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PRIMA PARTE: LA SCRITTURA
1. ROMANZI CONTRO LA TRADIZIONE
1
In un‟intervista, Marguerite Duras arriva a definire la scrittura come: «un soffio,
incorreggibile, che mi arriva sì e no una volta la settimana, poi sparisce, per mesi.
Un‟ingiunzione molto antica, la necessità di mettersi lì a scrivere senza sapere
ancora cosa: la scrittura stessa testimonia di questa ignoranza, di questa ricerca
del luogo d‟ombra dove si ammassa tutta l‟integrità del vissuto. A lungo ho creduto
che scrivere fosse un lavoro, ora sono convinta si tratti di un accadimento interno,
un „non lavoro‟ che si raggiunge innanzitutto facendo un vuoto
2
dentro di sé, e
lasciando filtrare quello che in noi è già evidente».
3
Nonostante la scrittrice abbia sempre rifiutato di categorizzare la propria opera,
questa affermazione avvicina Duras al movimento del nouveau roman. Questa
corrente, che si sviluppa nella seconda metà del ventesimo secolo specialmente in
Francia, vedrà la nascita di un nuovo modo di scrivere capace di sovvertire i
canoni del romanzo tradizionale ottocentesco, e attuerà quindi la frantumazione
delle convenzioni realistiche e la libertà di non rispettare una sequenza logica di
cause ed effetti unitamente alla scelta di non strutturare saldamente la storia
secondo un diagramma preciso e precostituito.
Allo stesso modo, per i nouveaux romanciers non c‟è l‟obbligo di indagare sui
personaggi e sulle loro vicende. Il ruolo dell‟eroe romanzesco viene
completamente ribaltato rispetto alla narrativa precedente; esso si disgrega, non
ha più un nome e un cognome propri, un ruolo preciso, non è più indagato e
caratterizzato psicologicamente o inquadrato socialmente. Il personaggio può
ridursi semplicemente a lui o lei,
4
non è più una presenza essenziale perché viene
spogliato della sua onnipotenza in virtù di una visione molto meno antropocentrica
1
Per uniformare e semplificare le indicazioni bibliografiche, nonché per la difficoltà di rintracciare gli
originali francesi, si è deciso di citare direttamente le traduzioni italiane dei testi di Marguerite Duras che
effettivamente sono stati utilizzati in questo lavoro.
2
Corsivo nostro.
3
Leopoldina Pallotta Della Torre, Marguerite Duras. La passione sospesa, La Tartaruga, Milano, 1989,
p. 56.
4
La scomparsa dell‟eroe in senso classico è annunciaata chiaramente anche dai titoli stessi dei romanzi.
Basta pensare a Portrait d’un inconnu di Nathalie Sarraute o Mort du personnage di Claude Olier.
6
rispetto a quella passata. Il personaggio perde quindi di spessore, di azione, di
memoria, di contorni. Allo stesso tempo: «l‟intreccio si riduce, la trama si fa esile,
mentre gli avvenimenti si autocontestano continuamente, una frase può contenere
un‟affermazione che viene contraddetta o negata in quella successiva. Il romanzo
ha spesso la forma di un cortocircuito, di un cerchio che si chiude su se stesso per
cui il racconto non è più teso verso la conclusione, perché questa è soppressa,
così come viene cancellato l‟inizio. La fabula viene scardinata, la successione
logico-temporale non esiste più. A questa si sostituisce l‟irrazionalità del sogno,
del ricordo, della ricostruzione mentale, il disordinato e lacunoso procedere della
memoria. La linearità del racconto tradizionale si frantuma, si scompone in un
caleidoscopio di spazi e di tempi diversi, che s‟intrecciano e si sovrappongono».
5
Ciò che soprattutto interessa a questi nuovi scrittori non è più il contenuto, ma
l‟esplorazione di una forma indipendente da una realtà preesistente al testo. Il
nouveau romancier, quindi, non è più uno scrittore, ma uno scrivente che affronta
il “foglio bianco” senza nulla di prestabilito da raccontare. La narrazione si fa
quindi frammentata, lacunosa, piena di salti temporali, disordinata.
Tutto questo ci riporta al significato che Duras dà alla propria scrittura e in
particolar modo alla sua necessità di scrivere senza sapere ancora cosa.
Marguerite Duras, tuttavia, rifiuta, insieme a Samuel Beckett, di partecipare al
movimento: «(i nouveaux romanciers) sono tutti troppo intellettuali per me. Con
una teoria della letteratura cui attenersi e ricondurre ogni fantasia. Io no, non ho
mai avuto idee in proposito, cose da insegnare...».
