superficialità, l’omogeneità, la riproducibilità e l’assenza di originalità. La
cultura di massa, oggetto della critica della scuola di Francoforte, alla fine del
Novecento è un’espressione che si riferisce all’intrattenimento offerto dai film
di Hollywood e dalla televisione.
Il senso del termine cultura come lo usiamo oggi, dipende dal significato
che ad esso diedero gli antropologi sociali come Bronislaw Malinowski, Franz
Boas, Margaret Mead
4
. Essi lo usarono per indicare l’insieme delle pratiche di
costruzione del significato in vigore all’interno di un sistema sociale. Questa
nuova accezione supera l’opposizione tra Kultur e Civilization, mantenendo
però l’identificazione della cultura con l’identità di un popolo.
Nella letteratura antropologica all’inizio la cultura era soprattutto
qualcosa che interessava i popoli primitivi e le società “altre”, ma non chi li
studiava e li governava. In seguito tale termine venne applicato anche alle
società occidentali, ma conservando la credenza che il mondo occidentale sia
più avanzato, non solo sul piano tecnologico ma anche su quello morale,
cognitivo, politico rispetto agli altri.
La psicologia culturale
5
, sviluppatasi a partire dalla seconda metà del
Novecento, si è orientata alla comprensione della cultura e ha posto
l’attenzione su di essa come dispositivo di mediazione. Con l'interesse per la
mediazione, la psicologia culturale si stacca dal filone “universalista” della
psicologia cross culturale. Quest’ultima sotto il profilo teorico, invece di render
conto delle differenze culturali, si propone di farle scomparire presentandole
come semplici varianti all'interno di un quadro unitario presentato dalla
psicologia universale. La psicologia cross-culturale propende a stabilire in modo
implicito una sorta di dualismo antitetico fra natura umana e cultura: la prima
è intesa come geneticamente ereditata, universale; mentre la seconda come
4
Per ulteriori approfondimenti v. MANTOVANI G., Intercultura. È possibile evitare le guerre
culturali?, Bologna, Il Mulino, 2004, pag.30.
5
La psicologia diventa culturale perché va ad occuparsi della mente nella cultura. In particolar
modo Jerome Bruner, psicologo americano, analizza i processi ermeneutici, conversazionali e
di negoziazione, attraverso i quali gli uomini vogliono dar senso al mondo e alla loro vita, cioè
costruiscono il significato. Quest’ultimo non viene dato, ma ciascun individuo lo scopre e lo
costruisce interagendo con gli altri uomini nella comunità culturale in cui è inserito secondo la
dimensione narrativa. Non c’è interazione che non sia culturalmente mediata. Per un
approfondimento della tematica v. ANOLLI L., Psicologia della cultura, Bologna, Il Mulino,
2004, pag. 31.
una realtà autonoma, indipendente dall’azione dei soggetti, la quale
produrrebbe soltanto variazioni secondarie e superficiali. Inoltre, dal punto di
vista delle metodologie della ricerca, si propone di collocare su un continuum e
di misurare con strumenti standardizzati, come il questionario, le differenze
rilevate fra società diverse.
La psicologia culturale è molto interessata agli artefatti, perché pensa
che la conoscenza non sia confinata nella mente individuale, ma sia distribuita
tra persone, e tra esse e alcuni tipi di elementi che stanno nell’ambiente.
Nell’intero corso della loro vita, dalle comunicazioni madre-bambino
all’acquisizione del linguaggio, dall’apprendimento scolastico all’acquisizione di
competenze specifiche, le persone dipendono le une dalle altre e dagli
strumenti che usano per interagire nell’ambiente. Il linguaggio, ad esempio, è
un sistema di mediazione culturale delle funzioni cognitive, perché consente ai
soggetti di agire in modo culturalmente appropriato ed efficace. La concezione
di una conoscenza distribuita tra persone, e tra persone e artefatti, è una
caratteristica distintiva della prospettiva culturale, che vede le persone non
come individui isolati ma come membri attivi e consapevoli di società umane.
La psicologia culturale guarda al contesto, sociale e fisico, e all'interno di esso
colloca l'individuo, non viceversa.
