5
Verso la fine degli anni ottanta subentrano fattori esterni che aumentano
la spinta al cambiamento, mettendo in crisi la base ideologica del partito
comunista, e facendo scaturire una serie di nuovi atteggiamenti da parte
di alcuni attori politici, nel tentativo di introdurre nel nostro sistema
politico i principi di una democrazia maggioritaria.
Agli inizi degli anni novanta il sistema politico entra in crisi: alla
difficile situazione politica si somma un grave deficit delle finanze dello
stato, ed una sfavorevole congiuntura economica che esaspera
ulteriormente i cittadini. In questo frangente hanno successo le iniziative
dei movimenti referendari, che utilizzando i referendum come cassa di
risonanza delle dinamiche politiche che si sviluppano fuori dalle aule
parlamentari, spingono i partiti ( riluttanti) a riformare le regole
elettorali. Durante questa fase, che vede i partiti tradizionali impegnati
ad accordarsi su come cambiare la legge elettorale e il sistema politico,
subentra alla crisi politica una più profonda crisi giudiziaria, che
attraverso il lavoro del “pool” di “Mani pulite” di Milano e dei loro
colleghi delle procure di tutta Italia investe, in una sorta di reazione a
catena, un gran numero di esponenti dell’Establishment parlamentare e
governativo, dell’imprenditoria e della finanza pubblica e privata.
6
L’autorità dei partiti politici crolla e viene in parte sostituita dai media e
dai magistrati, che contribuiscono a guidare gli eventi verso una
modificazione del sistema politico.
Questa sintetica premessa delinea in parte la complessità dell’attuale
transizione politica, che si riflette su una moltitudine di fattori che
determinano il sistema politico nel suo complesso, quali il sistema
governativo, il sistema statale, il ruolo delle istituzioni e quello dei
media, solo per citarne alcuni.
Nei seguenti capitoli mi limito ad analizzare tre aspetti che influiscono
sulla trasformazione del sistema politico, e nello stesso tempo ne
indicano i caratteri.
Il primo capitolo è dedicato alla legge elettorale, non solo perché è la
risposta legislativa più interessante del parlamento agli inizi del
mutamento (1993), ma anche perché è considerata dai partiti politici
come lo strumento principale che può determinarne la sopravvivenza o il
successo politico, e stabilisce i vincoli e gli incentivi che influiscono
maggiormente nel delineare il sistema partitico.
Il secondo capitolo è dedicato all’elettorato, ai suoi atteggiamenti verso
la politica ed i partiti, per verificarne la disponibilità ad attuare un
cambiamento verso una logica maggioritaria in grado di sfruttare a pieno
i vantaggi della nuova legge elettorale, seppur con tutti i limiti del caso.
7
Dedico infine il terzo capitolo all’analisi del sistema partitico, secondo il
modello di Sartori, per verificare se i mutamenti avvenuti abbiano
effettivamente sortito un cambiamento effettivo a livello sistemico, tale
da poter riclassificare il sistema partitico come pluralismo moderato, e se
il nuovo formato possa quindi esprimere nuove qualità e potenzialità in
grado di garantire una democrazia dell’alternanza con governi efficienti.
8
Capitolo primo.
La legge elettorale della transizione.
Introduzione
Il 4 agosto 1993 il parlamento approva la nuova legge elettorale per la
Camera dei deputati e dei senatori, come risultato della commissione
bicamerale Mattarella formata nel 1992 per le riforme istituzionali.
La legge elettorale uscita dalla bicamerale rappresenta un interessante
punto di studio ed analisi per capire quali evoluzioni possa prendere la
transizione politica in atto, a livello partitico ed istituzionale.
Il clima della genesi dell’attuale legge è stato iperattivo e confuso: in
meno di un anno si è prodotto quello che la precedente bicamerale
“Bozzi” non riuscì a fare in due anni tra 1983 e 1985
1
. Questa
eccezionale attività riformista, inusuale per il nostro Paese, è arrivata a
seguito di straordinari cambiamenti e stimoli interni quali: la
trasformazione della sinistra, le iniziative del capo dello stato, il
referendum del 18 aprile 1993 e la rivoluzione di tangentopoli, che
hanno fatto crescere nell’elettorato, ed in parte nei partiti, una volontà
riformista che eliminasse le storture di un sistema politico usurato dal
tempo ed inattuale nei contenuti.
1
A. Pappalardo, La nuova legge elettorale in parlamento: chi, come e perché, in “Maggioritario ma
non troppo”, a cura di S. Bartolini e R. D’Alimonte, Bologna, Il Mulino, 1995, pagina 17.