6
La scrittrice ha sempre sostenuto di avere in comune con il Nouveau Roman solo
«il fervore della ricerca»,
7
ma, indipendente da una critica che di volta in volta la
include o la esclude dalla corrente, è indubbio che anche lei partecipi della
distruzione formale del romanzo tradizionale. E questo perché Duras sceglie di
5
Manuela Raccanello, Marguerite Duras dal nouveau roman al roman nouveau, Tornasole, Trieste, 1994, p.
16.
6
Pallotta Della Torre, Marguerite Duras, cit., pp. 59-60. A tal proposito cfr. anche Marguerite Duras ed Edda
Melon, L’ultima immagine del mondo, in Marguerite Duras, L’Amante inglese, Einaudi, Torino, 1988, pp.
150-151.
7
H. Nyssen, Duras, un silence peuplé de phrases, «Synthèses», 254/255, pp. 6-7, in Raccanello, Marguerite
Duras, cit., p. 24
7
intraprendere una scrittura dell’abbandono,
8
in cui il silenzio si fa parola e la parola
vera e propria si fa via via sempre più musicale andando a formare frasi brevi e
spesso ripetitive, che non rivendicano la capacità di creare per intero una storia,
quanto piuttosto di poterla lasciare in sospeso, grazie a quei vuoti - non solo
esplicativi e tematici, ma anche tipografici - che per l‟autrice diventano fondanti e
sono imprescindibili dal processo stesso di scrittura.
8
Valeria Sperti, Fotografia e romanzo. Marguerite Duras, Georges Perec, Patrick Modiano, Liguori,
Napoli, 2005, p. 51.
8
2. IL VUOTO
Se con i primi romanzi, come Una diga sul Pacifico, non si palesa del tutto la
volontà, anche solo inconscia, di «frantumazione e frammentazione» del testo
tradizionale, dopo il 1957 tale processo si fa più chiaro. Questo, non è solo l‟anno
della morte della madre di Duras – figura fondante della sua opera -, ma anche
dell‟incontro fra Duras e Gérard Jarlot, della loro passionale e violenta relazione,
una storia che segnerà una rottura anche sul piano della scrittura. Duras si apre a
un nuovo modo di scrivere, decisamente lontano dal romanzo tradizionale, più
intimo, ma al contempo più lapidario, volto alla ricerca di una maggiore sobrietà e
di un minimalismo stilistico supportato da ellissi, enunciati brevi o brevissimi dove
«la parola si mostra inadeguata e insufficiente a esprimere una realtà sempre più
rarefatta e sfuggente. La ricerca di una scrittura nuova termina con la scelta del
silenzio, che sulla pagina si traduce in pausa, sospensione, bianco semantico».
9
È la stessa Duras a suggerirci che questo suo nuovo modo di scrivere è
conseguenza della passione, quasi deleteria, che ha vissuto con Jarlot: «Fu un
amore violento, molto erotico, più forte di me, per la prima volta. Ebbi persino
voglia di uccidermi, e questo cambiò il mio modo stesso di fare letteratura: fu
come scoprire i vuoti
10
che avevo dentro, e trovare il coraggio di dirli. La donna di
Moderato Cantabile e quella di Hiroshima mon amour, ero io: esausta di quella
passione che, non potendo raccontare, decisi di scrivere, quasi con freddezza».
11
È questo, dunque, il momento in cui Duras approda definitivamente a una forma
fatta di solitudine e silenzio capace di scavare un vuoto al centro della scrittura. È
una vacuità che non appartiene solamente ai personaggi dei romanzi, le cui
identità sono sfumate attraverso la perdita dei nomi, né tanto meno solo alle
dinamiche di un testo che procede per ellissi negando la presenza di un esistere
precedente al testo; il vuoto viene, per così dire, narrato: «Tutti i romanzi della
Duras, da Moderato cantabile in poi, raccontano la ricerca di un evento perduto e
dimenticato, di un tassello mancante, di una lacuna intorno a cui ruota la
narrazione. […] La scrittura, secondo Duras, costeggia instancabilmente
9
Raccanello M., Marguerite Duras, cit., p. 25.
10
Corsivo nostro.
11
Pallotta Della Torre, La passione sospesa, cit., p. 34.
9
un‟esperienza di cui non è possibile dire nulla, delimita il vuoto al centro di se
stessi, cerca di attingere al „luogo della passione‟, a un vissuto originario sempre
già perduto per il linguaggio».
12
Sul piano formale, questa mancanza si attua non solo attraverso la debolezza
delle trame, la scarsità dei dialoghi, il disordine temporale, bensì anche tramite
una «mancanza produttiva, proliferante, che dà origine spesso a diverse riscritture
della stessa vicenda, nel tentativo, sempre rinnovato e sempre vano, di ricomporre
il tassello mancante».
