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Capitolo I: Psicologia e vocazione: una sinfonia a due mani
1.1 Lo studio psicologico della vocazione
La ragione della presenta ricerca, che verte sul tema del burnout all’interno della Vita
Consacrata, deriva dalle indagini più recenti, stando alle quali esso è un fenomeno non più
ascrivibile ad alcune categorie particolari di professioni di aiuto, ma interessa ogni
operatore che svolge un servizio di dedizione, per mezzo dell’integrazione tra le sue
istanze personali e quelle situazionali dell’ambiente o dell’istituzione dove egli opera.
Quando la persona non cura tale integrazione, emerge il rischio di un esaurimento
personale. Dunque, anche i consacrati e i presbiteri posso essere colpiti dalla «sindrome del
buon samaritano deluso»
1
, come dimostrano le indagini di questi ultimi anni condotte tra il
clero secolare e religioso
2
.
Prima di addentrarci nell’analisi delle dinamiche che possono innescare il burnout nella
vita consacrata maschile, in particolare del sacerdote, è opportuno riflettere sulla vocazione
religiosa dal punto di vista psicologico. Il fine è di comprendere anzitutto quali sono le
motivazioni di base per le quali il “chiamato” da Dio assume l’impegno di un servizio
speciale al servizio di Dio e della Chiesa, donando se stesso. Lo studio psicologico della
vocazione, l’analisi delle motivazioni vocazionali e il discernimento psicologico della
scelta di consacrarsi aiutano a comprendere quali sono le cause principali generatrici del
burnout all’interno della Vita Consacrata
3
.
I tentativi di spiegare il fenomeno della vocazione come la concezione spiritualista e la
concezione psicologistica possono essere indicati come riduttivi. La prima intende la
vocazione come una chiamata diretta e speciale che Dio rivolge ai singoli, dunque
evidenzia solo la dimensione trascendentale. La seconda pone l’accento
sull’autorealizzazione: l’uomo tenderebbe solo a realizzare se stesso senza tener conto
dell’altro, del non-io, della realtà esterna. Tale concezione esclude la dimensione
soprannaturale della vocazione sacerdotale e consacrata. Non sono mancati, in ragione di
1
ROSSATI A.– MAGRO G., Stress e burnout, Carocci, Roma 1999, p. 43.
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Cfr. l’indagine tra il clero cattolico di Inghilterra e Galles comparato al clero anglicano: LESLIE FRANCIS
J.–STEPHEN LOUDEN H.–CHRISTOPHER RUTLEDGE J. F., Burnout among Roman Catholic Parochial
Clergy in England and Wales: Myth or Reality?, in «Rewiew of Religious Research», vol. 46, n. 1(2004), pp.
5-19; M. HIRART – R. OCAMPO, Burnout en los sacerdotes de Santiago, 2002, CISOC-Bellarmino 2002;
in Italia è significativa l’indagine condotta tra il clero diocesano di Padova: Ardere, non bruciarsi, G.
RONZONI (a cura di), EMP, Padova 2008.
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Le tre dimensioni individuate da Christina Maslach circa la sindrome sono: esaurimento emotivo,
spersonalizzazione e riduzione delle capacità personali (La sindrome del burnout. Il prezzo dell’aiuto agli
altri, Cittadella Editrice, Assisi 1992).
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queste due tendenze estreme, i tentativi di stabilire un equilibrio tra di esse, conciliando
spiritualità e psicologia del profondo
4
.
In una concezione antropologico-cristiana si evidenziano le relazioni che intercorrono
tra Dio e l’uomo nel sorgere e nello svilupparsi della vocazione. Essa permette di vedere la
vocazione nel suo duplice carattere di trascendenza e di immanenza. La chiamata di Dio
giunge attraverso gli avvenimenti che l’individuo sente vicini a sé; essa viene dall’Alto, ma
scaturisce contemporaneamente dal più profondo di noi stessi. Accettando questa
concezione, la vocazione si può analizzare da diversi punti di vista: la vocazione come
progetto di vita, come dialogo, come sviluppo. Tutti colgono una prospettiva dinamica, un
progetto di vita che si va gradualmente elaborando in armonia con la propria identità.
