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economica e sociale, ma anche quale garanzia di stabilità macroeconomica e quale
mezzo per incrementare il tasso di crescita dell'Unione e la sua competitività sullo
scenario mondiale.
La sempre più rilevante importanza dei Fondi strutturali nella politica di un'Europa in
continuo crescere e divenire ha fornito le motivazioni per un'analisi dell'evoluzione
storica di tale strumento politico e della sua applicazione in una delle regioni che, per
sua locazione geografica e per struttura socio-produttiva, più necessita di interventi
finanziari incentivanti lo sviluppo.
L'obiettivo del presente lavoro è quello di analizzare il Programma Operativo
Regionale (P.O.R.) 2000-2006 della Regione Puglia, il più importante apparato
normativo comunitario di sovvenzione regionale delle regioni Obiettivo 1. Maggiore
attenzione si è rivolta al settore agroalimentare pugliese, peculiare per molteplici
aspetti ed elemento cardine nella determinazione della forza economica regionale. In
linea con l'obiettivo di sottolineare l'applicazione dei fondamenti teorici della politica
comunitaria si è accuratamente descritto un progetto di finanziamento, esempio di un
caso applicativo di una misura d'intervento prevista per il settore agroalimentare
pugliese.
La metodologia seguita per l'analisi esposta ha richiesto la consultazione, oltre che di
una consistente bibliografia avente come oggetto l'Unione Europea e la sua
evoluzione, anche dei regolamenti comunitari vigenti per l'applicazione dei cosiddetti
"aiuti di stato". E' stato altresì indispensabile assumere la documentazione ufficiale
che lo studio di consulenza che ha curato l'attività di progettazione per l'azienda
considerata ha presentato all'autorità regionale per la richiesta di finanziamento.
Il lavoro è organizzato in cinque capitoli, con riflessioni conclusive.
Il primo capitolo intende fornire un'efficace sintesi degli sviluppi politici ed
istituzionali che hanno condotto l'Unione europea alla realizzazione dell'attuale
apparato burocratico dei Fondi strutturali.
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Oggetto del secondo capitolo è l'apparato normativo vigente in merito ai Fondi ed in
particolare in tale capitolo viene data maggiore importanza ad uno di essi, il FEOGA,
in virtù della sua stretta correlazione col sistema agroalimentare.
Con il terzo capitolo si arriva a considerare nello specifico l'applicazione dei fondi
nella regione Puglia. Si effettua infatti una sintetica ma esaustiva esposizione del
contenuto normativo del P.O.R. Puglia 2000-2006 e delle sue condizioni di
attuazione. Maggior rilievo assume la presentazione della Misura 4.5, inerente al
progetto di finanziamento esaminato nell'ultimo capitolo del lavoro. Per meglio
comprendere il funzionamento della Misura si è effettuata un'intervista al Dott.
Spezzacatena, già dirigente dell' Ufficio "Impianti Cooperativi Agroalimentari"
dell'Assessorato Agricoltura della Regione Puglia, che ha fornito rilevanti
informazioni sul processo logico seguito in ambito amministrativo per realizzare la
Misura finanziaria oggetto di analisi.
Il quarto capitolo è dedicato al sistema agroalimentare pugliese, esponendo le sue
peculiarità per contestualizzare gli obiettivi che la regione Puglia intende perseguire
per crescere in una dimensione sia economica che socio-strutturale.
Nell'ultimo capitolo si analizza il progetto realizzato nell'ambito della Misura 4.5. del
P.O.R. Puglia 2000-2006. La prima parte del capitolo è dedicata alla filiera
vitivinicola pugliese, settore interessato dal finanziamento richiesto, la seconda è
rivolta interamente alla descrizione dell'azienda e del progetto realizzato mediante il
cofinanziamento comunitario.
Le concusioni finali mirano ad evidenziare gli aspetti positivi e negativi emersi nel
corso dell'indagine svolta.
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Capitolo 1
Le politiche strutturali e di sviluppo rurale
nell' Unione Europea
1. 1 Il principo di coesione: pilastro fondante dell'Unione Europea
"La Comunità ha il compito di promuovere, mediante l'instaurazione di un mercato
comune e di un'unione economica e monetaria e mediante l'attuazione delle politiche e
delle azioni comuni, uno sviluppo armonioso ed equilibrato delle attività economiche
nell'insieme della Comunità, una crescita sostenibile, non inflazionistica e che rispetti
l'ambiente, un elevato grado di convergenza dei risultati economici, un elevato livello
di occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualità
della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra Stati membri" (Trattato
che istituisce la comunità europea , 1957, art.2).
