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un’occhiata verso Francia, Spagna, Inghilterra per capire che ancora una volta il
sistema televisivo italiano ha saputo trovare il modo per distinguersi dal resto del
continente.
E’ presto per dire con certezza dove ci porterà la rivoluzione digitale. Le
concentrazioni e fusioni tra gli operatori vanno di pari passo col processo di
convergenza tecnologica e sembrano caratterizzare un settore in cui l’onere di
investimenti massicci può essere sopportato solo da pochi gruppi multinazionali,
capaci di differenziare le loro attività e di attendere i tempi lunghi previsti per il
raggiungimento dei punti di pareggio.
Nel frattempo i grandi colossi della televisione a pagamento devono
cercare di intuire le tendenze del mercato e farsi trovare pronti all’appuntamento
col futuro. La nuova offerta televisiva in digitale non è solo quantitativamente più
ricca della precedente: il vero scarto avviene al livello qualitativo. Ai normali
programmi ed eventi si aggiungono servizi interattivi sempre più evoluti,
potenzialmente in grado di rovesciare le normali abitudini di fruizione del
medium. Il prossimo inizio delle trasmissioni in digitale terrestre (DTT)
rappresenta senz’altro un’occasione fondamentale per gli operatori della tv a
pagamento, finalmente messi nelle condizioni di arrivare al pubblico di massa con
un’offerta ricchissima, ma è anche al centro dell’interesse dei governi di tutto il
mondo, ansiosi di combinare la diffusione capillare del medium televisivo con le
potenzialità del digitale, finora appannaggio dei pochi in possesso di
alfabetizzazione informatica. Agli operatori delle pay-tv il mercato affida dunque
il ruolo di sperimentare, cercando di ottenere vantaggi competitivi sulla
concorrenza, ma senza dimenticare quello che la televisione è attualmente e quello
che gli utenti mostrano di apprezzare.
Questo lavoro ripercorre inizialmente le tappe che hanno portato all’arrivo
dell’offerta televisiva a pagamento nella nostra penisola. Il primo capitolo
racconta dei primi e travagliati anni di vita della pay-tv nel nostro Paese, illustra i
mutamenti nei pacchetti azionari e spiega com’è nata Stream, piattaforma
concorrente che inizialmente si proponeva obiettivi del tutto diversi. La
ricostruzione arriva fino al 1998, anno in cui Telepiù e Stream posseggono
un’offerta satellitare in digitale. Vengono ricordate anche le prime strategie di
alleanza con operatori nazionali e internazionali, messe a punto dai rispettivi
4
gruppi nell’intento di acquisire la supremazia sui contenuti o la leadership
tecnologica.
Il secondo capitolo è invece incentrato sul triennio 1998 – 2001: quello che
ho definito della concorrenza “all’ultimo abbonato”. Forti di basi azionarie
abbastanza solide i due gruppi hanno messo a punto strategie di programmazione
e commerciali che condividevano alcuni aspetti, ma che non mancavano di
significative differenze. In particolare Telepiù ha proposto un modello di
contenuti “alla francese”, imperniato attorno ad alcune reti premium a
programmazione semigeneralista. I servizi interattivi più evoluti, quelli cioè
diversi da pay per view e near Video on Demand, non sono stati mai ritenuti la
chiave del core business, anche se non sono mancate innovazioni e
sperimentazioni. Stream ha preferito rinunciare al modello premium classico e
proporre reti tematiche anche per i generi di punta, sport e film. Ai nuovi servizi
interattivi è invece stata sempre attribuita molta importanza, ritenendoli
fondamentali sin da oggi per le esigenze del teleutente evoluto.
Dal punto di vista commerciale, oltre a comuni e vistosi difetti nella
gestione del parco abbonati e della rete distributiva, Telepiù si è distinta per
offrire pochi pacchetti a prezzi alti, ponendo sempre come referente privilegiato
l’intero nucleo familiare e privilegiando un’offerta basata su una buona qualità
media piuttosto che su singoli eventi di forte richiamo. Stream ha invece optato
per la proposta di diverse tipologie di abbonamento, molte delle quali mirate sui
gusti di singoli individui. Per facilitare l’ingresso sul mercato sono state applicate
tariffe leggermente più basse e si è puntato molto su grandi eventi singoli.