2. Caratteri della cultura
2.1. Cultura come apprendimento
Cristoforo Colombo, navigando verso nuove terre, possedeva alle spalle
una tradizione che lo “attrezzava” all’esplorazione, dotandolo di adeguate
mappe sia mentali che fisiche. Nel viaggio in territori inesplorati, i suoi occhi e
la sua mente, formati sulle mappe ricevute, non potevano fare a meno di
registrare, in qualche faticoso modo, le novità.
Nella realtà, siamo continuamente costretti ad usare la rete di senso che
la nostra cultura ci ha dato e nello stesso tempo a trascenderla,
reinterpretarla, adattarla alla realtà che ci sta davanti. Il peggior torto che si
possa fare alla tradizione è quello di conservarla sotto una campana di vetro
come una cosa morta.
La cultura è la trasmissione da parte degli anziani delle regole di vita e
degli ideali della propria comunità alle nuove generazioni. Non si tratta di un
insieme di norme astratte, ma un corpus organico di principi incarnati nelle
pratiche. La cultura ci orienta sulle cose da fare e ci fornisce le indicazioni su
come farle: ad esempio ci dice che cosa sia il matrimonio, perché e come
celebrarlo, e persino come preparare il pranzo delle nozze. Essa forma il
repertorio che alimenta l’immaginario delle persone, suggerendo loro desideri e
aspirazioni che da un lato sono comuni ai membri del gruppo, dall’altro sono
esclusivi, intimi a ciascuno di essi.
Il padre trasmette al figlio la capacità di distinguere ciò che è appropriato e ciò
che non lo è. Non tramanda al figlio una serie di comandi, ma una cornice
simbolica che costui avrà come punto di riferimento e che potrà modificare con
le sue esperienze di vita. È un punto di partenza, poiché quando nasciamo
entriamo a far parte di qualcosa di preesistente, come se dovessimo inserirci in
una discussione già iniziata.
Gli anziani sono un bene prezioso in quanto possono trasmettere una
mappa per orientarsi nella vita, un posto nella comunità, la memoria della
storia che essi hanno vissuto, degli spazi che hanno attraversato con la
speranza, forse vana, che i successori non ripetano gli stessi errori. Nel nostro
mondo la storia come riflessione e re-interpretazione degli eventi è largamente
rimossa.
Oggi la società non ha sufficiente memoria rispetto alle responsabilità
che su di lei incombono. Il compito degli anziani è quello di contrastare la
disattenzione, di salvare dall’indifferenza e dall’oblio le esperienze che sono
state fatte. Per fare questo occorre non solo l’età ma anche il coraggio,
l’energia e l’iniziativa.
Purtroppo gli anziani, oggi, stanno perdendo il loro ruolo di protagonisti
della trasmissione culturale e sono sempre più considerati come un peso dalle
nuove generazioni, come se essi non abbiano più nulla da dire. In questo modo
si rischia la crisi della comunità, in cui finisce per predominare il
disorientamento, la rabbia e l’ostilità.
2.2. Cultura come processo interno ed esterno
La cultura è emersa in modo graduale nel corso dell’evoluzione della
specie umana e si sviluppa in modo progressivo nella storia individuale di un
soggetto, per cui spesso appare come una realtà naturale e scontata. Essa è
un ambiente invisibile in cui ciascuno di noi è totalmente immerso, senza
rendersene conto. Infatti spesso guardiamo il mondo e gli accadimenti
attraverso di essa e li riteniamo oggettivi nella loro consistenza e
configurazione mentre in realtà adottiamo una prospettiva specifica che è
differente dagli altri osservatori.
In passato la cultura era considerata come una cornice esterna
all’individuo, dentro la quale collocare le azioni e le interazioni umane.
Attualmente, invece, essa è concepita anche come una dimensione interna ai
soggetti, in quanto parte integrante del loro sé e base costitutiva della loro
condotta.