Tralasciando l’aspetto teologico della vocazione, che esula da questo studio, ci si
focalizza sull’aspetto psicologico che la caratterizza. Il fenomeno della vocazione può
essere considerato pure come un fenomeno psicologico di scelta motivata della propria
vita. Questa dimensione della vocazione rivela l’opzione per una vita caratterizzata da
molteplici fattori che, sotto la spinta della maturazione personale e degli influssi ambientali
socio-culturali (educazione) e partendo da una situazione iniziale data, si evolve attraverso
impegni e decisioni personali sempre più vasti e profondi, fino ad un impegno definitivo
della propria vita.
Lo studio psicologico della vocazione mette in luce attitudini specifiche e tratti della
personalità, che devono essere presi in considerazione in ordine alla scelta e alla
formazione dei candidati. Il benessere personale del religioso esige che si scoprano quanto
prima le controindicazioni psicologiche e i segni di inattitudine per questa forma di via
5
.
Nella società odierna, per rappresentare e difendere i valori intellettuali, morali e religiosi,
occorre una psiche più equilibrata e meglio integrata del comune. Se è vero che la salute
psicologica non è una condizione sine qua non per la santità personale di colui che si
consacra, è vero anche che la vita consacrata non si può ritenere come una forma di terapia,
perché essa è un carisma dato per la Chiesa. La psicologia può aiutare le persone
4
In Italia, si pensi al tentativo proposto dalla teoria vocazionale di Rulla negli anni successivi al Concilio
Vaticano II. Cfr. RULLA L. M. – IMODA F. – RIDICK J., Struttura psicologica e vocazione: motivazioni di
entrata e di abbandono, Marietti, Torino 1977; RULLA, L. M., Antropologia della vocazione cristiana, I:
Basi interdisciplinari, Piemme, Casale Monferrato 1985; RULLA L. M., Antropologia della vocazione
cristiana, II: Conferme esistenziali, Piemme, Casale Monferrato 1986.
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Buone qualità intellettuali e altruistiche non sono sufficienti a rivelare le difficoltà interiori di un candidato
alla Vita Consacrata e al sacerdozio. «La psicologia ci insegna che il disagio sotteso a una normalità
apparente va oltre l’insoddisfazione affettiva o la manifestazione di un carattere disordinato; troppo spesso
c’è un malessere più profondo di tipo motivazionale, che se si insinua nell’identità del religioso o della
religiosa può corrodere l’essenza stessa della sua vocazione» (CREA G., Tonache ferite. Forme del disagio
nella vita religiosa e sacerdotale, EDB, Bologna 2015, p. 110).
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consacrate offrendo loro l’aiuto di persone competenti, che possano sollevare eventuali
disturbi psicologici e offrire elementi utili per la direzione spirituale. Il presupposto da cui
si deve partire è che la vocazione nasce da un incontro – tra il Creatore e la creatura – che
si fa dialogo. La chiamata di Dio cade in una terra che trova già presente una personalità
fatta di potenzialità per rispondere a tale chiamata, ma anche condizioni, limiti, riserve e
fragilità.
Il Concilio Vaticano II fa esplicito riferimento all’apporto che la psicologia può offrire
alla maturità cristiana.
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A partire da quell’evento di rinnovamento ecclesiale, la Chiesa fa
credito all’apporto delle scienze psicologiche a favore della vocazione
7
. In ambito
vocazionale essa tocca in particolare due campi: il campo del discernimento e quello della
formazione. Per quanto riguarda il discernimento la psicologia offre degli strumenti di
conoscenza che, a partire da un approccio induttivo-empirico, aiutano a comprendere
meglio chi sia la persona che di fatto entra nel dialogo vocazionale e quali sono le concrete
disposizioni motivazionali che mediano la risposta alla chiamata divina. Circa la
formazione il contributo della psicologia appare in vista di un aiuto alla crescita della
persona nella sua maturità cristiana.