13
Ma non si tratta di ripetitività tematica, quanto piuttosto di una tendenza costante
all‟intertestualità che ha una sua funzione ben precisa: «Ricordo una volta, un po‟
confusamente come fa lui (Robbe-Grillet), magari senza malizia, mi accusò di
essere ripetitiva. Come se insistere su certi argomenti, di libro in libro, volesse dire
per forza non avere fantasia. Ogni testo nuovo che faccio, invece, rimpiazza quello
vecchio, lo amplia, lo modifica».
14
Questa «tendenza al vuoto» non può che riproporsi anche nei temi trattati da
Duras: la condizione umana e in particolar modo quella femminile; la labilità dei
legami familiari e l‟ipocrisia della società borghese, ma soprattutto le dinamiche
del desiderio fra uomo e donna. Duras cerca di indagare questi movimenti e per
farli emergere utilizza ancora questa «sintassi della sottrazione».
15
Il vuoto, quindi, non cerca di essere eluso, ma diventa il perno attorno al quale
costruire l‟intero procedere della scrittura, che porta già in sé, l‟elemento vuoto:
«All‟indicibilità dell‟esperienza vissuta corrisponde, sia nella mistica sia nella
malinconia, il proliferare di parole e di immagini che cercano di circoscrivere il
vuoto, di fissarne i contorni. A ben guardare, questo è il paradosso stesso della
scrittura, o almeno di una certa concezione della scrittura, quale ritroviamo ad
esempio, significativamente, in Marguerite Duras: irrimediabilmente lontana
dall‟immediato della presenza, collocata nel regime della mediazione, la scrittura si
volge nostalgicamente indietro, verso l‟immediato, nel tentativo vano di afferrarlo.
12
Wanda Tommasi, La scrittura del deserto. Malinconia e creatività femminile, Liguori, Napoli, 2004, pp.
35-36.
13
Ivi, p. 36.
14
Pallottola Della Torre, Marguerite Duras, cit., p. 60.
15
Citazione di Laura Graziano durante il convegno «Marguerite Duras, Son nom de Venise» tenutosi a
Venezia presso il Palazzo Querini Stampalia nel periodo 30/11-3/12 2005.
10
C‟è un vuoto al centro della scrittura – questo viso, questo fiore -, ed è proprio
questo vuoto che la scrittura cerca di afferrare, volgendosi nostalgicamente verso
ciò che ha lasciato irrimediabilmente dietro di sé nel momento in cui ha
abbandonato l‟immediatezza del vissuto a favore della mediazione del linguaggio:
chi scrive, cerca continuamente di avvicinarsi a questo centro vuoto, di aggirarlo,
di circoscriverlo, di costeggiarlo, di approntare la cerimonia capace di accogliere la
presenza di ciò che è».
16
Il vuoto e la sospensione permangono sino alla fine del testo. Non c‟è mai una
vera e propria soluzione alla storia, il turbamento e l‟incertezza permangono. I temi
ricorrenti, ossia il desiderio sessuale e il sentimento d‟amore legati soprattutto alla
condizione femminile, vengono sempre riconsiderati, riposizionati pur mantenendo
dimensioni spropositate che inevitabilmente conducono alla follia o alla morte dei
personaggi. Come vedremo anche più avanti, quella di Duras è una scrittura che
non lascia spazio a nessun tipo di catarsi, né di risoluzione. Le questioni che
ruotano intorno a temi portanti della narrazione non conducono mai a una
comprensione totale. Il testo rimane aperto e, probabilmente se il lettore vuole
delle risposte, è solo nei vuoti che può cercarle.
17
Questo processo è diretta conseguenza del fatto che per Duras, l‟unico amore
contemplabile sembra essere quello, se non impossibile, almeno paradossale e
quindi inspiegabile, ingiustificabile. Per nascere ha bisogno di condizioni che lo
impossibilitino: la follia, la diversità sociale, la lontananza, la distanza fisica, e la
storia che lei avrà con Yann Andréa Stein ci dice che questo vale anche per lei
stessa in quanto persona e non solo in quanto scrittrice: in quale modo può essere
vissuto sul piano fisico un rapporto tra un‟eterosessuale e un omosessuale?
E così come accade proprio fra Yann Andréa e Duras, la scrittura stessa entra a
far parte di questa “legge” trasformandosi in quell‟elemento di congiunzione, di
saturazione che fa da complemento al vuoto attorno a cui si costruisce; e ciò è
confermato dal fatto che per Marguerite Duras l‟amore si fa sempre in tre.
