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Introduzione
Da quando esiste l'uomo esistono conflitti, guerre, carestie, catastrofi naturali,
epidemie e tanti altri eventi che portano la sofferenza alla specie umana e non.
Tempo fa si potevano conoscere molti dettagli a riguardo: dove succedevano
quegli eventi, cosa succedeva in quei posti. Si potevano udire i resoconti di
testimoni diretti, ad esempio il racconto di un reduce della guerra, di un
miracolato da un terremoto. In alternativa alla testimonianza diretta il
messaggio passava da persona a persona che riportava i fatti così come li aveva
sentiti ripetere, fino a giungere ad ognuno di noi.
Man mano che il progresso compiva il suo sviluppo, questi resoconti erano
sempre più aggiornati, di settimana in settimana, di giorno in giorno fino ad
arrivare al giorno d'oggi, dove la notizia cambia, si modifica, si aggiorna
minuto dopo minuto, secondo dopo secondo, nella maniera più veritiera e
oggettiva possibile. Questi racconti sono resoconti a volte dettagliati a volte no,
spesso censurati dalla politica, altre volte dalla morale di chi è diretto
testimone, il quale risparmia i dettagli ai non presenti, altre volte modificati
appositamente per mentire al pubblico. La sofferenza umana viene comunque
raccontata in tutte le sue forme , tutte le atrocità commesse tra uomini, tutta la
violenza della natura che causa disastri, le malattie che portano allo sterminio
delle popolazioni, tutto ciò che accade nella terra viene raccontato, sotto il
principio di umanità che ci unisce.
Tempo fa quindi si assisteva agli eventi in prima persona e solo
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successivamente venivano raccontati in forma prima orale e poi scritta. Le
uniche immagini che si potevano però osservare di tutti gli eventi erano i
dipinti degli artisti, i quali grazie al fatto di essere stati testimoni, oppure grazie
a quei racconti, riuscivano a tramutarli in dipinto.
Solo successivamente un'invenzione cambiò radicalmente la storia della
comunicazione. Ad un certo punto il racconto viene arricchito con la forma
visuale tra le più veritiere ed ingannevoli allo stesso tempo: nasce la fotografia.
Un tempo l'unico modo per vedere queste sciagure era viverle di persona; con
la fotografia prima e il cinema dopo (rapido scorrimento di fotografie), viene
offerta all'uomo la possibilità di vedere le cose che accadono a distanza.
Da quando esiste l'uomo esistono le sofferenze e il racconto di esse è di
fondamentale importanza per non commettere errori, per evitare che le
sofferenze patite dalle generazioni precedenti vengano subite anche dalle
generazioni successive.
L'immagine fotografica è il mezzo più straordinario che l'uomo poteva
inventare per raccontarsi. Attraverso le immagini si possono vivere le emozioni
passate e presenti che vivono o che hanno vissuto altri esseri umani a
chilometri di distanza. Possiamo far scorrere di fronte ai nostri occhi immagini
di un evento piacevole e di un evento spiacevole, fatti che accadono vicino o
lontano da noi. In entrambi i casi, l'uomo è sempre stato attratto dalle
fotografie, perché lo rappresentano in un certo qual modo, sia come oggetto sia
come soggetto che fotografa. Che si tratti di cose piacevoli o spiacevoli, la
vista ci procura, nello stesso istante in cui ammiriamo oppure scattiamo una
fotografia, una o più emozioni.
Queste emozioni possono oscillare da un estremo all'altro dei sentimenti, in
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maniera più che soggettiva, esiste un solo caso in cui la maggior parte degli
uomini prova la stessa emozione: di fronte a fotografie che mostrano la
sofferenza. Alla vista di un uomo che soffre, del dolore che viene inflitto ad un
altro, della morte, l'emozione comune è molto spesso lo sdégno. E' qui che la
mia ricerca inizia, è dalle domande che tutti si pongono di fronte ad una
fotografia cosiddetta shock, ad una fotografia consigliata ad un pubblico adulto
che ritrae una o più persone sofferenti: perché devono mostrare tutto ciò?
Perchè dobbiamo vedere queste immagini? Perchè fotografano questo?
