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Riassunto
'Emozione', 'conflitto' e 'bambino' sono le tre parole chiave di questo lavoro.
L’interazione tra queste tre parole dà luogo a un caleidoscopio di costrutti e di concetti che
continuano a fare la spola tra modelli e definizioni, frutto delle teorie e delle ricerche di
molti autori, e lacrime, incubi, urla e silenzi che si scorgono negli occhi dei bambini
coinvolti nei conflitti dei loro genitori. In alcuni casi, forse un po’ più gravi degli altri,
questi bambini giungono negli studi degli psicologi consulenti perché i loro genitori,
troppo occupati a farsi la guerra, abdicano alla loro funzione genitoriale e creano i
presupposti perché siano 'altri genitori', quelli istituzionali (giudici, avvocati, tutori,
psicologi, psichiatri, assistenti sociali), a prendere - in loro vece - le decisioni più
importanti per la loro vita futura.
Questa riflessione mi ha interrogato profondamente. Qual è l’apporto che lo
psicologo può offrire in situazioni così disagiate? In primo luogo l’umiltà. L’umiltà di porsi
di fronte alle situazioni con la consapevolezza di non avere tutte le soluzioni in tasca e che
talvolta la soluzione migliore è tale solo perché è la 'meno peggiore'. In secondo luogo la
conoscenza. Conoscere i modelli, le tecniche, le dinamiche e i loro sviluppi, è un passo
decisivo in direzione di una professionalità competente e positiva.
Per questo motivo sono partito dall’esperienza concreta di alcune perizie d’ufficio,
cui ho partecipato nel corso del mio tirocinio accademico, per analizzare e approfondire i
costrutti più importanti che gravitano nel settore del conflitto coniugale con lo scopo di
affinare i 'ferri del mestiere' già presenti nel mio bagaglio culturale e di aggiungerne altri
utili allo scopo.
Emozioni, violenza, conflitto, falso sé, attaccamento, valutazione delle capacità
genitoriali, intersoggettività, sindrome da alienazione genitoriale, sono i temi che ho
cercato di affrontare condotto per mano da quei bambini che, capitati senza responsabilità
in una situazione spiacevole e sfortunata, chiedono un po’ di aiuto per continuare a sperare
in un futuro che non sia deprivato di troppe opportunità.
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Introduzione
Non hai avuto modo di scegliere
i genitori che ti sei trovato,
ma hai modo di poter scegliere
quale genitore potrai essere.
Marian Wright Edelman
Avere bambini non ti rende un genitore
più di quanto avere un pianoforte
non faccia di te un pianista.
Michael Levine
Quando ho iniziato il mio percorso accademico, dopo circa trent’anni di
insegnamento nella scuola pubblica, le esperienze personali e formative attraversate fino a
quel momento mi avevano condotto a ipertrofizzare la sfera razionale e a relegare le
emozioni a una marginale nota di colore del tutto superflua e inconsistente, tanto da
strutturare un atteggiamento e un comportamento che avrebbero potuto tranquillamente
dare luogo a diagnosi di alessitimia.
Consapevole di questa mia impostazione, mi sono avvicinato con vivo interesse e
curiosità a tutti quei corsi che mi consentivano di acquisire conoscenze nell’ambito delle
emozioni, senza perdere occasione di approfondire e sperimentare l’argomento - seppure
affrontato da diverse prospettive - nella coinvolgente frequentazione delle attività
laboratoriali.
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Nel corso dell’ultimo anno di frequenza, infine, ho scelto di affrontare il delicato
ambito delle Consulenze Tecniche d’Ufficio (CTU) condotte dallo psicologo su incarico
del giudice per valutare le opzioni più consone alla salvaguardia dei figli coinvolti in litigi
e separazioni coniugali. Come tirocinante, ho seguito un cospicuo numero di sedute,
relative a una decina di CTU, molto diverse l’una dall’altra ma tutte egualmente complesse
e cariche di tensione e di sofferenza.