Occorre però precisare che una psicologia che voglia offrire un contributo adeguato alla
comprensione della persona e alla sua crescita nel dialogo vocazionale non può prescindere
dalla considerazione della duplice realtà antropologica che caratterizza la natura umana: da
una parte, la possibilità di autotrascendenza teocentrica, insita nell’esistere e nel divenire
umano; dall’altra, la realtà del limite, anch’essa condizione umana fondamentale. Un tale
orizzonte antropologico, pur tenendo conto necessariamente della visione di uomo che ci
viene dalla Rivelazione biblica, guarda al sistema motivazionale umano a partire
dall’esperienza e dalla comprensione che l’uomo ha di se stesso e della propria natura:
ontologicamente aperta ad un’autotrascendenza che ha Dio come fine ultimo, ma anche
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Nel decreto conciliare sulla formazione sacerdotale Optatam totius si legge: «Si osservino diligentemente le
norme della educazione cristiana, e queste siano convenientemente perfezionate coi dati di una sana
psicologia e pedagogia. Pertanto, per mezzo di una educazione saggiamente proporzionata alla loro età, si
coltivi negli alunni anche la necessaria maturità umana (n. 11)».
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A riguardo, nel decreto conciliare sul rinnovamento della vita religiosa Perfectae caritatis si trova: «Poiché
l’osservanza della continenza perfetta tocca le inclinazioni più profonde della natura umana i candidati alla
professione di castità non abbraccino questo stato, né vi siano ammessi, se non dopo una prova veramente
sufficiente e dopo che sia stata da essi raggiunta una conveniente maturità psicologica e affettiva. Essi non
solo siano preavvertiti circa i pericoli ai quali va incontro la castità, ma devono essere educati in maniera tale
da abbracciare il celibato consacrato a Dio integrandolo nello sviluppo della propria personalità». Si veda il
recente documento della CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti per
l’utilizzo delle competenze psicologiche nell’ammissione e nella formazione dei candidati al sacerdozio,
LEV, Roma 2008.
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ontologicamente limitata nel conseguimento di tale autotrascendenza. A partire da questa
antropologia viene a delinearsi una psicologia:
Aperta a considerare la motivazione umana in termini di un fine ultimo per i valori
autotrascendenti, cioè quei valori che rispettano la caratteristica specifica della
ricerca umana e che toccano l’Io profondo della persona: sono quei valori morali e
religiosi che non toccano solo alcuni aspetti della persona (la sua salute, le sue
capacità intellettuali, i suoi successi professionali, le sue doti artistiche, ecc.) ma
interpellano tutta la persona nell’esercizio della sua libertà e responsabilità in vista
del fine teocentrico della sua vita. I valori autotrascendenti hanno carattere
oggettivo: non è l’uomo a crearli, egli può solo incontrarli al di là di sé e farli
propri.
Atta a considerare la persona umana secondo una visuale olistica, una visuale cioè
che abbia presenti le diverse componenti della personalità: quelle consce-razionali,
quelle emotive-affettive e quelle inconsce.
Non tutte le antropologie di riferimento in psicologia possono favorire una visione
corretta della vocazione e quindi un discernimento e/o una psicodiagnosi vocazionale
corrette
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. La psicoanalisi, ad esempio, è stata guardata con sospetto dal magistero della
Chiesa cattolica, perché non fondata su un’antropologia di tipo aristotelico-tomista, ma
sull’inconscio, ossia le passioni che Freud chiama «pulsioni» perché convinto che il
loro fondamento sia biologico
9
. Le passioni originarie che costituiscono il fondamento
antropologico freudiano sono le pulsioni sessuali (eros) e omicide (thanatos)
10
.
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Basti pensare alle cosiddette “antropologie senza vocazione” che sono prevalentemente centrate
sull’autonomia dell’Io e sull’egocentrismo o narcisismo della personalità e che pongono al centro del sistema
motivazionale unicamente la propria realizzazione senza alcuna apertura alla trascendenza. Sono, invece,
valide ai fini dell’accostamento alla realtà della vocazione tutte quelle antropologie e quelle teorie
psicologiche che fanno spazio alla dimensione spirituale dell’uomo, alla sua fondamentale apertura alla
trascendenza e quelle che considerano la religione come una componente fondamentale della personalità, che
introducono nella loro impostazione scientifica le categorie della ricerca di senso, di religiosità e di vocazione
come dinamismo di sviluppo nella direzione di un progetto di vita. Cfr. FIZZOTTI E., Rapporto cultura-
vocazione. Modelli antropologici per un’analisi della crisi, in COSPES (a cura di), Difficoltà e crisi nella
vita consacrata, LDC, Torino 1996, pp. 36-50.