Prima di trovare una risposta a queste domande è bene aver chiaro il quadro
storico in cui si è svilappata la fotografia e i vari mezzi che si sono alternati
dalla nascita del mezzo ad oggi. Tratteremo quindi un primo capitolo che parla
di storia della fotografia, in un secondo momento, nel capitolo due,
completeremo la storia della fotografia secondo il punto di vista
fotogiornalistico e cercheremo qui di dare una risposta a queste domande.
Infine nel terzo metteremo in pratica le teoria elencate precedentemente
analizzando il lavoro di un giovane fotografo argentino di fama internazionale,
il suo nome è: Walter Astrada.
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1. Storia e tecnica della Fotografia
La fotografia nasce principalmente dall'unione di due materie di studio: la
chimica e lo studio ottico-meccanico. La convergenza delle due porta ai primi
esperimenti di quella che fu in seguito chiamata fotografia, grazie all'utilizzo
del foro stenopeico applicato ad una camera oscura (già nominata da Aristotele
nel IV sec. a.C. e utilizzata nel Rinascimento come supporto al disegno) e le
sostanze chimiche utilizzate per impressionare e fissare su di un supporto
l'immagine come il nitrato d'argento (già noto nel medioevo).
1.1 Dal Dagherrotipo al negativo
La prima persona a compiere esperimenti nella direzione della fotografia fu
Joseph Nicéphore Niépce, un inventore di famiglia borghese nato in Francia
nel 1765 che inizia questa avventura cercando di riprodurre i disegni di suo
figlio Isidore. Nel 1816 inizia ad avere i suoi primi risultati, un'immagine
invertita in un supporto cartaceo, unico problema è il fissaggio dell'immagine
al supporto. L'unico point de vue (così chiamò Niepcé i suoi supporti esposti)
conservato fino ai giorni nostri è stato scattato dalla finestra di casa sua intorno
al 1826 (Foto 1). L'immagine però è ancora poco nitida, richiede ancora dei
Foto 1 Point de vue - Joseph-Nicéphore Niépce
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miglioramenti.
Nel 1829 Niépce, in seguito al bisogno di investimenti per continuare la sua
ricerca, siglerà un accordo con Louis-Jacques-Mandé Daguerre, pittore e
scenografo francese, insieme al quale darà vita ad un'associazione. Nel 1833
Niépce muore, Daguerre continuerà ad investire tempo e denaro nei point de
vue di Niépce e riuscirà a perfezionare l'invenzione, cambiando supporto dove
fissare l'immagine. Quindi, al posto della carta, utilizzerà una lastra in metallo
ricoperta di ioduro di argento e fissata con mercurio e sale marino. La prima
copia che otterrà darà vita ad una immagine positiva, non riproducibile, in cui
comparirà anche la sagoma di un uomo, per la prima volta nella storia della
fotografia (Foto 2). Daguerre per salvaguardare l'invenzione brevetterà il
procedimento in Inghilterra con il nome di Daguerreotype e
contemporaneamente lo Stato francese procederà all'acquisizione
dell'invenzione. In breve periodo il Dagherrotipo diventerà uno strumento a
larga diffusione internazionale.
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1.1.1. Dal pennello alla camera oscura
Sono questi gli anni in cui la pittura entra in crisi, molti pittori abbandonano
tela e pennello e si convertiranno al nuovo mezzo, altri invece lo utilizzeranno
come supporto alla pittura.
Già nelle caverne degli uomini primitivi erano presenti, disegni su roccia che
rappresentavano scene per esempio di caccia. Da sempre quindi gli uomini
prendono spunto dalla realtà per riprodurre poi ciò che vedono.
Cercavano quindi di riprodurre la realtà così come la vedevano o come la
immaginavano, era questo quindi lo scopo principale: trasporre i dettagli della
realtà. Durante i vari periodi storici la tecnica diventava sempre più precisa e lo
scopo rimaneva sempre lo stesso. Nel Rinascimento per esempio, le cose più
importanti per un'opera d'arte erano: i dettagli, la prospettiva (che concede la
tridimensionalità all'immagine) e la luce (i suoi riflessi, le sue ombre, la sua
intensità). Tutte qualità che con il semplice click fotografico vengono catturate
in un istante. Si crea quindi una frattura tra la pittura e la fotografia, per mezzo
Foto 2 Boulevard du temple 1838-1839 – Luis-Jaques-Mandé
Daguerre
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della quale, la pittura cambierà completamente i suoi obbiettivi. Dalla
riproduzione particolareggiata del reale, l'arte passa ad una proiezione
dell'interiorità umana, affacciandosi così verso forme d'arte astratta, lasciando
libero il campo alla fotografia che si occuperà della riproduzione del reale.