È lì che mi sono chiesto cosa intendiamo per bambino. Quali immagini attraversano
la mente del genitore, ma anche dell’esperto, nell’osservare un minore: un figlio come
oggetto proprio? Un figlio come spettatore inutile del proprio dolore? Un figlio da
sacrificare sull’altare o un figlio come altro da sé con bisogni suoi differenti da quelli
dell’adulto? Nel cercare una risposta, so bene che non bisogna mai trascurare da un lato
che il bambino fa parte integrante di un sistema, di una famiglia nella quale ricopre un
ruolo spesso non ben evidente ma certo importante, e che dall’altra la delicata condizione
che si trova a vivere in un contesto conflittuale, e a volte peritale, lo porta a provare
un’infinità di sensazioni ed emozioni che inficiano la sua naturale propensione a
manifestarsi in tutta la sua individualità.
La giovane età, il clima nel quale è immerso, il timore che esprimere una posizione
in modo esplicito comporti una sorta di tradimento nei confronti delle figure genitoriali,
infatti, sono ostacoli che il bambino non sempre è in grado di elaborare e superare in modo
autonomo e che talvolta diventano ostacoli nel suo percorso di crescita.
La CTU, seppure evidenzi dolorosamente un fallimento della coppia genitoriale nel
processo di elaborazione dei processi separativi, può rappresentare, se condotta in modo
adeguato, un importante spazio in cui - a differenza di quanto accade nella loro cerchia
familiare - i bambini sono visti come parte attiva del nucleo familiare, dove è per loro
possibile dare voce ai propri vissuti e alle proprie emozioni in qualità di persone in
interazione con il mondo esterno, senza che ciò dia luogo a conseguenze negative.
Certo, è molto complesso chiedere a un bambino di attivare comportamenti
autonomi e rivolti alla propria affermazione in situazioni dove questo può risuonare come
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un 'tradimento' nei confronti di quelle persone che, nonostante le sofferenze causate, sono
di fatto le sue figure genitoriali, fonte di attaccamento primario. Difficile prendere una
posizione che potrebbe minare il seppur malsano, superficiale o sottile equilibrio
dell’intera famiglia.
All’interno di alcune dinamiche familiari, il bambino rischia quindi di rivestire un
ruolo di spettatore passivo di ciò che accade attorno a lui mentre sarebbe di fondamentale
importanza che i figli vivessero in un luogo-ambiente ove si possano sentire ascoltati e
protetti.
Ma per porsi in un proficuo atteggiamento di ascolto, è necessario possedere gli
strumenti utili per comprendere chi è il bambino, per distinguerlo da un adulto, per
riconoscere le difese che egli adotta per proteggersi dalla sofferenza.
Lo psicologo, in questi difficili casi, deve attivare un ascolto oggettivo e protetto al
fine di dar voce al minore, alle sue emozioni, e di aiutarlo a riprendersi un posto all’interno
della famiglia.
Ruolo non facile questo per uno psicologo perché spesso la CTU corre il rischio di
essere uno strumento utilizzato dalla coppia in conflitto per certificare l’inadeguatezza del
coniuge. È importante ricordare sempre che l’obiettivo dello psicologo non è mai quello di
attribuire meriti o demeriti ai genitori; anzi, nella consapevolezza di essere un
professionista che cerca di instaurare una relazione di aiuto, lo psicologo si occupa
principalmente di far riconquistare centralità al bambino all’interno della sua situazione
familiare.
Partendo da queste premesse, il mio lavoro è suddiviso in due parti: nella prima
parte affronto e approfondisco alcuni temi epistemologici: il percorso espositivo inizia con
una domanda: «cosa intendiamo per 'bambino'?» e prosegue cercando di individuare gli
itinerari possibili per trovare una risposta a questa domanda, senza tralasciare l’esigenza di
comprendere il punto di vista del bambino sul mondo, via via cha va formandosi il suo
'senso del sé'. Proseguo poi con l’affrontare l’altro scoglio epistemico sotteso dal titolo di
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questa tesi: le emozioni, il loro significato e le loro implicazioni nelle neuroscienze.
