insieme nel campo più vasto delle scienze sociali. Di conseguenza,
nella prima parte vi è un capitolo dedicato alla razionalità limitata, al
problema del disequilibrio e alla visione austriaca del processo di
mercato, la visione di un mercato di certo non perfetto. Perché non
perfetti sono gli individui che lo compongono. Esseri umani “ignoranti
e fallibili” che devono affrontare costantemente il problema della
conoscenza rilevante, ovvero della dispersione di informazioni
all’interno della società. Da qui l’idea che il filone informativo sia
quello centrale per la spiegazione del ciclo economico. Infatti, nella
misura in cui profitti e perdite sono all’ordine del giorno nel mondo
imprenditoriale, una situazione di fallimenti generali non può essere
spiegata con l’idea che gli imprenditori si siano tutti sbagliati, quando
fa parte della loro attività “lottare contro un futuro incerto”. Più
probabile che tutti si siano basati su informazioni errate, come le
informazioni relative l’abbondanza o meno di risorse, e quindi sulla
profittabilità e sostenibilità degli investimenti. Infatti, non a caso
utilizzo l’espressione di “errore sistemico” per definire l’esplosione
degli errori imprenditoriali che coincidono con lo scoppio della crisi.
Da questi punti di partenza si sviluppa la seconda parte della tesi, che
per fornire un quadro teorico completo ha dovuto integrare la teoria
del ciclo di Hayek, esposta in Prezzi e Produzione, con la concezione
della moneta e la teoria dell’interesse, così come delineate
principalmente in Mises. Inoltre, ho ampiamente attinto ad altri autori
che hanno ampliato ed applicato la teoria austriaca del ciclo
economico in tempi più recenti. In particolare sono state molto
importanti La Grande Depressione di M. Rothbard, che fu allievo di
Mises, e il lavoro di Roger Garrison, Time and Money, che ha coniato
il termine di “macroeconomia austriaca”.
8
Pertanto, definite le basi di partenza, la seconda parte è una lunga
trattazione teorica che partendo dalla moneta, dalle sue funzioni, dalla
spiegazione del meccanismo di inflazione sequenziale, passa per la
spiegazione della teoria del tasso d’interesse come fenomeno reale per
arrivare alla variazione del sistema produttivo durante un ciclo
economico. Come nella prima parte, questi due capitoli sulla moneta e
sul tasso d’interesse, sono funzionali ad una corretta interpretazione
dell’ultimo capitolo della seconda parte: il modello analitico della
teoria austriaca basato per lo più sul celebre lavoro di Hayek, Prezzi e
Produzione, e sul lavoro di Garrison che ha preso la forma del libro
Time and Money. In breve, la teoria austriaca del ciclo economico
considera il ciclo come un fenomeno innescato da una forza esterna, in
questo caso l’autorità monetaria, che tramite una politica di tassi
d’interesse accomodanti innesca una pericolosa espansione creditizia e
di mezzi fiduciari. Tale espansione sebbene inneschi la fase di boom,
in realtà avvia investimenti erronei e mal orienta la produzione,
fornendo errate informazioni al sistema economico. Il segnale errato è
rappresentato dai bassi tassi d’interesse stabiliti dalle Banche Centrali,
le quali non tengono conto dei limiti della produzione rappresentati
dalla scarsità di capitali. Il superamento di tale limite si verifica
ogniqualvolta il tasso d’interesse monetario è inferiore al tasso
d’interesse naturale, “quel saggio d’interesse che sarebbe determinato
dall’offerta e dalla domanda nell’ipotesi che i capitali reali fossero
prestati in natura, senza mediazione della moneta”
1
. Sebbene tale tasso
non sia verificabile nella realtà odierna, ciò non toglie nulla alla
trattazione teorica che tenta di dimostrare che il tasso d’interesse alla
stregua di un prezzo debba essere il punto di incontro di una domanda
ed un’offerta, la domanda ed offerta di capitali. Nel modello analitico
1
K. WICKSELL, Interesse monetario e prezzi dei beni, cit., p. 99. Corsivo mio.
9
presentato, inoltre, viene descritto l’intero processo tramite il quale
sistema produttivo, mal orientato dalle autorità monetarie, si avvia
verso la fase di boom prima, e quella di bust dopo. Un processo che
trova riscontro nella realtà degli ultimi dieci anni, che la teoria
austriaca del ciclo sembra spiegare perfettamente.