Il termine coesione, ripreso nell'Atto unico europeo e nel Trattato sull'Unione, è stato
subito utilizzato per definire uno degli obiettivi prioritari della Comunità Europea,
uno dei suoi pilastri fondanti con cui procedere ad una stretta integrazione
dell'Unione. Lo stesso Trattato definisce il termine coesione come l'obiettivo politico
volto a "ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle
regioni meno favorite o insulari, comprese le zone rurali" (Trattato sull'Unione, 1992,
art. 158).
Per raggiungere tale obiettivo le politiche comunitarie cercano di stimolare un
processo di svilupppo nelle aree in ritardo, ovvero di attuare un processo di
convergenza. In questo quadro socio-economico si deve inserire un'organizzazione
sovranazionale per la redistribuzione dei redditi tra i territori di cui si compone
l'Unione, normalmente portati a divergere sempre più acuendo le disparità
preesistenti.
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Per agevolare il processo di convergenza occorre favorire e realizzare una sufficiente
integrazione tra i paesi membri, ovvero costruire una giusta architettura istituzionale
che renda possibile, partendo dal livello europeo fino a quello regionale, l'attuazione
del succitato processo.
I principi fondanti dell'Unione trovano attuazione in uno strumento finanziario quale i
Fondi strutturali, istituiti per "promuovere lo sviluppo e l'adeguamento strutturale
delle regioni che presentano ritardi nello sviluppo, favorire la riconversione
economica e sociale delle zone con difficoltà strutturali, e favorire l'ammodernamento
e l'adeguamento di politiche e sistemi di istruzione, formazione e occupazione" ( Reg.
1260/99 art.1 ). In particolare, citando l'articolo 159 del Trattato, "la Comunità
intende perseguire gli obiettivi dell'articolo 158 anche attraverso l'azione dei Fondi a
finalità strutturale (Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia, sezione
orientamento, Fondo sociale europeo, Fondo europeo di sviluppo regionale), la Banca
europea degli investimenti e gli altri strumenti finziari esistenti".
1. 2 Evoluzione della politica comunitaria di sviluppo regionale
La situazione dell'agricoltura nell'immediato secondo dopoguerra determinò
l'interesse delle forze politiche a promuovere un'integrazione delle agricolture
europee. I principali problemi da affrontare furono delineati nel Congresso di Aja
(1948). Essi consistevano in uno scarso livello di consumi e di benessere dovuto alla
difficoltà di approvvigionamento alimentare nel dopoguerra, all'eccessivo costo delle
importazioni alimentari che così impediva lo sviluppo dei settori industriali, ed alla
arretratezza del settore agricolo (forza di lavoro pari al 20% della popolazione, ma
concorrente solo nell'11% al Pnl dei paesi istituenti la CECA ) (Fanfani, 1998).
Durante gli anni Cinquanta i progetti di integrazione europea si limitarono a proporre
organizzazioni comuni dei mercati agricoli ed a regolamentare gli scambi, tuttavia
ancora scarsi per la presenza di politiche protezionistiche.
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La soluzione che fu scelta fu quella del governo olandese che suggerì l'adozione di un
prezzo unico per i prodotti agricoli e l'applicazione di una tariffa comune verso
l'esterno per mantenere elevati i prezzi interni stimolando la produzione agricola.
Fu tuttavia nel 1955 che l'integrazione europea in campo agricolo ricevette una
notevole spinta mediante il Rapporto Spaak ove si sostenne l'impossibilità di
realizzare un mercato comune generale senza la partecipazione dell'agricoltura.
Obiettivi contenuti nel rapporto furono la stabilizzazione dei mercati, la sicurezza
dell'offerta, il mantenimento di redditi adeguati per le imprese agricole produttive e un
graduale ammodernamento delle strutture produttive. Tali obiettivi rimasero
pressocchè invariati nei Trattati di Roma (1957).
Il Rapporto sottolineò la forte richiesta degli Stati membri di una regolamentazione
comune dei mercati agricoli, nella consapevolezza che i problemi di carenze
alimentari delineatisi nel primo dopoguerra erano stati superati, e che nuovi problemi
si presentarono circa l'equilibrio dei mercati agricoli. La situazione agricola europea
stava profondamente cambiando. Dalla fine degli anni Quaranta alla fine degli anni
Cinquanta si passò da un'agricoltura artigianale ad una industrializzata. In Italia il
vero incremento produttivo si verificò solo a ridosso degli anni Sessanta.
Contemporaneamente crebbero, in modo modesto, anche i consumi alimentari e
soprattutto la produttività per addetto, in conseguenza ad una forte riduzione
dell'occupazione in agricoltura ed all'inizio del cambiamento delle caratteristiche
economiche della società.