Questo è un tema molto importante ai nostri giorni per comprendere
fenomeni rilevanti della nostra società, in particolar modo per la presenza
diffusa di flussi migratori sempre più consistenti, da sud a nord e da est a
ovest. Tale presenza comporta la determinazione di contesti multiculturali, nei
quali si trovano ad interagire contemporaneamente soggetti appartenenti a
culture differenti fra loro.
Il luogo in cui si situa è ambiguo, non può essere identificato né come
luogo esterno né come luogo interno. La cultura è dentro e fuori le menti nello
stesso tempo: essa è ovunque non solo in termini geografici ma soprattutto in
termini psicologici
6
. Essa ha una doppia natura poiché la troviamo all’interno
del soggetto, dando forma ai suoi pensieri, credenze, emozioni, aspettative,
valori e si colloca anche all’esterno, nelle diverse espressioni istituzionali e
sociali. Questa prospettiva trova una valida spiegazione nella comunicazione.
6
SHORE B., Culture in mind: Cognition, culture and the problem of meaning, (citato da
ANOLLI L., Psicologia della Cultura, cit., pag. 28).
Anch’essa si sviluppa da un lato dall’intenzione comunicativa del soggetto,
dall’altro dalla manifestazione pubblica di tale intenzione in modo estensivo ad
altre persone.
Dunque non esiste una concezione assoluta e oggettiva sia della natura
umana sia della cultura. I soggetti comprendono ed interpretano la realtà con
cui entrano in contatto, facendo riferimento alle categorie mentali fornite da
una certa cultura.
È importante conciliare gli aspetti di comunanza fra le culture, con la
singolarità di ognuna di esse attraverso la regolarità. Infatti lo studio di una
specifica cultura consente di cogliere in essa delle regolarità che rimandano al
confronto con le regolarità di altre culture. La singolarità pura nella sua
irripetibilità è irrilevante per la comprensione dei fenomeni culturali. La
regolarità riguarda sia i processi culturali dentro le menti, quali i sistemi di
credenze, sia quelli fuori le menti, come i rituali religiosi. Si tratta delle
condizioni standard di una certa cultura, a ciò che è lecito attendersi all’interno
di una data situazione. Le regolarità costituiscono un fatto storico e come il
passato non possono determinare il presente ma possono influenzarlo. Esse
non sono delle fissità astratte e atemporali, ma prevedono delle variazioni
contingenti, eccezioni momentanee, dunque non coincidono con l’uniformità
ma convivono con la variabilità culturale.
Inoltre si può comprendere il particolare e l’universale, entro le
espressioni di una certa cultura rispetto a se stessa e le altre. Questa
prospettiva implica una condizione sistematica di confronto e negoziazione. Sia
le macroculture che le microculture consistono in una varietà indefinita di punti
di vista. Tale situazione richiede la capacità di stabilire ponti semantici di
condivisione e di negoziare le categorie interpretative per favorire la
comprensione dei fenomeni culturali.
La cultura non è un patrimonio fisso, statico di conoscenze, di pratiche e
di valori da tramandare di generazione in generazione. Non è un pacchetto di
norme e significati da consegnare in modo meccanico da esperti a novizi.
Benhabib Seyla sostiene elegantemente che dal di dentro, la cultura non
appare come un tutto compatto ma è piuttosto un orizzonte che si allontana
ogni volta che ci si avvicina ad esso.
Si configura così come un processo continuo che prosegue nel tempo, in
modo inarrestabile, il suo cammino. Scompare l’idea meccanicistica della
cultura come progresso costante e lineare che sarebbe avvenuto lungo un
percorso irreversibile di accumulazione grazie al carattere omogeneo degli
artefatti culturali. In realtà ognuna segue il proprio percorso di sviluppo, in
parte intrecciandosi con le altre culture attraverso un’azione continua di
influenza reciproca, in parte seguendo un itinerario specifico.
In quanto processo che si svolge nel tempo, essa è in costante
cambiamento, in grado di assumere di volta in volta forme diverse, non
necessariamente migliori, a cui tutti i soggetti partecipano in vario modo,
attivo e passivo, ognuno con il proprio contributo. In tale evoluzione, la cultura
mantiene condizioni di stabilità e prevedibilità.