Oltre che sul terreno dell’offerta, la battaglia si è spostata anche nelle aule
dei tribunali, dove Telepiù è stata trascinata poiché accusata di abusare della
posizione dominante da ex monopolista. Le vittorie effimere di Stream hanno in
realtà intaccato l’immagine complessiva della tv a pagamento, contribuendo a
raffreddare l’interesse del pubblico. La vicenda del decoder unico ha creato danni
ancora maggiori: non c’è nulla di peggio in un settore emergente che la mancanza
di standard di riferimento. Il risultato della lotta serrata su più fronti e delle cadute
d’immagine provocate dalle continue scaramucce può essere desunto dai conti
delle due aziende, sempre in rosso, anche quando aumentavano gli abbonati. La
tendenza ad applicare forti promozioni di ingresso e il gioco al massacro sui diritti
televisivi hanno reso inutili, almeno dal punto di vista economico immediato, i
5
successi ottenuti in termini di nuovi utenti. L’unica via di scampo è risultata la
fusione.
Il terzo capitolo è dedicato proprio all’operazione di concentrazione in
atto. Vengono illustrati i passi mossi da Vivendi – Canal+ e Murdoch per arrivare
a un accordo e sono esplicitati i termini dell’accordo stesso, ma viene anche
ricordato che a livello europeo e italiano occorreranno dei “via libera” non facili
da ottenere, vista la legislazione esistente in materia. La fusione provocherà di
certo vantaggi economici e tecnologici per la nuova super piattaforma, ma
soprattutto imporrà scelte di razionalizzazione dei costi e dell’offerta. Questi tagli
al personale e all’offerta, dolorosi quanto necessari, dovranno però scontrarsi con
forti resistenze politiche e legali. Il resto del capitolo propone un confronto tra la
situazione italiana, prossima alla fusione, e le altre realtà europee. Per ogni
nazione una breve scheda analizza le piattaforme digitali esistenti e illustra le
prospettive nel futuro immediato. Al termine della ricognizione sono esplicitate le
peculiarità del sistema italiano: la forte attenzione per la tv free a danno di quella
a pagamento, la concentrazione delle risorse degli operatori nazionali sul canale
etere a danno del satellite, il modesto interesse per le potenzialità della rivoluzione
digitale, la presenza massiccia del capitale straniero, e in particolare dei due
maggiori gruppi europei nel campo televisivo a pagamento, il disinteresse dell’ex
monopolista telefonico per un settore apparentemente strategico.
Il quarto capitolo è decisamente proiettato nel futuro. Vengono
inizialmente spiegati i tre grandi vantaggi offerti dal digitale televisivo: possibilità
di trasportare indistintamente qualsiasi tipo di segnale, con conseguente spinta alla
multimedialità, notevole scarto qualitativo rispetto alle trasmissioni analogiche,
riduzioni della banda necessaria, e quindi possibilità di porre fine alla scarsità
delle risorse e di diminuire i costi di trasmissione.
Il discorso si sposta poi su due delle più significative novità che attendono
il teleutente nel futuro prossimo: il digitale terrestre (DTT) e i servizi interattivi.
Grazie alle leggi vigenti, ai regolamenti, al Libro bianco sul digitale terrestre e a
una ricca linkografia analizzo lo stato dell’arte in tutta Europa, per poi focalizzare
lo sguardo sul caso italiano. La possibilità di riallocare la risorsa etere verso gli
usi portatili, la capacità di portare la rivoluzione digitale tra le masse grazie alla
pervasività del medium televisivo, la rivitalizzazione del mercato dell’hardware e
le conseguenze positive sull’elettrosmog causate dalla minore potenza necessaria
6
spingono i governi a premere per l’introduzione del DTT. In Italia lo switch off
analogico è previsto per il 2006, ma paradossalmente, a soli tre anni da questa
scadenza che porrebbe fine alla scarsità dell’etere, potrebbero finire sul satellite
Retequattro e Telepiù nero. E’ questo un chiaro sintomo della distonia tra la
legislazione vigente e l’avanzamento del settore.
Il DTT non è solo nelle leggi e nei documenti, ma anche nella
sperimentazione: Rai e Telepiù hanno bruciato le tappe, proponendo già i primi
progetti. Telepiù effettua dei veri e propri test sul campo, in modo da vagliare
l’interesse per la nuova tecnologia fra il pubblico e capire come potrà essere
commercializzata. D’altronde proprio gli operatori di televisione a pagamento
sembrano destinati a occupare un ruolo di primo piano, almeno inizialmente: per
le tv commerciali bisognerà aspettare che i tassi di penetrazione raggiungano
soglie critiche piuttosto elevate.
