INTRODUZIONE
Per la mia tesi di licenza ho scelto di soffermarmi sul tema della seconda trilogia di Roberto
Rossellini, quella della solitudine.
Prendendo in considerazione i film che la riguardano, Stromboli terra di Dio, Europa’51, Viaggio in
Italia, appare evidente in essi una componente comune molto particolare: la presenza dell’attrice
Ingrid Bergman.
Tale fase, come vedremo, rappresenta secondo la critica l’involuzione della carriera del regista, in
cui si distacca dal neorealismo verso un cinema più psicologico, che si sofferma sulla solitudine
dell’individuo (da qui deriva il nome della trilogia) con i suoi problemi esistenziali e lasciato a sé
stesso con il bisogno di ricercare un’autentica spiritualità data soprattutto dall’avvicinamento a Dio.
Probabilmente ad influire sulla visione così negativa della critica nei suoi riguardi, fu proprio la
Bergman che non solo occupò la sfera lavorativa del regista, ma soprattutto quella affettiva; tanto da
diventarne la moglie e poi ancora la madre dei suoi figli; dando via a rumors di proporzioni
mondiali.
I commenti negativi sui loro film arrivarono man mano ad intensificarsi, perché ci si aspettava
qualcosa in più dalla coppia Rossellini-Bergman (composta da uno dei migliori registi di quei tempi
e una delle migliori attrici della scuola hollywoodiana), che non arrivò mai.
C’è stato anche chi ha provato a trasformare la forma di questi film (ad Hollywood con il
montaggio alternato in sfavore del piano-sequenza, assai gradito da Rossellini perché accentuava
l’idea di realtà che voleva dare) in ciò che più faceva comodo, senza mai riuscirci nella sostanza.
Perché, seppur differenti, rappresentano i più densi ed omogenei film della filmografia
rosselliniana.
Attraverso questo lavoro dedicherò il primo capitolo al contesto storico in cui ci troviamo, quello
del neorealismo; soffermandoci poi su quella che sarà la carriera del regista e il cambiamento che
egli ha subito prima di giungere alla fase della solitudine nel suo percorso artistico.
Per poi arrivare alla seconda parte della tesi che include i tre capitoli restanti (uno per ogni film) nei
quali ho deciso di parlare, prima della loro fase storica, poi della parte più importante, quella
dell’analisi tecnica specifica di ciascun film, esaminandone gli elementi narrativi, il linguaggio, la
contestualizzazione, il messaggio che vuole dare l’autore; concludendo infine per ognuno di essi
con un mio commento personale a riguardo.
Gli obiettivi che la presente tesi si prefigge sono quelli di capire perché questi tre film girati da
Rossellini con la Bergman costituiscono una vera e propria trilogia; presentando sia uguaglianze
come una forte unità contenutistica e tematica, data da uno sviluppo delle stesse istanze etiche, la
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parte fondamentale della sua rappresentazione, come il senso della solitudine, quello della morte,
dell’unicità dell’esperienza umana, che caratterizza un po’ tutti i suoi personaggi femminili
interpretati da Ingrid Bergman, spogliata da Rossellini del ruolo di diva che aveva in precedenza;
che differenze dal punto di vista stilistico, data la crescita o cambiamento progressivo subito dallo
stesso autore.
Detto ciò desidero, prima di concludere, ringraziare il professor Calogero, relatore di questa tesi, per
la grande disponibilità e cortesia mostratemi, per tutto l’aiuto fornito durante la stesura.
Un sentito ringraziamento ai miei genitori che con il loro sostegno morale ed economico, mi hanno
permesso di raggiungere questo traguardo.
Infine ringrazio l’Università, compreso ciascun professore e componente, per la pazienza che hanno
avuto sopportandomi per la bellezza di quattro anni.
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Capitolo 1
ROSSELLINI E IL NEOREALISMO ITALIANO
1.1 Il cinema neorealista italiano
1.1.1 Contesto storico
«Nel 1944, subito dopo la guerra, tutto era distrutto in Italia. Il cinema come ogni altra cosa. Quasi
tutti i produttori erano spariti. Qua e là fiorivano alcuni tentativi ma le ambizioni erano estremamente
limitate. Si poteva godere di un’immensa libertà, l’assenza di un’industria organizzativa favoriva le iniziative
più eccezionali»
1
.
Ai tempi in cui il regime fascista era ormai giunto agli sgoccioli e Roma viveva una situazione
abbastanza critica (appena liberata dalle truppe alleate), ebbero vita le prime opere registiche basate
su forti impulsi realisti.
L’intento dei registi di quell’epoca era quello di fare un passo indietro verso il “realismo”,
ripartendo da zero. Ai tempi in cui l’occhio della cinepresa sembrava essere balzato ai fratelli
Lumière e tutto sembrava nuovo anche ai registi, l’unica regina che era capace di rappresentare la
realtà così come la si vedeva davanti agli occhi era dunque la cinepresa. Questo attuale stato di cose
non doveva essere visto e vissuto come una sorta di regressione, ma bensì il contrario, quindi
crescita e opportunità. Fu il neorealismo, una situazione nuova che permise di usare il cinema in
modi e forme differenti.