Si ha dunque una situazione paradossale in cui la cultura continua ad
essere se stessa, anche se va incontro a forme incessanti di modificazione e di
innovazione. Regolarità e variazioni sono due aspetti fondamentali, che si
implicano a vicenda, dato che senza la regolarità non si può avere la
consapevolezza della variazione e viceversa.
Solitamente il cambiamento dei modelli culturali non segue un
andamento costante e regolare. Le fasi di stabilità sono caratterizzate da
dispositivi ripetitivi e da rigidità stereotipata, spesso questa staticità può
condurre a condizioni di vuoto morale e di perdita dei significati. Questa
situazione costituisce la premessa per il successivo cambiamento culturale.
Di norma il cambiamento avviene sia dall’esterno che dall’interno. Nel
primo caso le pressioni vengono dal di fuori, solitamente da altre culture, al
fine di avere un adeguamento e allineamento di modelli culturali. Nell’altro
caso, in cui il cambiamento ha origine da istanze interne, esso di solito è
prodotto da minoranze culturali che vanno a modificare in profondità i modelli
culturali in essere. Le innovazioni culturali spesso sono forme antitetiche di
condotta e di pensiero rispetto alle forme precedenti, assunte come modelli da
smantellare. Gli innovatori appaiono normalmente non convenzionali, poiché si
contrappongono a convenzioni ben conosciute. Non sempre le innovazioni, poi,
si affermano e si consolidano nel tempo.
Dunque, da una parte la cultura è una base sicura e un percorso definito
che ci offre identità, certezze e le coordinate cognitive ed emotive per
orientarci nel mondo, dall’altra però essa può essere fonte di smarrimento e
confusione in vista dei cambiamenti culturali piuttosto rapidi e quando
espressioni culturali diverse entrano in conflitto fra loro. In questo caso è
importante trovare nuove soluzioni, frutto di negoziazioni e reinterpretazioni
delle proprie categorie mentali in funzione della situazione presente, tenendo
conto delle forme culturali passate che nel lungo processo evolutivo e di
cambiamento rimangono comunque dei punti di riferimento.
3. Le funzioni della cultura
3.1. Funzione di mediazione
La mente di ciascun individuo opera all’interno di un contesto storico-
culturale determinato, caratterizzato da un mondo di oggetti e di persone, di
relazioni tra persone e istituzioni sociali che è in continuo mutamento.
In tali situazioni, la mente modifica il suo meccanismo in relazione allo
specifico medium in cui si trova ad interagire. Inoltre una volta inserita nella
rete già costruita di oggetti, relazioni e istituzioni sociali, la mente ne modifica
la struttura e il funzionamento, assumendo un ruolo attivo nel contesto sociale
in cui si trova ad interagire.
La scuola storico-culturale sovietica, guidata da Vygotskij, ha sottolineato
l’importanza degli artefatti e delle attività in generale per lo sviluppo del
pensiero e delle abilità umane. Da un lato l’attività umana si serve degli
artefatti come mezzi per realizzare i propri scopi, dall’altro però è vincolata agli
stessi medesimi, come strumenti per raggiungere questi obiettivi.
Il cieco esplora la strada con il suo bastone tap tap tap, il quale funziona
da canale lungo il quale corrono le informazioni di cui egli ha bisogno per
camminare in strada.
7
Tutti noi, in un certo senso, siamo ciechi ed esploriamo
la realtà con l’aiuto di strumenti, artefatti attraverso cui conosciamo le cose ed
agiamo nel mondo.
L’incorporazione degli artefatti nell’attività umana crea una nuova
relazione fra l’organismo e l’ambiente, nella quale il culturale e il naturale
operano in modo sinergico. Il rapporto tra il soggetto e l’ambiente può essere
non solo diretto, ma anche mediato attraverso uno o più artefatti. Questo è il
motivo per cui si è giunti a parlare di un’ intelligenza che abita anche al di fuori
della mente individuale.