I servizi interattivi, da molti attesi come la vera svolta, stanno ancora
muovendo i primi timidi passi. Per ora solo quelli legati alla normale fruizione
televisiva (EPG, pay per view, Video on Demand) sembrano riscuotere successo:
per gli altri regna una sostanziale indifferenza. Ciononostante è facile prevedere
che home banking, t-commerce, Tv mail e giochi acquisiranno importanza nel
breve periodo. Per i servizi più evoluti e per Internet via televisore bisognerà
invece attendere più a lungo, e non è detto che tutte le innovazioni andranno a
buon fine. Il compito dei colossi del settore pay è quello di commercializzare le
nuove offerte in modo attraente; quello dei governi sarà di fare in modo che le
nuove potenzialità, o almeno quelle di base, non rimangano appannaggio dei
pochi.
Il quinto e ultimo capitolo tocca un tema scottante, spesso sottovalutato o
insabbiato dagli addetti ai lavori: la pirateria. Il fenomeno sat hacking ha ormai
proporzioni degne di nota, e l’Italia è in prima fila tra tutti i paesi europei. Nel
capitolo, con la metafora di un gioco di guerra, illustro quali sono le regole (le
leggi), e la posta in palio (le cifre del mercato nero). Passo poi a descrivere le due
fazioni in lotta: gli attaccanti, che cercano di trovare le chiavi per penetrare nel
fortino, e i difensori, impegnati a evitare che ciò avvenga e a punire chi cerca di
infiltrarsi.
Molto interessanti sono, oltre all’accurata descrizione di come si ruba alle
pay-tv, l’analisi delle strategie dei sat hacker e le considerazioni sulla loro
7
gerarchia, i fini e le lotte intestine. Sull’altro fronte vengono riportate le principali
strategie difensive delle pay-tv, tra le quali quella scorretta di imporre vincoli ai
produttori di decoder, e le azioni di forza dei tutori dell’ordine, ma si avanza un
sospetto: che la tolleranza nei confronti della pirateria sia dovuta anche a un
atteggiamento inizialmente benevolo delle pay-tv, convinte che il sat hacking
possa essere un modo per far conoscere la qualità del servizio e aumentare
rapidamente la base di abbonati potenziali.
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CAPITOLO 1. L’AFFERMAZIONE DEL MODELLO PAY-TV
IN ITALIA
1.1 Breve storia della televisione a pagamento
La prima emittente che si avvale della possibilità di far pagare
direttamente ai telespettatori quello che vedono nasce negli Stati Uniti, nel lontano
1972.
1
Il suo nome è Home Box Office. HBO sorge su iniziativa di uno dei
maggiori colossi editoriali americani, Time Inc., e viene trasmessa via cavo nella
sola zona di New York. Le reticenze dei cablo-distributori, la dimensione ristretta
del bacino di utenza potenziale, le incertezze sulla programmazione e alcuni
vincoli giuridici non aiutano certo il decollo di questo canale: in tre anni il numero
di abbonati riesce a malapena a toccare quota 200.000.
2
Queste prime fasi, per
quanto travagliate, risultano utili: la pay-tv non è più un’ipotesi teorica, ma un
esperimento sul campo. I dirigenti della Time Inc. possono apprendere con facilità
come migliorare il servizio e come ampliare il pubblico. Già nel 1975 vengono
compiuti enormi passi in avanti: la programmazione si focalizza su due generi
forti, sport e cinema, che da allora rappresentano il punto di partenza per qualsiasi
progetto di televisione a pagamento nel mondo. Inoltre, visto che il solo bacino
newyorkese non riesce a garantire introiti soddisfacenti, HBO inizia le
trasmissioni sul satellite Satcom 1. Va precisato che questa modalità distributiva
non prevede la possibilità che gli utenti finali fruiscano dei programmi
dell’emittente direttamente via satellite: la trasmissione su Satcom 1 serve per
raggiungere tutti quei cablo-distributori interessati a ritrasmettere il nuovo canale
ai loro abbonati. D’altro canto il costo di un impianto di ricezione satellitare rende
impossibile, per quei tempi, la ricezione diretta da parte degli utenti. Infine HBO
riesce a ottenere importanti risultati legali: la FCC elimina le restrizioni che
avevano precedentemente impedito alla Time Inc. di mettere sul piatto un’offerta
competitiva. Gli effetti sono immediati e molto favorevoli: già nel 1977 il numero
di abbonati sale a un milione; da quel momento in poi la crescita sarà continua.
1
Un progetto di tv a pagamento era stato ideato negli anni cinquanta dalla newyorchese WORTV,
ma tale progetto non superò mai la fase sperimentale.