Ciò che favorì molto la nascita della Politica Agricola Comunitaria (PAC), come
evidenziato dal Rapporto Spaak, fu l'intervento pubblico in agricoltura che in quegli
anni si rafforzò in tutti i Paesi aggiungendosi alle misure protezionistiche già in
vigore da un ventennio ed alle misure di regolamentazione dei mercati.
In tale situazione fu facile il passaggio ad un intervento sovranazionale e l'istituzione
di un mercato comune che recò vantaggi diversi ma cospicui a tutti i Paesi. L'Italia da
un lato potè avvantaggiarsi di migliori oppotunità in campo agricolo per i prodotti di
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cui era tradizionale produttrice, dall'altro potè beneficiare di possibili sbocchi per i
prodotti non agricoli. Un mercato comune agricolo fu inoltre un passaggio necessario
per la costruzione di un mercato comune generale, irrimediabilmente distorto nel caso
in cui fossero rimasti differenti livelli di prezzi agricoli.
I principi su esposti sono stati ripresi nei Trattati di Roma (1957) e chiariti nell'art.2
mediante le realizzazioni esplicitate nell'art. 3: (a) l'abolizione, tra gli Stati membri,
dei dazi doganali e delle restrizioni quantitative all'entrata e all'uscita delle merci (b)
un mercato interno caratterizzato dall'eliminazione, fra gli Stati membri, degli ostacoli
alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali; (c) misure
relative all'entrata e alla circolazione delle persone nel mercato interno (d) una
politica comune nei settori dell'agricoltura e della pesca; (e) una politica comune nel
settore dei trasporti; (f) un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata
nel mercato interno; (g) il ravvicinamento delle legislazioni nella misura necessaria al
funzionamento del mercato comune; (h) una politica nel settore sociale comprendente
un Fondo sociale europeo; (i) l'istituzione di una Banca europea per gli investimenti.
Secondo quanto espresso nell'art. 39 le finalità e gli obiettivi della politica agricola si
ampliarono e divennero i seguenti: (a) incrementare la produttività dell'agricoltura,
sviluppando il progresso tecnico, assicurando lo sviluppo razionale della produzione
agricola come pure un impiego migliore dei fattori di produzione, in particolare della
manodopera, (b) assicurare così un tenore di vita equo alla popolazione agricola,
grazie in particolare al miglioramento del reddito individuale di coloro che lavorano
nell'agricoltura, (c) stabilizzare i mercati, (d) garantire la sicurezza degli
approvvigionamenti, (e) assicurare prezzi ragionevoli nelle consegne ai consumatori.
I limiti degli articoli dei Trattati risiedevano in una mancata delineazione puntuale di
mezzi e strumenti di intervento, chiariti soltanto negli anni Sessanta.
Furono proprio la necessità di delineare linee direttrici della Politica agricola
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comunitaria (PAC) e, sopratutto, la necessità di valutare le discrepanze tra le politiche
agricole dei diversi paesi membri che spinsero alla richiesta di una conferenza, nota
come Conferenza di Stresa (1958). In tale incontro emersero delle indicazioni poi
tradotte in proposte concrete col documento COM 60 (105) noto meglio come "primo
Piano Mansholt". Il documento conteneva proposte di regolamentazione dei mercati
dei principali prodotti dell'agricoltura europea. Mediante la creazione di
Organizzazioni Comuni di Mercato (OCM) si cercò di riavvicinare prezzi ed
eliminare gli ostacoli alle pratiche concorrenziali ed al commercio intracomunitario
dei prodotti agricoli per giungere ad un Mercato unico dei prodotti con una tariffa
doganale comune verso il resto del mondo. Erano carenti le indicazioni sulla politica
delle strutture agricole, nonostante l'accertato divario strutturale delle agricolture dei
sei Paesi. Il documento propose anche l'istituzione di un Fondo Europeo di
Orientamento e Garanzia Agricola (FEOGA) per il finanziamento e la gestione delle
spese della PAC. Tale proposta divenne realtà fra il 1962 ed il 1964, quando fu
istituito il FEOGA che successivamnte fu suddiviso in due sezioni specializzate
("garanzia" ed "orientamento").
Tuttavia la politica agraria comune fu caratterizzata a partire da questo periodo da uno
smisurato intervento di sostegno dei prezzi piuttosto che da un'equa ripartizione delle
risorse con il secondo settore di intervento, le politiche strutturali.