9
Il forte interesse dei partiti e degli studiosi per la modifica della legge
elettorale è giustificato perché rappresenta il primo passo della
trasformazione costituzionale italiana, e un importante filtro che
rivoluziona il sistema dei partiti. Solo attraverso una legge elettorale che
diminuisca la frammentazione parlamentare e riduca i diversi interessi si
potrà procedere ad approvare sostanziali modifiche costituzionali atte a
trasformare il nostro sistema politico, che Giovanni Sartori non esita a
definire come democrazia acefala, assembleare ed irresponsabile.
La nuova legge elettorale, nelle aspettative dei riformisti, avrebbe dovuto
diminuire il numero dei partiti, aumentare la forza parlamentare e di
governo a discapito della partitocrazia
2
. In realtà le intenzioni dei
legislatori furono ben diverse, poiché l’imminente crollo del vecchio
sistema partitico spingeva i grandi partiti a cedere ai compromessi dei
piccoli cercando di salvare capra e cavoli
3
. La legge nacque vecchia,
nella migliore delle ipotesi doveva essere funzionale agli accordi ed
interessi dei partiti in parlamento nel 1993, poi però travolti con le
nuove elezioni del 1994.
Prima del 18 aprile si è corso per evitare il referendum, poi per
neutralizzarlo, deludendo i promotori di una legge elettorale
maggioritaria di ispirazione inglese o francese. Il risultato è una legge
ibrida né maggioritaria né proporzionale, frutto di compromessi e veti
2
G. Maranini, Storia del potere in Italia, Milano, Corbaccio, 1995, pagina 411.
3
G. Sartori, Come sbagliare le riforme, Bologna, Il Mulino,1995, pagina 35.
10
incrociati, che si configura come un unicum nel panorama dei regimi
democratici.
Scopo di questa sezione è analizzare gli incentivi e le possibilità che il
sistema elettorale offre agli attori politici, verificando il comportamento
e gli esiti delle due tornate elettorali 1994-1996.
11
1. Meccaniche del sistema elettorale italiano per
l’elezione della Camera dei deputati.
La prima novità della riforma varata nel 1993 esula dal meccanismo
tecnico di voto ma condiziona in modo rilevante il nuovo sistema
elettorale; si tratta dell’articolo 1 della 277/1993 che definisce il voto
come un diritto e non più come obbligo inquadrando quindi l’esercizio
del voto come dovere puramente morale, legittimando quindi il non voto.
Connesso al problema dell’astensione è anche la decisione di ridurre il
tempo di voto ad un solo giorno e non più in due giorni come accadeva
prima.
Anche per la presentazione delle candidature la nuova legislazione
presenta una nuova disposizione, la raccolta di un certo numero di firme
dei cittadini della circoscrizione o collegio senza nessuna esenzione per i
partiti. Questa norma è in se selettiva onde evitare le cosiddette liste fai
da te; in occasione delle prime elezioni si è verificato in Puglia il caso di
candidature o liste respinte come fu il caso di Forza Italia, pur risultando
dopo le elezioni il primo partito a livello regionale
4
.
Vediamo ora di seguito le linee principali del sistema riferito alla
Camera dei deputati che differisce da quelle per l’elezione dei senatori.
Il territorio nazionale è diviso in 26 circoscrizioni elettorali
proporzionali; il 75% dei seggi ( 475) è assegnato a singoli candidati in
4
C. Fusaro, Le regole della transizione , Bologna, Il Mulino,1995, pagina 73.
12
corrispettivi collegi uninominali, il restante 25% (155) è attribuito
proporzionalmente a liste concorrenti nella stessa circoscrizione. A
differenza di quel che accade per il Senato la distribuzione dei seggi è
fedelmente proporzionale ad eccezione della Valle d’Aosta che può
eleggere un solo deputato con sistema maggioritario.
Il voto si svolge in un turno unico ma su due schede distinte, una per
l’elezione del candidato nel collegio uninominale, la seconda in
relazione alla lista nella circoscrizione per il riparto proporzionale;
l’elettore può quindi votare in modo disgiunto senza comunque poter
indicare una preferenza nella lista circoscrizionale, perché rigida
5
.
Ciascun candidato, per l'elezione nel collegio uninominale, dovrà
obbligatoriamente collegarsi con una o più liste che partecipano al
riparto dei seggi proporzionali della circoscrizione.
Non è possibile alla stessa persona candidarsi in più di un collegio
uninominale, mentre è possibile candidarsi, oltre che nello stesso, anche
per la quota proporzionale.
Ogni candidato di collegio uninominale deve collegarsi ad una lista, ma
non è obbligatorio l'inverso: possono esservi, in pratica, liste che
partecipano soltanto alla ripartizione dei seggi della parte proporzionale,
e che non presentano propri candidati (o non sono collegate a quelli
comuni a più liste) nei collegi uninominali.
5
Documenti della Camera dei deputati dal sito internet : http.www. parlamento.it
13
In ciascun collegio uninominale è eletto il candidato che ottiene il
numero più alto di suffragi, per la conquista del seggio è necessaria la
maggioranza relativa dei voti, senza la necessita di superamento di alcun
quorum.