Il nome Neorealismo (1943-1955) derivava dall’unione delle parole neo-realismo, quindi “nuovo
realismo”, infatti, richiamandosi ai principi del realismo poetico, una corrente cinematografica
sviluppatasi in Francia negli anni ’30, rappresentava fatti e aspetti sociali della vita con una forte
caratterizzazione.
I motivi di questa scelta di ritorno al passato furono molteplici: le conseguenze immediate della
seconda guerra mondiale e della caduta di Mussolini comportarono che Cinecittà, dove dal 1937
venivano prodotti la maggior parte dei film italiani e rappresentava la produzione cinematografica
per eccellenza, fu trasformata in un centro di sfollamento, come se fosse diventato improvvisamente
un campo profughi in balia delle circostanze.
Infatti i cineasti
2
, “sostituiti da una folla di povera gente che accatastò cenci e fagotti vicino ai resti
1
Queste erano le parole di Roberto Rossellini tratte dal libro R. Rossellini, Il mio dopoguerra, Roma, Edizioni E/o,
1995, p. 134.
2
Enciclopedia Treccani, cineasta s. m. e (raro) f. [dal fr. cinéaste, der. di ciné «cine», con la terminazione -aste di voci di
origine gr. come ecclésiaste, gymnaste, ecc.] (pl. m. -i). – Chi si occupa attivamente di cinematografia; in partic.,
regista, produttore, e meno spesso attore, cinematografico.
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di sontuosi arredamenti e di bizzarre scenografie: stucchi di cartapesta, rimasti lì a testimoniare gli
ultimi fasti di una scenografia travolta dalla guerra, dai bombardamenti e dallo smantellamento
degli impianti tecnici ordinato dai tedeschi in ritirata”
3
, si spostarono dalle campagne alle strade,
con tanto di utilizzo di attori non professionisti e meno esigenti che giravano un film senza l’utilizzo
della sceneggiatura prestabilita, con materiale alquanto scadente.
I registi dell’epoca avevano come intento quello di riportare nei film un’analisi critica di quanto
succedesse intorno, facendo i conti con la drammaticità del momento e introducendo uno stile di
ripresa immediato; dal quale attingeranno spunto soprattutto quelli che verranno, nonchè gli
esponenti della Nouvelle Vague, un movimento cinematografico nato in Francia verso la fine degli
anni ’50. I maggiori esponenti François Truffaut, Jean-Luc Godard, Jacques Rivette, Claude
Chabrol e Erc Rohmer, erano un gruppo di amici che studiarono profondamente centinaia di film,
così fecero diversi articoli come critici di Chaiers du Cinèma, la più importante rivista di cinema
francese fino agli anni sessanta, erano fedelissimi alla politica degli autori e credevano che un
regista dovesse esprimere una sua visione del mondo, non solo nella sceneggiatura dei film ma
anche nello stile. Dopo, realizzarono una serie di film, in cui volgevano lo sguardo alla bellezza del
vero, che ricordiamo ancora oggi.
I registi di quel periodo si trovarono quindi a dover fronteggiare una situazione differente, da quella
dei teatri di posa, che premetteva loro di vivere determinate e insolite circostanze che consentivano
a loro volta una più facile metamorfosi degli schemi sino ad allora attuati nelle strutture codificate
della finzione cinematografica.
Paradossalmente il regista, recuperando la propria libertà di espressione, sentiva l’esigenza di
rispecchiare la realtà piuttosto che imporre la propria presenza individuale, come se regredisse “alle
condizioni del cinema delle origini e, al tempo stesso, [avesse] di fronte a sé la possibilità di
riscoprire, per intero, tutto il potere di rappresentazione della macchina da presa”
4
.
È bene ricordare che il neorealismo rappresentò solo una piccola parentesi del cinema italiano di
quegli anni, incontrò di rado il favore del pubblico perché la gente preferiva il cinema americano;
nonostante all’epoca ci fosse la legge Andreotti (1949) che doveva sostenere e promuovere la
crescita del cinema italiano, frenando l’avanzata dei film americani e frenando gli imbarazzanti
“eccessi” del neorealismo.
A seguito di questa norma, prima di poter ricevere finanziamenti pubblici, la sceneggiatura doveva
essere approvata da una commissione statale. Inoltre, se si riteneva che un film diffamasse l’Italia,
non otteneva la licenza di esportazione; insomma era nata una sorta di censura preventiva.
3
G. Rondolino, Rossellini, Torino, UTET, 1989, p. 72.
4
G. Brunetta, Storia del cinema italiano, Dal neorealismo al miracolo economico 1945-1959, vol. terzo, Editori Riuniti
II ed., Roma, 1993, p. 352.
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