Vi è in questo il credere che sia importante, per chi opera in ambito peritale,
conoscere come il bambino costruisce la sua relazione e la sua idea sul mondo e di come le
emozioni e i messaggi ad esse collegate possono interferire.
A questo punto, dopo aver fatto un po’ di luce sui presupposti teorici necessari per
affrontare il problema, inizia la seconda parte della mia esposizione nella quale provo ad
addentrarmi nel delicato mondo del conflitto coniugale e lo faccio sfruttando la mia
esperienza di tirocinio nel settore delle CTU che mi ha posto di fronte a situazioni difficili,
cariche di sofferenza, e che mi ha fornito lo spunto per approfondire importanti chiavi di
lettura ad esse correlate, quali: la teoria dell’attaccamento; la valutazione delle qualità
genitoriali; il fenomeno dell’alienazione genitoriale; il costrutto del Falso sé e le
conseguenze che esso comporta; il conflitto coniugale e il problema della violenza che,
sotto diverse forme, lo alimenta; il concetto di intersoggettività.
Non voglio in questa disamina addentrarmi nella comprensione delle dinamiche
familiari che possono portare a questo fenomeno, ma desidero principalmente approfondire
come queste dinamiche possono influire a cascata sul minore.
Questo nasce dal desiderio di capire, di conoscere e di dare voce alla sofferenza
profonda, a volte devastante, altre volte rassegnata, altre volte ancora pericolosamente
mascherata, che ho colto negli occhi dei bambini convocati nello studio della psicologa per
una CTU relativa al conflitto coniugale dei genitori.
Una separazione è sicuramente un momento di enorme difficoltà per un figlio,
tuttavia non ha come unico destino possibile il danno e la sofferenza. Scrive Francini:
"La separazione coniugale, se di per sé rappresenta sempre un rischio per il bambino, non
sempre e non necessariamente comporta un danno; quindi la possibilità che evolva un danno
dall’esperienza di separazione è legato alla capacità dei genitori di riconoscersi l’un l’altro
nella loro funzione genitoriale e nel permettere al figlio di avere accesso all’altro genitore.
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Si tratta cioè di ricavare uno spazio (che a ben vedere è stato segnato dalla frattura stessa
che come una crepa si apre delineando un nuovo spazio da percorrere non certo da negare), in
cui siano possibili dei movimenti e degli spostamenti.
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"
Ed è proprio per questo motivo che lo sforzo congiunto di tutti gli attori,
professionali e istituzionali, che si trovano a interagire con una famiglia in grave difficoltà,
deve essere competente e consapevole dei rischi e delle opportunità correlate al proprio
intervento, al fine di salvaguardare - per quanto possibile - l’integrità e l’equilibrio emotivo
del bambino.
Questo lavoro, che si occupa di tutela dell’integrità emotiva dei figli nel conflitto di
coppia, è inserito in un percorso di ricerca che la mia relatrice, la dott.ssa Fabiana Filippi,
sta svolgendo sui minori coinvolti in relazioni familiari conflittuali.
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Francini G., Il dolore del divorzio, FrancoAngeli, Milano, 2014
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1. Prima Parte
La mia esperienza nel campo dell’insegnamento mi porta, prima di addentrarmi in
un progetto di lavoro, a vagliare attentamente la 'situazione di partenza' ovvero l’insieme di
tutte quelle variabili, culturali, spazio-temporali, strutturali, amministrative e ambientali,
che interagiscono con le attività, influenzando - di fatto - le scelte didattiche e
metodologiche. Allo stesso modo, per avvicinarmi correttamente al mondo del 'bambino'
sento l’esigenza di chiarire bene di cosa stiamo parlando quando si dice 'fanciullo,
bambino, ragazzo, adolescente, figlio o… minore'.
Il termine 'bambino' ha un significato sufficientemente condiviso o le sue sfumature
sull’asse longitudinale del tempo e su quello trasversale dei punti di vista - dovuti a
differenti esperienze, professionalità ed esigenze - possono indurre incomprensioni anche
sostanziali?