Nella terza parte invece si procede ad una confutazione e discussione
delle altre spiegazioni “classiche” della crisi, quale il tesoreggiamento,
la sovrapproduzione, la mancanza di potere d’acquisto o politiche
monetarie non accomodanti. Tuttavia riteniamo di aver mostrato che
tali spiegazioni siano ammissibili solo nella misura in cui non si
riconosca che politiche di bassi tassi d’interesse inneschino pericolosi
effetti inflazionistici che sono poi la causa del ciclo. Infatti la crisi
attuale dell’economia mondiale è il risultato di lunghe politiche di
tassi d’interesse accomodanti che hanno generato una fortissima
espansione monetaria e fiduciaria. Tuttavia poiché non ci siano stati
fenomeni inflazionistici sensibilmente preoccupanti per i beni di
consumo, le autorità monetarie non hanno trovato alcuna ragione
valida per attenuare o arrestare l’esponenziale crescita del credito
degli ultimi anni. Sebbene i prezzi dei beni di consumo siano rimasti
stabili, grazie a forti aumenti di produttività ed a forze opposte che
tendevano ad abbassarli, nonostante la forte inflazione monetaria,
abbiamo assistito negli ultimi anni ad una fortissima crescita dei
prezzi dei beni capitali, degli assets, delle materie prime, e dei beni
intermedi alla produzione. Cioè, proprio come descritto dalla teoria
austriaca del ciclo economico, i prezzi dei beni capitali sono quelli che
più hanno risentito dell’inflazione creditizia di questi anni, e sono
quelli che più risentiranno della crisi. Infatti secondo la teoria
austriaca, il cattivo investimento, il malinvestement, si manifesta nel
10
momento in cui viene meno la redditività dello stesso, causata da una
“rottura” del sistema dei prezzi, dovuta all’inflazione, che ora non
permette più di produrre ad un prezzo vantaggioso.
L’andamento dei prezzi dei beni capitali, dei beni di consumo, la forte
crescita degli aggregati monetari e le politiche monetarie sono
analizzate nella quarta ed ultima parte. In cui, anche tramite
un’analisi dei bollettini della BCE e della Fed, si mostra come le
autorità monetarie non abbiano ritenuto preoccupante la fortissima
espansione creditizia degli anni precedenti, giustificate dal fatto che
l’indice dei prezzi dei beni di consumo non sia sensibilmente
aumentato. Da qui l’errore di politica monetaria, cieca davanti ad altri
forti segnali provenienti dal sistema produttivo e creditizio. Come la
forte esposizione degli istituti di credito, il forte aumento di prezzo di
tutti i beni capitali e la crescita esponenziale degli aggregati monetari
come M3. Infine, anticipando le conclusioni del presente lavoro,
sottolineiamo due punti: ribadiamo innanzitutto il primato teorico
della scienza economica anche nel campo della politica monetaria. Se
le Banche Centrali avessero avuto un’altra e più forte teoria per
interpretare i fenomeni economici, non solo avrebbero previsto, ma
avrebbero potuto evitare lo scoppiare di una crisi di queste
dimensioni, arrestando l’espansione creditizia per tempo. In secondo
luogo, tramite l’analisi teorica ed empirica, abbiamo mostrato che
l’obiettivo di prezzi stabili tanto auspicato dalle autorità monetarie,
non solo non abbia alcuna giustificazione teorica, ma possa rivelarsi
soprattutto dannoso nel momento in cui sono in atto numerose forze
interne al mercato. Infatti stabilizzare o manipolare i prezzi, vuol dire
far sì che essi non adempiano più alla loro funzione informativa, che
per quanto imperfetta è la cosa migliore che abbiamo.