1.1.2. Il ritratto
La classe media urbana è eccitata dall'idea di poter essere ritratta. L'ampia
diffusione della fotografia permetterà a tutti, con il passare del tempo, di essere
ritratti, dalle classi più disagiate alle più ricche della società. Nascono ovunque
studi fotografici, la gente farà la fila nelle città per avere un ritratto. E' a questo
particolare tipo di fotografia che il Dagherrotipo verrà associato.
Data la sua scarsa maneggevolezza e i lunghi tempi di posa, non sarà in grado
di catturare oggetti o persone in movimento e per ciò gli operatori si
dedicheranno al ritratto. La maggior parte della popolazione, soprattutto le
Foto 3 Charles Baudelaire
fotografato da Nadar, 1855
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classi più benestanti, avrà una fotografia che li ritrae, foto di famiglia oppure
ritratto singolo (Foto 3). La maggior parte delle foto scattate nel 1800 sono da
catalogare come ritratti fotografici. Da questo momento nasceranno diversi
formati standard di immagine. Oltre al formato si comincia a diffondere il
modus operandi del fotografo che, oltre che esperto padroneggiatore del mezzo
ottico-meccanico, come direttore e compositore dell'immagine, sarà lui a
posizionare la persona in un determinata posa, sarà sempre lui a provvedere di
sistemare il soggetto vicino alla luce necessaria, sempre lui curerà i dettagli
dello sfondo, degli oggetti in primo piano o in mano al soggetto fotografato.
1.1.3. La fotografia come forma d'arte
Il rapporto che gli artisti avranno con questo nuovo mezzo darà vita ad un
acceso dibatitto, che vedrà schierati da un lato chi riconosce la valenza artistica
del mezzo, dall'altro chi rifiuta categoricamente il Dagherrotipo come
strumento artistico.
Siamo alla fine dell'ottocento, è questo il periodo di scontro tra le due scuole di
pensiero. Come abbiamo già detto la fotografia ha il ruolo di rappresentare la
realtà nuda e cruda, come una copia della stessa, ed è su questo concetto che
punterà la critica nei riguardi della fotografia riconosciuta come forma d'arte.
La pittura è stata da sempre considerata come arte, in quanto creazione che
deriva dalla mente del pittore e dalle sue emozioni. Riesce con vari strumenti a
creare da zero un'opera che prende la forma di dipinto. Il pittore riesce quindi a
rappresentare il mondo attraverso l'incontro-scontro tra la sua anima e ciò che
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sta fuori, per poi esteriorizzare il tutto attraverso il pennello.
La fotografia è all'inizio considerata semplicemente come un registratore di
eventi, capace di catturare nella maniera più fredda e sterile ciò che passa
davanti all'obiettivo. Nessuna interferenza da parte dell'uomo viene
considerata, nessuna ingerenza al riguardo, “il fotografo sarebbe una sorta di
notaio, obbligato a mostrare tutti i particolari e non solo quelli da lui prescelti,
come invece fa il pittore”
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Solo successivamente si comprenderà l'importanza del fotografo che scatta e
che le possibilità offerte all'operatore per manipolare l'immagine sono infinite,
per esempio l'utilizzo della messa a fuoco, la profondità di campo, la lunghezza
dell'obiettivo, processi di post-produzione, ecc... Già il fatto di scegliere
l'istante in cui scattare, un momento preciso e non un altro, è un'ingerenza da
parte di colui che utilizza la camera.
Ciò che più differenzia la pittura dalla fotografia è la caratteristica spazio-
temporale che lega il fotografo ad essere presente e testimone di ciò che
fotografa. Il valore di testimonianza però non può essere considerato neutrale,
dovuto proprio al fatto che è il fotografo che decide cosa mettere in risalto,
cosa inquadrare e quando catturare l'immagine.
Da tutto ciò si può dedurre che la fotografia ha due qualità intrinseche che si
manifestano contemporaneamente: da una parte è un valido documento e
dall'altra è un'espressione creativa.
Si può datare l'affermazione della fotografia come arte a sé al 1902, quando
Alfred Stieglitz fonda il movimento americano Photo Secession, e
1 Enrico Menduni, La fotografia, Bologna, Il Mulino, 2008, p. 44.