2
Home Box Office non aveva la possibilità di trasmettere film recenti: la Federal Communication
Commission (FCC) intendeva tutelare in questo modo gli interessi delle tre grandi emittenti
nazionali e delle sale cinematografiche.
9
L’Europa in quegli anni è lontana anni luce dalle innovazioni e
sperimentazioni presenti nel panorama statunitense: in ogni paese esistono solo le
televisioni nazionali via etere affidate al monopolio del concessionario pubblico.
L’Italia è una delle prime nazioni a superare questa fase: dalla prima metà degli
anni settanta sorgono tv private a carattere locale, alcune delle quali trasmettono
anche via cavo (è il caso, ad esempio, di TeleBiella). Con le famose sentenze della
Corte Costituzionale n. 225 e 226 del 1974 e soprattutto con la n. 202 del 1976 la
fase di monopolio arriva al termine.
3
Al suo posto, in mancanza di un benché
minimo quadro legislativo, prende il via quello che sarà poi ricordato come “il far
west televisivo degli anni ottanta”. La situazione italiana, comunque, è solo un
esempio dei ritardi e dei problemi che affliggono l’intero panorama televisivo
europeo del periodo. Da un lato questo clima d’incertezza non favorisce il decollo
di progetti innovativi come le pay-tv, ma dall’altro alcune importanti imprese
commerciali cominciano a percepire le potenzialità del mercato televisivo.
La prima, e tuttora più importante, televisione a pagamento europea è la
francese Canal+. Il 6 dicembre 1983 lo Stato attribuisce la concessione per
l’esercizio di un canale televisivo privato a una società il cui capitale è suddiviso
tra l’Agence Havas (42%), la potentissima Compagnie Générale des Eaux (15%),
alcune compagnie assicurative, un pool di banche costruite attorno alla
Compagnie e l’Oréal (10%). Il canale inizia le sue trasmissioni nel novembre del
1984. Al contrario di Home Box Office, Canal+ irradia le sue trasmissioni via
etere utilizzando un meccanismo di codifica del segnale, ma proprio come HBO,
l’emittente francese punta molto sui film e sullo sport e deve superare una fase
iniziale piuttosto travagliata. I motivi dell’insuccesso iniziale sono molteplici: il
primo e più evidente è che il pubblico francese non è abituato all’idea di dover
pagare per vedere e stenta ad accettare questa nuova forma di fruizione
dell’offerta televisiva. Il secondo motivo è legato all’insufficiente copertura
territoriale del segnale. Per Canal+ la diffusione via etere rappresenta un’arma a
doppio taglio: evita i costi di cablaggio che una società così giovane non potrebbe
sopportare, ma obbliga a ridurre il mercato potenziale alle sole parti del territorio
in cui l’illuminazione del segnale è perfetta. Infatti, un’illuminazione solo discreta
non è sufficiente per una televisione a pagamento via etere: chi paga direttamente
3
Le prime due aprivano le porte alla trasmissione via etere di canali esteri e alla tv via cavo;
l’ultima alle trasmissioni sulle frequenze terrestri di reti private a carattere locale.
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i programmi di un’emittente pretende in cambio un servizio di qualità elevata,
inoltre il segnale codificato è molto complesso e solo l’assenza totale di disturbi
garantisce che in fase di decodifica non sorgano problemi. Il terzo fattore di
insuccesso è dovuto alla liberalizzazione dell’etere, attuata sotto la presidenza
Mitterand nel 1985. Per i consumatori francesi l’offerta si arricchisce a tal punto
da rendere momentaneamente superflua una tv a pagamento.
Proprio come nel caso dell’americana Home Box Office, le difficoltà
iniziali vengono superate grazie a correzioni in corsa, adottate osservando le
risposte e i gusti del mercato. Nel 1986 viene migliorata e ampliata la copertura
del segnale, anche la programmazione si arricchisce e offre agli abbonati prodotti
esclusivi e invitanti (come le partite della Nazionale di calcio, gli incontri di prima
divisione e anteprime cinematografiche), ma si differenzia dal modello di HBO
sotto un punto di vista importante: essa mantiene alcune caratteristiche delle tv
generaliste in chiaro. In alcuni orari del giorno, inoltre, sono trasmesse “finestre”
in chiaro visibili a tutti.