11
Premessa:La necessità della costruzione teorica nelle
scienze sociali
Lo studio di qualsiasi fenomeno non può prescindere da una teoria. La
teoria costituisce la lente attraverso la quale filtriamo la realtà, senza
di essa non sarebbe possibile rappresentarla e concettualizzarla, infatti
“una teoria è già contenuta negli stessi termini linguistici coinvolti in
ogni atto del pensiero. Applicare il linguaggio, con le sue parole ed i
suoi concetti, a qualsiasi cosa significa allo stesso tempo avvicinarsi a
essa con una teoria”
2
.
Tutte le grandi scoperte coincidono con grandi teorie e non sono il
frutto di nuove osservazioni , “ciò che conta non sono i dati, conta
invece la mente che li analizza. I dati che Galileo, Newton, Ricardo,
Menger e Freud hanno utilizzato per le loro grandi scoperte erano a
disposizione di tutti i loro contemporanei e di innumerevoli
generazioni precedenti. Galileo non è stato certo il primo a osservare il
moto oscillante del lampadario nella cattedrale di Pisa”
3
. Pertanto se
siamo privi di una adeguata teoria ci risulterà impossibile decifrare i
nessi causali tra gli eventi e prevederne il risultato. Per dirla con le
parole di Karl Popper : ”In breve, il mio punto di vista è che il nostro
linguaggio ordinario è pieno di teorie; che l’osservazione è sempre
osservazione alla luce delle teorie e che soltanto il pregiudizio
induttivistico può farci pensare che possa esistere un linguaggio dei
fenomeni, privo di teorie e distinguibile da un linguaggio teorico”
4
.
Inoltre Mises afferma: “Il ragionamento scientifico si distingue dal
pensiero quotidiano di ognuno, solo per il tentativo di andare oltre e
1
L. VON MISES, Problemi epistemologici dell’economia, cit.,p.52
3
Op. cit., p.90
4
K.R. POPPER, Logica della scoperta scientifica, cit., p.43
12
non fermarsi fino a quando non sia arrivato al punto al di là del quale
non sia possibile andare. Le teorie scientifiche sono diverse da quelle
dell’uomo medio, unicamente perché tentano di costruire una base che
non possa essere scossa da ulteriori ragionamenti”
5
.
Da quanto detto viene che non è possibile affrontare lo studio del
ciclo, oggetto di questa tesi, senza un’adeguata teoria del ciclo e senza
che questa sia integrabile in una più ampia teoria della Scienza
Economica. Infatti nella prima parte di questo lavoro si cercherà di
fornire un quadro teorico coerente, attraverso un rigido approccio
analitico che ripercorrerà i solchi già tracciati da economisti della
scuola austriaca quali Böhm-Bawerk, Mises, Hayek e Rothbard. Lo
scopo quindi, è di dimostrare la validità teorica dell’interpretazione
austriaca del ciclo economico, della sua fase espansiva e depressiva.
Nel momento in cui si elabora una teoria del ciclo prescindendo dalla
generale teoria economica si può commettere l’errore di arrivare a
conclusioni in contraddizione con la teoria economica stessa. Quindi a
meno che non si sia disposti a rimettere in discussione la teoria
generale, “dobbiamo respingere qualsiasi illustrazione teorica del ciclo
sconnessa dai principi della scienza economica”.
6
Pertanto tale
necessità di integrazione mi spingerà, in linea con il metodo
individualistico, a microfondare la teoria del ciclo. Per citare Lucas un
tentativo di spiegare importanti aspetti del comportamento umano
“come la struttura temporale delle ore che un individuo offre al
mercato, […] senza far riferimento né a quello che la gente desidera
né a quello che sono capaci di fare” è fare della “cattiva scienza
sociale”.