Il calcolo della quota proporzionale avviene su collegio unico nazionale,
con la clausola che i partiti superino il 4% dei voti validi espressi sul
totale delle circoscrizioni, nel 1994 rimasero inutilizzati il 15% dei
voti espressi. Una volta stabilito quali liste sono ammesse alla
ripartizione proporzionale, si tratta di vedere come distribuire tra loro i
155 seggi. E' a questo punto che subentra nel conteggio il cosiddetto
"scorporo", un meccanismo finalizzato ad accrescere le possibilità di
conquista dei seggi proporzionali per le liste che abbiano riportato poche
vittorie (o nessuna) nei collegi uninominali.
Per far ciò si "scorpora", cioè si sottrae, a ciascuna delle liste una parte
dei voti ottenuti nei collegi uninominali dagli eletti collegati alle liste
stesse: la sottrazione non riguarda, infatti, tutti i voti ottenuti dai
candidati vincitori nei collegi uninominali, ma soltanto il numero
minimo necessario per la vittoria, che corrisponde al numero dei voti
ottenuti dal candidato arrivato secondo aumentato di uno. In nessun caso
la sottrazione può però essere inferiore al 25% del totale dei voti validi
espressi nel collegio (salvo che il candidato vincente abbia ottenuto egli
stesso meno del 25%: in questo caso vengono sottratti tutti i suoi voti).
14
Se il candidato eletto nel collegio uninominale è collegato a più di una
lista nella parte proporzionale, la sottrazione viene suddivisa tra le
diverse liste collegate in rapporto ai voti ottenuti da ciascuna di esse
(scorporo pro quota)
6
.
Determinato il numero di eletti che in ogni circoscrizione spetta a
ciascuna lista, vengono proclamati deputati i candidati presenti sulla
scheda secondo il loro ordine nella lista stessa. Nel caso in cui il numero
di seggi cui una lista ha diritto sia superiore, nella circoscrizione, al
numero dei candidati inseriti (che può andare da 1 a 4), vengono
proclamati deputati i candidati non eletti nei collegi uninominali, fra
quelli collegati alla lista considerata, che hanno riportato la più alta
percentuale.
6
R. D’Alimonte e A. Chiaromonte, Il nuovo sistema elettorale italiano, in “Maggioritario ma non
troppo”, a cura di S. Bartolini e R. D’Alimonte, Bologna, Il Mulino, 1995, pagina 48.
15
2. Connessioni tra voto maggioritario e voto proporzionale.
Tra le variabili considerate dai partiti per affrontare le sfide elettorali per
la conquista dei seggi, le capacità manipolative dei sistemi elettorali sono
di primaria importanza. Se il sistema proporzionale, come quello prima
della riforma, non necessitava di alleanze elettorali prima delle elezioni
ed ogni partito correva in proprio, con l’adozione di un sistema
maggioritario s’innescano strategie complesse a livello partitico dettate
non solo dalla distanza ideologica delle forze in gioco e dalla forza sul
territorio, ma anche dalle opportunità e dagli incentivi all’aggregazione
che il sistema offre.
Il passaggio da un sistema proporzionale ad uno che è per maggior parte
maggioritario, ha imposto ai partiti scelte importanti soprattutto per
quanto riguarda l’aggregazione: scegliere se aggregarsi ad altri partiti e
condividere un percorso comune per l’elezione nei collegi uninominali, o
correre da soli. Un sistema puramente maggioritario premia la coesione,
perché i partiti piccoli vengono sottorappresentati nel breve periodo e
rischiano di scomparire nel lungo. Il nostro sistema elettorale è però più
complesso: se da una parte premia la coesione, dall’altra lascia liberi
spazi ai partiti medio piccoli permettendo loro di mantenere visibilità.
Tra i due sistemi di voto ci sono interdipendenze importanti, infatti il
candidato di collegio deve essere collegato ad almeno una lista presente
in sede circoscrizionale e può figurare tra i candidati della lista.
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L’elezione del candidato di collegio, in virtù dello scorporo, determina
per le liste, che lo appoggiano a livello uninominale, una perdita di voti
ai fini dell’attribuzione proporzionale dei seggi; per finire, il candidato di
collegio, anche se perdente, può essere eletto attraverso il riparto
proporzionale.
Il sistema è quindi ibrido e non può essere classificato a tre quarti
maggioritario e un quarto proporzionale poiché non raccoglie
completamente la logica del plurality system, visto che il voto non si
configura solo come espressione di preferenza del candidato che,
perdente a livello di collegio, può essere eletto nella lista proporzionale o
a seguito del ripescaggio; non si hanno quindi sconfitte definitive,
mentre parte del gioco è a carico della lista.