4
La filosofia di programmazione si fonda sull’assunto che
una pay-tv deve trasmettere programmi che gli altri canali non possono o non
vogliono programmare: proprio per questo trovano spazi anche gli sport minori,
con il loro pubblico ristretto ma motivato. Insomma, Canal+ sviluppa in questi
anni la formula tipica dei canali a pagamento di tipo premium: programmazione
semigeneralista o pluritematica, condita da grandi eventi che facciano da traino
per gli abbonamenti e da eventi particolari che non potrebbero trovare spazio sulle
tv free. Il marketing (e in particolare la leva promozionale) viene riorientato verso
due obiettivi: lo scopo iniziale è quello di investire risorse per garantire la crescita
rapida del parco abbonati; quando il numero di utenti ha raggiunto e superato la
soglia di equilibrio, fissata in un milione di contratti, l’obiettivo diventa
consolidare il portafoglio clienti in modo da mantenere il cosiddetto “effetto
club”, ridurre al minimo il tasso di disdetta e avviare un processo di
internazionalizzazione dell’offerta.
5
Sarà proprio quest’ultimo punto, come
vedremo, a caratterizzare la filosofia del gruppo Canal+ e ad avere ripercussioni
nel panorama italiano.
4
Solo a partire dalla stagione televisiva 2001-02 Canal+ ha eliminato completamente le finestre
visibili a tutti.
5
Sulle strategie di marketing di Canal+ vedi Richeri, 1993, pp. 148-160.
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La televisione a pagamento approda in Italia in tempi molto più recenti ed
è ancora una volta soggetta a uno sviluppo incontrollato da parte del Legislatore.
Nel giugno 1991, all’indomani della Legge n. 223 del 1990,
6
nasce la prima pay-
tv italiana: Telepiù 1. Nonostante il progetto di lancio di un canale a pagamento
sul territorio italiano sia già conosciuto, sebbene il panorama europeo brulichi
ormai di questo tipo di canali, la nuova legge delinea per le pay-tv un quadro assai
incerto. In pratica, aldilà dell’esposizione di alcune considerazioni generali e di
orientamenti di fondo, non emergono indicazioni significative su questioni chiave
quali: il numero di canali a pagamento, le modalità di trasmissione, la tutela del
consumatore (in termini di eventi non criptabili e di indicazioni sul prezzo degli
abbonamenti). Quanto agli assetti proprietari, la legge si limita a stabilire che un
operatore con una licenza free non può detenere più del 10% del capitale di una
pay-tv. La Fininvest, dalla quale nasce il progetto Telepiù, troverà facilmente nei
primi anni alcuni escamotage per aggirare tale vincolo.
Telepiù 1 arriva sugli schermi italiani fin dalla fine del 1990 e inizia
l’attività sperimentale via etere usufruendo di alcune frequenze precedentemente
assegnate alla Fininvest. I primi giorni di trasmissione sono circondati da un alone
di mistero, poi sui giornali arriva la notizia che il nuovo canale prenderà il via a
giugno con una programmazione ricca e attraente. Il primo film criptato, Blade
Runner, viene trasmesso allo scoccare della mezzanotte del 1° giugno 1991.
Le prospettive per il canale a pagamento italiano sembrano buone e il
timone è affidato a un gruppo come la Fininvest, che ha un’esperienza pluriennale
e vincente nel campo della televisione italiana. I risultati, però, sono molto
deludenti: a fine anno gli abbonati sono meno di 200.000 (a fronte di una
previsione di oltre 400.000) e il passivo sfiora i 150 miliardi. I problemi di
Telepiù sembrano di ben altra entità rispetto a quelli che avevano afflitto le fasi
iniziali di HBO e Canal+.
Innanzitutto, c’è da fare i conti con un panorama televisivo già
sovraffollato che non sembra lasciare molto spazio a nuovi entranti. Si conferma
la relazione di reciprocità inversa tra numero di canali free esistenti e successo o
possibilità di affermazione della pay-tv. La difficoltà è ancora maggiore nel caso
di Telepiù perché il progetto pay-tv è affidato alla Fininvest. Ben presto, infatti, ci
6
La cosiddetta legge Mammì, dal nome del Ministro proponente.
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si rende conto che la tv a pagamento e quella free to air hanno logiche diverse e
che le competenze dei dirigenti Fininvest non sempre sono adeguate.