7
In linea con questo approccio, e per meglio comprendere le
parti successive di questa tesi, è necessario chiarire quei concetti base
5
L. VON MISES, Problemi epistemologici dell’economia, cit., p.52
6
M. N. ROTHBARD, La grande Depressione, cit. p. 78
7
LUCAS, Studies in Business-Cycle theory, cit. p. 4
13
della scienza economica, questo è l’intento della prima lunga parte
introduttiva.
14
PARTE PRIMA: LE BASI DELLA SCUOLA
AUSTRIACA
1. I concetti base della scienza economica: una
lunga introduzione alla teoria austriaca del ciclo
1.1) Una lunga introduzione
I lunghi paragrafi introduttivi che seguiranno saranno necessari per
chiarire termini e concetti che verranno ripetutamente utilizzati nel
corso della trattazione. Infatti spiegata l’idea del mercato come un
processo, l’interdipendenza dei piani individuali, e il problema della
conoscenza rilevante, sarà più facile per noi giustificare la partenza da
un’analisi del disequilibrio. Descritta la visione del processo di
scoperta e auto-correzione del mercato risulta naturale rifiutare un
approccio teorico rivolto alla ricerca di un equilibrio generale e tanto
meno una visione del mercato considerato come un’unica entità a
prescindere dagli individui che la compongono, a prescindere dalla
loro razionalità, dalle informazioni in loro possesso e dalle loro
aspettative.
Cercheremo di descrivere il processo di mercato, alla stregua di un
processo di ricerca scientifica, che tenta di risolvere il problema della
“conoscenza rilevante”, spiegando il perenne disequilibrio in cui si
trovano tutti i piani individuali, poiché dalla partecipazione stessa al
mercato si ottiene quel flusso di informazioni che innesca ulteriori
cambiamenti.
15
Scrive Mises: “Il concetto di stato stazionario rappresenta un ausilio
per la speculazione teorica. Nel mondo reale, non c’è alcuno stato
stazionario, poiché le condizioni in cui ha luogo l’attività economica
vanno soggette a incessanti cambiamenti, che le capacità umane non
sono in grado di impedire”
8
. Scrive ancora Mises: “La condizione
stazionaria [potrebbe essere] quel punto di equilibrio verso il quale noi
pensiamo che tendano tutte le forme di attività economica e che sarà
effettivamente raggiunto se, nel frattempo”
9
non interverranno nuovi
fattori. Pertanto pur riconoscendo l’importanza del “nuovo”, implicito
nel processo di mercato, esso non può essere la causa di un ciclo
economico
10
, perché tutte le azioni individuali alimentano un
processo di continua scoperta e di auto-correzione in continuo
disequilibrio. Quindi “considerare necessariamente il ciclo economico
come una deviazione dell’equilibrio è un errore che rischia di viziare
l’intera analisi
11
”.
Ciò ci induce a pensare che la causa di un ciclo economico non sia
endogena al mercato, ma di natura esogena. Come abbiamo detto
sopra tale precisazioni sono di primaria importanza in quanto a
seconda del metodo utilizzato, delle ipotesi di partenza, dell’utilizzo di
determinati concetti, l’analisi può arrivare a conclusioni anche
diametralmente opposte. Ciò risulterà più evidente nel corso della
trattazione.
8
L. VON MISES, Socialismo, cit., p. 230
9
Op.cit., p. 193. Corsivo mio.
10
Le teorie del ciclo tecnologico sostengono che il ciclo sia avviato da innovazioni
tecnologiche dirompenti, le quali darebbero avvio ad un periodo di espansione che
rallenta o si esaurisce quando gli effetti di crescita dovuti all’attività di innovazione si
attenuano. Ma il momento dell’innovazione pura è molto meno importante del periodo,
che è continuo, di diffusione dell’innovazione stessa. Pertanto tale impostazione sarà
ignorata.