L‟indicatore più evidente di tale pensiero è il passaggio nei testi dalla prima alla
terza persona che porta a galla la figura di qualcuno che, a tratti pare intromettersi
16
Tommasi, La scrittura del deserto, cit., p. 33.
17
Cfr. Trista Selous, The other woman. Feminism and Femininity in the Works of Marguerite Duras, Yale
University, 1988, p. 151.
11
nella storia. Ma sarebbe impreciso dire che questa terza presenza, anche se
virtualmente, s‟incarni solamente in una figura attraverso cui la storia si racconta;
si tratta, piuttosto, di un‟entità astratta, anche se fondante: è la scrittura in primo
luogo, e solo successivamente Duras in quanto autrice del testo letterario. Gli
amanti durassiani sono osservati da un terzo sguardo
18
che è sempre quello della
scrittura e che diventa, per esempio, quello della coppia francese in Emily L., di
Jaques Holt ne Il rapimento di Lol V. Stein, dell‟impiegato francese ne Il marinaio
di Gibilterra, a cui si aggiunge quello di Marguerite Duras
19
scrivente.
A conferma di ciò, ricordiamo inoltre cosa afferma Duras
20
riguardo a un presunto
voyeurismo volto a suggellare l‟ipotesi della presenza costante di un terzo
personaggio che guarda l‟accadere della passione in una coppia: «Ho sempre
pensato che l‟amore si facesse in tre: un occhio che guarda, mentre il desiderio
circola dall‟uno all‟altro. La psicanalisi parla di ripetizione coatta della scena
primaria: io parlerei della scrittura come terzo elemento di una storia. Noi del resto
non coincidiamo mai del tutto con ciò che facciamo, non siamo del tutto lì dove
crediamo di essere. Tra noi e le nostre azioni c‟è uno scarto, ed è all’esterno, che
accade tutto. I personaggi guardano sapendo di essere a loro volta guardati:
esclusi e insieme inclusi nella „scena primaria‟ che va muovendosi ancora una
volta, di fronte a loro».
21
18
Nasce quasi spontaneo il paragone con il «terzo occhio», lo shiv netra della tradizione indiana-lamaista,
tatuato fra le due arcate sopraccigliari e segno di illuminazione e di chiaroveggenza.
19
Cfr. Annalisa Bretoni, Alle soglie del testo, «Pour Sonia», in Edda Melon ed Ermanno Pea (a cura di),
Duras Mon Amour 3. Saggi italiani su Marguerite Duras, Lindau, Torino, 2003, pp. 11-44.
20
Probabilmente riferendosi a Jaques Lacan, Hommage fait à Marguerite Duras du ravissement de Lol V.
Stein, in AA.VV, Marguerite Duras, Albatros, Paris, 1979, pp. 131-137.
21
Pallotta Della Torre, Marguerite Duras, cit., p. 52, (corsivi nostri).
12
3. I TESTI PIÚ SIGNIFICATIVI
3.1. Il marinaio di Gibilterra: l‟amore come ricerca
Con Moderato Cantabile del 1958, Duras approderà definitivamente a un modo di
scrivere frammentato, ma è con Il marinaio di Gibilterra del 1952 che la scrittrice
inizia ad affrontare e descrivere le dinamiche del sentimento amoroso come un
qualcosa che non può discernere da un elemento di vuoto, con la conseguente
incapacità di concludersi e di compiersi.
Nel romanzo, un uomo, l‟istanza attraverso cui Duras scrive, arriva a Firenze per
una vacanza con la sua fidanzata. È qui, in un agosto dal caldo insopportabile che
ricorda quello de I cavallini di Tarquinia,
22
che decide di combattere e sconfiggere
la sua viltà, che fino a quel momento non gli aveva permesso di lasciare una
fidanzata che non amava e un lavoro che lo alienava. Spostatosi a Rocca, nei
pressi di Sarzana, decide allora di imbarcarsi nel panfilo di Anna, un ricca e
misteriosa ereditiera che tutti chiamano «l‟Americana». È da questo momento in
poi, con la storia di Anna, che fuoriesce la potenza di un amore che si trasforma in
estenuante ricerca. Anna, dopo il suicidio del marito, di cui si è indirettamente resa
mandante,
23
decide di dedicarsi alla ricerca del suo unico grande amore, chiamato
Gibilterra, seguendo le indicazioni che i suoi ex-marinai le forniscono da diverse
zone del continente. Gibilterra era un giovane uomo, che era scappato con un
canotto dalla Legione straniera: vi si era arruolato dopo aver commesso un
omicidio. Quando Anna, il marito e i marinai del panfilo lo avevano avvistato al
largo di Gibilterra avevano deciso di prenderlo a bordo. È lì che inizia la sua storia
con Anna. Ma anche quando i due sembrano essere vicini, questa vicinanza non è
che mera illusione. Lui è sfuggente, troppo libero: «No. Non mi amava. Avrebbe
potuto fare a meno di me, di chiunque. Si dice: ti manca una sola persona e tutto è
un deserto, invece non è vero. Infatti, quando ti manca il mondo, nessuno può
22
Cfr. Marguerite Duras, I cavallini di Tarquinia, trad. di M.R., Einaudi, Torino, 1958, p. 241: «E il sole non
brillava, soffocato com‟era dalla spessa bruma che chiudeva il cielo in un collare di ferro. Non c‟era niente da
fare, qui, i libri si scioglievano fra le mani, e le storie cadevano a pezzi sotto i colpi cupi e silenziosi dei
calabroni all‟assalto. Sì, il caldo lacerava il cuore. E sola gli resisteva, intatta, vergine, la voglia del mare».