In secondo luogo, le condizioni di illuminazione sono molto precarie:
anche se il piano di assegnazione delle frequenze televisive della legge Mammì ha
potenzialmente oscurato molte emittenti locali che avevano occupato
abusivamente l’etere, il caos è ancora elevato. Molti canali rifiutano il verdetto e
lanciano una campagna dal nome inequivocabile: “Non ci spegneremo”. Telepiù,
che in molti casi ha già acquistato le frequenze che dovrebbero essere lasciate
libere dalle emittenti fuorilegge, si trova a dover combattere una guerra contro
mille piccoli nemici. La magistratura è costretta a percorrere un lungo iter fatto di
ricorsi al TAR e al Consiglio di Stato, le forze di polizia si trovano imbrigliate e
costrette ad attendere prima di poter far rispettare i provvedimenti.
In terza battuta, vanno sottolineate le differenze tra la strategia di lancio
utilizzata da Telepiù e quella adottata dalla collega francese. Il canale italiano
punta fin dall’inizio su una programmazione fortemente tematica: solo film,
trasmessi a orari fissi per tutto il corso della giornata. Viene lasciata una sola
finestra di programmazione aperta a tutti, fra le 19.30 e le 20.30, ma in essa non
trovano posto veri e propri programmi: piuttosto si tratta di un solo, lungo e
noioso messaggio promozionale. Fa eccezione, per un breve periodo, la
trasmissione durante la fascia in chiaro di un quiz a premi, Mister miliardo,
durante il quale vengono regalati circa dieci abbonamenti al giorno e viene messo
in palio un premio finale di un miliardo di lire. Il distacco con la logica di flusso
delle tv generaliste è comunque netto, e viene enfatizzato dalla volontà di
rispettare in modo ferreo i tempi: i film devono iniziare sempre e comunque in
orari standard (06.30 - 08.30 - 10.30 - 12.30 - 14.30 - 16.30 - 18.30 - 20.30 - 22.30
- 00.30). Ciò comporta inevitabilmente tempi morti fra un programma e l’altro per
tutte le proiezioni di durata inferiore alle due ore. Anche la campagna
promozionale dedicata alla crescita del parco abbonati non produce risultati degni
di nota: la prima vera iniziativa di successo è datata maggio 1992. Il decoder
viene offerto in prova gratuita per due mesi; al termine del periodo si può
scegliere se confermare l’abbonamento oppure riconsegnare l’apparecchio.
La primavera del 1992 è importante per il gruppo Telepiù anche per un
altro motivo: a marzo parte la programmazione criptata di Telepiù 2, il secondo
canale a pagamento del gruppo. L’emittente propone una programmazione
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tematica centrata sullo sport ed eredita le frequenze di TeleCapodistria, entrata
nell’orbita Fininvest poco prima di scomparire. Mentre HBO e Canal+ avevano
scelto di far convivere su uno stesso canale sport e cinema, Telepiù preferisce
ricorrere a due emittenti tematiche distinte. Gli svantaggi sono chiari: oltre a
dover sopportare costi maggiori, si costringe il pubblico a un passaggio troppo
brusco dal modello di tv free generalista a quello di pay-tv tematica. Ma c’è di
più: la programmazione sportiva di Telepiù 2 si basa prevalentemente su sport
americani, sulle partite di calcio estero e sugli sport minori. Mancano i grandi
eventi in grado di assicurare un vero e proprio effetto traino. L’idea di federare
tanti piccoli segmenti del pubblico insoddisfatti dell’offerta generalista ha indubbi
pregi, ma essa si adatta meglio ai cosiddetti canali minipay: per quelli premium
occorre sempre affiancare agli eventi particolari quelli con forte appeal. Insomma,
i due canali a pagamento italiani non riescono a dotarsi di una fisionomia
specifica che li distingua dalla concorrenza free. Senza dubbio Telepiù 1 e 2 sono
progettati e prodotti come canali premium: vengono commercializzati
singolarmente a prezzi alti, cercano di offrire prodotti molto interessanti e
vogliono conquistare rapidamente abbonamenti. Ma per altri versi queste due
emittenti paiono più simili alle reti minipay: la loro programmazione è fortemente
tematica, il budget è ristretto, manca nei loro palinsesti la dose necessaria di
grandi eventi.
Le perdite in via Piranesi, la sede del gruppo Telepiù, continuano a salire:
in estate gli abbonati raggiungono quota 190.000, ma il passivo supera i 200
miliardi e il tasso di disdetta – uno tra gli indici più importanti per chi opera nel
settore – passa dal 5% al 15%. Per fermare l’emorragia occorre una
ricapitalizzazione. I nuovi fondi sono portati da Leo Kirch, magnate tedesco
specializzatosi nell'acquisto di diritti televisivi. In seguito a questa operazione
Kirch raggiunge il 25% del capitale azionario della pay-tv italiana. Il ritardo nei
confronti di Canal+ è abissale: i francesi sono ormai a capo di un impero
internazionale con radici in Belgio, Olanda e Spagna, ma anche in Africa, e stanno
pensando a un accordo con la News Corporation dell’australiano Rupert Murdoch
per occupare preventivamente quello che in Italia non è neppure un sogno: il
mercato della pay per view.