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Secondo un’antropologia cattolica l'uomo è un essere razionale, fatto ad immagine e somiglianza di Dio. La
sua facoltà più elevata, quella che lo rende simile al Creatore, è la ragione. Essa ha il compito di discernere il
bene e il male. Le passioni sono al servizio della ragione, come nel mito platonico della biga alata: hanno il
compito di condurre l'uomo verso il bene e lontano dal male.
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Eros e Thanatos, afferma Freud, sono in lotta continua e l’evoluzione civile è un costante impegno volta a
impedire alla seconda di mandare in rovina la società, che nasce dalla tendenza aggregativa della prima. Lo
stratagemma elaborato dalla società consiste nel rispedire al mittente la sua aggressività senza lasciargliela
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1.2 La motivazione vocazionale
L’argomento delle motivazioni è uno degli argomenti più studiati dagli orientatori e dai
formatori di seminari e istituti di Vita Consacrata. L’esame delle motivazioni per un
candidato che desidera consacrarsi secondo uno specifico stile di vita ed un particolare
carisma è di fondamentale importanza per comprendere l’autenticità psicologica di tale
vocazione
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. Il criterio di fondo per verificare l’autenticità di una vocazione è l’esame del
grado di libertà di scelta del candidato e quindi della qualità delle sue motivazioni. Occorre
comprendere se un soggetto sceglie o continua a vivere la Vita Consacrata con libertà
cosciente e per motivi di bene, di crescita, di servizio agli altri e di adesione ai valori
superiori che professa a parole, cioè con un atteggiamento prevalentemente proattivo;
oppure se la sceglie e la vive spinto da motivi e da bisogni impersonali e difensivi di cui
non si rende conto e che non riesce a trasformare o a integrare nel suo progetto di vita, cioè
con un atteggiamento prevalentemente reattivo
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.
La vocazione comporta una risposta vitale con tutti gli aspetti e i rischi di ogni risposta
umana. La motivazione la fonda quale meccanismo psicologico alla base del dinamismo
dell’inclinazione e a fondamento del fatto che il soggetto reagisce in un modo piuttosto che
in un altro agli stimoli ambientali.
Bisogna sottolineare che la motivazione umana non deve essere concepita soltanto
come una spinta interiore che porta ad agire in una direzione o in un’altra, in una direzione
cioè che è determinata da fattori organici ed ambientali. Essa appare anche come chiamata
alla realizzazione di certi valori che all’inizio sono molto concreti e che poi diventeranno
sempre più astratti man mano che si sviluppano le capacità intellettuali del soggetto.
sfogare. L’energia pulsionale aggressiva, rinchiusa tra le pareti della mente, se la prende con l’unico che non
può sfuggirle ossia l’individuo a cui appartiene: nasce così il senso di colpa. Freud individua quindi un
fenomeno simile a quello si sviluppa nei bambini che, frustrati per non poter sfogare la loro aggressività
contro il padre per paura di perderne l’amore, generano dentro di sé il Super Io, un controllore interno. «Ciò
che iniziò con il padre, si compie nella massa», sintetizza FREUD S., Il disagio della civiltà e altri saggi,
Bollati Boringhieri, Torino 1997, p. 267.
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Amedeo Cencini, religioso e noto psicoterapeuta, nel trattare il tema del discernimento personale individua
un concetto-chiave che aiuti il formando a compierlo, sondando in profondità le sue motivazioni: quello di
sensibilità. Cencini la distingue in sensibilità psichica (sincerità e realismo), sensibilità intrapsichica (verità e
trasparenza interiore), sensibilità morale (l’identità come criterio) , sensibilità relazionale (Dio al centro della
relazione), sensibilità spirituale (la lotta con Dio) e sensibilità decisionale (dal desiderio alla scelta, dalla
scelta umana alla scelta cristiana). Cfr. CENCINI A., I passi del discernere, San Paolo, Cinisello Balsamo
(Mi) 2019, pp. 54-93.
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L’ aggressività proattiva è una forma di aggressività contraddistinta da comportamenti fisici e verbali intesi
a dominare o ad ottenere un vantaggio personale a scapito degli altri. Invece, l’ aggressività reattiva si
riferisce a quel tipo di aggressività contraddistinta da una risposta difensiva innanzi ad una minaccia
percepita.