23
Cfr. Marguerite Duras, Il marinaio di Gibilterra, trad. di Leonella Prato Caruso, Feltrinelli, Milano, 1998,
pp. 141-142.
13
ripopolartelo. Non gli ho mai ripopolato il mondo, mai. Era come gli altri, come te,
aveva bisogno di Yokohama, delle strade affollate, dei cinema, delle elezioni, del
lavoro, tutto. Io, una donna, che cosa avevo da offrirgli?»
24
Il sentimento della lontananza si fa in questo modo duplice: anche quando stavano
insieme erano, in realtà, lontani. Dopo il primo incontro sulla barca Anna e
Gibilterra si erano visti solo due volte, a distanza di quattro anni. L‟ultima volta,
dopo il suicidio del marito
25
di lei, avevano vissuto insieme, anche se per poche
settimane.
Quando l‟impiegato francese s‟imbarca nel panfilo di Anna, sono tre anni che lei
non lo vede. Lei sostiene di potersi anche dimenticare di lui, per un po‟, ma che
«anche quando lo dimentica, non dimentica che lo cerca».
26
La ricerca continuerà
fino in Africa, ma non avrà alcun esito. A tal proposito, è interessante riportare la
descrizione che, verso la fine del libro, Duras fa della Foresta del Congo. Questo
perché, come si avrà modo di accennare nella parte biografica e come Duras
stessa afferma,
27
la foresta è uno dei luoghi del desiderio e della passione, in
particolare quelli femminili, e, in quanto tali, inaccessibili all‟uomo:
«Attraversammo pochi villaggi, in genere minuscoli, inghiottiti nel folto della
foresta. Solo i cudù e gli elefanti – ma i più grandi del mondo – si adattano e
sanno orientarsi. Muoiono di vecchiaia in un suolo inviolabile e la foresta li mangia
come mangia se stessa in un perpetuo rinnovarsi, dall‟inizio del mondo. Strani
colori l‟attraversano, correnti, vene, fiumi di colori. A volte, diventa rossa come il
delitto, altre volte grigia e altre volte ancora sbiadisce completamente fino alla
scipitezza. Respiravamo con difficoltà. I continui temporali riempivano l‟aria di
24
Duras, Il marinaio, cit., p. 100.
25
Anna era venuta a conoscenza della morte del marito dai titoli di giornale, e il suo primo pensiero era stato
che la notizia avrebbe potuto suscitare una tale eco da permettere a Gibilterra di poterla ritrovare: «Una
mattina, in un bar, ho visto una notizia riguardante mio marito. Si era ucciso. Un eroe di Londra ha messo
fine ai suoi giorni, era il titolo. Un fatto simile, nell‟ambiente di mio marito, aveva molta risonanza. Sai, è
terribile, ma la prima cosa che ho pensato leggendo quelle poche righe, è stata che, se era sul giornale, anche
lui poteva leggerlo. Un modo per dargli mie notizie. […] Ho dato tre giorni al marinaio di Gibilterra per
arrivare a Parigi, qualora fosse lontano, e raggiungermi. Se non avesse telefonato, mi sarei uccisa, lo avevo
deciso, era l‟unica cosa che mi permetteva di non pensare troppo a quello che avevo commesso, decidendo di
lasciare Londra. Ho scongiurato la sorte di restituirmelo e le ho concesso tre giorni. La sera del secondo
giorno, ho ricevuto la sua telefonata». Ivi, p. 142.
26
Ivi, p. 91.
27
Marguerite Duras, La vita materiale, Marguerite Duras parla a Jérôme Beaujour, trad. di Laura Guarino,
Feltrinelli, Milano, 1988, pp. 63-65.