Alla fine degli anni Sessanta emersero nuovi problemi. Il grado di autosufficenza
aumentò notevolmente in alcuni comparti agricoli, accrescendo le necessità
finanziarie, dovute anche al mancato rinnovamento strutturale delle imprese agricole e
alle difficoltà sempre maggiori di incrementare i redditi degli agricoltori, nonostante
la forte riduzione dell'occupazione agricola di quegli anni. In tale scenario maturò il
documento Memorandum sulla riforma dell'agricoltura, meglio noto come "Piano
Mansholt" (1968). Esso previde una serie di interventi strutturali, da attuarsi negli
anni Settanta, per ammodernare le aziende e favorire, quindi, l'aumento dei redditi
agricoli, per equipararli a quelli di altri settori. In particolare il Piano mirò a
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ridurre le terre coltivate e ad attuare una serie di interventi di politica regionale per
favorire la creazione di posti di lavoro nelle regioni più svantaggiate o più bisognose
di maggiori ammodernamenti strutturali. Furono così poste le basi per la politica
strutturale.
1. 3 Le politiche strutturali della Comunità europea dal '72 all'88
La neonata politica strutturale mosse un primo passo nel 1972 con l'approvazione di
tre direttive definite socio-strutturali. La direttiva 159 contemplava le misure per
l'ammodernamento delle strutture aziendali. Con essa la Comunità metteva a
disposizione incentivi destinati ad imprese non efficenti che, attraverso un opportuno
piano di investimenti, mostravano di poter raggiungere nell'arco di sei anni un reddito
comparabile a quello di cui beneficiavano le attività diverse da quella agricola
presenti in una zona. Per l'ottenimento degli aiuti era necessario che le aziende fossero
condotte da coltivatori a titolo principale e che avessero una regolare contabilità. Gli
agricoltori potevano ottenere mutui a tassi agevolati per acquistare le terre liberate con
gli incentivi offerti dalla direttiva 160 e aiuti in forma di contributi in conto interessi
per la realizzazione degli investimenti aziendali previsti dal piano di sviluppo. La
direttiva 160 era di supporto alla precedente e prevedeva incentivi ai conduttori
anziani che si impegnavano ad abbandonare l'attività agricola, cedendo i terreni ad
imprenditori che intendevano modificare la dotazione strutturale delle loro aziende.
Infine la direttiva 161 fornì il supporto informativo per il cambiamento organizzativo
della produzione agricola.
Esse però rimasero largamente inapplicate negli anni Settanta, soprattutto in Italia ove
furono approvati solo 3.000 piani, e per giunta concentrati in tre regioni, contro i
200.000 approvati in tutta la Comunità fra il 1976 ed il 1985. Inoltre per più di un
decennio, a partire dal '72, alla politica strutturale è stato destinato soltanto circa il 5%
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della quota prevista per la politica del sostegno dei prezzi. In Italia la causa dello
scarso successo delle direttive, applicate già in ritardo, ovvero nel 1975, è da ricercare
in parte nella coincidenza della loro applicazione con l'approvazione della legge che
istituì l'ordinamento regionale col conseguente passaggio alle regioni del compito di
approvare le politiche a carattere strutturale. Il passaggio di compiti fu però lento, e
ciòebbe un effetto deleterio sull'applicazione delle direttive socio-strutturali. Altra
causa di insuccesso delle direttive fu dovuta alla logica del tutto innovativa della
gestione dell'intervento sia sotto il profilo amministrativo che tecnico. Cioè gli
interventi potevano essere finanziati solo se vi era una sufficiente specificazione dei
loro contenuti e soprattutto se si dimostrava l'economicità dell'intervento stesso.
Questo rappresentò un notevole salto culturale per la gestione degli interventi a
sostegno degli investimenti nell'agricoltura italiana, fino a quel momento caratterizzati
dall'essere distribuiti "a pioggia" senza troppi vincoli di erogazione (così come era
previsto in particolare dal primo dei cosiddetti "Piani verdi" relativo al periodo 1961-
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Le direttive furono aggiornate nell'85 dal Regolamento 797 relativo al
"miglioramento dell'efficenza delle strutture agrarie" e nell'87 dal Regolamento 1760
relativo alle "strutture agrarie e all'adeguamento dell'agricoltura alla nuova situazione
dei mercati nonchè al mantenimento dello spazio rurale".
Il Regolamento 797 previde, come caratteristiche salienti, che fosse consentita la
partecipazione ai finanziamenti anche agli agricoltori con un reddito più basso di
quanto previsto dalle direttive del '72, ed esigeva un "piano di miglioramento
aziendale" meno rigido ma che guardasse anche alla salvaguardia del reddito
aziendale, se minacciato, ed al mantenimento dei livelli occupazionali nel settore. Per
la prima volta, inoltre, si pose l'accento sulla necessità di favorire gli investimenti che
aumentavano la produttività senza stimolare l'incremento della produzione e la
formazione di ulteriori eccedenze. Dunque pose l'attenzione sulla riduzione dei costi e
sulla diversificazione produttiva.