È importante sottolineare la natura duale dell’oggetto, in quanto realtà
materiale da un lato e socialmente costruita dall’altro. Dunque l’oggetto
naturale Objekt
8
va distinto dall’oggetto, in quanto artefatto inserito
nell’attività umana gegenstand. In quest’ultima accezione l’oggetto si presenta
come un’entità costruita in modo collettivo, sotto forma materiale o ideale,
mediante il quale è soddisfatto uno specifico bisogno umano.
Gli artefatti che guidano l’attività cognitiva nel suo adattamento
all’ambiente sono molteplici. Il più importante è il linguaggio inteso come
conversazione, discorso, narrazione.
Vi è poi la categorizzazione, che interviene nella mediazione dell’attività
cognitiva. Quest’ultima procede attribuendo gli oggetti e le esperienze a
particolari categorie che hanno un significato non solo linguistico ma anche
sociale. Dunque la categorizzazione ordina la realtà e permette di distinguere
tra cibi puri e cibi impuri, tra matrimoni permessi e quelli vietati e così via,
organizzando gli spazi, i tempi, le persone e le loro azioni. Gli agenti
percorrono questi sistemi di categoria usandoli e all’occorrenza forzandoli, in
ogni caso riformulandoli per applicarli ai contesti che si trovano di fronte.
Un terzo strumento che media l’attività cognitiva è la metafora. Essa
attribuisce a qualcosa di cui si sta parlando, che è detto “bersaglio” della
metafora, una proprietà detta “origine”, che appartiene ad un diverso dominio
7
BATESON G., Verso un’ecologia della mente, (cit. da Mantovani G., Intercultura. È possibile
evitare le guerre culturali?, Il Mulino, Bologna, 2004, pag. 74).
8
ANOLLI L., Psicologia…, cit, pag. 31.
della realtà
9
. Nell’esempio “Barbara è una fata”, Barbara è il bersaglio, mentre
il termine fata è l’origine. Le metafore servono ad inquadrare le situazioni
problematiche che incontriamo.
10
Un esempio è dato dalle metafore utilizzate negli Stati Uniti nel dibattito
pubblico sugli slums durante gli anni Settanta.
Gli slums, le aree centrali degradate di tante città americane di allora,
vennero considerati scegliendo due metafore. La prima vedeva negli slums
delle “malattie”, dei centri di infezione che minacciavano la salute dell’intera
città. La scelta di questa metafora portava con sé l’idea che per restituire la
salute alla città si dovesse ricorrere ad un intervento chirurgico:
l’allontanamento degli abitanti, la demolizione dei quartieri fatiscenti e una
nuova destinazione degli spazi.
La seconda metafora vedeva invece gli slums come “comunità” valide ma
in difficoltà perché povere, e proponeva iniziative di sostegno agli abitanti per
metterli in grado di preservare la rete di relazioni che si erano creati nel tempo
e per aiutarli a superare i problemi dovuti alla povertà.
Le due soluzioni nascono da prospettive diverse incorporate nelle
metafore: tali prospettive nascono nel momento stesso in cui vediamo un
problema e non sono dunque il risultato di un’osservazione obiettiva all’inizio e
in seguito di una valutazione, in cui entrano in gioco i nostri scopi, valori e
preferenze.
La metafora riflette un ordine culturale: come la partecipazione ad una
data cultura professionale può rendere ovvia l’adozione di una data metafora,
così la partecipazione ad una data cultura religiosa o politica o etnica può far
preferire in modo automatico un certo modo di inquadrare i problemi rispetto
ad un altro.
La cultura è una mediazione che riguarda ogni aspetto della vita umana e
che differisce in modo qualitativo da una comunità ad un'altra. Per questo
motivo essa appare universale, in quanto investe tutti gli ambiti dell’esistenza
umana (alimentari, medici, biologici ecc). Essa è come una lente incorporata in
noi che distorce la percezione e la valutazione di qualsiasi fenomeno ed evento.
9
MANTOVANI G., Intercultura, cit., pag. 90.
10
Ivi, pp.90-91.
Si tratta di una lente di cui non ci rendiamo conto, per cui i processi culturali
assimilati fin dalla tenera età appaiono scontati, ovvi e automatici. Solo quando
entriamo in contatto con altre espressioni culturali le differenze fanno
emergere, a volte, la consapevolezza della propria appartenenza, il senso della
propria identità, nonché la distanza da altre culture.