14
vapori pesanti e densi. Non era, è ovvio, un‟aria per esseri umani, ma per elefanti
e cudù».
28
Come la Foresta del Congo, anche Anna sembra poter vivere della sua perdita,
della sua morte. La ricerca dell‟uomo amato, ma soprattutto la ricerca in quanto
tale, diventa l‟unico mezzo per sopravvivere a se stessi, diventando sia scopo, sia
necessità, perché, come le dice l‟impiegato francese: «Siamo sempre alla ricerca
di qualcosa, di qualcosa che emerga dal mondo e che ci venga incontro».
29
E per
Anna, così come per Duras, questa ricerca, simile in ciò alla la foresta che si
ricicla vivendo di se stessa, non necessariamente deve giungere a conclusione.
Allo stesso modo, il vuoto causato dalla lontananza non chiede sempre di essere
colmato: e questo è uno dei modi per vivere l‟amore.
28
Duras, Il marinaio, cit., p. 238.
29
Ivi, p. 105
15
3.2. Il punto di svolta: Moderato Cantabile e la passione impedita
Anna Debaresdes è una madre appartenente all‟alta borghesia che accompagna il
figlio a lezioni di piano. Vivono in un paese di mare. Poi, un omicidio in un bar di
periferia: un uomo uccide la sua donna sparandole un colpo di pistola dritto nel
cuore. Anna, che era vicino al posto, da quel momento decide di frequentare il
locale e bere del vino. Va lì perché vuole sapere di più e allora chiede a Chauvin,
un operaio della zona presente all‟omicidio. I due iniziano a frequentarsi
infrangendo tutte le convenzioni sociali e Anna si emancipa nel sentirsi attratta da
quell‟ambiente popolare che le piace perché non si vergogna delle sue passioni,
nemmeno le più estreme. La storia fra lei e Chauvin non giungerà mai al piano
carnale (a parte un bacio dopo il quale si separeranno) e questo perché, s‟intuisce
dal testo, c‟è un‟immagine che non le permette di partecipare al suo desiderio per
l‟operaio: «Al lampo del magnesio si vide che la donna era ancora giovane e che
un po‟ di sangue le colava dalla bocca in rivoletti e che ve n‟era anche sul viso
dell‟uomo che l‟aveva baciata. […] L‟uomo si distese ancora vicino al corpo della
sua donna, ma per brevissimo tempo. Poi, come se questo l‟avesse stancato, si
alzò di nuovo. […] Ma l‟uomo si era alzato solo per stendersi meglio, ancora più
vicino al corpo. Restò lì, in atteggiamento apparentemente tranquillo, prendendola
di nuovo tra le braccia, col viso incollato al suo, nel sangue della sua bocca».
30
Ciò
che ha unito Chauvin e Anna, ossia l‟immagine
31
di un delitto per amore (si
scoprirà che la vittima era consenziente) è anche ciò che li separerà. E la loro
storia, come quella fra Duras e Jarlot,
32
si mischia all‟evento tragico diventando
30
Marguerite Duras, Moderato Cantabile, trad. di Raffaella Pinna Venier, Feltrinelli, Milano 1997, pp. 17-
18. Questa immagine, tra l‟altro, lega Moderato cantabile a un altro testo di Duras, ossia L’uomo seduto nel
corridoio (del quale esistono due versioni, una del 1962 e una, definitiva, del 1980) È qui, più che altrove,
che si vedono le tracce della storia fra Jarlot e Duras, e che compare di nuovo l‟immagine dell‟uomo sulla
donna: «Vedo che anche il corpo si lascia colpire, che è abbandonato, al di là di ogni dolore. Che l‟uomo
insulta e percuote. E poi d‟improvviso le grida, la paura. E poi vedo questa gente naufragata nel silenzio. […]
Vedo che l‟uomo piange disteso sulla donna. Di lei non vedo che l‟immobilità. Non so se dorme, lo ignoro,
non so niente». Marguerite Duras, Testi segreti, trad. di Laura Guarino, Feltrinelli, Milano, 1997, p. 23.
Questo richiamo inconfondibile fa sì che i due testi siano inseparabili, quasi l‟uno il completamento
dell‟altro, facendoci chiedere se, forse, la donna uccisa dal suo uomo in Moderato Cantabile, tramite un
rovesciamento temporale, non sia la stessa che si fa picchiare in L’uomo seduto nel corridoio.
31
Cfr. Selous, The other woman, cit., pp. 87-99. Secondo l‟autrice di questo testo, tutto il romanzo è
riconducibile a quest‟unica immagine che ci viene fornita alla fine del primo capitolo.
