per effetto di ciò che è stato
realmente dichiarato, indipendentemente dalla fedeltà della verbalizzazione. Il
verbale è dunque un semplice mezzo di prova del delitto e va valutato alla stregua
di tutti gli altri elementi di prova che lo corroborano o lo smentiscono
20
.
Venendo al tema dei requisiti soggettivi per l’assunzione della qualità di
testimone, per quanto attiene in particolare al processo penale, l’art. 196 c. p. p.
21
–
come già l’art. 348 del precedente Codice – ripudia il sistema delle prove legali e,
9 17
Cass., Sez. VI, 8 aprile 2008, E., in Cass. Pen., 2009, 2910. Cfr. Cass., Sez. II, 6 luglio
2004, Caddeo, in C.E.D. Cass., 229730: «L'omesso avvertimento al teste sospettato di falsità ai sensi
dell'art. 207 c. p. p. non comporta la nullità della deposizione, a norma dell'art. 497, comma 3, c. p.
p., il quale stabilisce che è prescritta a pena di nullità l'osservanza delle disposizioni di cui al comma
2, tra le quali non è compreso l'avvertimento suindicato».
18
Art. 207 c. p. p.: «Se nel corso dell’esame un testimone rende dichiarazioni
contraddittorie, incomplete o contrastanti con le prove già acquisite, il presidente o il giudice glielo
fa rilevare rinnovandogli, se del caso, l’avvertimento previsto dall’art. 497 comma 2».
19
RIVERDITI, Reati contro l’amministrazione della giustizia, in ANTOLISEI, cit., 522.
20
V . NANNUCCI, Falsa testimonianza, cit., 227.
21
Art. 196 c. p. p.: «1. Ogni persona ha la capacità di testimoniare. 2. Qualora, al fine di
valutare le dichiarazioni del testimone, sia necessario verificarne l’idoneità fisica o mentale a rendere
testimonianza, il giudice anche di ufficio può ordinare gli accertamenti opportuni con i mezzi
consentiti dalla legge. 3. I risultati degli accertamenti che, a norma del comma 2, siano stati disposti
prima dell’esame testimoniale non precludono l’assunzione della testimonianza».
valorizzando il principio del libero convincimento del giudice, attribuisce ad ogni
soggetto la «capacità di testimoniare»
22
. Peraltro, il concetto di capacità non va
confuso con quello di idoneità a percepire e a riferire: «Bisogna infatti distinguere
tra capacità giuridica – che è sempre presunta dal legislatore – e capacità fisica e
mentale – che può invece essere messa in discussione; nessuno, in altre parole, può
essere escluso dalla testimonianza perché capite deminutus, ma quanto credito
meritino le sue dichiarazioni lo stabilisce poi chi giudica»
23
.
Di conseguenza, devono ritenersi capaci di testimoniare anche i minori
infraquattordicenni
24
ed i soggetti infermi di mente: infatti, la valutazione sulla
idoneità a rendere la testimonianza è diversa, più ampia e comunque disancorata da
quella sulla capacità di intendere e di volere, poiché implica non solo la necessità di
determinarsi liberamente e coscientemente, ma anche quella del discernimento
critico del contenuto delle domande al fine di adeguarvi coerenti risposte, nonché di
sufficiente capacità mnemonica in ordine ai fatti specifici oggetto della
deposizione
25
.
Va sottolineato che l’inimputabilità del soggetto che rende una falsa
testimonianza non implica l’inesistenza del reato sotto il profilo oggettivo, sicché
sarà eventualmente configurabile una responsabilità di terzi per concorso nel reato
realizzato dal minore o dall’infermo di mente.
10
22
La scelta del legislatore è così spiegata dalla dottrina: «i testimoni stricto sensu, a
differenza dei c.d. testimoni strumentali, dei periti e degli interpreti, sono persone insostituibili nel
riferire i fatti oggetto del processo e, se eventualmente esclusi per incapacità, potrebbe non essere
possibile trovarne altri al loro posto» (PERCHINUNNO, Limiti soggettivi della testimonianza nel
processo penale, Giuffrè, Milano, 1972, 19).
23
SANTORIELLO, Formulario del processo penale, Utet, Torino, 2006, 744.
24
Cfr. GIOSTRA, La testimonianza del minore: tutela del dichiarante e tutela della verità, in
Riv. It. Dir. e Proc. Pen., 2005, 1019; SCOMPARIN, Il testimone minorenne nel procedimento penale:
l’esigenza di tutela della personalità tra disciplina codicistica ed interventi normativi recenti, in
Leg. Pen.., 1996, 693.
25
In questo senso, v. Cass., Sez. I, 5 marzo 1997, Talento, in Cass. Pen.,1998, 2423.