3.2. La cultura come produzione di senso
In passato si prediligevano alcune dimensioni come strutture portanti
della società. Un esempio è dato dal forte determinismo economico, che
influenzava lo sviluppo e la circolazione delle idee e che controllava le altre
sfere della società.
Oggi, anche se questa influenza economica si può ripresentare in
determinate circostanze, essa non costituisce un potere forte e assoluto sulle
altre dimensioni della realtà.
Attualmente si comprende che molti processi della realtà dipendono dal
contesto sociale in cui si verificano: molte persone cambiano atteggiamenti a
seconda delle circostanze e degli ambienti. La realtà sociale diventa luogo di
produzione di senso.
Uno dei modi di sensemaking
11
sono le analogie, con le quali le persone
stabiliscono corrispondenze tra i domini diversi della realtà sul riconoscimento
di una somiglianza. A volte, ma non sempre, può essere utile per capire cosa
sta accadendo in un determinato dominio della realtà, partendo da ciò che
sappiamo di un dominio che conosciamo meglio. Il più delle volte i due domini
della realtà sono collegati da analogie di tipo strutturale e simbolico, più che
fisico.
La rete della cultura che unisce le persone in gruppi sociali è costituita da
credenze e modi di sentire condivisi, dalla conoscenza di una storia comune,
dal senso della propria collocazione nel mondo naturale e sociale. Dunque la
cultura è fatta di nessi analogici. Questi legami formano le connessioni
attraverso cui i membri di una società comunicano tra loro. Il mito, la magia, i
11
MANTOVANI G., L’elefante invisibile, Firenze, Giunti, 1998, pag. 130.
riti e le cerimonie, la poesia e la conversazione sono parte di questa rete. La
cultura è fatta di storie simboliche e rituali in cui gli oggetti e gli eventi
ricevono significati che in vario modo li trascendono. L’analogia gioca un ruolo
importante nel costruire questi significati estesi e nel far funzionare la rete
della cultura.
Un altro aspetto essenziale nella produzione di senso è la conoscenza del
proprio posto nell’ordine delle cose. Per gli aztechi la chiave di questo ordine
era costituita dal tempo: il tempo mitico esercitava un’influenza determinante
su quello umano. Solo i contatori del sole potevano influire sulle manifestazioni
divine e orientare l’insieme delle attività umane. Essi agivano su forze che il
non iniziato poteva credere appartenenti a domini separati del reale, ma che il
contatore sapeva essere il reale, la tela cosmica di cui egli vedeva il disegno
complessivo
12
.
La rete di analogie che forma una cultura non è il risultato di opzioni
individuali ma descrive uno stato delle cose divine e umane condiviso da intere
comunità, anche di dimensioni molto vaste.
Il senso delle cose sperimentato all’interno di una data comunità viene
trasmesso per mezzo del suo linguaggio. Il linguaggio è il più potente
strumento di mediazione: noi pensiamo, comunichiamo e agiamo secondo
modalità definite dalle strutture linguistiche di cui disponiamo.
Ad esempio Geertz ha sottolineato come nell’imparare la lingua, a Giava
veniva data molta importanza dai suoi istruttori allo status sociale, mentre in
Marocco l’attenzione era focalizzata sulle differenze di genere.
Il linguaggio oltre a conferire griglie interpretative, delimita i confini stessi
della realtà, a cui è in grado di conferire senso. Un esempio di ciò si ha
nell’incontro della cultura spagnola cattolica e quella indios, durante il periodo
di conquiste: gli Indios assistettero sbigottiti all’irrompere di una cultura che
apparve ai loro occhi l’incarnazione dei mostri dell’Apocalisse, mentre dall’altra
parte gli spagnoli consideravano le divinità indigene manifestazioni di Satana.