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Il Regolamento 1760 apportò modifiche consistenti soprattutto in aiuti volti ad
incoraggiare gli agricoltori da un lato alla riconversione della produzione agricola
verso produzioni non eccedentarie e dall'altro all'estensivazione delle produzioni
eccedentarie.
Nel 1988 fu invece il Regolamento 1094 concernente "il ritiro dei seminativi dalla
produzione nonchè l'estensivazione e la riconversione della produzione" (noto anche
come "set-aside") che modificò i due precedenti regolamenti con lo scopo, ancora una
volta, di ridurre le eccedenze produttive. Il ritiro delle terre riguardò in teoria tutti i
terreni arabili della Comunità ad esclusione di quelli destinati alla coltivazione di
prodotti non soggetti ad organizzazione comune dei mercati e quelle destinati a
pascolo e colture permanenti.
Nella stessa data (25 aprile 1988) fu approvato anche il Regolamento 1096 sull'
"incoraggiamento alla cessazione anticipata dell'attività agricola", meglio noto come
"prepensionamento". Tale normativa fu prevista per finalità prettamente sociali in
quanto intese garantire un reddito agli agricoltori che non potevano adeguarsi alle
nuove realtà del mercato. I beneficiari erano gli imprenditori a titolo principale con
più di 55 anni e che cessavano ogni attività agricola. Ciò avrebbe riguardato le
aziende meno efficienti ed assicurato una riduzione delle eccedenze o un
miglioramento strutturale a seconda che le terre resesi libere fossero ritirate
dalla produzione o meno.
Un'analisi d'insieme delle diverse misure adottate a livello comunitario nel corso degli
anni Ottanta evidenzia l'impressione di un processo di adattamento per
approssimazioni successive ben lontano dalla necessaria revisione complessiva delle
misure strutturali e dalla loro integrazione con quelle della politica dei prezzi e dei
mercati agricoli. In particolare le ultime misure approvate furono frutto di un'azione
comunitaria frammentata e di una sempre maggiore subordinazione degli interventi al
perseguimento dell'obiettivo del rientro dalle eccedenze produttive, con una marcata
azione di ritiro delle terre dalla produzione.
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n tal modo però non fu possibile ricavare il giusto spazio per una politica strutturale di
ammodernamento delle imprese agricole e di riconversione produttiva.
Una differente strategia fu prevista dai successivi interventi come i Programmi
integrati mediterranei e la riforma dei Fondi strutturali.
1. 4 'approvazione dei Progetti integrati mediterranei alla riforma dei fondi
strutturali
L'approvazione dei Progetti integrati mediterranei (Pim) nel 1985, con il
Regolamento 2088, rappresentò un vero punto di svolta per la politica strutturale.
Secondo gli studiosi i Pim rappresentano i veri precursori della nuova politica
regionale comunitaria. Il loro obiettivo fu di realizzare un'azione comunitaria
specifica per migliorare le strutture socio-economiche delle regioni meridionali della
Comunità. I Pim previdero azioni pluriennali integrate a vari livelli: (a) a livello di
mezzi finanziari poichè alle risorse specifiche nazionali si aggiunsero quelle del Fers,
Fse, Feoga-orientamento, e della Bei; (b) a livello dei settori di intervento (agricoltura,
pesca, artigianato, industria e servizi); (c) a livello dei partner coinvolti nel processo
programmatorio e gestionale (Commissione europea, amministrazione nazionale e
amministrazioni regionali e locali). Il Regolamento previde anche l'istituzione di un
Comitato consultivo (composto da rappresentanti degli Stati membri e presieduto
dalla Commissione) col compito di esprimere un parere su ogni progetto presentato,
da approvare in seguito dalla Commissione. L'attuazione dei Pim avveniva mediante
contratti di programma tra tutte le parti interessate (Commissione, Stati membri,
autorità regionali o qualsiasi altra autorità designata dallo Stato membro) che
avrebbero definito i rispettivi impegni.
L'importanza dei Pim risiedette nel fatto che essi contennero tutti gli ingredienti che
avrebbero caratterizzato il funzionamento dei fondi strutturali nei periodi successivi: il
partenariato tra Commissione, amministrazione nazionale e regione, la definizione di
un programma pluriennale vincolante per tutte le parti, l'approccio integrato agli