Il 1993 segna finalmente una svolta per la televisione a pagamento
nostrana: in estate Telepiù acquisisce per la cifra record di 148,4 miliardi i diritti
14
per trasmettere criptate alcune partite dei campionati di Serie A e B di calcio
italiano. Finalmente arriva un prodotto che le altre tv non hanno e non possono
avere. La notizia dell’accordo tra Telepiù e Lega Calcio (che in questi anni si
occupa di gestire globalmente i diritti televisivi di tutte le squadre) provoca
un’impennata negli abbonamenti: si tocca quota 350.000. Il primo posticipo di
Serie A è Lazio-Foggia, trasmesso in settembre. Gli abbonati a fine anno risultano
essere 450.000, ma la crescita dei costi porta Telepiù a toccare il nuovo record
negativo: le perdite ammontano a 250 miliardi. Ancora una volta è Leo Kirch a
salvare il gruppo, arrivando a possedere il 34% delle azioni. Le partite di
campionato sembravano essere un ottimo investimento, e in effetti lo saranno, ma
per il momento bisogna saper attendere che il pubblico italiano si adatti alla
novità. Pare ormai fallire, intanto, il progetto di una terza tv tematica (Telepiù 3)
dedicata all’arte e alla cultura.
Sempre durante il 1993 avviene un altro evento che per il momento non
sembra particolarmente significativo, ma che acquista enorme importanza alla
luce degli sviluppi successivi: viene costituita la società Stream, anche se solo con
funzioni di network provider. Ciò significa che Stream si incarica semplicemente
di fornire le infrastrutture necessarie a qualche content provider che voglia
diffondere i suoi dati o programmi. Nel capitale della nuova azienda confluiscono
Stet e Telecom; poi entreranno con quote minori Vittorio Cecchi Gori e la SDS
(Società dei Diritti Sportivi, consorzio composto da quattro squadre di calcio:
Lazio, Roma, Parma e Fiorentina).
Il 1994 vede l’ingresso nel capitale azionario di Telepiù di un nuovo
soggetto: il sudafricano Rupert, alla guida del gruppo Nethold, acquisisce il 25%
delle azioni. L’azienda di Via Piranesi viene profondamente modificata: nasce la
società Athena Servizi, incaricata di garantire una miglior gestione del parco dei
clienti e di migliorare la rete distributiva nel suo complesso. Gli abbonamenti,
grazie soprattutto al calcio trasmesso su Telepiù 2, salgono a 700.000. Ad Athena
Servizi viene affidato anche l’incarico di osservare l’evoluzione tecnologica del
settore e ideare un primo progetto di bouquet digitale.
Mentre in Italia prosegue la caccia all’abbonato, infatti, negli Stati Uniti è
partito il primo esperimento di televisione digitale via satellite (DSVB): è nata
DirecTV. Con il lancio, a ottobre, della prima tv digitale via satellite, arriva negli
Stati Uniti un sistema distributivo alternativo all’etere e al cavo. Direct TV,
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proposta dalla Hugues, parte con un’offerta di ben 175 canali e ottiene in breve
tempo un successo notevole: già nel 1996 gli abbonati risulteranno essere più di
due milioni. Con la codifica digitale e l’utilizzo dei satelliti si apre per le pay-tv
una nuova stagione, molto più ricca e piena di innovazioni. Questo “secondo
tempo delle pay-tv”
7
ha caratteristiche del tutto diverse dal precedente: soprattutto
diventa possibile offrire una gamma variegata di contenuti e servizi.