In passato si è posta la questione della sussistenza o meno della capacità a
testimoniare del Capo dello Stato, ma oggi essa può dirsi risolta in senso
pienamente affermativo, sia in considerazione del fatto che la Costituzione non fa
alcun cenno ad una sua «sacertà» o «inviolabilità»
26
sia alla luce dell’art. 205 c. p.
p. che disciplina le modalità di assunzione della testimonianza del Presidente della
Repubblica (nonché di quella del Presidente del Consiglio dei Ministri e della Corte
costituzionale).
Per quanto concerne le eventuali responsabilità penali per violazione dei
doveri di testimone da parte del Capo dello Stato, si ritiene che esse non sarebbero
coperte dall’immunità parziale di cui all’art. 90 Cost. (secondo cui «il Presidente
della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue
funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione»),
mancando il nesso con l’esercizio delle funzioni presidenziali
27
. Infatti, «nel rendere
la testimonianza il Presidente della Repubblica non esercita funzioni proprie, ma
compie quell’attività che ogni persona è obbligata a prestare per la giustizia. Egli,
cioè, come qualsiasi altro testimone, qualunque sia l’attività che normalmente
svolge e qualunque sia l’oggetto sul quale è chiamato a testimoniare ed anche se
11
26
Vigente lo Statuto Albertino, che considerava la persona del Re «sacra e inviolabile» (art.
4), non si poneva il problema della testimonianza del sovrano che, essendo penalmente immune, non
poteva essere punito né per il rifiuto a rendere testimonianza né – anche a volerne ammettere
l’obbligo di testimoniare – per l’eventuale falsa o reticente testimonianza resa, o per qualunque altro
reato fosse emerso durante l’ipotetica deposizione. Era, tuttavia, ben chiara l’eccezionalità della
posizione del Re, dal momento che il Codice di procedura penale del 1913 sanciva il principio
secondo cui «salve le eccezioni stabilite dalla legge, nessuno può ricusarsi dal deporre» (art. 245 c.
p. p.), neanche i principi reali e i grandi ufficiali dello Stato, pur prevedendosi per essi alcuni
privilegi nell’assunzione della testimonianza (art. 252 c. p. p.), e visto che il successivo codice del
1930 ribadiva sostanzialmente tali principi.
27
Sull’argomento, in generale, v. VINCIGUERRA, Diritto penale italiano, I, Concetto, fonti,
validità, interpretazione, 2
a
ed., Cedam, Padova, 2009, 466.
esso è connesso con l’attività che svolge, compie un “esercizio temporaneo ed
obbligatorio di una pubblica funzione giudiziaria”»
28
.
Presenta una certa complessità la questione della capacità a testimoniare
degli agenti diplomatici. I riferimenti normativi sono dati dalla Convenzione sulle
relazioni diplomatiche
29
: in particolare l’art. 31, par. 2, secondo cui l’agente
diplomatico non è obbligato a prestare testimonianza (dal che si deduce che ha
comunque la capacità per farlo); l’art. 31, par. 1, che sancisce l’immunità
dell’agente; l’art. 39, par. 2, il quale, dopo aver disposto che i privilegi e le
immunità cessano al venir meno delle funzioni, statuisce: «tuttavia l’immunità
permane per quanto concerne gli atti compiuti dall’agente nell’esercizio delle
funzioni come membro della missione». Alla luce di tali norme, si ritiene che
all’agente diplomatico debba essere riconosciuta la capacità di testimoniare, ma
che, costituendo la prestazione della testimonianza un atto extrafunzionale, cioè
diverso da quelli che il soggetto compie come organo del proprio Stato, l’azione
penale per l’eventuale reato di falsa testimonianza sarebbe proponibile solo dopo la
cessazione dalle funzioni
30
.
Per quanto concerne i consoli ed i funzionari consolari, va senz’altro
riconosciuta loro la capacità di testimoniare, ma anch’essi non possono essere
obbligati a deporre: infatti, l’art. 44, par. 1 della Convenzione sulle relazioni
consolari
31
, dopo aver disposto che i membri di un ufficio consolare «possono
essere chiamati a rispondere come testimoni nel corso dei procedimenti giudiziari e
12
28
PATA N È, Presidente della Repubblica: testimonianza penale e responsabilità, in Giust.
Pen., 1991, III, 376. L’A. ritiene che, al più, il Capo dello Stato potrebbe giovarsi di istituti quali il
segreto di Stato o di ufficio.
29
Firmata a Vienna il 18 aprile 1961 e resa esecutiva in Italia con legge n. 804/1967.
30
V . DI MARTINO, PROCACCIANTI, La prova testimoniale nel processo penale, Cedam,
Padova, 2010, 50.
31
Firmata a Vienna il 24 agosto 1963 e resa esecutiva in Italia con legge n. 804/1967.