32
Duras, La vita materiale, cit., p. 94: «Mi ha aspettato per cinque, sei ore al giorno in quel caffé, seduto
verso la strada, per otto giorni. Ho resistito. Uscivo ogni giorno, ma non da quella parte di Parigi. Eppure
16
essa stessa delitto: le parole di Chauvin indicano come il modo in cui si
lasceranno è un‟eco di quell‟immagine: «‟Vorrei che foste morta‟, disse Chauvin.
„È fatto‟, disse Anna Desbaresdes».
33
Il dramma del desiderio viene così lasciato in sospeso, ed è rafforzato dal nuovo
modo di scrivere, meno carico e più silenzioso, di Duras. La narrazione in terza
persona rimane distante, e l‟onniscienza del narratore è incerta; i personaggi
rimangono, per così dire, vaghi, degli semisconosciuti perfino agli occhi di colui
(colei) che li scrive. Moderato cantabile è, da un certo punto di vista, un testo che
può essere definito freddo, e questo perché le “intromissioni” di Duras sono rare:
non compaiono, infatti, commenti espliciti né sulle vicende, né sui personaggi, il
narratore si limita a registrare senza commentare la storia di Anna Desbaresdes e
Chauvin e la narrazione sembra, almeno di primo acchito, priva di simbolismi,
limitando il suo sviluppo a un livello puramente denotativo.
34
3.2.1. La dislocazione come condizione psicologica
È bene soffermarsi ancora un attimo su Moderato cantabile essendo questo un
romanzo di svolta per Duras. Riprenderemo a questo scopo il concetto di
dislocazione utilizzato da Scherhr:
35
parole e interlocutori spostati, un dialogo e un
linguaggio dislocati. Tale dislocazione, che consiste soprattutto in una rivisitazione
del dialogo cosiddetto «normale» e del silenzio e interviene a un livello profondo
dell‟io del personaggio stesso (soprattutto se si tratta di una donna, come nel caso
di Anna Desbaresdes) e agisce in maniera tale che, alla fine, nel dialogo il
destinatore è sempre il primo destinatario.
La narrazione non presuppone nessuna penetrazione psicologica dell‟altro, ma si
limita invece a una fenomenologia della narrazione. Di fatto, in Moderato Cantabile
non solo Duras non ci dice cosa è successo, ma è possibile che nulla sia
successo. Sottolinea Scherhr che in Moderato Cantabile, un po‟ come per i
morivo dal desiderio di vivere un nuovo amore. L‟ottavo giorno sono entrata nel caffé come si va al
patibolo».
33
Duras, Moderato Cantabile, cit., p. 91.
34
Cfr. Selous, The other woman, cit., p. 164.
35
Lawrence R. Scherhr, Disloquation: de la communication durassienne, in Marguerite Duras. La tentation
du poétique, (Textes réunis par Bernard Alazet, Christiane Blot-Labarrère, Robert Harvey), Sorbonne
Nouvelle, 2002, pp. 233-244.
17
Tropismi di Nathalie Sarraute, il narratore aumenta tale distanza dei personaggi: il
figlio di Anna resta anonimo, la stessa Anna mantiene sempre il suo nome formale
(Anna Debsbaresdes), e Chauvin, l‟operaio, viene nominato, ma relativamente
avanti nel testo. È come se non esistesse alcun legame sul piano umano tra il
narrato (inteso come soggetto) e la narrazione (intesa come atto del narrare). Da
Moderato Cantabile in avanti Duras si occupa soprattutto delle leggi della forma,
anche perché è in questo periodo che inizia a pensare al cinema; e se anche non
è detto che Moderato Cantabile sia stato concepito per il grande schermo, in esso
c‟è indubbiamente uno protoscenario cinematografico che presuppone, quindi,
una riflessione sui limiti e le possibilità implicite di ogni genere che lei decide di
affrontare. Ad esempio, secondo Trista Selous, il fatto che il narratore non dimostri
palesemente di avere un punto di vista, un “atteggiamento”, come può essere
quello dell‟ironia, nei confronti dell‟evento narrato, fa sì che il testo stesso appaia
come la trascrizione iperrealistica di una fotografia, o una registrazione fatta da
una specie di cinepresa verbale. Saranno poi la selezione e la pianificazione degli
oggetti e delle persone che Duras sceglie di “filmare”, nonchè la discrezione
stessa che fa capo a tale processo, che contribuiranno a creare i vuoti narrativi di
Moderato Cantabile.