11
E. COLOMBATTO, Sulle dinamiche del ciclo misesiano, cit., p. 88
16
1.2) Una nota sul metodo della Scuola Austriaca
Poiché nella trattazione che segue rimarremo fedeli anche al metodo
adottato dalla scuola austriaca, vale la pena spendere due parole
sull’individualismo metodologico. Esso è in sostanza, in campo
economico, il tentativo di adottare sempre un approccio quanto più
lontano possibile dall’utilizzo di variabili aggregate, il tentativo di
mettere in luce i nessi causali, ed i loro effetti, tra fenomeni singoli.
Pertanto il metodo che andremo ad utilizzare è l’individualismo
metodologico nel senso che per spiegare i fenomeni sociali, così come
quelli economici, si debba innanzitutto partire da una spiegazione
delle azioni individuali che determinano tali fenomeni, poiché “Solo
l’individuo pensa”, “Solo l’individuo ragiona” , “Solo l’individuo
agisce”
12
, in una perenne condizione di ignoranza e fallibilità. Ma
accanto agli esiti intenzionali dell’azione si verificano una cascata di
conseguenze inintenzionali, che sedimentandosi e interagendo nel
tempo danno luce a delle regolarità, cioè a quei fenomeni, che sono
oggetto delle scienze sociali.
Infatti Friedrich von Hayek afferma che: “se i fenomeni sociali non
manifestassero altro ordine all’infuori di quello conferito loro da
un’intenzionalità cosciente, non ci sarebbe posto per alcuna ricerca
teorica della società e tutto si ridurrebbe esclusivamente, come spesso
si sente dire, a problemi di psicologia”
13
. E ancora Popper che con
Hayek ha intensamente dialogato sostiene
14
: “Bisogna riconoscere che
la struttura del nostro ambiente sociale è, in un certo senso, fatta
dall’uomo; che le istituzioni e le tradizioni umane non sono né il
lavoro di Dio né della natura, ma i risultati di azioni e decisioni
12
L. VON MISES, Socialismo, cit., p. 139
13
F. VON HAYEK, L’abuso della ragione,cit., p.43
14
L. INFANTINO, L’ordine senza piano, Armando editore, Roma, 1998
17
umane, e alterabili da azioni e decisioni umane. Ma ciò non significa
che esse siano coscientemente progettate e spiegabili in termini di
bisogni, speranze e moventi. Al contrario, anche quelle che sorgono
come risultato di azioni umane coscienti e intenzionali sono, di
regola, i sottoprodotti indiretti, inintenzionali e spesso non voluti di
tali azioni”
15
.
Pertanto la strada da imboccare è quella di considerare i fenomeni
economici e sociali come conseguenze dirette e indirette delle azioni
individuali. Infatti Mises scrive: “[la società non è altro che] l’insieme
dei rapporti intersoggettivi suscitati dalla cooperazione”
16
e ancora:
“pensando e agendo, gli individui costituiscono un complesso di
relazioni e di fatti che vengono chiamati relazioni e fatti sociali”
17
.
Questa nota sul metodo non è di secondo piano, in quanto “il metodo
non è mai qualcosa di secondario, perché esso incide sui risultati della
ricerca, la feconda o la isterilisce”.
18
Ed è per questo che faremo
attenzione continuamente ad evitare un comune errore metodologico,
ovvero la reificazione dei concetti collettivi. Un esempio può chiarire
questo punto in particolare:
“noi li chiamiamo con un termine unico: <<Rivoluzione francese>>; il
quale ci consente di richiamare alla memoria l’immagine complessiva
degli avvenimenti senza dovere, volta per volta, ripeterne la
enumerazione particolareggiata. Ma l’uso dei nomi personali e
concreti ci ha così assuefatti a vedere dietro a ogni nome un’entità
reale che noi finiamo molto spesso col personificare anche i nomi
collettivi e astratti. E allo stesso modo che pensiamo alla malattia
come un’entità concreta esistente al di fuori e al di sopra
dell’ammalato, così trattiamo la Rivoluzione come qualcosa di
15
K.R. POPPER, La società aperta e i suoi nemici, cit., pp. 124-5
16
L. VON MISES, Theory and History, cit., p.251
17
Ibidem.