Le distanze erano incolmabili, l’evangelizzazione era resa impossibile dalle
differenze linguistiche poiché non vi era nelle lingue indigene equivalenti delle
12
Ivi., pag. 133.
figure divine dell’aldilà e le approssimazioni ne tradivano la sostanza e la
forma. Tutto creava malintesi. Inoltre ciascuna di queste culture non poneva
gli stessi confini al reale, nel senso che gli oggetti e le esperienze che per gli
uni erano reali per gli altri erano fantasie inconsistenti: la Chiesa escludeva di
norma alcuni stati come i sogni, le sostanze allucinogene, mentre gli Indios
attribuivano ad esse un significato decisivo. Dunque la rete di senso che le
culture costruiscono sono mappe che privilegiano certi aspetti della realtà a
danno di altri. Inoltre queste reti di senso vengono anche modificate e
integrate in vista dei cambiamenti del presente. Conoscere ed essere
consapevoli di queste mappe è molto importante nell’incontro con culture
diverse, soprattutto nel contesto attuale dove le società occidentali diventano
sempre più multiculturali.
3.3. Cultura e valori
La terza funzione della cultura è quella di motivare le persone, indicando gli
obiettivi a cui tendere: si tratta non di prescrizioni, bensì di criteri e modelli
morali che le persone possono usare per comprendere le situazioni che hanno
davanti e per immaginare il proprio futuro.
Ogni cultura fornisce ai propri membri modelli per valutazioni di questo
tipo: ciascuna di esse dice che cosa sia la felicità, di cosa si debba essere fieri,
dove sia la bellezza e così via. La cultura fornisce un repertorio non
necessariamente coerente delle situazioni che si possono presentare e delle
risposte adeguate che si possono dare. Le persone usano il repertorio per
capire la situazione e fare le proprie scelte. Quando invece si trovano davanti a
circostanze impreviste fanno appello alla propria capacità di improvvisare. Di
fronte ad un mondo abbastanza mutevole e disordinato, vi sono anche casi in
cui le persone programmano di improvvisare, di prendere le cose come
vengono.
La cultura fornisce alle persone dei modelli morali ed essi non sono inseriti
necessariamente in un insieme ordinato e coerente. Anche i modelli morali più
vincolanti sono messi in discussione al loro stesso interno da problemi di
interpretazione, da casi che prospettano possibili conflitti fra norme e
soprattutto dal fatto che i problemi da affrontare nelle situazioni di ogni giorno
non sono sempre previste da tradizioni presenti in epoche precedenti. Ne
consegue che la presa di posizione in campo morale è spesso problematica,
innovativa e altamente conflittuale, perché cerca di inquadrare fenomeni nuovi
in categorie in buona parte preesistenti. I modelli di condotta vengono
costantemente rivisitati, riformulati e discussi.
Mantovani pone l’accento sulla discussione che ferve in questo periodo nel
mondo islamico circa la legittimità del martirio o suicidio messo in atto da
kamikaze, o da terroristi, secondo gli oppositori di questa pratica. Sulla
questione dei martiri esistono pareri giuridici differenti che rispecchiano le
diverse posizioni religiose e politiche in conflitto su questo delicatissimo tema:
si danno risposte diverse a seconda delle diverse tradizioni religiose, si
valutano i precedenti casi antichi e moderni, si operano distinzioni in base al
“genere” dei martiri (per alcuni osservanti le donne islamiche non dovrebbero
essere accettate come “martiri” in attentati suicidi perché i resti dei loro corpi
dilaniati potrebbero essere raccolti da mani estranee e con ciò contaminati), al
tipo di attacchi (obiettivi militari, civili, contro adulti o contro donne e bambini),
al luogo (all’interno o esterno dello stato di Istraele, in una città musulmana
oppure in una città americana o europea).
Su questioni controverse troveremo modelli di comportamento molteplici
offerti dalle varie culture ai loro membri più o meno disorientati, determinati o
riottosi. Introducendo i modelli morali, però, gli agenti possono capire le
situazioni e orientarsi nelle proprie scelte, usando il repertorio di valori che
hanno a disposizione. Per tale motivo i processi educativi, della scuola in
particolare, rivestono una certa importanza come luoghi in cui i repertori
morali vengono elaborati, legittimati e proposti ai giovani.