36
Succede così che dei soggetti «generici» vengono semplicemente rimessi in
discussione e questo viene fatto considerando «una serie di rapporti che sono
nuovi per lei: la funzione del dialogo, i rapporti tra la narrazione e il dialogo, il
rapporto tra i vari sistemi semiotici e il rapporto fra questi e il silenzio».
37
Duras ci
conduce attraverso un percorso discendente sotto il profilo semantico, e come
accade proprio da Moderato in poi, la scrittrice coltiverà sempre di più la tendenza
a non spiegare: anziché chiarire, la metasemiotica di Duras, tende
all‟annientamento delle parole e del messaggio.
38
Scherhr prende come esempio il primo dialogo con cui inizia il testo e fa notare
come esso viene interrotto da diversi elementi:
36
Cfr. Selous, The other woman, cit., pp. 102-103, 164.
37
Scherhr, Diloquations, cit., p. 235.
38
Ibidem.
18
«„Vuoi leggere cosa c‟è scritto in testo al tuo spartito?‟ disse la donna.
„Moderato cantabile‟. disse il bambino.
La donna sottolineò questa risposta con un colpo di matita sulla tastiera. Il
bambino non si mosse, la testa rivolta allo spartito.
„E cosa vuol dire moderato cantabile?‟
„Non lo so‟».
39
È chiaro che questo dialogo è dell‟ordine della metasemiotica: esso ci dice, fin da
subito, che c‟è una disuguaglianza a livello umano e una polarizzazione dei ruoli
fra la signora, l‟insegnante di piano e il bambino, che rimarrà senza nome. Esso,
oltre a darci un primo modello dei dialoghi successivi, ci dice anche molte cose sul
bambino: legge in maniera meccanica parole di una lingua che non è la sua e
suona come legge, in maniera altrettanto meccanica. Egli inoltre risponde senza
rispondere perché non risponde realmente alla domanda della signora. Questo
immobilismo del bambino diventa un modo di ribellarsi (meccanicamente) contro
questa musica: il bambino diventa la musica che lui suona male.
40
Il bambino
diventa il primo mezzo attraverso cui si attua il collasso totale del dialogo, che si fa
meccanico e che riecheggia nell‟immobilismo stesso del bambino, anticipandoci
l‟assenza della madre, il rapporto distaccato che ha con lei e la sua incapacità di
parlare.
Più il dialogo va avanti, più la dislocazione si fa maggiore. Il bambino continua a
non rispondere alla signora. E più si prosegue più si tenderà alla distruzione del
senso letterale di una frase (nel senso che il bambino non risponde “letteralmente”
alla domanda), allo sminuimento sul piano delle espressioni e delle emozioni di
Anna Desbaresdes, alla riduzione di un essere umano (il bambino)
all‟immobilismo. Questi diventano gli elementi di base della dislocazione del
dialogo in Duras, a cui si aggiunge un modello di comunicazione ambiguo:
«„Signora Desbaresdes, avete un bel campione,‟ disse.
Anna Desbaresdes sospirò di nuovo.
„A chi lo dite,‟ disse».
41
Un dialogo come questo si fonda sull‟incertezza dato che non è chiaro chi siano il
destinatore e il destinatario. Si arriva persino a confondere una domanda con una
39
Duras, Moderato Cantabile, cit., p. 9.
40
Scherhr, Disloquations, cit., p. 237.
41
Duras, Moderato Cantabile, cit., p. 9
19
constatazione dato che Anna Desbaresdes avrebbe dovuto esprimere ciò
sottoforma di interrogazione. Tutto questo «spostamento di senso» (che Scherhr
chiama appunto dislocazione) produce degli effetti che si potranno riscontrare in
tutta l‟opera successiva di Duras. In particolare: «nel dialogo, l‟essenza di
certezza, per quanto riguarda la comunicazione implica una dissoluzione dei
rapporti tra qualsivoglia destinatore e qualsivoglia destinatario. Dato che non si è
mai certi che la risposta pretesa sia quella che si cercava, il dialogo si scinde in
diversi monologhi indipendenti. Ogni personaggio parla da solo, manifestando così
un isolamento psicologico e un‟assenza di rapporti interpersonali possibili. Ognuno
s‟incammina verso la disfasia, l‟afasia e l‟autismo. Siccome il senso non si basa su
un punto di vista individuale o solipsista, bensì diventa “senso“ grazie a una
comunità, ogni sforzo di comunicare si ritrova fuso in un caos di non sensi»,
dimostrando così, ed è in questo che sta la bravura di Duras, aggiunge Scherhr
«che in un qualunque ritratto psicologico la condizione umana, anche
linguisticamente, rimane pur sempre una dislocazione, a prescindere da tutto».
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42
Scherhr, Diloquations, cit., p. 243 (traduzione nostra).