18
L. INFANTINO, L’ordine senza piano, cit., p.11
18
esistente al di fuori e al di sopra degli uomini che vissero nel periodo
rivoluzionario”
19
. Ma:
“nulla ci vieta di dire che la Rivoluzione ha distrutto i diritti feudali,
purché ci ricordiamo che queste parole vogliono dire che, dopo la
presa della Bastiglia, i contadini non vollero più pagare i diritti
feudali, i deputati della costituente non riuscirono a farli rispettare,
quelli della Legislativa li abolirono legalmente quasi del tutto, quelli
della Convenzione condussero a termine l’opera della svalutazione
legale”
20
.
Il pericolo sta nello snaturare tali stenogrammi, che ci permettono di
comunicare con più facilità e risparmio di tempo
21
, e di utilizzarli in
maniera tale dimenticare quale siano le cause e quali gli effetti
originari. Pertanto si corre il rischio di utilizzare concetti collettivi,
quali Stato, Patria, Nazione, Popolo, ma così anche Economia,
Mercato, Investimenti, dimenticando gli uomini, e i nessi causali tra
fenomeni singoli, che vi sono dietro. Come se essi fossero “entità
separate”
22
dagli uomini stessi che le compongono. In particolare
nella nostra costruzione teorica si farà ben attenzione a come
utilizzarli, perché il problema non è “se, ma nel come utilizzare i
concetti collettivi”
23
.
Allora, ad esempio, nel parlare di Investimenti, terremo sempre a
mente che ciò implica la presenza di un imprenditore razionale che
avvia un processo produttivo tramite la presenza dei capitali con la
speranza di ottenere un profitto. Allo stesso modo le varie attività
economiche implicano sempre un processo messo in atto da uno o più
agenti razionali che, seguendo una propria funzione obiettivo, o un
19
SALVEMINI G, La rivoluzione francese 1788-1798, cit., p.2
20
Ibidem
21
L. INFANTINO, L’ordine senza piano, cit., p.14
22
SALVEMINI G, La rivoluzione francese 1788-1798, cit., p.2
23
Ibidem
19
proprio piano individuale, perseguono un predeterminato scopo,
cercando di razionalizzare i mezzi a disposizione. Inoltre terremo
sempre a mente che tali azioni avvengono in contemporanea e,
influenzandosi reciprocamente, interagiscono tra loro; poiché ciascun
individuo agisce e formula i propri piani individuali sulle aspettative e
informazioni che ha a disposizione.
Per questi motivi, e per una costruzione teorica che sia organica e
coerente, bisogna partire dal più semplice elemento di quei “fatti
sociali”, cioè l’azione individuale e le condizioni in cui essa avviene.
2. Conoscenza e razionalità
2.1) L’azione umana
L’analisi dell’azione individuale, intesa come scelta razionale tra i
mezzi scarsi a disposizione, per soddisfare predeterminati bisogni, non
ha nulla a che vedere con la psicologia. Lo stesso Mises afferma che
“l’economia comincia laddove termina la psicologia”
24
, egli vuole dire
che oggetto d’analisi è il criterio di scelta razionale dei mezzi, cioè le
risorse scarse con le quali dobbiamo confrontarci per poter
raggiungere i nostri fini. Lo studioso austriaco pertanto mette in luce i
meccanismi che seguono sempre gli “accadimenti interni” che sono
tema della psicologia, mentre l’azione rimane tema della
24
L. VON MISES, Problemi epistemologici dell’economia, cit., p.32
20