8
Tornando in Italia, va notato che nonostante la pay-tv italiana sia in grave
ritardo (o forse proprio per questo) la voglia di sperimentare non manca: è così
che proprio Telepiù, fanalino di coda tra tutte le televisioni a pagamento
d’Europa, inizia nel 1995 le prove per la trasmissione in digitale via satellite. Nel
maggio di quell’anno viene dato l’annuncio che la prima pay-tv italiana ha
acquistato quattro transponder su Eutelsat Hot Bird II, a 13 gradi Est. La pay-tv
milanese batte sul tempo tutte le altre realtà europee, compresa Canal+, anche se
proprio a quest’ultima spetterà il merito di lanciare e distribuire per prima un vero
e proprio bouquet digitale. Per la prima volta Telepiù riesce a ridurre
sostanzialmente le perdite, che scendono dai 180 miliardi dell’anno precedente ai
123 miliardi del 1995. La riorganizzazione ha avuto effetti positivi e il canale
sportivo comincia a riscuotere un grande successo; il fatturato complessivo sale a
390 miliardi e gli abbonati sono 800.000. Con le potenzialità del digitale, Nethold
ha intenzione di portare anche Telepiù ad un’offerta più completa, come già fanno
le altre filiali del gruppo in Europa (Multichoice) ed in Sudafrica. La codifica
scelta per criptare il segnale digitale è Irdeto, sistema d’accesso brevettato e di
proprietà dell’operatore.
La futura concorrente del gruppo di Via Piranesi, Stream, sta intanto
muovendo i primi passi sul mercato. La filosofia del gruppo, che ha sede a Roma
in via Salaria, si mostra fin dagli inizi diversa da quella di Telepiù. La missione
principale è considerata quella di “promuovere e diffondere applicazioni e sevizi
multimediali diffusivi e interattivi, permettendo di usare la televisione non solo
come strumento per ricevere ma per interagire e comunicare”.
9
Alla diversa
concezione del medium televisivo e della missione dell’impresa, tema che
7
L'espressione è stata coniata in Pilati-Richeri, 2000.
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Sulla rivoluzione digitale v. sez. 4.1.
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La frase è tratta dalla dichiarazione programmatica degli obiettivi del gruppo, esplicitata il giorno
della sua costituzione e disponibile nella homepage del sito web di Stream (www.stream.it).
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ritornerà in varie parti di questo elaborato, corrispondono iniziative del tutto
nuove per il panorama italiano ed europeo. A settembre, infatti, la società romana
lancia la sperimentazione di VideoMagic su un panel di circa mille famiglie di
Roma e Milano, avvalendosi della tecnologia ADSL. VideoMagic è un avanzato
sistema di Video on Demand (VOD) che, nelle intenzioni iniziali, andrebbe
commercializzato su tutta la penisola a partire dai primi mesi del 1998. Per quella
data si prevede che sarà stata ultimata la ristrutturazione della rete telefonica
secondo il progetto SOCRATE. In realtà Stream rinuncerà all’esperimento del
VOD dopo appena 12 mesi e sospenderà il piano di lancio di VideoMagic. Il
VOD necessita di reti a banda larga per consentire all’enorme flusso dei dati di
giungere a destinazione in un tempo ragionevole, ma l’operazione di cablaggio
SOCRATE procede a rilento. Forse, però, il vero problema è che il Video on
Demand è assai prematuro nel panorama televisivo italiano del momento.
Il 1996 è l’anno di svolta per tutta la televisione a pagamento europea:
partono i primi due pacchetti digitali via satellite. Il primo viene lanciato in
Francia da Canal Satellite Numérique, filiale del gruppo Canal+. Fin dagli ultimi
anni del decennio ottanta Canal+ aveva iniziato a investire risorse nella
progettazione di reti tematiche. La prima era stata Planete, un canale di
documentari lanciato nel 1988. Poi erano arrivati Canal Jimmy, rivolto a un
pubblico giovanile, e le reti per cinefili Cinécinémas. Il primo bouquet digitale di
Canal Satellite sarà imperniato proprio su questi canali tematici e, ovviamente,
sulla rete premium.
In Italia parte l’offerta di Telepiù Satellite, presto rinominata DSTV. Oltre
ai canali Telepiù 1, Telepiù 2 e a Telepiù 3, finalmente criptato, il bouquet offre
una prima serie di canali basic: MTV, Discovery Channel, CNN International,
Cartoon Network e BBC World. Dopo pochi mesi entrano nel bouquet anche
Hallmark, Bloomberg TV, Bet on Jazz e Marco Polo. Con l’inserimento di questi
canali nel pacchetto base muta in maniera decisiva il ruolo dell’operatore
televisivo. Telepiù non può limitarsi a confezionare direttamente alcuni canali, ma
deve anche impacchettare un prodotto in cui sono presenti reti prodotte da
operatori esterni. I risultati ottenuti nei primi mesi, comunque, sono a dir poco
sconfortanti. A fine estate, sei mesi dopo l’avvio della commercializzazione, gli
abbonati sono appena 6.000. In Francia la tv digitale ha già 60.000 abbonati e
55.000prenotazioni.